Moonlight
lui ti baciò le labbra ed i capelli,
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose le mani sui tuoi fianchi."
Fabrizio De André - La canzone di Marinella
«Be’,
se lui ti piace, dovresti farti avanti.»
«Chi?
Lui?» balbettai,
avvampando. «Ma
come ti salta in mente?!»
«Ah,
non saprei…» mi
rispose, maliziosa. Spostò lo sguardo da me
all’oggetto della nostra
conversazione, e io l’imitai. Be’, in effetti era
carino… Aveva i capelli
scuri, ciuffi disordinati gli ricadevano sulla fronte ampia, e dei
bellissimi
occhi blu cobalto…
«Yukiko?»
«Mh?»
«Ti
sei incantata. Di nuovo.»
«Scusami,
Eri» borbottai,
riportando lo sguardo sulla mia amica. «Allora?
Dicevamo?»
«Che
tu sei cotta di Yusaku, ecco cosa. E non azzardarti a negarlo.»
Arrossii di nuovo, riportando lo sguardo su di lui. Altro
che carino, Kudo era proprio bello.
Bello e impossibile.
«Non
fare quella faccia!»
esclamò Eri, con un sorriso. «Lo
conquisterai.»
«Se
lo dici tu…»
Non le credevo neanche un po’. Yusaku era
così… Era troppo
per me. Più o meno tutte erano cotte di lui, il novantotto
per cento delle
ragazze della scuola gli facevano il filo. Era altamente improbabile
che si
accorgesse di me, anche perché facevo di tutto per rimanere
nell’ombra. Ed Eri
continuava a rimproverarmi per questo. Insisteva nel ripetermi che
dovevo farmi
avanti, che sicuramente “quello schianto di Kudo” -
come lo appellava lei -
ricambiava i miei sentimenti.
Ci eravamo parlati sì e no due volte, come poteva essere
così? Il mio era solo un sogno che non si sarebbe avverato
mai. Un
semplicissimo pensiero di un’adolescente.
Nient’altro.
«Ciao.»
Il mio cuore perse un battito. Mi voltai, certa che fosse
stata solo un’allucinazione. Ero sicura di trovarlo
lì dove lo avevo visto
prima, a chiacchierare con Juzaburo di chissà cosa. Ma lui
era davvero lì, a
pochi centimetri da me. Sorrideva.
«Ciao,
Yusaku.»
«Ehi,
tutto bene?» mi
chiese, preoccupato. «Hai
un colorito strano. Sicura di non avere l’influenza?»
«Mai
stata meglio»
affermai, sorridendo.
«Bene» commentò, sollevato. «Senti,
Yukiko… Dovrei
chiederti una cosa…»
«Okay,
io sono di troppo»
s’intromise Eri, alzandosi dalla sedia. «Vado
a cercare Kogoro.»
La salutammo, e lì mi accorsi che avevamo gli occhi di tutta
la classe puntati addosso. Avvampai per l’ennesima volta.
Nemmeno Yusaku pareva
a suo agio.
«Vedi,
Yukiko… Volevo chiederti se… Insomma, volevo
chiederti se hai già un cavaliere
per il ballo»
concluse, grattandosi la testa.
Scossi la testa. Sentivo la gola secca e le parole si
rifiutavano di uscire. Era una sensazione estremamente fastidiosa.
«Fantastico.» Sorrise, rilassando le
spalle. «Be’, mi
chiedevo se posso avere l’onore di essere io
il tuo cavaliere.»
«C-certo» balbettai. Senza farmi
vedere mi detti un pizzicotto. È
solo un
sogno, ora mi sveglio.
«Meraviglioso.
Ci si vede in giro, allora!»
«D’accordo…»
Si allontanò, tornando al suo posto. Sorrideva. Tornai alla
realtà e mi guardai intorno. Quasi tutte le ragazze mi
indirizzavano
occhiatacce truci, piene di istinti omicidi. I ragazzi parlottavano fra
loro.
C’è chi ridacchiava e bisbigliava, chi guardava
male Yusaku, che leggeva
ingenuamente un libro. O, più semplicemente, li ignorava.
«Visto
che gli piaci?»
chiese Eri, sbucando dal nulla.
«Stavi
origliando?»
l’accusai con un sorriso. Niente e nessuno avrebbe potuto
rovinarmi la
giornata.
«Chi?
Io?» borbottò,
indicandosi.
«Lasciamo
stare» conclusi,
iniziando a ridere. Ed Eri rise con me.
«COME
FACCIO A CALMARMI?!»
urlò, dall’altra parte della cornetta. «È
un idiota…»
«Che
ti ha fatto stavolta?»
le chiesi, sbuffando.
«È
questo il problema: non fa nulla!
Il
ballo è domani, e lui non mi ha ancora invitata!»
«Suvvia,
Eri…» mormorai,
tentando di calmarla. «Non
è la fine del mondo…»
«Sì
che lo è!» gridò
tra i singhiozzi. «Come
ho fatto a innamorarmi di un tale stupido?»
«Ah,
se non lo sai tu!»
scherzai. Eri ridacchiò.
«Cosa
posso fare?»
chiese, più calma.
«Devi
farti avanti tu, non vedo altra soluzione.»
«Cosa?!»
«Senti,
Eri, vuoi andare al ballo con Kogoro o no?»
«Be’,
sì…» ammise in
sussurro.
«E
allora devi chiederglielo tu, visto che lui è
così cafone!»
«Forse
hai ragione»
convenne. «Grazie,
Yukiko.» Dal suo
tono capii che stava sorridendo.
«Di
nulla.»
«Allora
a dopo! Mi raccomando, sii puntuale!»
Ed attaccò.
«Cos…»
Mi buttò le braccia al collo, facendomi fare una giravolta,
mentre continuava ad urlare di gioia.
«Cos’è
successo?» le chiesi
maliziosamente, anche se avevo già intuito la fonte della
sua euforia.
«Stavo
uscendo… Sai, per andare a chiedergli del ballo…»
disse, mentre cercava di riprendere fiato. «E
l’ho sorpreso sotto casa mia… Aveva un mazzo di
fiori… Mi ha preceduta…» concluse
infine, la
voce rotta dall’emozione.
«Non
avrei mai voluto perdermelo»
commentai.
Eri guardò l’orologio per qualche secondo.
«Non
c’è tempo da perdere!»
mormorò, mentre mi afferrava per un polso e mi trascinava
per le strade
affollate di Tokyo.
«Dove
stiamo andando?» chiesi,
incuriosita. Chissà perché correva con tanta
foga… Rallentai il passo, e lei,
per tutta risposta mi strattonò, invitandomi a continuare a
correre.
«Muoviti
o perderemo il treno!»
esclamò.
«Cosa?!
Quale treno?!»
«Quello
per Kawasaki che parte fra dieci minuti!»
«Kawasaki?!»
«C’è
una boutique che è la fine del mondo!»
si affrettò a spiegarmi, mentre saltavamo sul treno e lei
estraeva un paio di
biglietti dalla borsetta.
Le porte alle nostre spalle si chiusero e Eri mi trascinò
fino
a due poltroncine vicino al finestrino. Il vagone era
pressoché vuoto: un uomo
anziano leggeva il giornale dalla parte opposta della carrozza e una
giovane
donna si stava ritoccando il trucco quattro posti più in
là.
Il viaggio non fu lungo come mi aspettavo: trascorremmo il
tempo a parlare dell’esperienza appena vissuta dalla mia
migliore amica. Mai
l’avevo vista tanto felice.
Kawasaki - regione di Kantō, prefettura di Kanagawa - era
una bellissima città, ci ero già stata qualche
volta, quando ero bambina. La
nostra meta, una piccola boutique poco appariscente, era
dall’altra parte della
città, perciò fummo costrette a prendere
l’autobus. Durante questa seconda
parte di viaggio, Eri mi rese partecipe di qualche curiosità
sulla città, che,
ovviamente non ascoltai. Non riuscivo a non pensare a Yusaku, a quello
che era
accaduto appena qualche ora prima.
«Yukiko,
mi stai ascoltando?»
mi chiese Eri, sventolandomi una mano davanti al viso.
«Assolutamente» mentii.
«Sei
brava a dire le bugie… Ma io ti conosco troppo bene, non me
la dai a bere.
Dovresti fare l’attrice, sai?»
mormorò.
«Dici?» le chiesi, imbarazzata
per essere stata sorpresa disattenta.
Scendemmo e coprimmo l’isolato che ci separava dal negozio a
piedi. Da fuori non era un grande spettacolo: la bottega era
seminascosta,
situata in una via secondaria. La porta a vetri era colma di volantini
di vari
eventi ormai passati anche da più di un anno. Una targa
scolorita a lato
riportava: La maison de
l’élégance,
che seppi semplicemente tradurre - anche se il francese non
l’avevo mai
studiato -, inciso in eleganti caratteri.
Esitai, osservando ancora una volta il fatiscente
negozietto.
«Sei
sicura?» le
chiesi, indicandole la porta.
«Assolutamente.» Sorrise, come a
comprendere la mia incertezza. «Fidati
di me.»
«Allora?» mi chiese, osservando
le borse che non lasciavano scoperto un centimetro di pelle.
«Be’…
È sorprendente!»
«Mai
giudicare un libro dalla copertina»
commentò lei, mentre frugava nella borsetta alla ricerca del
suo cellulare, che
stava squillando.
Rispose per lo più a monosillabi, e quando
attaccò si voltò
verso di me con aria colpevole.
«Devo
tornare subito a Tokyo»
mormorò. «Per te è
un problema?»
«Ora
che ci penso, devo fare una commissione. Tu va’, io me la
cavo.»
«Sicura?»
«Assolutamente.»
Annuì e si allontanò. «Scusami!»
borbottò prima di
sparire dalla mia visuale.
Sbuffai e mi diressi verso il centro città. Una volta,
qualche anno prima, mia madre mi aveva portata a visitare un negozietto
adorabile non lontano da lì, una splendida gioielleria. E un
accessorio in più
di certo non mi avrebbe fatto male. Era semplice da trovare, bastava
seguire il
fiume fino ad un parco con degli imponenti larici ed infine
attraversarlo.
L’emporio era dall’altra parte della strada.
Sentivo l’erba fresca e selvaggia accarezzarmi i piedi nudi,
dove non erano coperti dalle scarpe dal tacco basso, le mie preferite.
Una
goccia d’acqua mi bagnò il naso. Poi una mi cadde
sulla guancia. E una dopo
l’altra, la pioggia invase Kawasaki. Il cielo si era
incupito, perciò coprii i
pochi metri che mancavano quasi di corsa. Mi riparai sotto la tettoia
di un bar
lì vicino, aspettando che smettesse. Ben presto quella
pioggerella innocente si
trasformò in un acquazzone che non pareva intenzionato a
cessare. Sbuffai.
«Serve
un passaggio?»
Mi voltai verso quella voce familiare. Yusaku Kudo
sorrideva, teneva in mano un ombrello scuro.
«Be’,
sì. Sono senza ombrello...»
balbettai.
«Ho
notato» scherzò,
facendomi sentire una stupida. Arrossii. «Si
dà il caso, però, che sotto il mio ci sia posto
per due.» Sorrise, di nuovo. E io lo imitai,
avvicinandomi.
Scostò l’ombrello verso di me e ci incamminammo
verso la
stazione. Eravamo costretti a stringerci l’uno contro
l’altra per non bagnarci.
«Sicuro
che non sia un problema?»
chiesi timidamente, notando la sua camicia che si stava inzuppando
sulla
spalla destra.
«Tranquilla» si limitò a
rispondere. «Non
potevo lasciarti lì. Chissà quando avrebbe smesso!»
«Grazie,
Yusaku.»
«Di
nulla» mormorò,
dolcemente. Salimmo sul primo treno diretto a Tokyo, che era deserto
tanto
quanto quello dell’andata.
«Eri
venuta da sola?»
mi chiese non appena ci fummo seduti.
«No.
Io ed Eri abbiamo fatto un po’ di shopping»
spiegai, mostrandogli le numerose borse.
«Tutto
questo per il ballo?»
chiese. Sembrava quasi divertito.
Annuii. Non potevo fare a meno di pensare quanto fosse
incredibilmente bello.
«Tu,
invece?»
«A
Kawasaki c’è una splendida libreria»
spiegò, mostrandomi un volume che aveva estratto dalla
piccola tracolla di
pelle. Me lo porse.
Accarezzai la copertina. “A
piede libero” era il titolo del romanzo.
«Amante
dei gialli?» gli
chiesi, restituendogli il libro.
Lui annuì. «Voglio
diventare uno scrittore di fama mondiale»
mi confessò. «Anche
se non l’ho mai detto a nessuno. Tu sei la prima.»
«Per
quale motivo?»
«Mio
padre… Vuole che entri nell’azienda di famiglia.
Pensa che lo scrittore sia da
“morti di fame”. Non capisce che io voglio scrivere
perché mi piace.»
Distolse lo sguardo e i nostri sguardi si incatenarono. Non so per
quanto, tra
noi calò il silenzio. Percepivo il peso della sua
confessione e mi sentii
importante.
Si fidava di me a tal punto da rendermi partecipe dei suoi sogni
più segreti.
«Tu,
piuttosto? Cosa farai una volta finiti gli studi?»
chiese, spezzando il silenzio per primo.
«Ho
sempre sognato di fare l’attrice, fin da piccola. Ma quando
lo confessai ai
miei, mi presero a schiaffi e mi portarono da uno psichiatra. Non
è stata una
bella esperienza…» commentai,
con voce rotta. La mia mano corse alla guancia destra, che ancora oggi
mi
faceva male, al solo pensiero di quel giorno.
Yusaku mi prese le mani fra le sue. «Allora scappiamo!»
esclamò con un sorriso. Sembrava un
bambino a cui è stato promesso un giocattolo.
«Cosa?» Risi del suo
entusiasmo.
«Fuggiamo
da questo mondo di oppressioni e divieti e facciamo quello che ci va!
Nessuno
ci dirà più quello che dobbiamo fare e cosa no!»
Mi guardò negli occhi. Non era poi così male come
idea… I
nostri visi si erano pericolosamente avvicinati. Yusaku
lasciò che le nostre
fronti si toccassero. Sentivo il suo respiro fresco in faccia. Era la
sensazione più piacevole che avessi mai provato.
«Quando
si parte?»
sussurrai, con un sorriso. E lui sorrise a sua volta. Si
avvicinò ancora. I
nostri nasi si sfiorarono.
«Quando
vuoi» rispose,
sempre a bassa voce.
Chiusi gli occhi. Adesso sentivo solo il suo respiro sulla
pelle e la sua stretta delicata sulle mia dita. Era il Paradiso.
«Siamo in arrivo alla
stazione di Tokyo. Stazione di Tokyo.»
Sussultammo all’unisono. Yusaku si allontanò e io
aprii gli
occhi. Senza mai lasciarmi la mano, afferrò metà
delle mie borse e scendemmo
dal treno.
«Yukiko!»
Ci voltammo in direzione di quella voce. Eri, che si stava
facendo largo fra la folla senza tanti complimenti, strattonando gente
qua e
là, aveva i capelli in disordine ed era madida di sudore.
Doveva aver fatto una
bella corsa.
«Yukiko,
scusami…» mormorò,
mentre cercava di riprendere fiato. «Mi
sentivo in colpa per averti lasciata là tutta sola,
così… Sono corsa qui per
venire a prenderti… Ma vedo che sei in ottima
compagnia!»
commentò in fine, maliziosa.
«Eri!» la sgridai,
rivolgendole un’occhiataccia.
«Tranquilla,
Kisaki» mormorò
Yusaku, con un sorriso. Mi strinse un’ultima volta la mano
prima di lasciarla
del tutto. «L’ho
solo accompagnata a casa.»
«Ah,
be’, ci credo!»
borbottò la mia migliore amica, con un sorriso.
Sbuffai. «Vogliamo
andare?» le
chiesi, prendendo da Yusaku le mie borse.
«Certo.
A presto, Kudo!»
«Ciao
Yusaku» lo
salutai. Gli mimai uno “scusala” con le labbra e
gli sorrisi prima di
allontanarmi. Lui ricambiò.
«Allora?
Che mi sono persa?»
chiese Eri, dandomi una gomitata amichevole.
Be’, mi ha quasi
baciata…
«Assolutamente
niente, puoi stare tranquilla.»
«Allora
perché sei arrossita?»
«Oh,
ma qui c’è un caldo pazzesco!»
mormorai, accelerando il passo.
«Okay,
non vuoi dirmelo…»
mormorò, accompagnando la frase con un sospiro teatrale.
«Pensavo fossimo amiche…»
«E
lo siamo, non fare la melodrammatica!»
«Un
tempo ci dicevamo tutto…!»
«Oh,
Eri, hai ragione! Dobbiamo condividere tutto, noi due» le
dissi, stando al gioco. «Ti racconterò tutto, nei più minimi
particolari, ma a
una condizione.»
«Quale?» Avevo attirato la sua
attenzione.
«Che
tu mi racconti tutto, nei
più minimi
particolari, del tuo appuntamento con Kogoro di ieri!»
Smise di sospirare e si voltò dall’altra parte.
«Hai
ragione tu, Yukiko. La privacy è un diritto di ogni singolo
individuo!»
Scoppiai a ridere. Anche se non potevo vederla in viso,
avrei potuto scommettere sul fatto che era rossa come un peperone. La
solita,
incorreggibile Eri!
«Dici?»
Osservai per l’ennesima volta il mio riflesso nello
specchio, in cerca del più minimo difetto da correggere. E
quando non ne
trovai, mi ripetei per l’ennesima volta che era tutto perfetto.
Eri continuava ad esaminarmi, avvolta in un principesco
abito viola, che le avvolgeva i fianchi per poi aprirsi in
un’ampia doppia
gonna. Il busto era decorato con delicate perline incolori,
così come
l’attaccatura delle due gonne. Il vestito le nascondeva le
scarpe abbinate dal
tacco alto. Aveva raccolto i capelli ramati in uno chignon alto sulla
testa,
tenuto su da un’adorabile coroncina.
Riportai lo sguardo allo specchio. Il mio abito acquamarina
era decisamente meno appariscente. Scollo a cuore, senza spalline. La
parte che
copriva il seno era decorata con brillantini argentei. Da lì
partiva una
delicata gonna a pieghe non troppo ampia, che svolazzava qua e
là ad ogni
passo. Ai piedi delle adorabili scarpe grigie con un fiocco sulla punta
e
aperte sul davanti erano coperte dal vestito. Avevo deciso di lasciare
i capelli
sciolti sulla schiena e avevo adottato un trucco decisamente leggero.
Accarezzai la stoffa del vestito ancora una volta. Mi
sentivo una principessa.
«Ragazze,
le carrozze sono arrivate»
scherzò mia madre, affacciata alla porta della mia camera.
Non aveva bussato. O
forse l’aveva fatto, ma non l’avevo sentita.
«I
vostri cavalieri vi aspettano!»
Io ed Eri ci scambiammo un’ultima occhiata. Poi ci fiondammo
giù per le scale, rischiando di spezzarci l’osso
del collo con quei tacchi
vertiginosi. Ci fermammo un attimo per ricomporci davanti al pesante
portone
già aperto e ci avventurammo in quella notte di luna piena.
Non faceva freddo,
ma l’aria era frizzante, cosa che mi rilassò un
po’.
Scendemmo gli ultimi scalini che ci separavano dal vialetto
e ci dividemmo, ognuna verso il proprio accompagnatore.
Mi persi per l’ennesima volta negli occhi blu cobalto di
Yusaku. Sorrideva. Indossava un elegante smoking di un blu decisamente
scuro,
che rifletteva benissimo quello dei suoi occhi meravigliosi. Sotto la
giacca portava
una camicia candida, abbellita da un farfallino della stessa
tonalità del
completo.
Quando gli fui abbastanza vicina mi prese una mano e ne
baciò il dorso. Poi mi aprì la portiera e mi
aiutò a salire su una lussuosa
limousine.
Mi sistemai sul sedile comodo rivestito di velluto chiaro in
modo da non sgualcire l’abito, e non appena lui si sedette
vicino a me, mi
strinse la mano.
L’auto uscì dal giardino della villa e si diresse
verso il
luogo prescelto per il ballo. Il comitato aveva optato per un
bellissimo
palazzo fuori città, una Versailles in miniatura. La
facciata dipinta di giallo
oro, stracolma di finestre, era stata decorata con delle lucine
bianche. L’edificio
era circondato da un ampio giardino ben curato e rigoglioso, nel cui
centro
torreggiava una sfarzosa fontana.
Yusaku mi aiutò a scendere dalla macchina e insieme ci
dirigemmo verso il portone. Due uomini in smoking - che riconobbi solo
dopo
come l’insegnante di educazione fisica e quello di giapponese
- ci salutarono.
Erano messi l’uno di fronte all’altro, ai lati
della porta.
Entrammo e non potei trattenere un esclamazione di sorpresa.
Yusaku rise.
«Bello,
eh?» chiese.
«Bello
è dire poco!»
risposi, osservando il lampadario decorato da fili di perle appeso al
soffitto.
«E
questo è solo l’ingresso!»
mormorò. «Aspetta
di vedere la Sala delle Cerimonie!»
Mi circondò la vita con il braccio e mi condusse su per una
scalinata di legno. Attraversammo un corridoio infinito pieno di opere
d’arte
occidentali ed entrammo in quella che doveva essere la Sala delle
Cerimonie.
Yusaku aveva ragione: era semplicemente meravigliosa.
Lampadari simili a quello nell’ingresso, solo più
grandi, pendevano dall’alto
soffitto; pesanti tende rosse coprivano le alte finestre. Le pareti
erano
coperte da una pesante carta da parati color senape.
Tutti gli alunni della Teitan High School ballavano o
chiacchieravano fra loro o si servivano all’abbondante buffet
sul lungo tavolo
addossato alla parete sud, le ragazze avvolte in lunghi abiti sfarzosi,
i
ragazzi in eleganti smoking. Il pavimento di marmo candido faceva
risuonare
sinistro il rumore dei tacchi. La musica era ad un volume
eccessivamente alto,
fastidioso. Mi coprii le orecchie con le mani, e Yusaku mi
imitò, anche se gli
altri sembravano non accorgersene.
«Vuoi
uscire?» urlò lui,
per farsi sentire sopra il baccano
Annuii e la sua stretta sulla mia vita si fece più salda
mentre attraversavamo la pista da ballo. La canzone dance che proveniva
dalle
enormi casse ai lati della sala stonava decisamente con
l’ambiente raffinato.
Uscimmo da una piccola porticina sul lato opposto e
imboccammo un corridoio più angusto. Yusaku sembrava
perfettamente cosciente di
dove stavamo andando, perciò non feci domande. Scendemmo una
rampa di scale e
sbucammo in un delizioso giardino, più piccolo di quello
davanti alla villa,
anche se non per questo meno spettacolare. Fiori di mille specie e
colori erano
ormai sbocciati, ed emanavano un odore dolce, ma non fastidioso. Lui mi
trascinò fino a un’elaborata panchina di pietra e
mi fece sedere accanto a lui.
Colse una peonia bianca e me la porse. Accarezzai i petali delicati e
sorrisi.
Fissai i miei occhi in quelli di lui. Senza distogliere lo sguardo mi
prese la
mano libera fra le sue e l’accarezzò.
Lui puntò lo sguardo verso il cielo, e io lo seguii. La luna
piena di quella sera illuminava il piccolo cortile e il viso di Yusaku
rendendolo, se possibile, più bello. Una leggera brezza gli
scuoteva i ciuffi
scuri e ribelli.
Il cielo scuro aveva la stessa tonalità dei suoi occhi.
«Guarda!» mi disse, indicando un
punto indefinito nel cielo con un dito. «Una
stella cadente!»
Sorrisi. «Esprimi
un desiderio.»
Tornò a guardarmi. Anche lui sorrideva. «Cosa
potrei volere di
più?» mi chiese,
avvicinandosi. Appoggiò la sua fronte alla mia e i nostri
nasi si sfiorarono.
Chiusi gli occhi un attimo prima che le nostre labbra si sfiorassero. E
tutto
il mondo svanì.
ANGOLINO AUTRICE: Ebbene sì, questa è la Fic "fuori dagli schemi" che aspettavate... Sono pienamente cosciente che esiste già un OAV con la storia del primo appuntamento di Yusaku e Yukiko, ma io non sono felice se non dico la mia. Perciò eccomi ancora ad intasare EFP con una delle mie One-shot, uscita da non so dove mentre il mio fedele compagno di scrittura (il mio MP3) riproduceva "Your best friend" di Mai Kuraki, canzone che mi ha accompagnata per tutta la stesura della storia. Voglio dedicarla a tutte le mie lettrici - e lettori? -; grazie mille per il vostro continuo sostegno, non so cosa sarei senza di voi. Alla prossima allora! E fatemi sapere che ne pensate di questa Fic, okay? Un bacio, AliHolmes.