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Autore: Aliceclipse    29/06/2012    3 recensioni
Persone familiari. Troppo. Un abbraccio diverso, impacciato. Sapeva di casa. E quel profumo, quel dopobarba. Kurt non voleva andare a casa. Ovunque, ma non a casa. Non con due persone che chiamava famiglia, ma che erano estranee. Ormai erano estranee.
Mani, troppe mani. Kurt Non era più responsabile delle sue azioni, e se ne rendeva conto solo in quel momento. Tentando di bloccare quelle mani disperatamente, si stava affannando in cerca del verde. E poi lo afferrò, il verde. Disperatamente.
***
Non sembrava cattivo. Non sembrava vuoto.
Sembrava solo fuori luogo, nonostante il suo modo di vestire e tutti quei piercing non sembrassero strani, su di lui.
Si chiese da quanto li aveva. Si chiese che musica ascoltava, quali fossero le sue materie preferite.
E, improvvisamente, l’ora di storia non sembrava così noiosa.
Quella scuola non sembrava tanto spaventosa, nonostante le sue paure. Le paure a cui non voleva dar voce, ma che lo tormentavano nel sonno, senza tregua, ogni notte. Quelle che lo segnavano profondamente, la causa delle sue occhiaie pronunciate.

***
BadBoy!Kurt, Klaine, Kurt/Puck friendship, Quinn/Puck friendship, Faberry, Blaine/Santana friendship, Blaine/Rachel friendship.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Breathe Me.

Bene, ci siamo. Non ho idea del perchè sto pubblicando questa cosa. Per chi non mi conoscesse, sono Alis. 
E, senza ombra di dubbio, Glee non mi appartiene. Se siete abbastanza coraggiosi da teriminare la lettura, le note vi aspettano in fondo al capitolo.  Vi lascio alla storia.

Capitolo Uno.

Bianco.

E’ come cadere nel vuoto, così, inaspettatamente. Quando non hai più niente a cui aggrapparti per rimanere in piedi, e tutto sembra terribilmente difficile da affrontare, più di ogni altra cosa.
Come quando hai tanti, tantissimi colori attorno a te, colori ovunque, i colori ti circondano, tutti questi bellissimi, spettacolari colori ti accecano, eppure vedi solo bianco. Bianco, e vuoto. E’ aria, il colore è solo aria.
Realizzi che tutto è solo aria.
Si tratta di crescere in pochissimi, brevi istanti. E’ la fine di qualcosa di splendido, l’inizio di qualcosa di spaventoso. Una voragine, scura e profonda, che fa paura, troppa.
Vederlo lì fermo, la sua mano che scivola piano verso il basso, fredda, come il lenzuolo che sta per toccare, inevitabilmente.
Definitivamente, bianco.

Kurt non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato un momento del genere. Non pensava che sarebbe arrivato un giorno in cui ogni sua speranza, ogni suo progetto sarebbe crollato definitivamente.
Eppure tutto cadeva con lui, scivolava via insieme alla presa di quella mano, proprio quella che lo aveva sempre tenuto su, in alto, che gli aveva mostrato di essere superiore a quello che dice la gente, a quello di cui gli altri hanno paura.
Era così Bianco. Il suo volto, tutti quei tubi, le pareti dell’ospedale. Tutto troppo bianco, troppo anonimo.
Il suo futuro, le sue certezze, in quel momento, erano crollate definitivamente, insieme a quella linea Verde. Piatta. Verde, era l’ultimo colore che lo aveva fatto sperare. Verde speranza, perché la speranza è l’ultima a morire. Aveva sperato di vedere tutto quel verde muoversi ancora, con tutto se stesso. Aveva pregato per ore di non dover rinunciare a tutto, perché, Dio, non era pronto, per niente. Eppure eccolo lì. Aveva sperato, tentando di aggrapparsi a qualcosa che potesse tenerlo in piedi.  Ma anche quella speranza aveva ceduto, insieme allo sguardo vuoto. Quello sprazzo di verde, quello era l’ultimo colore che Kurt avrebbe mai visto, visto sul serio.
Il verde glielo ricordava. Non sapeva bene perché, ma c’era qualcosa, nel verde, che lo tranquillizzava. Gli ricordava che c’era ancora qualcosa.
Kurt sapeva che non esisteva solo il bianco. Solo che non vedeva, non più, non come prima, non avrebbe più visto come prima.
Tutto stava per assumere forme ed accezioni diverse da quelle che aveva sempre conosciuto, Amare, cattive, diverse. Terribili.
Kurt c’era ancora?
L’arrivo del bianco aveva spazzato via ogni sprazzo di giovinezza ed adolescenza che gli era rimasta, portandosi via suo padre così, dal nulla.
Mentre la sua mano stringeva impercettibilmente quella del padre, in cerca di qualcosa, qualcosa che non gli sarebbe mai stato restituito, Kurt avvertì un fuoco, dentro. Tutto era amplificato, eppure niente esisteva. Era circondato dal bianco, lo stava inghiottendo. Lo stava lacerando.
Tutto era ovattato, non c’era rumore, non più. Non c’era musica.
Quando  sua madre li aveva lasciati, Kurt era ancora troppo piccolo per capire sul serio. Era spaventato, e triste, e disperato. Ma aveva ancora Burt. Aveva il suo papà, l’uomo che lo avrebbe stretto a se’ ogni volta, che lo avrebbe protetto e salvato dal mondo, nonostante tutto, nonostante i problemi. Lo avrebbe salvato, gli avrebbe spiegato cosa era giusto e cosa no, lo avrebbe reso una persona migliore, una persona di cui essere fieri, fieri sul serio.
Kurt non era pronto alla sua morte. Non era pronto a rimanere solo, solo sul serio.
Non era pronto a lasciare quella stanza d’ospedale, così fredda e anonima, eppure piena di significati, e tornare in una casa piena di ricordi, ma terribilmente vuota.
Aveva paura di scoprire cosa avrebbe trovato.
Kurt aveva diciassette anni. E di lui era rimasto un nome, un numero, e troppa gente pronta ad odiarlo.
Nessun appiglio. Nessun rifugio. Non aveva nessun porto sicuro, nemmeno se stesso.
Aveva sempre pensato che avrebbe pianto sul capezzale di suo padre. Tutti lo immaginano. Fu sorpreso di scoprire che non ci riusciva. Riusciva solo a tenere gli occhi sbarrati, fissi in quelli identici di suo padre, ancora aperti, e tentare di trovare una via di fuga. Kurt voleva scappare. Voleva svegliarsi. Voleva esistere, Voleva sapere che era stato solo un sogno. Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere qualcuno che lo prendesse  per mano e gli dicesse che era tutto finito, che andava tutto bene. Nessuno
lo avrebbe fatto. Nessuno lo avrebbe salvato. Non Più.
Rimase immobile, così, impassibile, mentre le infermiere passavano al suo fianco, e tentavano di spostarlo da lì.
Semplicemente non poteva crederci. Si rifiutava di crederci.
Era successo. Era solo.
Poi, la rabbia.

Ricordava solo rabbia, rabbia. Rosso ovunque, rosso scuro, come il sangue. Rosso ovunque. Grida, panico. Ma solo dentro. All’esterno, rimaneva il bianco. Solo bianco.
Era un guscio. Il bianco lo stava distruggendo, lo stava facendo crollare e affondare. Sarebbe affogato nel bianco, e nessuno avrebbe potuto rendersene conto.
All’esterno di Kurt, un mare di voci preoccupate. Calore attorno a lui, braccia che lo stringevano delicatamente, lacrime. Kurt nemmeno si rendeva conto che fossero le sue. All’improvviso, un calore diverso dagli altri. Persone familiari. Troppo.  Un abbraccio diverso, impacciato. Sapeva di casa. E quel profumo, quel dopobarba. Kurt non voleva andare a casa. Ovunque, ma non a casa. Non con due persone che chiamava famiglia, ma che erano estranee. Ormai erano estranee.

Mani, troppe mani. Kurt Non era più responsabile delle sue azioni, e se ne rendeva conto solo in quel momento. Tentando di bloccare quelle mani disperatamente, si stava affannando in cerca del verde. E poi lo afferrò, il verde. Disperatamente.

Ti portiamo via.
Occhi verdi.
Kurt era perso. Kurt aveva annuito, e si era calmato, mentre tutti ammutolivano. Mentre quel minimo sprazzo di verde lanciava uno sguardo infuocato al resto della massa, e lo trascinava via. Dietro di loro, qualcun altro camminava a passo svelto.
E, mentre un ragazzo con la cresta metteva metodicamente in moto la macchina ed una ragazza dai capelli fuxia gli allacciava la cintura con delicata decisione, seppe che non sarebbe più  stato lo stesso.
Aveva bisogno di qualcosa che gli ricordasse il verde. Sempre. Prima che lui potesse dimenticarlo. Prima che il bianco sostituisse tutto quanto.
Aveva bisogno di vivere cose diverse, aveva bisogno di Essere diverso. Aveva bisogno di trovare la forza di crescere, perché era questo che il mondo gli stava imponendo. Ma Kurt non sapeva se era davvero pronto a farlo. Kurt non sapeva più niente.
Kurt aveva di fronte l’estate più lunga della sua vita. Ma avrebbe combattuto, lo aveva sempre fatto. Suo padre gli aveva insegnato a farlo. Adesso doveva dimostrare a suo padre che poteva credere in lui. Doveva trovare un modo. Poteva farlo. Perché era tutto quello che gli era rimasto. Ma con niente in mano, come avrebbe trovato la strada? Come, senza di Lui?

 

***

Blaine sospirò, picchiettando le dita sul rubinetto, e osservando il suo riflesso. I suoi capelli sembravano gli stessi di ogni mattina. Magari un po’ più ribelli del solito. Storse la punta del naso, arricciando le labbra, mentre avvicinava il viso allo specchio, passando il dito indice sul contorno delle leggere occhiaie che gli incorniciavano il volto.
Quella notte non aveva dormito troppo bene. Tornare alla scuola pubblica lo agitava, non poco. Ma era deciso ad affrontare i suoi fantasmi. Era  cresciuto, era responsabile di se stesso e di quello che succedeva attorno a lui. Non avrebbe lasciato che dei bulli lo sottomettessero di nuovo. Avrebbe mantenuto un profilo basso, questo era certo, ma non si sarebbe lasciato spaventare. Lui era più forte. E se i suoi genitori ritenevano la storia della scuola privata una sciocchezza, era pronto a farlo anche lui. Blaine sapeva come difendersi, ora. Blaine era fiero di quello che era, e non aveva niente da invidiare a nessuno. Per questo, forse, faceva di tutto per non focalizzare la sua attenzione sulle scritte che  ricoprivano i muri del bagno maschile della McKinley High School. Non voleva sapere. Non subito.
 Osservò il contorno delle sue labbra, e tentò di distenderle, per non risultare subito antipatico a tutti. Era arrivato molto prima dell’inizio delle lezioni, lo sapeva, ma l’ansia di arrivare in ritardo gioca brutti scherzi, a volte. Si allontanò leggermente dallo specchio, e fece un respiro profondo, prima di stringere al petto il laccio della sua borsa.
Era un Anderson. Gli Anderson non hanno paura di niente.
Mosse qualche passo verso la porta, e la spalancò, diretto verso la segreteria. Avrebbe scoperto i suoi orari, e magari, con un po’ di fortuna, avrebbe fatto qualche nuova conoscenza, chissà.
La segreteria dava proprio sul parcheggio della scuola.
Un’’anziana signora, sulla settantina, propose al ragazzo di fare un giro turistico in attesa dell’inizio delle lezioni, ma Blaine rifiutò l’offerta. Aveva già visitato la scuola nei dieci minuti precedenti, e quando aveva visitato lo stabile con i suoi genitori ed il preside. A lui piaceva fare le cose da solo. Lo faceva sentire indipendente. Aver bisogno di qualcuno era difficile, a volte. Magari era colpa dei suoi se la pensava così.
Una volta recuperati gli orari, Salutò la signora addetta alla segreteria, e si avviò fuori attraverso l’ingresso, per aspettare in macchina, magari ascoltando un po’ di musica.
Mentre camminava, però, avvertì delle voci
.

Voci che non promettevano niente di buono.

Spazio di Alis.

*Si nasconde in un angolino per evitare i pomodori.*
LO SO che mi state odiando. Mi odio anch'io, odio pensare a  Kurt in quelle condizioni. Ma non è colpa mia, è l'Angst che si impossessa di me(?)!
In ogni caso,  pensavo di scriverla da un po', e ci tengo particolarmente. Non ho idea di cosa ne verrà fuori, non so di quanti capitoli si tratterà. Ma se vi piace, se non vi piace, se avete consigli per migliorarmi e migliorare questa.. cosa(?), potete recensire. Oppure mi trovate qui: https://twitter.com/GoodCrisser
Sono aperta a tutti i pareri, sono la prima a a pensare che faccia un po' schifo, quindi non fatevi problemi xD
Ah, se riesco a mantenere un ritmo regolare, vorrei pubblicare ogni settimana. Quindi, Alla prossima. <3

   
 
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