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Autore: Astry_1971    13/01/2007    2 recensioni
“Solo in quel momento, Severus si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.”
Questa storia si svolge durante gli anni che precedono la morte dei Potter e la caduta di Voldemort.
Severus Piton è un giovane Mangiamorte alle prese con i suoi rimorsi e un amore impossibile. Sarà un Piton insolito, un Piton ragazzo, che commette errori, che ha paura e che farà quelle scelte sbagliate che lo renderanno, in futuro, l'uomo tormentato e solo che tutti conosciamo. Gli avvenimenti narrati si svolgono dopo il sesto libro della saga di Harry Potter e prescindono, ovviamente, dal settimo libro, ancora inedito.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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La storia è dedicata alla mia Beta Niky che mi ha spinta a scriverla e che non finirò mai di ringraziare per i suoi consigli e la sua pazienza. Ma è stata scritta anche pensando a Ida che mi ha fatto tanto sognare con le sue storie d'amore, costringendomi a consumare quantità industriali di nutella.
Nata prima dell'uscita dei Doni della Morte, non tiene conto degli avvenimenti narrati in quel libro.


Amando il vento



Un racconto di: Astry
Beta - reader: Niky (alias Nykyo) e Ida.
Genere: Drammatico, romantico.
Personaggi:Seveus Piton, Lucius Malfoy, Voldemort, Silente, personaggio originale (Iris).
Rating: PG 13.
Pairing: Severus/Iris.
Avvertimenti: Nessuno.
Riassunto: : “Solo in quel momento Severus, si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.”
Questa storia si svolge durante gli anni che precedono la morte dei Potter e la caduta di Voldemort.
Severus Piton è un giovane Mangiamorte alle prese con i suoi rimorsi e un amore impossibile. Sarà un Piton insolito, un Piton ragazzo, che commette errori, che ha paura e che farà quelle scelte sbagliate che lo renderanno, in futuro, l'uomo tormentato e solo che tutti conosciamo.

CAP. 1: La prima missione

“AVADA KEDAVRA!”
Quella formula era sgorgata dalle sue labbra con una tale energia che il giovane Mangiamorte rimase pietrificato a fissare il risultato della sua magia con la bacchetta ancora puntata, le dita strette intorno a quel sottile bastoncino di legno.
Il Babbano era a terra, era morto, lui sapeva che era morto, non aveva bisogno di chinarsi per accertarsene.
Sentì la sensibilità abbandonare le sue dita, mentre la bacchetta stava per scivolargli dalle mani, non riusciva a muoversi. Intorno a lui ora c’era solo il silenzio, ma nella sua testa rintronavano ancora le grida disperate di quelle persone che tentavano inutilmente di fuggire verso gli alberi di fronte alla casa, gente che non aveva mai saputo dell’esistenza di un mondo magico.
Aveva riconosciuto il terrore nei loro occhi, il terrore di chi è consapevole della propria fine.
Poi l’esortazione del suo compagno, mentre correva su per le scale di quella casa Babbana.
“Severus, uccidilo, che aspetti?” aveva gridato voltandosi di scatto verso di lui.
Avevano attaccato quella famiglia, di notte; era successo tutto in pochi minuti.
Il suo compagno aveva ucciso le due donne, forse madre e figlia, mentre lui era rimasto a guardare.
Pur nella disperazione all’anziano Babbano non era certo sfuggita questa sua debolezza, si era lanciato verso il mago, cercando un inutile via di scampo, cercando quella pietà che lui non poteva dargli.
Severus aveva fissato quell’uomo provando un senso di orrore e di repulsione: Gregorius si era divertito parecchio con lui.
Il ragazzo guardava quella sgraziata figura barcollante e coperta di sangue, mentre, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in un grido muto, si gettava su di lui aggrappandosi alla sua tunica come all’ultima speranza.
Il mago non capiva cosa stesse provando in quel momento, sentiva la nausea togliergli il respiro, avrebbe solo voluto fuggire lontano da quell’orrore, eppure era pietrificato come se il corpo non fosse il suo.
No, lui non era lì, non poteva essere vero: quello era solo un incubo.
“Vattene, va via, non mi toccare,” disse, la voce strozzata e tremante.
Singhiozzava come un bambino terrorizzato cercando di divincolarsi dall’abbraccio disperato dell’uomo.
“Lasciami, lasciami!” aveva cominciato ad urlare, mentre cercava di spingerlo lontano imbrattandosi sempre di più col suo sangue.
Voleva solo farlo smettere, non sopportava più quella vista, invece l’uomo sembrava impazzito, continuava ad annaspare afferrandosi con le unghie al suo petto, Severus si sentiva soffocare da tutto quel sangue, poteva sentirne l’odore misto a quello del sudore e della paura.
“Basta, ti prego lasciami, non voglio, no!” Il ragazzo aveva chiuso gli occhi, puntando la sua bacchetta, sentiva rimbombare nella sua testa la voce di Voldemort, l’esortazione del suo compagno e le grida assordanti di quell’uomo, doveva fermarlo, voleva che smettesse di gridare, avrebbe fatto qualsiasi cosa perché tacesse, gli sembrava di impazzire.
Improvvisamente un pensiero aveva spazzato via ogni altra emozione: “Gli ordini”.
Sì, doveva eseguire quei maledetti ordini, doveva solo obbedire e tutto sarebbe finito, si sarebbe svegliato da quel brutto sogno.
Quel pensiero, il desiderio che tutto finisse lo aveva reso folle, in quel momento Severus Piton aveva cessato di esistere, cancellato dal terrore, era diventato quello che Voldemort voleva: solo un mezzo, un’arma nelle sue mani.
Il Signore Oscuro aveva dato i suoi ordini. Sapeva quello che faceva, quando gli aveva chiesto di partecipare a quella missione, sapeva che spingendolo ad agire lo avrebbe incatenato ancora di più a sé.
Severus aveva giurato di servire la sua causa, si era guadagnato l’onore del marchio, ora non poteva più tirarsi indietro.
“Devo farlo, è la volontà del mio Signore,” aveva mormorato, stringendo con sempre più forza la piccola asticella di legno, fino quasi a spezzarla fra le dita.
L’uomo era ancora aggrappato alla sua tunica quando la maledizione, pronunciata a distanza così ravvicinata, gli aveva stappato l’ultimo alito di vita, rischiando di uccidere anche chi l’aveva scagliata, ma il mago non se n’era preoccupato: aveva agito come un automa senza pensare alle conseguenze.
Aveva urlato quell’Avada Kedavra con la forza della disperazione. Aveva gridato quelle parole con quanto fiato aveva in corpo, temendo che, altrimenti, non sarebbero uscite dalla sua bocca.
Aveva ucciso il vecchio Babbano cancellando insieme a quella vita anche il proprio futuro.
Nell’istante in cui quelle parole maledette erano sgorgate come fuoco dalla sua gola aveva compreso di aver varcato quel confine dal quale non sarebbe più potuto tornare indietro, aveva immolato la sua giovinezza alla causa di un mostro.
Quel corpo scomposto ai suoi piedi ora era tutto ciò che restava dei suoi sogni di ragazzo, della sua innocenza, della speranza di diventare un grande mago.
Severus lo fissò come chi guarda in uno specchio la propria immagine deformata, quello era lui, quelli erano i suoi sogni, solo un corpo senza vita, orribilmente sfigurato, come la sua anima.


* * *



Improvvisamente un grido terribile, inumano, spezzò quel silenzio di morte.
Il mago bruno sollevò la testa di scatto: c’era ancora qualcuno in casa.
Severus si avvicinò all’ingresso, si sentiva morire ad ogni passo, cos’altro aveva fatto quell’animale del suo compagno? Non era ancora finita?
“No ti prego, non un'altra volta” Severus si portò una mano al petto; il cuore batteva così forte da fargli male.
Le grida non sembravano arrestarsi, ma tra quei versi inarticolati gli sembrò di sentire il suo nome, un uomo lo stava chiamando, quell’uomo era Gregorius
Il mago accelerò maggiormente il passò finché non prese a correre su per le scale, ansimava, non sapeva se gioire o temere, qualcuno era riuscito a fermare il suo assassino e ora era quest’ultimo a gridare e chiedere aiuto.
Continuò a correre verso quelle grida, finché non si trovò di fronte ad una porta, la spinse con tale forza da farla sbattere contro la parete.
Rimase senza fiato, gli occhi spalancati, un misto di terrore, disgusto e insana gioia lo assalirono: il Mangiamorte giaceva a terra, il suo viso era deformato da una smorfia di dolore, gli occhi spalancati e vitrei.
Dalla sua bocca, innaturalmente aperta, vomitò il suo ultimo respiro insieme ad un rauco “che tu sia maledetta”.
Solo in quel momento Severus, si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo della stanza e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.
I suoi lunghi capelli neri ricadevano scompigliati davanti al viso e in parte si attaccavano alle guance bagnate dalle lacrime. Indossava solo una leggera camicia da notte bianca che rendeva ancora più irreale l’intera figura, era come vedere un fantasma.
Severus fece qualche passo verso di lei, ma si bloccò immediatamente, quando la ragazza si tirò ancora più indietro appoggiandosi alla parete; il suo volto era di un pallore spaventoso, fissò il mago con gli occhi terrorizzati e arrossati dal pianto
Severus cercò di rassicurarla:
“Non ti succederà niente,” disse, provando di nuovo ad avvicinarsi, ma lei come un animale in trappola si allontanò carponi rifugiandosi nell’angolo della stanza più lontano. Ogni volta che provava a fare un passo verso di lei, la ragazza sgusciava via.
Improvvisamente si rese conto di indossare ancora la terribile maschera dei Mangiamorte, se la strappò dal viso dandosi dello stupido: quella ragazza era spaventata a morte ed era lui la causa del suo terrore.
Lui era un Mangiamorte come l’uomo che ora era riverso sul pavimento con gli occhi spalancati, era stato mandato lì per ucciderla.
“Sta calma, non ti farò alcun male” proseguì tentando di dare alla sua voce un tono rassicurante. No, non le avrebbe fatto del male, ora che il suo compagno era morto, non aveva nessuna intenzione di eseguire quell’ordine.
Avrebbe trovato un modo per nasconderla; nessuno l’avrebbe saputo. Poteva farlo, ci sarebbe riuscito.
“Sta’ tranquilla, io non sono…” Stava per dire: non sono uno di loro. In effetti non riusciva a concepire di aver potuto prendere parte ad un simile massacro, ma lui era un Mangiamorte, esattamente come il suo compagno morto.
Si morse il labbro: aveva appena ucciso un uomo, come aveva potuto arrivare a tanto? Che razza di mostro era diventato?
“Non devi avere paura di me, voglio aiutarti,” disse, poi, abbassando gli occhi.
“L’uomo là fuori era tuo padre?”
La ragazza continuava a tacere e tremare fissando il mago con gli occhi pieni di lacrime.
“Perdonami!” seguitò con un filo di voce, parlando più a se stesso che alla ragazza, come se avesse bisogno di pronunciare quelle parole, ma non fosse pronto a farlo davanti a qualcuno.
Era convinto che la causa di Voldemort fosse giusta, si era unito all’uomo che ammirava, a quello che considerava un maestro, ma ora non era più sicuro di aver fatto la scelta giusta, non poteva essere quella la via.
Non aveva mai ucciso nessuno prima di quella sera. Era stato facile in fondo: solo due parole. Allora perché si sentiva morire dentro? Si sentiva come se avesse ucciso una parte di se stesso insieme a quel Babbano?
Guardò la ragazza, non c’era tempo, doveva convincerla a muoversi e nasconderla in un posto sicuro: gli altri Mangiamorte non erano lontani, avrebbero scoperto molto presto ciò che era successo in quella casa.
“Per favore, permettimi di aiutarti,” disse provando di nuovo a porgerle la mano, ma lei sembrava proprio non volerne sapere.
Si avvicinò ulteriormente e questa volta con fare più deciso allungò la mano verso di lei, ma ciò che ottenne fu un solo urlo assordante, si sforzò di ignorarla tentando di afferrare il suo braccio, quando lei prese a tirargli addosso tutto quello che aveva a portata di mano.
“NO!” gridò con quanta voce aveva “non toccarmi, sta’ lontano ti prego, no, no, non voglio, morirai anche tu, non volevo, è orribile”
Il mago si fermò immediatamente, la fissò sbigottito, mentre cercava di dare un senso a quelle parole: lei si stava preoccupando di non ucciderlo, non aveva paura per sé, ma per lui.
“Che significa?” si lasciò sfuggire dalle labbra, forse con troppa impazienza, si pentì di aver usato quel tono e tornò a ripetere con tutta la dolcezza che riuscì a trovare
“E’ di me che ti preoccupi? E’ questo che vuoi dire? Non ti toccherò se non vuoi, ma dobbiamo allontanarci da qui, per ora puoi solo nasconderti, penserò io ai tuoi genitori, non lì lascerò là fuori” disse indicando, con un cenno del capo, i corpi nel giardino.
Quelle parole sembrarono scuoterla: la giovane si alzò avvicinandosi al cadavere del Mangiamorte, lo guardò con un’espressione che il mago non seppe decifrare, non era odio e non era paura, poi sollevò gli occhi fissando le iridi nere del mago.
“Lui era mio padre,” mormorò.
Un lampo di terrore attraversò gli occhi del giovane Mangiamorte. Quella ragazza non doveva avere più di vent’anni, forse meno, probabilmente erano coetanei, aveva appena ucciso un Mangiamorte, uno dei più abili servitori di Voldemort, l’aveva ucciso in un modo del tutto inspiegabile e ora gli stava dicendo che quel Mangiamorte era suo padre.
Il mago non riusciva a capacitarsene, rimase immobile a fissare i suoi occhi, ma vi lesse solo un grande dolore, come era possibile?
Infine decise che era ora di agire, cercò di assumere un’aria risoluta.
“Mettiti addosso qualcosa e poi raggiungimi in giardino, gli altri Mangiamorte arriveranno presto, se vuoi salvarti dovrai fidarti di me,” disse deciso.
Lei non rispose, ma si avviò verso l’armadio e afferrò in fretta una semplice tunica nera. Si voltò verso il mago cercando la sua approvazione; per fuggire di notte i colori scuri erano certamente i più indicati, Severus fu d'accordo, si voltò e scese in fretta le scale.
Quando fu di nuovo nel giardino si guardò attorno, i tre corpi giacevano lì in terra, le due donne erano vicine l’una abbracciata all’altra in un estremo tentativo di proteggersi. Più vicino a lui c’era il vecchio Babbano, lo guardò per un attimo, come a voler fissare quell’immagine nella sua memoria; non conosceva quell’uomo, ma il suo viso sarebbe rimasto impresso nella sua mente per il resto della sua vita. Sentiva di dovergli restituire almeno in parte quello che gli aveva tolto, non poteva restituirgli la vita, ma poteva preservarne la memoria: non l’avrebbe dimenticato.
Il mago agitò la bacchetta e i tre corpi sparirono nel nulla, non rimase neppure il loro sangue sull’erba: non voleva che i seguaci di Voldemort potessero fare scempio dei loro corpi per puro divertimenti, voleva lasciargli almeno la loro dignità.
“Dove sono? Dove li hai portati?” Severus trasalì, la giovane era apparsa improvvisamente alle sue spalle ed ora lo fissava con rabbia.
“Ho, solo reso invisibili i loro corpi per ventiquattro ore, perché non li trovino, ma sono ancora qui, domani i loro vicini Babbani li rinverranno e daranno loro una sepoltura. Non possiamo fare altro per loro, mi dispiace.”
L’espressione della ragazza cambiò improvvisamente e la rabbia lasciò il posto allo stupore prima, poi alla preoccupazione
“Come spiegherai tutto questo al tuo padrone,” pronunciò la parola “padrone” con profondo disprezzo.
Un brivido percorse il mago bruno, non aveva idea di come sarebbe uscito da quella situazione: un Mangiamorte morto e la famiglia che dovevano sterminare, sparita nel nulla.
Sapeva che Voldemort non si sarebbe accontentato di una banale scusa, avrebbe fatto di tutto per scoprire la verità, con i suoi mezzi, ma ormai doveva andare fino in fondo, a qualunque costo.
Sollevò lo sguardo lentamente, abbozzando qualcosa che doveva assomigliare ad un sorriso
“Non preoccuparti, so quello che faccio,” poi, porgendole la mano. “Ora fa’ presto, dammi la mano, ci smaterializzerò in un posto sicuro.”
Lei scosse il capo facendo un passo indietro.
“Tu non capisci, non hai capito quello che è successo a mio padre? Tu non puoi toccarmi, nessun Mangiamorte può farlo,” accennò col capo ad una piccola porta che doveva essere l’ingresso di un ripostiglio. “Dovremo usare le scope.”
Severus annuì rimandando eventuali chiarimenti ad un altro momento.
La giovane donna corse nello sgabuzzino e ne uscì dopo pochi secondi portando con sé due vecchie scope. Ne diede una al mago che vi salì immediatamente e restò a guardarla, mentre si chinava a strappare un ciuffo d’erba riponendolo amorevolmente in una tasca.
“Andiamo, guidami,” disse, montando a sua volta sulla scopa.



Continua…






  
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