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Autore: Joannah Mary Grace    30/06/2012    1 recensioni
"Siamo un mucchietto d’ossa fin da sempre, capace solo di trascinarsi goffamente verso strade già asfaltate, posti già resettati. Vi definiscono cittadini medi. Io li definisco cittadini a metà. Quello che hanno è solo la carne, già bella che pronta dalla nascita. Mancano la sete per la vita e la fame di speranza."
Genere: Avventura, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cronaca di una morta in attesa-
 

Qui dove abito io abitano anche i miei sogni.
Tutti i giorni li vedo nascere ed evolversi e io mi arrendo. Sembrano fragili, ma vogliono cambiare il mondo. Sapete che altro c’è? Io non potrei sognare. Io non dormo. Sono morta. Morta secoli fa.
Ieri sono andata al parco e pioveva. Mi ricordo quanto era piacevole e dolce sentire la pioggia segnare la pelle candida e viva. Ma ieri non c’era nessuno. Nessuno da osservare mentre riordina sconvolto i suoi rimorsi selezionando gli episodi sconnessi, stringendo la testa pesante tra le mani e mentre si auto conforta,  sussurra ‘domani non andrà peggio di così’ .
Parlavo dei miei sogni. Non so per quale misterioso motivo, ma sono sempre qui. Riecheggiano volteggiando incuranti della carne marcia che si trascinano flaccidamente. Sì, non sono più attraente. A dire la verità non lo sono mai stata però ero curiosa. Una fotografa. Pezzetti di eternità che ho perso tra cassetti stracolmi e armadi senza ante.
Sognavo di girare il mondo, di calpestare ogni singolo angolino di questo strano pianeta.
Ormai posso. Ho visto tutto. Le cascate ghiacciate che dipingono l’equatore ardente, le caverne tetre nascoste sotto le montagne più maestose, i papaveri timidi e innamorati distesi su chilometri e chilometri di paesaggi incantati.
Eppure i sogni sono cambiati, si sono trasformati improvvisamente e mi hanno inchiodato a questa terra.
No, la gente non lo sa. La gente non sa niente.
E’ la prima cosa che devi ammettere a te stessa quando muori. Cammini tra di loro senza essere sfiorata, senza essere neanche immaginata e invece tu immagini tutto. Ogni particolare. Vedi le loro bocche schiudersi continuamente. Inutilmente. Se potessi piangere.. Soffro, soffro perché sono tutti così bambini, così piccoli e indifesi per sopravvivere in questa sfera massiccia di sabbia e dolore. Dovrebbero passare anni a costruire una sorta di navicella spaziale per scappare su un altro pianeta, magari un paradiso che noi abbiamo perso inconsciamente. E ricominciare. Senza case, senza mari, senza cielo, senza convenzioni ed esperienze. Tutto nuovo e mai toccato.
Questa mattina ho un nuovo sogno. L’ha partorito la pioggerella di ieri sera. Lo ammiro scaturire tra due nuvole dorate, così forte e orgoglioso, e lo esorto con un sorriso rassegnato a mostrarsi incolume come i suoi mille e mille predecessori.
Libertà. Dice di chiamarsi libertà.
E che voce armoniosa ha.. Uno dei sogni più sensuali e attraenti di sempre. Mi prende al mano e, mostrandosi sicuro, mi trasporta lassù, sulle nuvole imbevute di tristi ricordi e sull’azzurro invecchiato di questo cielo sbagliato. Insieme danziamo, lasciamo vibrare leggere le nostre mani vuote. E poi tutto scompare, le nuvole si asciugano, il cielo si raccoglie in un lutto disarmante, ogni cosa è nera. Ogni cosa è buia. Silenzio. Il sogno mi lascia precipitare verso il vuoto.
Dove sono? Sento perfino piangere qualcuno. Potessi sentire almeno il mio cuore battere freneticamente.. Il sole dov’è? Dov’è il mio sogno? E’mio, perché se ne è andato?
Aspetto. Posso aspettare l’eterno. Anche la terra si è fermata e insieme aspettiamo.
Libertà! Lascio che la mia voce risuoni nel nulla e dai miei occhi spenti si sprigiona una luce intensa, calorosa e spaventosamente immensa. E in un lampo si illumina il cammino.
Abbasso lo sguardo e magicamente si snodano sentieri incolti, selvaggi. Volano aquile fiere. Sono tante, troppe. Ma non si scontrano. Alcune si scambiano del cibo, altre offrono nascondigli in cambio di un po’ di compagnia. Immacolato. Così libero. Ed ecco che torna saccente il mio sogno ribelle, torna seguito dal vento paonazzo, dalla musica ammaliante e da centinaia di libri ingombranti, impolverati ma affascinanti e prudenti.

Torna un’altra mattina, torna il sole a scaldare gli sguardi annoiati. Quando muori non riesci a sorprenderti come una volta. Il tempo te lo senti passare attraverso e sai che ti ha dimenticato. Così come le persone scordano irrimediabilmente i sorrisi e i ‘grazie tante’ degli estranei, senza ricordare i loro visi imbarazzati, le loro mani sudaticce nascoste nelle tasche di jeans consumati e rattoppati miseramente.
Siamo diventati vigliaccamente poveri. Poveri di emozioni, di abbracci, di baci, di attimi sinceri.
L’ho notato subito, quando la gente iniziò a non cogliermi più.
In verità, io sono il cagnolino che scodinzola al padrone mortificato, sono il caffè con cui si ci scotta la mattina, il profumo del pane caldo che invade la piazza quando si torna dal lavoro. E voi non mi vedete.
Ormai la mia pelle è nera come al pece. Anche i miei occhi, i miei capelli. Sono un’ottima cena per i vermi, insomma. Però sono qui che vi parlo argutamente, con le parole di chi ha perso il senno giù per una montagna e lo ha ritrovato striminzito che galleggiava sul laghetto fresco.
Queste strade stanno perdendo il colore. Stanno perdendo troppi perché. E le sento gridare, litigare con i passanti per la loro ansia e per il loro pazzo frenetismo. Le stanno abbandonando. E loro lo sanno.
Mi fermo davanti a una scuola elementare, così imbranata e divertente nella sua presenza. Una volta sognavo di diventare maestra. Poi qualcosa andò storto.
Però non è della mia vita che voglio parlarvi, non è del passato di respiri e colpi al cuore che voglio rendervi partecipi, ma del mio presente. Questi strani attimi che mi si accavallano sulle spalle forate.
Ciao, farfalla. Anche tu vittima di un giorno qualunque? Oh, per te sono così sacri i giorni, le ore, i secondi. Che vita di stenti, a mala pena vissuta da un piccolo bruchino malmesso e solitario.. Infondo la nostra vita, ormai la vostra, non ha nient’altro di diverso. Ma quante delusioni, quanti dolori e tragedie può davvero sopportare un umile uomo prima di poter spiccare il volo? La chiamano pazienza, la chiamano voglia di vivere. No. Non è forza, non è orgoglio. Quello che forse ci fa dire ‘andrà meglio’ l’ennesima volta è la paura. Abbiamo paura di darci per vinti, siamo terrorizzati all’idea di perderci. Siamo un mucchietto d’ossa fin da sempre, capace solo di trascinarsi goffamente verso strade già asfaltate, posti già resettati. Vi definiscono cittadini medi. Io li definisco cittadini a metà. Quello che hanno è solo la carne, già bella che pronta dalla nascita. Mancano la sete per la vita e la fame di speranza.
La notte è così bella quando non hai nessuno. Solo la Luna ti osserva intimidita, con la sua fragile dolcezza nel fare capolino tra le nuvole grigiastre. 
‘Buonasera anche a te, Luna’ pare una voce così spenta e malinconica.
Mi volto come chi sa già cosa aspettarsi, e il mio sguardo già trabocca di pena e misericordia. E’ un ragazzo magrolino, dagli occhi spenti e le braccia incrociate sul petto. Solo la sua pelle corre il rischio di spezzare questa nostalgica visione, brillando più bianca che mai, grazie ai raggi gentilmente donati da una Luna che soave, ne ricambia il saluto.
 Mi siedo lentamente sulla panchina e rassegnata, alzo gli occhi al cielo mentre sento, un'altra volta, le ossa del bacino sbriciolarsi ancora un po’. Mi avvicino al ragazzino, sicuramente non avrà più di vent’anni.
‘Pare che anche tu non te la stia passando bene, eh!’  Mi dice. Sento una piccola risata, quasi fantasma. Poi chiude gli occhi e lascia che la pioggerella estiva gli solchi il viso già segnato da mille tormenti.
‘Pare anche a me..’ Mi stringo nelle spalle.
Qualcosa non quadra, penso.


 


Ciaoo! E' da un po' che avevo questa idea.. che ne pensate?
 -Gra

   
 
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