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Autore: SerMisty    29/06/2012    6 recensioni
"La vita è proprio strana alle volte, non credete? Io darei ogni cosa per lui, tutto quello che ho. Per lui darei la mia vita, ed è quello che in fondo sto facendo, e forse un giorno mi pentirò degli anni che sto sprecando.
Si, per lui darei ogni cosa e non posso più farlo."
[Non posso credere di aver scritto questa cosa così deprimente per i miei standard. Ora Misty mi ucciderà davvero]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ash, Lucinda, Misty | Coppie: Ash/Misty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Nevica ancora.
Sono due ore che cammino e non ha ancora smesso. I fiocchi bianchi e freddi cadono sull’asfalto senza sciogliersi, creando una fitta patina di neve che lascia le impronte delle mie scarpe.
Il vento è leggero, ma gelido. Mi azzardo a tirare fuori una mano dalla tasca per aggiustarmi il bavero del cappotto. Avvolgo meglio la sciarpa attorno al collo.
Dove sto andando? Non lo so. Metto un piede davanti all’altro in stato di trance.
Certo, se avessi preso la bicicletta avrei fatto molto prima. Non è poi molta la distanza da Cerulean a Pallet, con un qualunque mezzo di trasporto.
Ma a pensarci bene, è meglio così. Non avrei potuto sopportare i commenti della gente nel vedere una donna di trent’anni ancora sulla sua vecchia bici rossa fiammante, come una ragazzina.
Una sciocca ragazzina, aggiungerei.
Una folata di vento improvviso mi scompiglia i capelli. Adesso li ho lunghi, fin quasi al bacino, ho del tutto abolito il codino sul lato della testa. La mattina passo il tempo a pettinarli, davanti allo specchio, e non mi dispiace adornarli di qualche perla o una molletta dorata.
E mi chiedo se a lui piacerebbero.
Alle volte, quando mi sveglio molto presto e i miei pokémon dormono ancora, scendo giù nella piscina e mi appoggio alla finestra.
E se chiudo gli occhi e mi concentro, se mi concentro davvero, allora le sento.
Le sue mani, intendo. Le sento accarezzarmi dolcemente come sono convinta farebbe se fosse qui. Sento i suoi respiri sul mio collo mentre affonda il viso fra i miei capelli.
Poi però Psyduck si agita nel sonno, e l’illusione svanisce.
Perché altro non è. Solo un’illusione.
Non smette di nevicare.
Nell’aria c’è odore di agrifoglio, di vaniglia, di scorza di arancia, di caldarroste. I bambini intonano i canti, e le luci appese ai pali rendono piacevoli le ultime ore degli acquisti.
Solo io stono in tutto questo contesto. La gente mi cede il passo, vedendomi, non osando entrare in contatto con me.
Sono l’unica che non riesce a sorridere alle ore dieci della vigilia di Natale.
Lo so, so che dovrei essere felice, dovrei annusare l’aria e riempirmi i polmoni di spirito natalizio.
Ma non posso. Non ci riesco.
Per me non c’è niente di bello in questo Natale. E’ solo un dicembre freddo, buio e solitario come tutti gli altri.
Soprattutto solitario.
Le mie sorelle non sono nemmeno venute a salutarmi. Sono impegnate con i bambini, con i mariti.
Mi sembra quasi di sentirle. “Misty, sorellina, smettila di struggerti! Dimenticalo! Devi uscire, vedere qualcuno! In fondo sei una bella donna, certo, non bella come noi…”
Ma io non le ascolto. O meglio, la mia testa vorrebbe, ma il mio cuore si rifiuta.
Lui non può farlo. Non può dimenticarlo. E’ rimasto aggrappato ai suoi ricordi e dubito che troverò qualcuno che riuscirà a liberarmi.
Sono quindici anni che il mio cuore mi impedisce di vedere altre persone. Ho trent’anni, sono vergine, e le mie labbra sono anche più innocenti del mio corpo.
Si, ho avuto un paio di storie, ma sono finite tutte prima di cominciare. Almeno, non sono mai arrivate fra le lenzuola. E i baci… non erano baci. Non c’è mai stata partecipazione da parte mia, perché nessuna bocca ha il sapore dolce di quella che immagino abbia la sua.
Ma la verità è che io non mi ribello. Ho paura, ho paura di innamorarmi di nuovo, perché quell’unica volta mi ha lasciato un solco in mezzo al petto che nessuno potrà mai guarire.
Un fiocco di neve si poggia sulla mia bocca, rubandomi un candido bacio per poi sciogliersi di colpo.
Continuo ad avanzare. Anima sola in mezzo ai sorrisi.
Non so cosa mi ha spinto a venire qui, dopo tanti anni. Non saprei dirlo.
Due ore fa era seduta a terra, sul bordo della piscina. Accarezzavo Corsola, guardando l’albero di Natale rinsecchito sotto la finestra.
Nessun pacco regalo per me. Solo qualche sorpresa per i miei pokémon, tutto qui.
Io ero sola. Completamente sola. Io sono sola.
Non so proprio cosa mi sia preso. Semplicemente mi sono alzata, di scatto, ho afferrato il cappotto e sono uscita.
Proprio così. Non una parola, non un cenno.
Non sapevo neanche io la destinazione. I miei piedi camminavano da soli, guidati da quel piccolo traditore che continua a battere incessantemente nel mio petto, che continua a battere per lui.
I miei pokémon mi hanno guardata andare via. Sono certa che hanno capito, loro, anche prima di me. Mi staranno aspettando, forse, vicino alla porta.
I miei piedi si bloccano di colpo.
Basta pensare. Sono arrivata.
Questa è casa sua. O meglio, casa loro, ma mi è difficile dirlo, anche dopo quindici anni.
Da lontano può sembrare una villetta qualunque ai margini di Pallet. Pochi sanno che è il piccolo rifugio dove il Pokémon Master passa le vacanze.
Non c’è più nessuno in giro. Pare quasi che il campione abbia comprato anche quel tratto di strada, oltre che alla villa.
Sospiro. Cosa ci faccio io qui? Non è il mio posto.
A quanto pare il mio cuore pensa che non abbia ancora sofferto abbastanza. Non si rende conto che svegliarsi ogni mattina, aprire gli occhi dopo aver sognato di lui e trovarsi sola in un letto vuoto è qualcosa di lancinante, e meriterei una medaglia per tutte le volte in cui sono riuscita ad alzarmi e affrontare un nuovo giorno senza dire nulla.
C’è una luce che viene dalla finestra. E risate di bambini.
Chiudo gli occhi. Mi bruciano di lacrime.
Fa troppo male. Troppo.
Respiro affannosamente, sperando che sia solo un sogno e svegliandomi scoprirò di essere in camera mia, a Cerulean City.
Ma non è vero. Lo so anche prima di riaprire gli occhi: non è così. Sono davvero arrivata fino a Pallet solo per farmi del male.
Mi avvicino piano alla finestra. Mi fermo dietro la tenda, in modo da vedere senza essere vista.
Prima di guardare, chiudo ancora gli occhi. Mi inebrio delle risate dei bambini.
Sono sicura di quello che sto facendo? Sono ancora in tempo per scappare e andarmene, senza ferirmi. Sono certa di volerlo fare?
No, non lo sono. Ma penso che dopo quindici anni, il mio cuore, la mia mente e il mio stesso orgoglio meritino di vederlo.
Apro gli occhi.
Le luci dell’enorme albero di Natale mi abbagliano. Gli addobbi sono colorati e sfavillanti.
Non ho mai visto un abete più bello.
Sotto, i regali abbondano.
Il salotto è davvero grande e ben arredato. C’è un tappeto rosso a terra, pulito da poco. Un divano rivestito di azzurro e un tavolo di mogano in fondo.
Sul tappeto giocano due bambini. La loro vista riesce a strapparmi l’ombra di un sorriso.
La femminuccia ha i capelli neri raccolti in due codini. Saltella divertita, sgualcendo l’abito viola.
Il maschietto sta giocando con una pokéball vuota, ridendo. I suoi capelli scurissimi sono spettinati, proprio come quelli del padre.
Un Buneary segue la bambina nelle capriole, mentre un Pikachu rilancia la pokéball del fratellino.
E lui è lì.
Ho fatto finta di non vederlo per tutto questo tempo, ma non posso continuare a fissare i bambini quando so che il loro padre è seduto sul divano a fissarli.
Alzo lo sguardo.
Fa male. Fa molto male. Vederlo dopo quindici anni fa così male che desidero di morire, ora, in un istante.
Non ce la faccio. Non posso farcela. Sento il cuore stringersi nel petto come se qualcuno lo stesse stritolando e ho paura che mi scoppi da un momento all’altro.
Ecco, ora va meglio. E’ stato il primo impatto. Ora sto bene.
Adesso posso guardarlo senza sentirmi morire. I miei occhi fissano un’immagine d’insieme, ma si soffermano sul suo viso.
Trent’anni. Trent’anni e sembra ancora un ragazzino.
Quelle buffe lentiggini a forma di zeta gli sono rimaste, spiccano sulle guance. Riesco a intravedere a stento una punta di barba sul suo mento. I capelli, scoperti dal berretto, rimangono spettinati come li aveva quando lo pescai sulla riva di quel fiume.
Ride, ride divertito mentre sua figlia cade con un tonfo paffuto sul tappeto. Sa che non si è fatta male.
Quella risata mi invade. Erano quindici anni che non la sentivo.
Nessun’altra persona sulla terra ride come lui. Nossignore. Nessuna.
E poi gli occhi. Ho paura a fissarli per troppo tempo, temo che se ne accorga. Ma sono loro. Sono i suoi occhi nocciola, gli specchi della sua anima, quelli che ridono se è felice e piangono se è triste.
E’ stupendo. Lo è davvero. Nessuno può biasimarmi se continuo ad amarlo così follemente, e ancor meno potrebbe se sapesse di tutte le avventure che ho vissuto con lui, tutti i litigi, tutti i divertimenti.
Momenti di cui ho solo ricordi. Si affollano tutti nella mia mente ed io li accolgo, perché lo so, so che nella sua non c’è spazio per questi attimi.
Sono stati sostituiti da lei.
Eccola, esce ora dalla cucina con un vassoio in mano e subito i due bambini le corrono incontro.
Io mi addosso contro la parete, tremando all’idea che possa vedermi.
Ma non lo fa. Non può. Io sono solo un fantasma in questo momento, un’intrusa in una scena di amore familiare.
I bambini le si attaccano alle gambe, chiedendole a gran voce se ha cucinato i biscotti di Natale. Lei ride e quasi perde l’equilibrio.
Quasi. Ma non cade.
C’è lui che l’afferra.
Ed è così uomo mentre si alza di scatto e la prende fra le braccia prima che possa precipitare sul pavimento, afferrando con l’altra mano la teglia di biscotti, che mi si stringe il cuore e le mie dita si contraggono contro la parete della villa.
Li guardo. Ansimo nel mio dolore.
Voglio essere lei. Dio, dio vorrei essere lei in questo momento, fra le braccia dell’uomo migliore del mondo.
Ma non posso.
Anche se lo desiderassi per ore, inseguendo una stella cadente – e non ho fatto così, per tutti questi anni? – non potrei.
Non potrei perché ho letto nel suo sguardo che la ama.
Rimango a guardare mentre si siedono tutti sul tappeto. I bambini, insieme a Pikachu e Buneary, si avventano sui biscotti.
I genitori rimangono lì contro il divano, abbracciati.
Io fisso lei. L’ho vista fin troppe volte accanto a lui, nelle interviste in TV, e ora che la vedo qui nell’intimità di casa sua mi rendo conto che non avrei nessuna speranza, perché è perfetta.
Perfetta. Perfetta fuori e perfetta dentro. Tutto in lei è perfezione.
Lei e i suoi capelli blu. Lei e le sue minigonne. Lei e i suoi sorrisi.
Lei e il suo coraggio di raggiungerlo a Unima e rivelargli i suoi sentimenti, mentre io sono rimasta qui a Cerulean, come una stupida, immaginando il suo ritorno.
Che idiota. Che grosso pezzo di idiota che sei, Misty Waterflower!
Ci ho sperato davvero, che mi aspettasse. Ho davvero creduto che crescendo avrebbe compreso improvvisamente quel sentimento che ci legava e che sarebbe tornato da me. Ho sempre sperato di aprire la porta e trovarmelo davanti.
E continuavo ad aspettare, cerchiando in rosso i giorni sul calendario che dimagriva mese dopo mese, anno dopo anno.
E l’ho perso.
Che io sia maledetta, l’ho perso.
Io e la mia testardaggine. Io e il mio orgoglio. Io e il mio essere maschiaccio.
Io e questo dannatissimo cuore che non mi perdona per aver aspettato troppo.
Sto facendo un grosso sforzo per non piangere, non tanto per non mostrarmi debole, ma perché temo che i singhiozzi mi farebbero scoprire.
C’è solo una lacrima che mi solca una guancia ed è subito fermata da un fiocco di neve.
Chissà se lui si ricorda di me. Chissà se ha ancora la mia esca e il mio fazzoletto, o se li ha buttati senza nemmeno chiedersi a chi appartenessero.
Ma dev’essere così, deve esserlo per forza. Altrimenti mi avrebbe pensato, e sarebbe venuto da me fra un viaggio e un altro, lo so.
O almeno penso di saperlo.
Chissà se nella sua mente c’è ancora un minuscolo angolino che porta il mio nome, ormai sbiadito dal tempo. Chissà se ricorda il giorno in cui l’ho pescato, in cui mi rubò la bicicletta.
Ladro.
Ash Ketchum, tu che non hai mai capito quello che provavo per te, sei un ladro.
Non per la bici, non per quella. Ma perché mi hai rubato il cuore e non me lo restituirai mai, lo hai già venduto alla tua dolce e amata Lucinda.
Stanno ancora ridendo, mentre il maschietto si ingozza di biscotti tanti quanti c’entrano nella sua bocca.
E poi succede.
Io non credo al destino. Assolutamente no. Ma se quello che è accaduto era scritto, per favore presentatemi la mano che ha tenuto la penna, perché dovrò baciarla.
Ash sta ridendo quando alza la testa.
Il suo sguardo attraversa la finestra e si poggia su di me.
E in quell’istante il tempo si ferma.
Il vento smette di soffiare. I fiocchi di neve interrompono la loro caduta.
Lucinda e i bambini smettono di ridere.
Io smetto di respirare.
Non c’è un rumore. Nulla.
Quel momento è solo nostro, di nessun altro. E’ nostro, è il nostro istante, quello che ho desiderato per anni.
Nessuno di noi due si muove. Lui non cambia nemmeno espressione, bloccato in mezzo ad un sorriso.
Però gli leggo negli occhi che mi ha riconosciuto.
L’ho vista, in quel momento, ho visto quella scintilla apparirgli nello sguardo, una scintilla che prima non c’era.
Non c’era. Me lo continuo a ripetere. Quella scintilla è apparsa per me, non per Lucinda, per me.
Il cuore mi batte forte nel petto.
La sua anima mi si apre di botto, leggendogli gli occhi, ed è una porta chiusa di cui solo io ho la chiave, non ci sono dubbi. Anche restandogli accanto per anni, Lucinda non potrà mai scassinare quella serratura, lo so, e quella chiave è il mio più grande tesoro.
Non ha buttato i miei ricordi. Gliel’ho letto in fondo al cuore. Li ha conservati, nel cassetto del comodino dal suo lato del letto, quello dove né la moglie né i figli sono autorizzati a guardare.
E si ricorda di me. Ricorda i miei occhi verdi e i miei capelli rossi.
Non mi ha dimenticato. E forse – mi sembra presuntuoso, ma dio, penso sia così – forse c’è uno spazio microscopio del suo cuore che mi appartiene.
E’ mio. E’ tutto mio.
E questo mi basta.
C’è una lacrima che mi solca il viso e la lascio scendere, non mi interessa.
-Ti amo, Ash.-
Non so se lo dico davvero. Non so se lo pronuncio sul serio o se è solo nella mia testa.
Ma mi sono uscite, finalmente, quelle tre parole che da sempre avrei voluto dirgli.
E’ tardi, lo so. Non posso cambiare il corso degli eventi, me ne sono fatta una ragione anni fa.
Ma va bene così. Lui le ha finalmente sentite, quelle tre parole, ne sono sicura.
Va bene così.
Ed ecco, l’istante è passato. I suoi occhi si distolgono da me e io ritorno ad essere un fantasma, un oscuro spirito invadente nel Natale di una famiglia felice.
Lucinda poggia la testa sulla sua spalla e lui l’accoglie.
E’ tuo, ragazza mia. Tienitelo stretto, non lasciartelo sfuggire. Ma permettimi di conservare quel minuscolo spazio della sua mente e del suo cuore. E’ tutto ciò che ti chiedo.
Mi volto e cammino via.
Si, mi ha fatto male quella visita, più male di qualunque altra cosa. Ma è stata anche un bene, per la verità.
Le lacrime bagnano le mie labbra, increspate in un sorriso.
Un sorriso amaro, molto amaro, perché ho capito perfettamente che l’ho perso per sempre, ma non importa. So che ho perso lui ma non i ricordi che ha di me. Mi basta questo, davvero.
La vita è proprio strana alle volte, non credete? Io darei ogni cosa per lui, tutto quello che ho. Per lui darei la mia vita, ed è quello che in fondo sto facendo, e forse un giorno mi pentirò degli anni che sto sprecando.
Si, per lui darei ogni cosa e non posso più farlo.
Guardo l’orologio, mentre mi allontano dalla villa e ritorno fra i passanti.
Le undici meno un quarto.
Forse se prendo l’autobus al volo posso riuscire a tornare a casa in tempo, e passare la mezzanotte con i miei pokémon, scartare i regali assieme a loro.
E forse, forse, per un momento – della stessa durata di quello che ci ha legato poco fa – potrei non pensare a lui.
A lui che si è creato una vita, una casa, una famiglia, mentre io non ho più niente. A lui che dormirà con Lucinda questa notte, quando io mi addormenterò da sola in un letto troppo grande.
A lui che chiuso nella sua villa non si accorge dei dolori del mondo, e che forse nemmeno sa che qui fuori la neve è diventata alta fino alla caviglia.
Mi affretto verso la fermata, mentre l’autobus sopraggiunge.
In fondo non ho mai desiderato altro che la sua felicità, no? Il fatto che io non ne faccia parte è un dettaglio trascurabile.
Sai, Ash?
Qui fuori nevica ancora.
 
 
Angolino della scrittrice che sta già strozzando Lucinda: No, ok, voi vi chiederete cosa ci faccio qui IMMEDIATAMENTE DOPO aver finito un'altra fic (o meglio, perché vi sto rompendo le scatole immediatamente dopo quell'altra stupida fic ^^'') e soprattutto come cavolo è uscita fuori a me una one-shot del genere quando di solito io Ash e Misty non li posso vedere separati senza strapparmi i capelli.
Il fatto è che, non so se già lo sapete, ma questo è quanto: ho scoperto che Lucinda tornerà nella serie Bianco e Nero e ci rimarrà pure per tutta la serie. E voi sapete quanto sia immenso il mio odio per Lucinda ^^'' E non so, la mia mente si è immaginata questa cosa horror che tipo Lucinda torna ad Unima e dichiara i suoi sentimenti ad Ash e loro due si mettono insieme O.O E Misty poverina rimane un'anima sconsolata come nella mia storia. SPERO CHE NON ACCADA DAVVERO!
Ah, e non chiedetemi perché cavolo pubblico a Giugno una storia dove è Natale -.- Io non volevo! Nella versione originale doveva solo piovere, ma poi la storia da sola ha deciso che doveva nevicare e che doveva essere Natale, quindi... ^^''  
Va bhe, spero che vi sia piaciuta. Lasciate un commentino fra un bagno a mare e l'altro? ^w^
Un bacio!
Ser <3
  
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