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Autore: Brooke Davis24    30/06/2012    6 recensioni
Amelia Sperelli è tutto quello che una donna dovrebbe essere: bella, forte, intelligente, preparata. E, come tutte le donne, ha un ottimo istinto, istinto che ha reso fonte primaria della sua attività di investigatore privato.
Chiamata a Lewiston come supporto alla stazione di polizia locale, impantanata in ricerche senza molti sbocchi, il suo cammino incontrerà quello dell'agente Thomas, sfacciato, solitario e maschilista.
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un pensiero. Credo sia la cosa più potente al mondo. Non l’amore, non la guerra, non il tempo. Un pensiero. Semplice, silenzioso, canaglia.
Cosa si può contro un pensiero? Non esistono armi, non esistono soluzioni, non esistono escamotage; è come entrare in un labirinto circolare che, di livello in livello, si accartoccia su se stesso e conduce al cuore della struttura, un vicolo cieco dorato che sa di prigionia. Ogni azione genera l’effetto esattamente contrario a quello si vuole produrre: soffocandolo, lo si rinvigorisce; ignorandolo, gli si concede l’espansione; assecondandolo, se ne rimane sopraffatti. Non esiste ciò che giusto e ciò che è sbagliato, né un sentiero che sia preferibile da percorrere rispetto ad un altro. Per quanto ci si possa affannare nel tentativo di seminarlo, è un’impresa titanica che non conduce ad alcuna vittoria. Non ci si improvvisa eroi con un pensiero. Una volta attecchito, sedimenta negli anfratti più deboli della nostra mente, la corteggia, la seduce e la soggioga, finché, sconfitta, essa non cede ad ognuna di quella lusinghe e lascia campo libero al suo contenuto , alla sua estensione, alla sua irrispettosa foga.
Amelia aveva avuto modo di sperimentare quella situazione sin da piccina e, come la maggior parte degli individui, non aveva opposto resistenza al meccanismo ingeneratosi nelle segrete del suo cervello, insidiata e catturata da un elemento che, se anche avesse voluto combattere, non le avrebbe concesso l’opportunità di farla franca. Era umana, del resto, e, in quanto tale, debole, persino fragile nelle occasioni più inattese. Non si sarebbe mai definita come una donnicciola in preda a spasimi d’amore, certo, ma era altrettanto realista da sapere quanti e quali fossero i suoi limiti, al di là dell’alta opinione che aveva di sé. Era stato, del resto, il primo obiettivo che si era prefissata: conoscere le sue debolezze sarebbe stata la chiave di apertura di ogni singola porta, perché, come aveva imparato col tempo, conoscere il nemico è l’elemento primario in una qualsiasi battaglia.
Aveva ventiquattro anni; era giovane, bella, forte e, soprattutto, italiana, e, negli ultimi anni, aveva sperimentato in prima persona quanto difficoltoso ma appagante potesse essere il ruolo di donna. Aveva osato, sperimentato, spesso rischiato e si era spinta laddove molte non avevano neppure osato pensare di giungere, sfiorando l’eccellenza ed imparando ad addomesticarla. Il suo corpo non era mai stato venduto, la sua mente  mai asservita, le sue aspirazioni mai fiaccate ed aveva preservato l’integrità che, sin da piccina, le era stata inculcata come uno dei valori più importanti al mondo, con la consapevolezza che i compromessi l’avrebbero svigorita a tal punto da rendere disattese le sue ambizioni.
Per quanto strano possa apparire, nel XXI secolo, la vita per una donna continuava a non essere semplice. Dopo decenni di rivendicazioni, barbarie, soprusi, proteste e apparenti vittorie del femminismo, la verità era che il mondo continuava ad essere profondamente, vergognosamente misogino e che, perfino nei Paesi più sviluppati, sarebbe stato semplice individuare i segnali non soltanto di quel radicato maschilismo ma anche della posizione di sfavore del genere femminile: il clero era ancora rigorosamente fazioso nei confronti del cosiddetto sesso forte, fatta eccezione per la piccola schiera di suore cui era stato concesso “il privilegio” di essere marginalmente ammesse alla casta; gli individui, considerati come appartenenti alla razza umana, venivano ancora indicati come ‘uomini’; erano le donne a patire le pene dell’Inferno per mettere al mondo un bambino; erano le donne ad essere principalmente violentate, sodomizzate, uccise, non rispettate. Per non parlare del fatto che la colpa delle disgrazie del genere umano gravasse tutta sulle spalle di Eva. Indovinate un po’? Una donna.
Amelia si chiedeva cosa ci fosse di sbagliato in quel mondo. Benché cresciuta in una famiglia tutt’altro che patriarcale, in cui le mogli indossavano i pantaloni molto più dei mariti, aveva sempre avuto l’impressione – Poi divenuta certezza! – che la realtà dei membri del suo sesso fosse ben lontana dal somigliare alla propria, se guardata complessivamente. Non che, con ciò, si potesse dire che odiava gli uomini, no! A dirla tutta, credeva strenuamente che alcuni di essi, come suo fratello, fossero tra le creature più amorevoli di tutto l’Universo e che una vita senza di loro sarebbe stata frustrante ed incompleta, in ognuno dei possibili sensi raccordabili ad una simile riflessione. Così com’era persuasa che la diversità non fosse l’errore compiuto nella comparazione tra uomo e donna. Semplicemente, se le avessero chiesto di schierarsi da una parte piuttosto che da un’altra in presenza di una qualunque ragionevole controversia, avrebbe preso le parti del suo sesso.
Viveva a Lewiston, nel Maine, una città non esageratamente popolosa nella quale si era recentemente trasferita per motivi di lavoro, seguendo Fabio, il fratello, che l’aveva preceduta di qualche mese. Prima d’allora, aveva lavorato – E, contemporaneamente, studiato! – come apprendista investigatore per uno degli uomini più indisponenti, infingardi ma maledettamente preparati nel proprio mestiere che avesse mai avuto modo di conoscere. Come spesso accade in occasione di alcuni degli avvenimenti più importanti della vita di una persona, il loro incontro era stato del tutto casuale: lo aveva visto entrare con aria alquanto circospetta nel negozio di profumi presso il quale aveva trovato impiego, anni prima, una volta arrivata in America, e, indipendentemente dal fatto che non fossero stati affari suoi, non era riuscita a trattenersi dal chiedergli cosa davvero lo avesse spinto ad introdursi lì. Ricordava di essere stata guardata con cipiglio severo e di essersi risentita nel profondo, quando l’altro, rendendole la boccetta che aveva casualmente agguantato, se n’era andato via senza fiatare. Qualche tempo dopo, aveva scorto lo stesso individuo, del quale aveva scoperto nome e referenze, al di là della strada e, con sfacciataggine inaudita, si era diretta verso di lui, chiedendogli per quale ragione uno stimato professionista come Rainold McIntosh si stesse prendendo la briga di sorvegliare il locale; doveva averlo sorpreso parecchio, perché, il giorno successivo, una proposta dallo studio di lui l’aveva introdotta nell’ambiente più meschino ed affascinante nel quale si fosse mai trovata ad operare, lo stesso dal quale non era più uscita. La gavetta era stata stancante e i suoi nervi avevano rischiato spesso di cedere dinanzi alle pressioni, ma non era mai accaduto veramente; era riuscita a farsi un nome, a guadagnarsi la stima non soltanto del suo capo ma di chiunque avesse avuto modo di vederla in azione o avesse visto la sua richiesta diligentemente soddisfatta.
E, dopo la bellezza di cinque anni di servizio, meriti riconosciuti, una qualifica di tutto rispetto e molta più esperienza di quanta non si fosse aspettata di poter accumulare, aveva cominciato a camminare con le proprie gambe, diretta proprio verso Lewiston. Lì, infatti, la stazione di polizia, la stessa presso la quale lavorava Fabio, aveva chiesto il suo intervento per una serie di problematiche non indifferenti rispetto alla soluzione di diversi casi, a cui nessuno di loro era ancora riuscito a dare una spiegazione.
Poggiata contro il muro alle spalle del comandante della stazione di polizia, Roger Fish, intento a presentarla ai suoi futuri colleghi, Amelia si guardò intorno con fare circospetto e, con un sorriso appena accennato sulle labbra, cercò lo sguardo del fratello, che, nell’imperturbabilità della sua condizione, le concesse un occhiolino rapido ma non abbastanza da sfuggirle. Si erano trasferiti in America dall’Italia contro il volere della famiglia e, dal momento stesso in cui avevano abbandonato casa, la loro era stata un’odissea.
Avevano perso i genitori all’età di tredici anni (lei) e diciassette (lui) ed era stato un così duro colpo per entrambi che, per mesi, avevano vissuto in una condizione di apatia  permanente. Nulla, all’infuori del dolore sordo che covavano nel petto e che stava conducendo al collasso i loro cuori, era parso tangerli: non la rassegnazione, non la serenità, men che meno la felicità. I loro zii erano stati meravigliosi, li avevano accolti in casa con molta più accondiscendenza di quanto non avessero mostrato per le marachelle dei figli, e si erano preoccupati di non fargli mancare niente; li avevano portati con sé in vacanza, li avevano vestiti con i migliori capi d’abbigliamento e avevano fornito loro un’istruzione magistrale, l’unico sbocco al dolore che sia Amelia che Fabio erano riusciti a trovare nel corso della loro vita successiva al momento della tragedia. Prendere la decisione di recarsi negli Stati Uniti, così lontano dalle loro radici, senza aver ricevuto l’approvazione del resto della famiglia, era stato un gesto azzardato e meschino, in particolar modo nei confronti di chi si era preso la briga di crescerli con lo stesso amore di una madre o un padre biologici. Non avevano informato nessuno sulla loro destinazione e la loro nonna era quasi morta di crepacuore, quando era venuta a sapere della loro sparizione; avevano rischiato di farle prendere un infarto anche qualche mese dopo l’arrivo negli USA, quando avevano telefonato per rassicurarli sulle loro condizioni di salute e renderli partecipi della loro nuova vita. La nonna aveva pianto tutto il tempo e la zia era sembrata così arrabbiata da far temere ad entrambi di essere stati degli incoscienti; ma il danno era stato fatto e nessuno dei due aveva minimamente pensato di tornare indietro. L’America aveva rappresentato per loro la possibilità di un nuovo inizio, il luogo ove nessuno conosceva la loro storia e avrebbero potuto essere tristi, spensierati, persino scapestrati senza dover rendere conto di nulla.
Ripensandoci, Amelia cercò lo sguardo del fratello e, sebbene la sua espressione non fosse minimamente mutata, seppe di essere stata capita.
«…Quindi, trattatela con tutti i riguardi dovuti ad una signora e accoglietela calorosamente. Senza esagerare, sia chiaro!»
Fu tutto quello che Amelia riuscì a sentire, prima che un discreto rumoreggio si levasse dai presenti in sua direzione, e la diffidenza nei loro volti apparve in maniera così lampante che non si stupì avessero fatto cilecca nei casi in questione: decifrare i loro comportamenti era semplice come togliere le caramelle ad un bambino, inducendolo in inganno.
»«Tesoro, vorresti dire qualche parolina ai tuoi colleghi, qualcosa che, magari, ho omesso per sbaglio?» continuò Fish – Era così che lo chiamavano tutti informalmente, parlando tra di loro! – con voce melodiosa, rivolgendosi direttamente a lei con voce suadente e sguardo di sfida. Voleva metterle pressione addosso, voleva rendersi conto di quanta verità ci fosse stata nelle parole del signor McIntosh quando gliel’aveva raccomandata come l’apprendista più promettente che avesse mai avuto. Allontanandosi dalla parete ed affiancandosi all’uomo, passò in rassegna i suoi colleghi con uno sguardo rapido; infine, tornò su Fish.
«Non c’è nulla che lei non abbia già detto che valga la pena sapere in questa sede…» tagliò corto e i suoi occhi furono così fermi e taglienti che l’altro non ebbe dubbi sulla tempra della giovane; aveva l’atteggiamento giusto, glielo riconosceva, ma ciò, di certo, non significava che fosse necessariamente tutta quell’eccellenza di cui gli avevano parlato. «Ora, so che avete poche cose tra le mani, o molte mal gestite, su un omicidio piuttosto cruento sulla Russell Street. Vorrei i dettagli!» proseguì e vide gli occhi del comandante dilatarsi e un sorriso increspargli le labbra.
«Caspita! Dritta al sodo, vedo. Mi piace, zucchero!» commentò e Amelia lo trovò più che inappropriato. Il suo sopracciglio s’inarcò quel tanto che bastava a sottolineare il suo scetticismo, rispetto alla confidenza che lui aveva cominciato ad usare, e il suo studio ne seguì le movenze finché non realizzò cosa stesse per insinuare, quando gli occhietti sospettosi di lui si posarono su uno dei suoi stessi uomini. Fabio.
«Qualunque insinuazione stia per fare, signor Fish, vorrei ricordarle che l’agente Sperelli non ha lasciato il comando di polizia da stamattina e che il caso risale proprio alle prime ore del giorno. Inoltre, non è l’unico episodio per cui sono stata chiamata!» gli fece notare e osservò l’espressione dell’altro aprirsi in manifesto compiacimento. Finché il ferro era caldo, Amelia decise di battere su di esso, dimostrando a Fish e ai presenti che non aveva intenzione di giocare, né di essere presa in giro. «Le sue reazioni mi lasciano perplessa, signore. Ha ricevuto le mie referenze ed è consapevole del fatto che io sia un investigatore privato oppure mi ha scambiata per la donna delle pulizie?» chiese, retorica e spiccia, e godette quando scorse i lineamenti dell’uomo indurirsi a testimonianza del fatto che non avesse gradito per niente la sua impudenza, non di fronte al resto del comando di polizia.
«Scott, accontenta la signorina Sperelli e forniscile i dettagli sul caso!»
L’agente, celere ed efficiente, avanzò verso di loro e le porse un plico, sul volto un’espressione a metà tra il serio ed il divertito. Ringraziandolo, Amelia lo prese e, senza indugiare ulteriormente, passò in rassegna foto ed informazioni per una manciata di minuti, finché un nome non attirò la sua attenzione e le sue labbra non si distesero nel sorriso più bello e furbo che i suoi colleghi avessero mai visto.
«Oh-Oh! Kevin Finnigan, vecchio briccone!» esclamò senza troppa enfasi ma abbastanza soddisfatta. Era un pesce che aveva abboccato più volte al suo amo e ricordava con piacere gli episodi in cui aveva avuto modo di beccarlo in una faccenda o in un’altra, senza avere il potere di agire materialmente. La pecca del suo mestiere era quella: poteva seguire piste, raccogliere notizie, interrogare e schedare, ma nulla che avesse a che vedere con l’azione. Le cose, da quel momento in poi, sarebbero state diverse! «Incensurato, cocco di mamma, vive ancora a casa dei suoi; l’ultima volta che ha avuto un approccio sessuale con un essere che avesse vagamente le sembianze di una donna, nel maneggio del padre di lei, si è beccato il calcio di un cavallo alla coscia: femore rotto, un mese e mezzo di inattività dalla vita in giù… E sai che guaio!» si lasciò scappare e una sommessa risata collettiva si alzò attorno a lei. «Non credo sia lui il vostro problema, non quello principale almeno. E’ ricco ma stupido, il che significa più facile da infinocchiare per una donna. E’ anche un uomo, però, e, sebbene ne conservi molto vagamente le sembianze, non ama essere scaricato. Non ha la fama di avere un buon carattere!» comunicò loro e, quando alzò lo sguardo su Fish, scorse per la prima volta un cipiglio interessato, genuinamente sorpreso ed attento. Aveva la tipica faccia da poliziotto e stava rimuginando sulle informazioni che lei gli aveva appena fornito.
«Quindi, pensi che sia il passaggio centrale ma non quello finale, giusto?»
«Esattamente. Non si macchierebbe mai di un reato simile: sua madre è una fervente cattolica e, se soltanto osasse sporcarsi le mani di sangue, non verrebbe soltanto sculacciato ma privato dell’intera eredità. La signora Finnigan sa essere molto dura, quando serve.» gli fece sapere e ricambiò appena il sorriso che l’altro le aveva rivolto, intimamente compiaciuta della fortuna avuta. Mai si sarebbe aspettata di poter dimostrare la propria bravura in tempi così brevi e mai si sarebbe aspettata di rincontrare Finnigan sulla sua strada. Sarebbe stato un ricongiungimento molto interessante.
«Ottimo. Adesso, zucchero, scegli un compagno con cui lavorare in squadra…» la invitò, indicando con un gesto ampio della mano i presenti e spingendola ad optare per la persona che si fosse dimostrata, a pelle, a lei più incline. «Tieni in conto che manca l’agente Thomas, ma non è un tipo facile con cui lavorare. Vuole fare tutto da solo e ha un gran caratteraccio. In compenso, è il migliore con cui abbia mai lavorato in anni di carriera.» la informò, ma per Amelia l’informazione fu meno che rilevante. Non le interessava lavorare con una persona egoista e piena di sé; voleva il gioco di squadra, voleva la complicità, voleva la fiducia. Dei segreti e delle mezze verità non avrebbe saputo che farsene, ma, soprattutto, non aveva intenzione di perdere tempo in stupidi giochetti.
Lentamente, il suo sguardo corse sui presenti e nulla la colpì in particolar modo, perché nessuno di loro le concesse l’accesso ai suoi pensieri o alle sue abilità; rimasero tutti impassibili e, salvo qualche osservazione d’apprezzamento verso di lei, non ebbe grandi elementi su cui basarsi. Fu sul punto di scegliere una persona a caso, quando, per puro errore, la sua attenzione si posò su un ragazzetto biondo, con grossi occhiali trasparenti e lo sguardo di chi avrebbe voluto molto di più dalla vita ma non sapeva come prenderselo. Doveva avere all’incirca un anno meno di lei.
«Quell’agente lì!» disse, indicandolo, e gli altri si voltarono in direzione della persona che, sgomenta, aveva alzato gli occhi in sua direzione, spalancando la bocca. Amelia gli rivolse un sorriso sicuro e ammiccò nei suoi confronti.
«Tesoro, non fai un buon affare, credimi. E’ pressoché un buono a nulla.» commentò Fish e la osservò con uno strano cipiglio, cercando di comprendere quale fossero i suoi piani.
«Sarà lui il mio compagno, signore. Ha una sua postazione, vero?» domandò e fu così pedante che il comandante provò l’impulso di metterla al suo posto.
«Ovviamente. E sarà anche la tua da domani!»
«Perfetto!» disse.
 
 
  
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