Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Iris Fiery    29/06/2012    2 recensioni
Watson ha un figlio. Mary, sua moglie, muore e Sherlock prende il suo posto. La storia parte da un futuro, dove un anziano Sherlock narra la favola della buonanotte ricordando la sua gioventù e il suo inizio d'amore con John.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A walk to remember<< Zio, Zio Sherlock, mi racconti ancora di quando tu e papà combattevate il male? >>
<< Non combattevamo il male, noi sfidavamo il crimine. >> Disse l’uomo i cui corti capelli oramai tendevano al bianco e solo alcuni spruzzi qua e là di nero ricordavano il suo reale colore: gli occhi, azzurri come quelli di sempre, ora erano dolci mentre metteva a letto il bimbo biondo dagli occhi nocciola. Era piccolo, aveva otto anni circa, dal volto furbo e lo sguardo curioso: come suo padre, alla fine.
<< E il crimine non è male? >> Disse lui con occhi grandi, mentre il caro Sherlock ora gli alzava le coperte fino al mento, così da proteggerlo dai mostri di quella notte fredda, tipica della Londra invernale.
<< In effetti, sì. >> Ridacchiò poi, toccandogli il viso, prima d’accomodarsi sulla bella sedia di legno scuro posta affianco al letto variopinto: appoggiò le mani in grembo e socchiuse gli occhi, prima di tornare a guardare il ragazzino che una volta tanto aveva odiato.
Sì, perché era lui che gli aveva portato via il suo Watson: diavolo, dopo la sua nascita e la morte di Mary, quell’uomo non aveva più attimi per lui. Tutto per il suo piccolo Ricky, che tanto stava soffrendo: aveva due anni e Holmes sapeva benissimo quanto fosse impossibile che il bimbo capisse cosa stava succedendo, ma non voleva soppesare a Watson altre disgrazie ponendo l'accento sulla sua mente non acuta. O per lo meno, non acuta come la sua. Era impossibile alla fine essere intelligente come lui, ne era più che convinto.
<< D’accordo. La storia che ti sto per raccontare non è una leggenda o altro… >> Iniziò il caro Holmes, mentre fuori la neve scendeva leggiadra, e i suoi occhi cerulei si perdevano in quel bianco candore, riportando la sua mente a quanto era giovane.

A volte capiva d’invecchiare perché la sua mente, una volta deduttiva e scaltra, perdeva pezzi di ricordi: ad esempio, c’erano dei giorni in cui non si ricordava il suo incontro con Watson. Essi erano pochi, e solitamente erano per la stanchezza.
Alla fine, quado raccontava quella specie di favola al piccolo Ricky, iniziava sempre da quel laboratorio: lui era lì, come tutte le volte che aveva tempo e, con una piccola siringa, prendeva del liquido da un vetrino. Tutto era tranquillo, la sua assistente, di cui non ricordava mai il nome, lo guardava desiderosa come ogni giorno, il silenzio di quel luogo sterile era unico e la sua mente poteva studiare ogni cosa gli passasse sotto l’occhio.
Qualcosa cambiò per sempre quel momento, come la sua vita: la porta s’aprì ed entrò un uomo basso, grasso, e di seguito a lui un altro uomo che doveva avere poco più di trent’anni, poggiante su un vecchio bastone marrone e nero. Zoppicava, aveva gli occhi stanchi e di chi aveva visto troppo, corti capelli bianchi e labbra fini: lo trovava un uomo tenero, doveva ammetterlo. Molte cose, alla sola vista, gli si svelarono su quell’uomo: appena tornato dall’Iran, probabilmente quel suo zoppicare era solo psicosomatico, e la diagnosi data anche dalla sua analista era più che giusta, come si scoprirà poi in seguito.
Non sapeva cosa, ma era già stato attratto da quell’essere: forse era per l’idea di debole che dava, o forse per la sua insicurezza. Non lo sapeva, ma per un attimo qualcuno lo aveva stordito e allontanato dai suoi esperimenti: una vittoria, poiché era tutta una vita che la gente ci provava invano.
Non ricordava poi altro, solo la sua gentilezza nel porgergli quel piccolo apparecchio elettronico da cui il giovane Sherlock dedusse altre nozioni, prima di fissargli un appuntamento.
<< Chi ha parlato di convivenza? >> Disse quell’uomo accigliato, e il sorriso del detective fece intendere ben altro.
<< Il fatto che lui sia arrivato con un uomo mio potenziale coinquilino quando ho detto che ne cercavo uno mi fa pensare ciò. >> Rispose quasi con fretta, mentre indossava il cappotto per andarsene. Era l’inizio di qualcosa di peggiore.

Il fato è scritto, per quanto vogliamo remare contro, esso vincerà sempre: e per loro fu così. Una donna si mise tra loro, quando Sherlock l’incontrò la prima volta aveva voglia di piangere: qualcosa d’assurdo pensò, giacché in tutta la vita mai gli era capitato. Questa donna, una bella inglese sui trent’anni, bionda e dagli occhi chiari, aveva catturato l’attenzione di Watson, che prima era solo incentrata su di lui.
Non la vedeva giusta per lui, forse perché al fianco dell’amico non vede altri che se stesso, ma non poteva dirlo.
<< Che te ne pare? >> Domandò lui un pomeriggio soleggiato nell’appartamento di Baker Street.
Sherlock, perso nella lettura di un libro seduto in una poltrona, lo guardò, mentre i propri occhi scintillavano alla luce di quell’astro pomeridiano: l’azzurro glaciale era ancora più potente del solito, e i corti capelli neri gli davano un aria dannata incredibilmente sexy. O per lo meno, lui si sentiva così.
Sorrise all’amico, mentre i bei denti bianchi scintillavano tra le labbra perfettamente disegnate di un roseo infantile, apparvero, e le mani da principe inglese tenevano elegantemente un libro.
<< In realtà non mi piace, la trovo onnipresente nel nostro rapporto. >>
<< Nostro rapporto? >>
<< Sì. Nostro rapporto. >> Per la prima volta da quando lo conosceva, vide Watson veramente confuso a quelle parole: Sherlock, al contrario, era divertito dal volto stranito dell’amico, e decise di fornirgli una prova fisica di ciò che intendeva.
Poggiò il libro d’antologia inglese sul tavolino di acero scuro lì affianco e si alzò in piedi. Poi, con passo elegante e leggiadro, s’avvicinò all’altro fino a essere a una distanza tale da potersi abbassare alla sua altezza: ora che i loro volti erano così vicini, il corpo del detective sempre mosso da sicure emozioni tremava leggermente. Tutto quello che avrebbe fatto, da quel momento in avanti, poteva cambiare il loro rapporto per sempre: erano due le strade che avrebbero potuto prendere.
Avrebbe potuto decollare, quindi Watson avrebbe lasciato quella stupida donna. Avrebbero potuto essere felici insieme, dividere il letto nella camera del detective, perché più grande tra le due aveva pensato, e lei se ne sarebbe andata dalle loro vite per sempre.
Al contrario, tutto sarebbe distrutto, finito. Probabilmente Watson se ne sarebbe andato, perché stare nella stessa casa con un uomo che ti ha fatto le sue avance, non era possibile: e lui? Avrebbe avuto il cuore distrutto, nel sentirsi chiamare al matrimonio dell’uomo che ama.
Non poteva fare altro, era il momento di scegliere, di buttarsi definitivamente.
Si avvicinò alle labbra dell’uomo, che erano fini, comparate alle proprie, e gli accarezzò il viso, poggiando delicatamente le proprie a quelle dell’altro uomo.
Da parte sua, Watson rimase immobile: non era stupido, ammetteva d’aver già capito a che punto l’altro volesse arrivare, e non sapeva come rispondere. Alla fine, era sempre stato affascinato da quell’uomo, da quel ragazzino doveva forse dire: la sua intelligenza e la sua prepotenza creavano un letale fascino, che lo aveva catturato. Lui, però, aveva Mary, che ora era incinta: come dirlo all’altro?
Non lo sapeva, e decise di lasciarsi cadere in quel momento, approfondendo il bacio con l’altro, leccandogli dolcemente le labbra, così da farle schiudere. Sentiva Holmes, per la prima volta da quando lo conosceva, sconvolto, forse perché si aspettava di essere scacciato cattivamente. Non era così, tanto che lo prese per le spalle, tirandoselo concretamente in braccio, come si fa coi bimbi quando cercano di scappare dopo una marachella.
Si staccò dolcemente dall’altro, che lo fissava con occhi grandi e sorrise, accarezzandogli il volto.
<< Sherlock. >> Iniziò con voce dolce e ovattata, facendo cadere il detective in una specie di trance: si sentiva come quando era bambino, e la madre lo accudiva dolcemente. << Mary è incinta. >> Sussurrò poi, e nella mente del giovane Holmes avvenne l’imprevedibile: era strano, come se spegnesse ogni cellula, non riusciva a pensare.
Si sentiva usato, distrutto: non capiva il motivo di tale dichiarazione se ora non potevano già più stare insieme. Diamine, avrebbe mai avuto la possibilità di essere felice, un giorno?
Le stagioni si susseguirono, le foglie cadevano in autunno per poi riempire nuovamente le fronde degli alberi in primavera, mentre nel cuore di Holmes oramai vi era l’inverno continuo.
A sua volta, Watson vedeva l’amico distrutto da quella situazione, e capì che non era più possibile andare avanti così: né parlò a Mary, che rimase sconvolta da quella cosa, tanto da decidere di andarsene. Da sola. Watson capì che era la cosa giusta e la lasciò fare, guardando quella donna fragile e col pancione preparare velocemente le valigie: logico, dopo quella confessione, non poteva rimanere lì, perché…

<< Sherlock, è ora di dormire, dovresti saperlo. >> Rispose l’anziano Watson appoggiato sullo stipite della porta, divertito nel vedere quella scena: ora il figlio era accoccolato su se stesso, coperto dalle lenzuola bianche candide, e Holmes sedeva affianco a lui, raccontandogli ancora quella storia. Che s’interrompeva sempre nello stesso momento, poi. Sherlock era un grande favoliere, ecco cosa si era scoperto. E sapeva farci con i bambini.
Lui annuì, alzandosi delicatamente dal letto, ma le mani del bambino si strinsero attorno alla sua, guardandolo con grandi occhi scintillanti.
<< Zio, perché non mi racconti mai come finisce? >>
<< Tu come pensi che finisca? >> Sorrise allora il grande investigatore, lasciandogli in bacio sulla fronte, prima di uscire dalla stanza, dove ora il piccolo favoleggiava su quella storia d’amore.
Watson sorrise nel sentire quella frase e tirò a sé l’altro uomo, baciandolo sulla guancia più vicina alla sua portata.
<< Sai farci con i bambini, Sherlock. >>
<< È una vita che sono con te, Watson. >> Rispose l’altro uomo, prima di lasciarsi andare a un bacio dolce tra le braccia dell’altro.
Alla fine, Ricky non era uno stupido e ora, affacciato allo stipite della porta ancora aperta, fissava i due camminare amorevolmente nel corridoio, verso la loro stanza, e sorrideva, perché aveva capito che non vi poteva essere fine più bella di quella.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Iris Fiery