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Autore: Umiko_chan    29/06/2012    8 recensioni
«Be’, se lui ti piace, dovresti farti avanti.»
«Chi? Lui?» balbettai, avvampando. «Ma come ti salta in mente?!»
«Ah, non saprei…» mi rispose, maliziosa. Spostò lo sguardo da me all’oggetto della nostra conversazione, e io l’imitai. Be’, in effetti era carino… Aveva i capelli scuri, ciuffi disordinati gli ricadevano sulla fronte ampia, e dei bellissimi occhi blu cobalto…
«Yukiko?»
«Mh?»
«Ti sei incantata. Di nuovo.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eri Kisaki, Kogoro Mori, Yukiko Kudo, Yusaku Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Moonlight

"E c'era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli,
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose le mani sui tuoi fianchi."
Fabrizio De André - La canzone di Marinella





«Be’, se lui ti piace, dovresti farti avanti.»
«Chi? Lui?» balbettai, avvampando. «Ma come ti salta in mente?!»
«Ah, non saprei…» mi rispose, maliziosa. Spostò lo sguardo da me all’oggetto della nostra conversazione, e io l’imitai. Be’, in effetti era carino… Aveva i capelli scuri, ciuffi disordinati gli ricadevano sulla fronte ampia, e dei bellissimi occhi blu cobalto…
«Yukiko?»
«Mh?»
«Ti sei incantata. Di nuovo.»
«Scusami, Eri» borbottai, riportando lo sguardo sulla mia amica. «Allora? Dicevamo?»
«Che tu sei cotta di Yusaku, ecco cosa. E non azzardarti a negarlo.»
Arrossii di nuovo, riportando lo sguardo su di lui. Altro che carino, Kudo era proprio bello. Bello e impossibile.
«Non fare quella faccia!» esclamò Eri, con un sorriso. «Lo conquisterai.»
«Se lo dici tu…»
Non le credevo neanche un po’. Yusaku era così… Era troppo per me. Più o meno tutte erano cotte di lui, il novantotto per cento delle ragazze della scuola gli facevano il filo. Era altamente improbabile che si accorgesse di me, anche perché facevo di tutto per rimanere nell’ombra. Ed Eri continuava a rimproverarmi per questo. Insisteva nel ripetermi che dovevo farmi avanti, che sicuramente “quello schianto di Kudo” - come lo appellava lei - ricambiava i miei sentimenti.
Ci eravamo parlati sì e no due volte, come poteva essere così? Il mio era solo un sogno che non si sarebbe avverato mai. Un semplicissimo pensiero di un’adolescente. Nient’altro.
«Ciao.»
Il mio cuore perse un battito. Mi voltai, certa che fosse stata solo un’allucinazione. Ero sicura di trovarlo lì dove lo avevo visto prima, a chiacchierare con Juzaburo di chissà cosa. Ma lui era davvero lì, a pochi centimetri da me. Sorrideva.
«Ciao, Yusaku.»
«Ehi, tutto bene?» mi chiese, preoccupato. «Hai un colorito strano. Sicura di non avere l’influenza?»
«Mai stata meglio» affermai, sorridendo.
«Bene» commentò, sollevato. «Senti, Yukiko… Dovrei chiederti una cosa…»
«Okay, io sono di troppo» s’intromise Eri, alzandosi dalla sedia. «Vado a cercare Kogoro.»
La salutammo, e lì mi accorsi che avevamo gli occhi di tutta la classe puntati addosso. Avvampai per l’ennesima volta. Nemmeno Yusaku pareva a suo agio.
«Vedi, Yukiko… Volevo chiederti se… Insomma, volevo chiederti se hai già un cavaliere per il ballo» concluse, grattandosi la testa.
Scossi la testa. Sentivo la gola secca e le parole si rifiutavano di uscire. Era una sensazione estremamente fastidiosa.
«Fantastico.» Sorrise, rilassando le spalle. «Be’, mi chiedevo se posso avere l’onore di essere io il tuo cavaliere.»
«C-certo» balbettai. Senza farmi vedere mi detti un pizzicotto. È solo un sogno, ora mi sveglio.
«Meraviglioso. Ci si vede in giro, allora!»
«D’accordo…»
Si allontanò, tornando al suo posto. Sorrideva. Tornai alla realtà e mi guardai intorno. Quasi tutte le ragazze mi indirizzavano occhiatacce truci, piene di istinti omicidi. I ragazzi parlottavano fra loro. C’è chi ridacchiava e bisbigliava, chi guardava male Yusaku, che leggeva ingenuamente un libro. O, più semplicemente, li ignorava.
«Visto che gli piaci?» chiese Eri, sbucando dal nulla.
«Stavi origliando?» l’accusai con un sorriso. Niente e nessuno avrebbe potuto rovinarmi la giornata.
«Chi? Io?» borbottò, indicandosi.
«Lasciamo stare» conclusi, iniziando a ridere. Ed Eri rise con me.  

«Eri, adesso calmati. Ti prego.»
«COME FACCIO A CALMARMI?!» urlò, dall’altra parte della cornetta. «È un idiota…»
«Che ti ha fatto stavolta?» le chiesi, sbuffando.
«È questo il problema: non fa nulla! Il ballo è domani, e lui non mi ha ancora invitata!»
«Suvvia, Eri…» mormorai, tentando di calmarla. «Non è la fine del mondo…»
«Sì che lo è!» gridò tra i singhiozzi. «Come ho fatto a innamorarmi di un tale stupido?»
«Ah, se non lo sai tu!» scherzai. Eri ridacchiò.
«Cosa posso fare?» chiese, più calma.
«Devi farti avanti tu, non vedo altra soluzione.»
«Cosa?!»
«Senti, Eri, vuoi andare al ballo con Kogoro o no?»
«Be’, sì…» ammise in sussurro.
«E allora devi chiederglielo tu, visto che lui è così cafone!»
«Forse hai ragione» convenne. «Grazie, Yukiko.» Dal suo tono capii che stava sorridendo.
«Di nulla.»
«Allora a dopo! Mi raccomando, sii puntuale!» Ed attaccò.

Controllai per l’ennesima volta l’orologio. Eri era in ritardo per l’ennesima volta. Mi alzai sulle punte per identificarla fra la folla. La vidi annaspare verso di me: aveva il fiatone.
«Cos…»
Mi buttò le braccia al collo, facendomi fare una giravolta, mentre continuava ad urlare di gioia.
«Cos’è successo?» le chiesi maliziosamente, anche se avevo già intuito la fonte della sua euforia.
«Stavo uscendo… Sai, per andare a chiedergli del ballo…» disse, mentre cercava di riprendere fiato. «E l’ho sorpreso sotto casa mia… Aveva un mazzo di fiori… Mi ha preceduta…» concluse infine, la voce rotta dall’emozione.
«Non avrei mai voluto perdermelo» commentai.
Eri guardò l’orologio per qualche secondo.
«Non c’è tempo da perdere!» mormorò, mentre mi afferrava per un polso e mi trascinava per le strade affollate di Tokyo.
«Dove stiamo andando?» chiesi, incuriosita. Chissà perché correva con tanta foga… Rallentai il passo, e lei, per tutta risposta mi strattonò, invitandomi a continuare a correre.
«Muoviti o perderemo il treno!» esclamò.
«Cosa?! Quale treno?!»
«Quello per Kawasaki che parte fra dieci minuti!»
«Kawasaki?!»
«C’è una boutique che è la fine del mondo!» si affrettò a spiegarmi, mentre saltavamo sul treno e lei estraeva un paio di biglietti dalla borsetta.
Le porte alle nostre spalle si chiusero e Eri mi trascinò fino a due poltroncine vicino al finestrino. Il vagone era pressoché vuoto: un uomo anziano leggeva il giornale dalla parte opposta della carrozza e una giovane donna si stava ritoccando il trucco quattro posti più in là.
Il viaggio non fu lungo come mi aspettavo: trascorremmo il tempo a parlare dell’esperienza appena vissuta dalla mia migliore amica. Mai l’avevo vista tanto felice.
Kawasaki - regione di Kantō, prefettura di Kanagawa - era una bellissima città, ci ero già stata qualche volta, quando ero bambina. La nostra meta, una piccola boutique poco appariscente, era dall’altra parte della città, perciò fummo costrette a prendere l’autobus. Durante questa seconda parte di viaggio, Eri mi rese partecipe di qualche curiosità sulla città, che, ovviamente non ascoltai. Non riuscivo a non pensare a Yusaku, a quello che era accaduto appena qualche ora prima.
«Yukiko, mi stai ascoltando?» mi chiese Eri, sventolandomi una mano davanti al viso.
«Assolutamente» mentii.
«Sei brava a dire le bugie… Ma io ti conosco troppo bene, non me la dai a bere. Dovresti fare l’attrice, sai?» mormorò.
«Dici?» le chiesi, imbarazzata per essere stata sorpresa disattenta.
Scendemmo e coprimmo l’isolato che ci separava dal negozio a piedi. Da fuori non era un grande spettacolo: la bottega era seminascosta, situata in una via secondaria. La porta a vetri era colma di volantini di vari eventi ormai passati anche da più di un anno. Una targa scolorita a lato riportava: La maison de l’élégance, che seppi semplicemente tradurre - anche se il francese non l’avevo mai studiato -, inciso in eleganti caratteri.
Esitai, osservando ancora una volta il fatiscente negozietto.
«Sei sicura?» le chiesi, indicandole la porta.
«Assolutamente.» Sorrise, come a comprendere la mia incertezza. «Fidati di me.»

Quando uscimmo avevo le braccia stracolme di sacchetti di una delicata tonalità di rosa, così come Eri.
«Allora?» mi chiese, osservando le borse che non lasciavano scoperto un centimetro di pelle.
«Be’… È sorprendente!»
«Mai giudicare un libro dalla copertina» commentò lei, mentre frugava nella borsetta alla ricerca del suo cellulare, che stava squillando.
Rispose per lo più a monosillabi, e quando attaccò si voltò verso di me con aria colpevole.
«Devo tornare subito a Tokyo» mormorò. «Per te è un problema?»
«Ora che ci penso, devo fare una commissione. Tu va’, io me la cavo.»
«Sicura?»
«Assolutamente.»
Annuì e si allontanò. «Scusami!» borbottò prima di sparire dalla mia visuale.
Sbuffai e mi diressi verso il centro città. Una volta, qualche anno prima, mia madre mi aveva portata a visitare un negozietto adorabile non lontano da lì, una splendida gioielleria. E un accessorio in più di certo non mi avrebbe fatto male. Era semplice da trovare, bastava seguire il fiume fino ad un parco con degli imponenti larici ed infine attraversarlo. L’emporio era dall’altra parte della strada.
Sentivo l’erba fresca e selvaggia accarezzarmi i piedi nudi, dove non erano coperti dalle scarpe dal tacco basso, le mie preferite. Una goccia d’acqua mi bagnò il naso. Poi una mi cadde sulla guancia. E una dopo l’altra, la pioggia invase Kawasaki. Il cielo si era incupito, perciò coprii i pochi metri che mancavano quasi di corsa. Mi riparai sotto la tettoia di un bar lì vicino, aspettando che smettesse. Ben presto quella pioggerella innocente si trasformò in un acquazzone che non pareva intenzionato a cessare. Sbuffai.
«Serve un passaggio?»
Mi voltai verso quella voce familiare. Yusaku Kudo sorrideva, teneva in mano un ombrello scuro.
«Be’, sì. Sono senza ombrello...» balbettai.
«Ho notato» scherzò, facendomi sentire una stupida. Arrossii. «Si dà il caso, però, che sotto il mio ci sia posto per due.» Sorrise, di nuovo. E io lo imitai, avvicinandomi.
Scostò l’ombrello verso di me e ci incamminammo verso la stazione. Eravamo costretti a stringerci l’uno contro l’altra per non bagnarci.
«Sicuro che non sia un problema?» chiesi timidamente, notando la sua camicia che si stava inzuppando sulla spalla destra.
«Tranquilla» si limitò a rispondere. «Non potevo lasciarti lì. Chissà quando avrebbe smesso!»
«Grazie, Yusaku.»
«Di nulla» mormorò, dolcemente. Salimmo sul primo treno diretto a Tokyo, che era deserto tanto quanto quello dell’andata.
«Eri venuta da sola?» mi chiese non appena ci fummo seduti.
«No. Io ed Eri abbiamo fatto un po’ di shopping» spiegai, mostrandogli le numerose borse.
«Tutto questo per il ballo?» chiese. Sembrava quasi divertito.
Annuii. Non potevo fare a meno di pensare quanto fosse incredibilmente bello.
«Tu, invece?»
«A Kawasaki c’è una splendida libreria» spiegò, mostrandomi un volume che aveva estratto dalla piccola tracolla di pelle. Me lo porse.
Accarezzai la copertina. “A piede libero” era il titolo del romanzo.
«Amante dei gialli?» gli chiesi, restituendogli il libro.
Lui annuì. «Voglio diventare uno scrittore di fama mondiale» mi confessò. «Anche se non l’ho mai detto a nessuno. Tu sei la prima.»
«Per quale motivo?»
«Mio padre… Vuole che entri nell’azienda di famiglia. Pensa che lo scrittore sia da “morti di fame”. Non capisce che io voglio scrivere perché mi piace.» Distolse lo sguardo e i nostri sguardi si incatenarono. Non so per quanto, tra noi calò il silenzio. Percepivo il peso della sua confessione e mi sentii importante.
Si fidava di me a tal punto da rendermi partecipe dei suoi sogni più segreti.
«Tu, piuttosto? Cosa farai una volta finiti gli studi?» chiese, spezzando il silenzio per primo.
«Ho sempre sognato di fare l’attrice, fin da piccola. Ma quando lo confessai ai miei, mi presero a schiaffi e mi portarono da uno psichiatra. Non è stata una bella esperienza…» commentai, con voce rotta. La mia mano corse alla guancia destra, che ancora oggi mi faceva male, al solo pensiero di quel giorno.
Yusaku mi prese le mani fra le sue. «Allora scappiamo!» esclamò con un sorriso. Sembrava un bambino a cui è stato promesso un giocattolo.
«Cosa?» Risi del suo entusiasmo.
«Fuggiamo da questo mondo di oppressioni e divieti e facciamo quello che ci va! Nessuno ci dirà più quello che dobbiamo fare e cosa no!»
Mi guardò negli occhi. Non era poi così male come idea… I nostri visi si erano pericolosamente avvicinati. Yusaku lasciò che le nostre fronti si toccassero. Sentivo il suo respiro fresco in faccia. Era la sensazione più piacevole che avessi mai provato.
«Quando si parte?» sussurrai, con un sorriso. E lui sorrise a sua volta. Si avvicinò ancora. I nostri nasi si sfiorarono.
«Quando vuoi» rispose, sempre a bassa voce.
Chiusi gli occhi. Adesso sentivo solo il suo respiro sulla pelle e la sua stretta delicata sulle mia dita. Era il Paradiso.
«Siamo in arrivo alla stazione di Tokyo. Stazione di Tokyo.»
Sussultammo all’unisono. Yusaku si allontanò e io aprii gli occhi. Senza mai lasciarmi la mano, afferrò metà delle mie borse e scendemmo dal treno.
«Yukiko!»
Ci voltammo in direzione di quella voce. Eri, che si stava facendo largo fra la folla senza tanti complimenti, strattonando gente qua e là, aveva i capelli in disordine ed era madida di sudore. Doveva aver fatto una bella corsa.
«Yukiko, scusami…» mormorò, mentre cercava di riprendere fiato. «Mi sentivo in colpa per averti lasciata là tutta sola, così… Sono corsa qui per venire a prenderti… Ma vedo che sei in ottima compagnia!» commentò in fine, maliziosa.
«Eri!» la sgridai, rivolgendole un’occhiataccia.
«Tranquilla, Kisaki» mormorò Yusaku, con un sorriso. Mi strinse un’ultima volta la mano prima di lasciarla del tutto. «L’ho solo accompagnata a casa.»
«Ah, be’, ci credo!» borbottò la mia migliore amica, con un sorriso.
Sbuffai. «Vogliamo andare?» le chiesi, prendendo da Yusaku le mie borse.
«Certo. A presto, Kudo!»
«Ciao Yusaku» lo salutai. Gli mimai uno “scusala” con le labbra e gli sorrisi prima di allontanarmi. Lui ricambiò.
«Allora? Che mi sono persa?» chiese Eri, dandomi una gomitata amichevole.
Be’, mi ha quasi baciata…
«Assolutamente niente, puoi stare tranquilla.»
«Allora perché sei arrossita?»
«Oh, ma qui c’è un caldo pazzesco!» mormorai, accelerando il passo.
«Okay, non vuoi dirmelo…» mormorò, accompagnando la frase con un sospiro teatrale. «Pensavo fossimo amiche…»
«E lo siamo, non fare la melodrammatica!»
«Un tempo ci dicevamo tutto…!»
«Oh, Eri, hai ragione! Dobbiamo condividere tutto, noi due» le dissi, stando al gioco. «Ti racconterò tutto, nei più minimi particolari, ma a una condizione.»
«Quale?» Avevo attirato la sua attenzione.
«Che tu mi racconti tutto, nei più minimi particolari, del tuo appuntamento con Kogoro di ieri!»
Smise di sospirare e si voltò dall’altra parte.
«Hai ragione tu, Yukiko. La privacy è un diritto di ogni singolo individuo!»
Scoppiai a ridere. Anche se non potevo vederla in viso, avrei potuto scommettere sul fatto che era rossa come un peperone. La solita, incorreggibile Eri!

«Stai benissimo, non c’è che dire!»
«Dici?»
Osservai per l’ennesima volta il mio riflesso nello specchio, in cerca del più minimo difetto da correggere. E quando non ne trovai, mi ripetei per l’ennesima volta che era tutto perfetto.
Eri continuava ad esaminarmi, avvolta in un principesco abito viola, che le avvolgeva i fianchi per poi aprirsi in un’ampia doppia gonna. Il busto era decorato con delicate perline incolori, così come l’attaccatura delle due gonne. Il vestito le nascondeva le scarpe abbinate dal tacco alto. Aveva raccolto i capelli ramati in uno chignon alto sulla testa, tenuto su da un’adorabile coroncina.
Riportai lo sguardo allo specchio. Il mio abito acquamarina era decisamente meno appariscente. Scollo a cuore, senza spalline. La parte che copriva il seno era decorata con brillantini argentei. Da lì partiva una delicata gonna a pieghe non troppo ampia, che svolazzava qua e là ad ogni passo. Ai piedi delle adorabili scarpe grigie con un fiocco sulla punta e aperte sul davanti erano coperte dal vestito. Avevo deciso di lasciare i capelli sciolti sulla schiena e avevo adottato un trucco decisamente leggero.
Accarezzai la stoffa del vestito ancora una volta. Mi sentivo una principessa.
«Ragazze, le carrozze sono arrivate» scherzò mia madre, affacciata alla porta della mia camera. Non aveva bussato. O forse l’aveva fatto, ma non l’avevo sentita. «I vostri cavalieri vi aspettano!»
Io ed Eri ci scambiammo un’ultima occhiata. Poi ci fiondammo giù per le scale, rischiando di spezzarci l’osso del collo con quei tacchi vertiginosi. Ci fermammo un attimo per ricomporci davanti al pesante portone già aperto e ci avventurammo in quella notte di luna piena. Non faceva freddo, ma l’aria era frizzante, cosa che mi rilassò un po’.
Scendemmo gli ultimi scalini che ci separavano dal vialetto e ci dividemmo, ognuna verso il proprio accompagnatore.
Mi persi per l’ennesima volta negli occhi blu cobalto di Yusaku. Sorrideva. Indossava un elegante smoking di un blu decisamente scuro, che rifletteva benissimo quello dei suoi occhi meravigliosi. Sotto la giacca portava una camicia candida, abbellita da un farfallino della stessa tonalità del completo.
Quando gli fui abbastanza vicina mi prese una mano e ne baciò il dorso. Poi mi aprì la portiera e mi aiutò a salire su una lussuosa limousine.
Mi sistemai sul sedile comodo rivestito di velluto chiaro in modo da non sgualcire l’abito, e non appena lui si sedette vicino a me, mi strinse la mano.
L’auto uscì dal giardino della villa e si diresse verso il luogo prescelto per il ballo. Il comitato aveva optato per un bellissimo palazzo fuori città, una Versailles in miniatura. La facciata dipinta di giallo oro, stracolma di finestre, era stata decorata con delle lucine bianche. L’edificio era circondato da un ampio giardino ben curato e rigoglioso, nel cui centro torreggiava una sfarzosa fontana.
Yusaku mi aiutò a scendere dalla macchina e insieme ci dirigemmo verso il portone. Due uomini in smoking - che riconobbi solo dopo come l’insegnante di educazione fisica e quello di giapponese - ci salutarono. Erano messi l’uno di fronte all’altro, ai lati della porta.
Entrammo e non potei trattenere un esclamazione di sorpresa. Yusaku rise.
«Bello, eh?» chiese.
«Bello è dire poco!» risposi, osservando il lampadario decorato da fili di perle appeso al soffitto.
«E questo è solo l’ingresso!» mormorò. «Aspetta di vedere la Sala delle Cerimonie!»
Mi circondò la vita con il braccio e mi condusse su per una scalinata di legno. Attraversammo un corridoio infinito pieno di opere d’arte occidentali ed entrammo in quella che doveva essere la Sala delle Cerimonie.
Yusaku aveva ragione: era semplicemente meravigliosa. Lampadari simili a quello nell’ingresso, solo più grandi, pendevano dall’alto soffitto; pesanti tende rosse coprivano le alte finestre. Le pareti erano coperte da una pesante carta da parati color senape.
Tutti gli alunni della Teitan High School ballavano o chiacchieravano fra loro o si servivano all’abbondante buffet sul lungo tavolo addossato alla parete sud, le ragazze avvolte in lunghi abiti sfarzosi, i ragazzi in eleganti smoking. Il pavimento di marmo candido faceva risuonare sinistro il rumore dei tacchi. La musica era ad un volume eccessivamente alto, fastidioso. Mi coprii le orecchie con le mani, e Yusaku mi imitò, anche se gli altri sembravano non accorgersene.
«Vuoi uscire?» urlò lui, per farsi sentire sopra il baccano
Annuii e la sua stretta sulla mia vita si fece più salda mentre attraversavamo la pista da ballo. La canzone dance che proveniva dalle enormi casse ai lati della sala stonava decisamente con l’ambiente raffinato.
Uscimmo da una piccola porticina sul lato opposto e imboccammo un corridoio più angusto. Yusaku sembrava perfettamente cosciente di dove stavamo andando, perciò non feci domande. Scendemmo una rampa di scale e sbucammo in un delizioso giardino, più piccolo di quello davanti alla villa, anche se non per questo meno spettacolare. Fiori di mille specie e colori erano ormai sbocciati, ed emanavano un odore dolce, ma non fastidioso. Lui mi trascinò fino a un’elaborata panchina di pietra e mi fece sedere accanto a lui. Colse una peonia bianca e me la porse. Accarezzai i petali delicati e sorrisi. Fissai i miei occhi in quelli di lui. Senza distogliere lo sguardo mi prese la mano libera fra le sue e l’accarezzò.
Lui puntò lo sguardo verso il cielo, e io lo seguii. La luna piena di quella sera illuminava il piccolo cortile e il viso di Yusaku rendendolo, se possibile, più bello. Una leggera brezza gli scuoteva i ciuffi scuri e ribelli.
Il cielo scuro aveva la stessa tonalità dei suoi occhi.
«Guarda!» mi disse, indicando un punto indefinito nel cielo con un dito. «Una stella cadente!»
Sorrisi. «Esprimi un desiderio.»
Tornò a guardarmi. Anche lui sorrideva. «Cosa potrei volere di più?» mi chiese, avvicinandosi. Appoggiò la sua fronte alla mia e i nostri nasi si sfiorarono. Chiusi gli occhi un attimo prima che le nostre labbra si sfiorassero. E tutto il mondo svanì.

ANGOLINO AUTRICE: Ebbene sì, questa è la Fic "fuori dagli schemi" che aspettavate... Sono pienamente cosciente che esiste già un OAV con la storia del primo appuntamento di Yusaku e Yukiko, ma io non sono felice se non dico la mia. Perciò eccomi ancora ad intasare EFP con una delle mie One-shot, uscita da non so dove mentre il mio fedele compagno di scrittura (il mio MP3) riproduceva "Your best friend" di Mai Kuraki, canzone che mi ha accompagnata per tutta la stesura della storia. Voglio dedicarla a tutte le mie lettrici - e lettori? -; grazie mille per il vostro continuo sostegno, non so cosa sarei senza di voi. Alla prossima allora! E fatemi sapere che ne pensate di questa Fic, okay? Un bacio, AliHolmes.   

   
 
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