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Autore: Bob_Ombadil    30/06/2012    2 recensioni
"Bello, non te ne puoi andare dal castello se non hai trovato quello che stai cercando. Mi dispiace per te se credi che stai cercando solo un modo per andartene, perché è il modo migliore per non uscire mai più di qui"
Liberamente (e incontrollabilmente) ispirato e influenzato da una miriade di opere diverse tra cui: la storia tra Beecher e Keller, Ico, Le bizzarre avventure di JoJo insieme a Persona 3, Ristar... divertitevi voi a trovare le altre :-P
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il bosco era fitto, la notte buia come i più remoti anfratti di una caverna, quando il viandante arrivò davanti al castello. Era una costruzione imponente, che incuteva soggezione, ma quel tipo di soggezione in cui si è portati a cercare rifugio.
Il pesante portone si aprì lentamente, ma in modo stranamente docile, rivelando al viandante una grande sala illuminata dalla luce arancione delle torce. Davanti a lui si trovava un bancone al quale era seduto un giovane. Davanti a sé aveva un grande libro aperto, e a fianco un mazzo di carte. Il viandante strinse a sé la grande borsa che portava a tracolla e si avvicinò.
Il giovane gli rivolse cordialmente la parola: - Sei in ritardo, ti ho aspettato a lungo... Puoi firmare il registro degli ospiti per favore? -
Il viandante prese la penna ma restò interdetto. Quale era il suo nome? Si accorse all'improvviso che non lo ricordava.
- Forse le carte possono esserti di aiuto? - il giovane gli porse il mazzo.
Il viandante pescò una carta titubante.
- Il carro, eh? - disse il giovane, mentre era l'altro a guardare la carta - non si può sfuggire al proprio destino, eppure anche noi ne facciamo parte... anche se ognuno di noi ne è solo una piccola parte... Guarda il retro della carta -
- Alex? -
- Ora puoi firmare il registro credo...-
Il viandante si chinò sul registro con la penna in mano. Mentre scribacchiava la sua firma, sentì il ragazzo proclamare come una semplice constatazione: - Tutto inizia da qui... -
E così dicendo, fece un passo indietro e sparì nell'ombra.
 
Poco distante dal bancone si apriva un corridoio che si addentrava nei meandri della costruzione. Incerto su cosa aspettarsi, desideroso solo di trovare un posto in cui riposare e ritrovare le energie, Alex si incamminò in quella direzione. Il corridoio era illuminato più fiocamente della sala all'entrata, e le stanze che si aprivano su di esso erano tutte spoglie e deserte. Non c'era modo di capire quale ne fosse la funzione, anche se in ognuna c'era in qualche modo un giaciglio su cui si poteva riposare. Rendendosi conto che il proprio girovagare era senza meta, e vista la stanchezza del viaggio, Alex decise infine di approfittare di uno di quei letti improvvisati. Si sdraiò, strinse a sé la sua borsa e chiuse gli occhi senza pensare a nulla. Dopo quello che gli parve un istante, però, un violento strattone lo svegliò. Si accorse che nel momento stesso in cui si svegliava, qualcuno lo stava immobilizzando da dietro e gli tappava la bocca. Sentì la testa dell'avversario avvicinarsi al suo orecchio, e il terrore gli esplose nel petto facendogli desiderare solo di vomitare tutto quello che poteva. Quando lo straniero iniziò a parlare era già completamente sveglio, ma ciò che gli disse gli fece sembrare di essersi svegliato una seconda volta, come una secchiata di acqua ghiacciata: - Dammi la borsa che porti -
La paura si era trasformata in panico, ed era come se panico e ardimento si alimentassero a vicenda in una spirale senza fine. Iniziò a divincolarsi con tutte le proprie forze senza pensare che era inutile, cercando solo un modo per fare del male all'altro. L'aggressore però era troppo forte, e quando gli ruppe il braccio destro Alex si sentì mancare il fiato. Si accasciò al fianco del letto con la vista che gli si annebbiava, mentre vedeva la sagoma del nemico avvicinarsi alla borsa. Tentò di stringerla a sé col braccio sinistro, e voltò la faccia per lo sforzo. Lo sguardo gli cadde su un oggetto che giaceva al suolo in un angolo. Tentò di metterlo a fuoco, e gli sembrava proprio un pugnale, nero come l'ebano. Ma era troppo distante per raggiungerlo. Era come se il tempo fosse dilatato, sentiva la borsa pesare sul fianco e il suo avversario si stava ancora chinando per portatrgliela via. Lanciò letteralmente verso il pugnale il braccio sano, che si allungò in maniera bizzarra, raggiunse l'obiettivo e tornò indietro come fosse un elastico. E un istante dopo il pugnale era affondato nel petto dell'uomo che lo aveva aggredito. Lo vide barcollare e perdere i sensi, e si rese conto che la stessa cosa stava accadendo a lui. Mentre perdeva conoscenza il suo ultimo pensiero fu lasciare andare il pugnale e tornare a stringere a sé la borsa.
 
Tutto intorno a lui era buio, silenzio e vuoto, ma lentamente nei suoi sensi cominciava ad affacciarsi una sensazione di fresco tepore, di calme acque curative, di limpidi riflessi verdi e azzurri. Pian piano aprì gli occhi, e gli sembrò di vedere nell'ambiente intorno a sé l'espressione di quella sensazione tonificante, come se invece che essersi svegliato fossero semplicemente le sensazioni di un attimo prima ad essersi fatte concrete. Davanti a lui quella che sembrava una piccola fata dall'aria sbarazzina lo guardava allegra.
- Come ti senti? -
Alex si tirò su appoggiandosi sui gomiti: - Dove sono? -
- Questa è la sala dei folletti della sorgente. Portiamo qui le persone che arrivano al castello e subiscono degli incidenti. Sai, per curarle -
- Vuoi dire che sei una fata? -
L'esserino sembrò spazientito: - no, te l'ho detto, noi siamo folletti! La gente continua a fare confusione, è una cosa seccante... -
- E curate la gente... - Solo in quel momento Alex si accorse che si stava appoggiando anche sul braccio che avrebbe dovuto essere rotto
- Sì, e la prima volta lo facciamo gratuitamente. Ma se torni di nuovo e hai bisogno di nuovo di noi, allora no, non lo facciamo mica più gratis... - fece lei con un tono canzonatorio
- Hey ma io non ho niente con me... -
- Non ci sono mica solo i soldi al mondo, sai... - sembrava si divertisse a prenderlo in giro, restando evasiva
- E quale sarebbe allora, questo prezzo? -
- Ah, questa è una cosa che non sei tenuto a sapere, vero? - gli rivolse uno sguardo che poteva voler essere un occhiolino così come una linguaccia e volò via.
- Aspetta... - guardandosi intorno Alex notò che c'erano altri folletti come lei che svolazzavano per la stanza, a quanto pare senza grosse occupazioni. Evidentemente non avevano molte persone da curare in quel momento. In effetti c'era solo un altro uomo, un pò più in là, che stava lì seduto come lui, e anzi a dire il vero sembrava guardarlo con aria strafottente. Alex stava per distogliere lo sguardo imbarazzato, quando si accorse che l'uomo aveva una cicatrice sul petto più o meno dove doveva aver colpito lui il suo aggressore. Invece di distogliere lo sguardo cominciò ad osservarlo impaurito, senza sapere assolutamente cosa fare, a parte stringere la sua borsa al fianco. L'uomo sembrava sapere benissimo cosa gli passava per la testa, e sembrava provarci gusto. Mentre si infilava la camicia si diresse verso di lui: - hai intenzione di metterci le radici? - lo canzonò, per poi passare oltre, verso il corridoio di pietra che sembrava l'unica via d'uscita.
Quando si fu allontanato Alex sentì come un nodo sciogliersi in gola, e gradualmente tutto il corpo che si rilassava, ma rimase parecchio lì seduto, indeciso sul da farsi. Grattava nervosamente la stoffa della borsa, e non sapeva decidersi ad alzarsi. Non voleva bazzicare per i meandri del castello in compagnia del suo aggressore, e ancora meno voleva dare l'impressione di seguirlo, ma la strada sembrava essere una sola, e alla fine si alzò e si incamminò verso il corridoio, mentre quei folletti che sembravano fate svolazzavano dietro di lui allegri e indifferenti.
 
Se Alex aveva sperato di aver messo abbastanza strada tra sé e il rivale (o per meglio dire, aver dato il tempo al rivale di farlo al posto suo), ebbe una sorpresa alquanto sgradevole appena uscito dal corridoio. L'uomo infatti era là, a quanto pare intento ad esaminare la porta di pesante metallo color ruggine all'altro capo della stanza, che evidentemente non si apriva tanto facilmente. Alex pensò bene di non avvicinarsi, né informarsi dei progressi dell'altro.
L'uomo iniziò a passare l'indice su tutto il perimetro della porta, ci sbatté un pugno e poi un calcio: - Non è che mi offendo se anche tu dai il tuo contributo, eh... -
- Fottiti -
L'uomo si raddrizzò un attimo - Senti, non ce l'ho con te, ok? Mi dispiace di averti preso di mira. Mi è solo stato proposto uno scambio -
Silenzio.
- Non ho intenzione di riprovarci -
Ancora silenzio.
- Ok, come vuoi. Ce ne staremo qui buoni a guardarci in silenzio, magari ad aspettare che ci venga abbastanza fame per fare qualche cazzata - e così dicendo si voltò verso il centro della stanza e si sedette appoggiandosi al metallo della porta con la schiena. Alex si guardò intorno. L'unica cosa nella sala a parte loro due era un tavolo di mattoni che sembrava un tutt'uno col pavimento e le pareti. All'improvviso cominciò a sospettare di avere una dolce, dolcissima possibilità di umiliare quel pallone gonfiato, senza nemmeno rischiare nulla. Lo squadrò un attimo, doveva essere più grande di lui di diversi anni, o comunque gli dava l'idea di una persona poco ferrata in cose di quel tipo. E vista la naturalezza di quello che voleva tentare non avrebbe fatto una brutta figura se la cosa non avesse funzionato. Così si avvicinò al tavolo e ci si sedette sopra con un'espressione candida in volto. L'uomo saltò su appena sentì grattare sulla schiena con un'espressione sbigottita stampata in volto: - Non ci credo! Sì! - la porta scorreva verso l'alto in maniera non troppo veloce. Si voltò verso Alex e dovette interpretare nella maniera corretta la maligna soddisfazione del sorriso che gli si allargava in faccia mentre lo fissava, perché disse: - Ok, visto il clima di scarsa cortesia diciamo che hai avuto un culo pazzesco... - e si voltò nuovamente verso la porta allegramente. Questa però si era aperta abbastanza da mostrare che le luci oltre la curva del corridoio tremolavano troppo, da far arrivare fin lì gli inequivocabili tonfi ritmici di passi. Di lì a poco, forse qualche istante,  si sarebbero stagliate delle ombre sul muro di fronte.
- Via di lì! - Dopo un istante di esitazione l'uomo scappò via dalla porta. Anche Alex si ritrovò con la mente del tutto sgombra della tronfia soddisfazione assaporata e decise di seguire immediatamente il consiglio: quando l'altro gli passò accanto e lo esortò di nuovo fu solo un pro froma, un paio di istanti dopo erano entrambi nascosti nel corridoio che portava alla sala della sorgente. Quando sentirono il grattare della porta che scorreva verso l'alto per la seconda volta, si affacciarono quel tanto che bastava per dare un'occhiata.
Nella stanza entrarono quattro individui completamente coperti da tonache rudimentali e bizzarre maschere, che trasportavano un quinto uomo, saldamente legato e apparentemente privo di vita. Poco dopo il loro ingresso la porta si richiuse scivolando pesantemente attraverso le fessure, ma si riaprì quando i quattro monaci appoggiarono la loro vittima sul tavolo, per poi andarsene da dove erano venuti, lasciando dietro di sé il poveraccio privo di sensi.
- Guarda lassù - Alex alzò lo sguardo: oltre alla porta che conduceva fuori, si era aperta una seconda via, una botola sul soffitto proprio sopra il tavolo, da cui cominciavano a giungere sordi raspii, accompagnati dalla caduta di piccoli sbuffi di polvere. All'improvviso non era sicuro di voler guardare oltre. Poco dopo dalla botola spuntò la massa terrificante di un ragno mostruoso.
Lungo poco meno di due uomini e grosso in proporzione, dal bizzarro colore di un azzurro chiarissimo, quasi bianco, si era ormai calato completamente sul malcapitato e lo aveva stretto saldamente con le sue chele. Alex non riuscì a chiudere gli occhi né a voltarsi, non poté fare altro che assistere al terrificante spettacolo della creatura mostruosa che trascinava lentamente e meccanicamente la sua vittima all'interno della botola dalla quale era uscita. L'unico rumore era quello del basso raspare delle zampe, e in quel silenzio c'era come qualcosa di orrendo.
- Dio santo -
Se non altro si senti rincuorato di avvertire che il tono dell'uomo di fianco a lui era decisamente sgomento.
L'incubo finì con lo schianto della porta che si richiudeva, che lo fece sussultare
- Hai visto? -
A Alex non veniva in mente niente di intelligente da dire... forse l'unica cosa sarebbe stata "cazzo sono vivo", ma l'uomo insistette: - Allora, hai visto come funziona? -
- Cosa, come funziona cosa? -
- La porta! I monaci portano qui le vittime, e il peso sul tavolo è l'unico modo di tenere la porta aperta da qui. Così loro hanno tutto il tempo di andarsene. Ma quando il ragno cattura la vittima e ritorna nella sua tana, la porta si richiude -
Alex cominciava di nuovo ad aver paura. Si accasciò al suolo guardando l'uomo. Pensava di sapere dove sarebbe andato a parare. E si sentiva un deficiente per aver iniziato a vederlo un pò meno minaccioso. Era un pazzo fottuto.
- Cazzo non volevo essere io a dirlo... speravo in un pò di collaborazione, ma ci vuole qualcuno che si sieda su quel tavolo -
Alex inghiottì della saliva che sembrava una grossa e ruvida palla di cotone.
- E anche se la porta non si chiude di scatto, secondo me non da il tempo di scappare alla persona che si è seduta, ma per te non ci dovrebbero essere problemi, no? -
A sentire queste parole pronunciate con tanta calma, Alex fu preso da un crollo di nervi. Grosse lacrime iniziarono a rigargli le guance, ma l'uomo sembrava sorpreso e - possibile? - dispiaciuto:
- Aspetta ma cos'hai capito... cazzo e ti sentivi tanto figo solo perché hai aperto la porta... se ti metti tu sul tavolo possiamo scappare entrambi, non ci hai pensato? -
- Come facciamo a scappare entrambi, cosa cambia riguardo a chi si siede? Uno dei due si becca il ragno, e non ho proprio intenzione di essere io. Con le mie gambe non ci vado -
- Cambia che io ti reggo senza problemi, ma non credo proprio che tu possa reggere me. Basta che rifai quello che hai fatto quando... insomma, allungare le braccia, io ti afferro, e ho visto come scattano, in un istante siamo fuori tutti e due -
- Quello che ho fatto... ma non lo so cosa ho fatto! Ho solo raccolto da terra un coltello! -
- Un coltello che sarà stato a quasi tre metri di distanza -
- Ma non so come ho fatto! Non era mai successo! Non è una cosa che so fare! -
- Allora dovrai imparare, e prima lo fai meglio è -
Alex si guardò le mani incredulo. Tentò di immaginare un pericolo, e di aver bisogno di allungarle per salvarsi, ma non successe niente. Provò a stendere le braccia varie volte bruscamente, e infine lo prese lo sconforto: - Non ci riesco, non ci riesco, non so come ho fatto -
l'uomo diede un pugno al muro, vicinissimo alla sua testa. Era tornato minaccioso come al loro primo incontro, quando ancora non lo aveva visto in faccia. Nei suoi occhi brillava una luce gelida: - Sarà meglio che ci metti più impegno. E visto che non so come funziona la cosa, c'è solo un modo per incentivarti abbastanza - lo afferrò per la maglia - capisci cosa intendo? -
Terrorizzato, Alex poggiò la mano sulla borsa, che era scivolata a pochi centimetri dal suo fianco, e la strinse a sé. L'uomo la guardò: - Già, la borsa... a cosa tieni di più? Alla tua salute? O a quella? -
Alex la sentiva poggiata sul fianco, e le sue braccia all'improvviso si proiettarono ad allontanare l'uomo che lo sovrastava. Questi rialzandosi scoppiò in una risata, mentre Alex guardava le sue mani tornate in un istante al loro posto: - Sì, cazzo sì... fallo ancora -
Stavolta non ci fu bisogno di immaginare un pericolo, le braccia si allungavano come lui desiderava senza sforzi. Dopo varie prove l'uomo decise che era un piano abbastanza sicuro: - A me sta bene, tu ti senti pronto? -
- Entusiasta sicuramente no -
- Senti, hai sentito cosa hanno detto le fate nell'altra sala. Se abusi di loro pretendono un prezzo, e io non penso che stabilirsi nel loro territorio del castello sia considerato meno di un abuso... vuoi davvero arrivare a scoprire qual è il prezzo che pretendono? -
Alex strinse la borsa a sé... qual era il prezzo? Ciò che hai di più caro? sollevò la mano dalla borsa e si massaggiò il collo... Qualche anno di vita?
- Va bene. Ma sei un fottuto maniaco. E non mi fido di te -
- Sta bene -
 
Alex si diresse verso il tavolo di mattoni con il cuore che gli batteva all'impazzata. Si sedette su uno dei lati più corti per essere più vicino all'uscita, e mise la borsa dietro di sé per non farla penzolare. La porta si stava aprendo e l'uomo era lì davanti in attesa di poter passare. Era la sua immaginazione, o cominciavano davvero a cadere piccoli sbuffi di polvere sopra la sua testa? Ormai era questione di pochi istanti, ed ecco che quello che suo malgrado stava diventando il compagno, per quanto indesiderato, di quelle avventure allungava il piede oltre la soglia. Per un terribile istante Alex fu certo che se ne sarebbe semplicemente andato, e invece eccolo che si voltava, e aspettava di afferrargli le braccia. Ma quelle non si allungavano. L'uomo oltre la porta lo stava incitando, prima con impazienza, poi quasi con rabbia, ma le braccia erano solo normalissime braccia. Alex si sentì invadere dal panico, finché un particolare non gli esplose nella mente all'improvviso, proprio mentre l'uomo imprecando stava per tornare dentro la stanza, verso di lui! La borsa ora era appoggiata sui mattoni dietro di lui, ma non la stava davvero toccando. E si rese conto che era quella l'unica differenza che aveva distinto le volte che l'impresa era riuscita da quelle in cui aveva fallito. La prese di scatto e se la portò sulle gambe, per poi lanciare immediatamente le sue braccia verso il compagno, che lo afferrò proprio sulla soglia e si buttò all'indietro trascinandolo con sé.
- Tutto a posto? - chiese rialzandosi. Alex era finito un paio di metri più in là e non riuscì a dire altro che uno stentato sì, ma la voce gli tremava un pò.
- Bene, allora... -
I due non parlarono più molto in seguito alla fuga dal ragno. Alex si limitava a seguire l'altro che ormai faceva da silenziosa, involontaria e, aveva l'impressione, seccata guida, mentre percorrevano corridoi, scalinate e ampi saloni, tutti irrimediabilmente vuoti e deserti. Finché ad un certo punto l'uomo disse, senza voltarsi e continuando a camminare: - Vedo che non ti sto più sulle balle come prima... -
- Come? -
- Continui a starmi appiccicato, non credo che tu lo faccia controvoglia, visto che non sono io che te l'ho chiesto -
- A quanto ho capito questo è uno di quei posti in cui è meglio essere in due anziché da soli... se per te non è un problema... -
- Solo mi chiedo come pensi di trovare quello che stai cercando se continui a venire dietro a me e basta. Al massimo potrai trovare quello che cerco io -
- Pensavo che cercassimo la stessa cosa a dire il vero -
- Davvero? Non credo proprio -
- Vuoi dire che non stai cercando un modo per andartene? -
L'uomo si voltò e aveva il volto serio: - Bello, non te ne puoi andare dal castello se non hai trovato quello che stai cercando. Mi dispiace per te se credi che stai cercando solo un modo per andartene, perché è il modo migliore per non uscire mai più di qui -
- E tu allora cos'è che cerchi? -
- Cerco qualcosa che ho perso, e che voglio ritrovare -
 
Per un pò di tempo i due proseguirono in questo modo, attraversando corridoi ora bui, ora illuminati dalla tetra luce delle torce, e setacciando enormi sale in cui Alex non aveva idea di cosa cercasse il compagno. Di tanto in tanto si concedevano un pò di riposo in qualche stanza che sembrava essere più sicura delle altre, e dopo un pò Alex iniziò a non avere nemmeno più paura ad abbassare la guardia e abbandonarsi al sonno pur sapendo che l'altro era nella stanza con lui. Ogni tanto facevano l'incontro di ospiti del castello che risultavano più che altro un fastidio, come pipistrelli o grosse lucertole, ma nulla che rappresentasse un pericolo. Dei monaci sembrava non ci fosse più nemmeno l'ombra, come se si fossero addentrati in un'area abbandonata per qualche motivo. Alex cominciava a sospettare che dopo tutto quel tempo senza nessuno spavento né aggressione, il motivo per cui continuava a seguire quell'uomo stesse diventando più la paura della solitudine piuttosto che quella di trovarsi in pericolo. Però non disse nulla, continuavano quella che per lui restava solo esplorazione e solo ogni tanto provava a chiedersi se quello che gli aveva detto la sua guida fosse vero, e se lo era, cosa stesse cercando lui lì.
 
La calma quasi sonnolenta che aveva iniziato a dominare Alex durante quelle peregrinazioni fu però spazzata via all'improvviso da un nuovo pericolo che piombò su di loro senza alcun preavviso.
Stavano percorrendo un corridoio in cui a intervalli regolari erano esposte armi come spade e mazze, quando un grido penetrante li devastò come un trapano brutalmente spinto nel cranio. Prima che l'eco svanisse dalle loro orecchie, Alex si sentì scaraventare a terra, e subito dopo si sentì afferrare per la spalla, e il suono della tracolla che veniva strappata. Tentò subito di rialzarsi, e vide l'uomo che fino ad allora aveva guidato quelle esplorazioni che si scagliava su un grottesco incrocio fra un orco e un pesce. Quella specie di tritone gigante doveva però essere troppo forte anche per lui. I pugni sembravano non avere effetto, e presto il mostro stringeva fra gli artigli il collo dell'uomo, sollevandolo da terra. L'uomo tentava di calciare, mentre con le mani stringeva le braccia che lo afferravano, ma non sembrava in grado di liberarsi. A Alex venne in mente una cosa sola, le armi che si trovavano disseminate lungo il corridoio. Corse verso la spada più vicina mentre gli occhi della vittima del pesce mostruoso roteavano verso l'alto e la calò con tutte le sue forze sul collo della creatura, con l'intento di decapitarlo. La spada però si fermò quasi subito, doveva aver scalfitto solo di poco la carne sotto le squame, dove poi era rimasta incastrata. Alex mollò la presa e cadde a terra, ma anche il gigantesco pesce, forse anche solo per la sorpresa, aveva allentato la presa, consentendo alla sua preda di liberarsi. E la sua preda afferrò subito la spada che era piantata sul suo collo, la sollevò, e la affondò di punta nella bocca da rospo del mostro con tutta la forza che aveva. Mentre il pesce esalava i suoi ultimi rantoli steso a terra, l'uomo si chinò a riprendere fiato, guardando Alex che nel frattempo raccoglieva la sua borsa e la tracolla strappata.
 
Appena trovarono una stanza che sembrava sufficientemente appartata e sicura, i due decisero di fermarsi a riposare. Alex si sedette a guardare lo strappo nella stoffa, sconsolato. Poi aprì la borsa, improvvisamente preoccupato per il contenuto. Vi infilò una mano per controllare che tutto fosse a posto, e sentì tra le dita un piccolo corpo estraneo. Lo tirò fuori e si rese conto di stare stringendo in mano un ago e un filo. Così prese i due lembi della tracolla e iniziò a ricucirli insieme, alla meno peggio per quello che sapeva fare. Intanto sentiva su di sé lo sguardo del compagno, ma non aveva voglia di chiedersi in che modo lo stesse guardando.
- Perché lo hai fatto? - sentì chiedersi all'improvviso.
- Che cosa? -
- Perché non sei scappato? Saresti potuto scappare -
-Tu sei rimasto, alla tana del ragno. Anche tu saresti potuto scappare -
- Ah, quindi è per questo -
Alex annuì in silenzio, con la borsa, l'ago e il filo tra le mani.
Improvvisamente vide comparire davanti alla faccia la mano destra dell'uomo.
- Io mi chiamo Mastino -
- È il nome del registro immagino - chiese, stringendo la mano nella sua
- Perché, ci sono nomi che non sono nel registro? - replicò Mastino con un sorriso
- Io sono Alex -
- Tutto considerato non ce la caviamo poi così male, no? -
E tornò ad accomodarsi in un angolo con fare sornione.
 
Nei giorni seguenti, se si potevano distinguere i giorni, in quelle che apparivano in tutto e per tutto delle segrete, e in quei rari casi in cui c'erano delle finestre queste avevano vetri tanto spessi che intrappolavano quasi tutta la luce, i vagabondaggi dei due non portarono grossi risultati, ma pareva che l'idea di Mastino fosse che è più facile che succeda qualcosa se ci si muove piuttosto che se si rimane nello stesso posto. Ed era evidente che desiderava che succedesse qualcosa con tutto sé stesso. Quando invece si trovavano in posti in cui riposare Alex si ritrovava a fissare ogni tanto il compagno, con la mente invasa da ronzii confusi che non riusciva ad afferrare, e poi distoglieva lo sguardo e si sentiva come se volesse acchiappare qualche strana idea che gli sfuggiva dalla testa come fumo. Guardava la sua borsa e si chiedeva perché fosse così tanto tempo che non la apriva più, ma tutto quello che voleva era sentirla lì, fra le mani, sentirne il peso sul fianco.
Un giorno chiese, così, quasi senza pensare: - Il tuo nome... non mi hai detto se l'hai scritto subito... -
- Vuoi sapere se anche a me è servita una carta... ok, ora lo sai, anche a me è servita una carta - replicò Mastino con lo sguardo verso il soffitto.
- Io ho preso il carro -
- Eh, io invece ho preso la ruota della fortuna -
- Chissà che vogliono dire -
- Chissà, magari mi sarà anche capitato di leggerlo... ma sono quelle cose che anche se le leggi poi mica te le ricordi... -
E poi dopo un istante di silenzio: - Chissà che ore sono... te le ricordi le ore? Le date? Cazzo da quanto è che sono qui dentro non lo so nemmeno più -
- Sono le tre e trentaquattro -
- Cosa? Non dire cazzate... -
- No, no, è vero, aspetta... ancora un attimo... sono le tre e trentacinque... -
- Mi prendi per il culo? -
- No! È la borsa! È sempre la borsa... io la tocco e allungo le braccia, trovo oggetti che mi servono, e so esattamente dov'è il sole, e in rapporto alla terra. Se chiudo gli occhi mi sembra di vederlo anche sepolto qui dentro... -
 
Il tempo passava, e ormai anche Mastino cominciava a dare segni di insofferenza. Alex si chiese se era la prima volta, o se lui era stato un diversivo che lo aveva distratto per un pò e risollevato dallo sconforto di una ricerca vana. Magari era un ciclo che si era già ripetuto chissà quante volte, trovare qualcosa che lo distraesse, che costituisse un divertimento per un pò, e poi ricadere in preda della propria ossessione, senza riuscire a raggiungere lo scopo. Non aveva idea di quanto fosse il tempo che il compagno aveva trascorso nel castello. Poteva essere arrivato un giorno solo prima di lui, così come anni. Era sdraiato con questi dubbi che gli mulinavano in testa svogliatamente, e fissava Mastino, seduto a guardarsi le mani appoggiate su un rozzo tavolo, senza nemmeno rendersene conto. Finché ad un certo punto sentì la sua voce sferzare l'aria come una frusta: - Che hai da guardare? -
Alex si voltò immediatamente dall'altra parte, incapace di distinguere lo spavento dall'imbarazzo, mormorando - niente -
Dopo qualche secondo però si rese conto che il compagno era lì vicino a lui, e del tono brusco non c'era più traccia
- Hey... -
Mastino gli aveva appoggiato una mano sulla spalla e lo guardava con un sorriso triste
- Sapessi quanto tempo è che non... che io non... -
E in un attimo era chino su di lui, e lo baciava con trasporto e passione.
E per Alex era come se in un istante si fosse concentrato tutto il terrore del mondo per poi essere spazzato via da un'onda vigorosa e potente ma anche dolce ed euforica. Cinse la sua schiena con le braccia. Qualche istante dopo si stavano togliendo i vestiti, resi goffi dal desiderio che li teneva uniti.
 
In quel periodo Alex viveva le ormai consuete esplorazioni come fantastiche scorribande, come se si trovasse di volta in volta su galeoni carichi d'oro, caverne zeppe di tesori difesi da qualche drago, foreste incantate, antri di stregoni dalle pareti illuminate dai riflessi dorati delle pozioni nei calderoni... Mastino da parte sua sembrava gustare la stessa euforia, ma la sua mente seguiva due binari che lui riusciva a mantenere straordinariamente paralleli. Così che la sua misteriosa ricerca diventava spesso un tutt'uno con le attenzioni e le effusioni che scambiava con il compagno, e a volte sembrava confondere una meta con l'altra, o pensare che entrambe fossero la stessa cosa. Fu in quel periodo che, imboccando una grande scalinata da cui proveniva una luce insolita e diversa, che sembrava più fresca, uscirono dai sotterranei. Quando arrivarono sugli ultimi gradini videro che alla loro sinistra, anziché semplici stanze, si apriva una corte con alberi e cespugli. E si accorsero di non essere più abituati alla luce del giorno.
- È bellissimo... -
- È accecante... -
- Sì, lo è -
Alex si sedette su un muretto basso che delimitava il giardino, lasciandosi scaldare la schiena dal sole.
- Allora, è solo accecante? -
Mastino gli si avvicinò per accarezzarlo
- No, hai ragione, è anche bellissimo -
 
Da quel momento in poi si ritrovarono molto più raramente in luoghi angusti e privi di sbocchi, c'era sempre almeno una grande finestra da cui entrava chiaramente la luce, di giorno, e si potevano vedere di nuovo davvero gli effetti del tramonto, e il cambiamento dovuto al calar della sera. Alex si rese conto di quanta differenza ci fosse tra avere la cognizione di qualcosa ed essere immerso nei suoi effetti, che ti circondano da ogni parte. In poco tempo si abituarono a riprendere i ritmi dettati dalle ore di luce, e a cercare una stanza confortevole quando queste volgevano al termine. Una di quelle sere Alex era seduto al tavolo in una di quelle stanze, senza altro pensiero se non il godere della vista del compagno sdraiato sul letto, che riposava tranquillo. Era come se tutto il mondo ruotasse attorno al suo respiro calmo e regolare, e per questo non potesse più succedere nulla di male. La dolcezza di quella sensazione gliene portò pian piano alla mente un'altra, che a sua volta portava con sé una malinconia dolce anch'essa.
Fu così che prese la borsa, la aprì e ne appoggiò sul tavolo il contenuto, un grande album di fotografie. Voltava le pagine, e ogni foto raffigurava lo stesso uomo ora sorridente, ora serio, ora dall'espressione riflessiva. Sapeva, o almeno voleva immaginare, quanto sarebbe stato felice per lui se gli avesse raccontato tutto. Anche se c'era una piccola parte dentro la sua testa, una parte stupida, che temeva potesse essere geloso. E si chiese se era quella la cosa che stava cercando. Uscire dal castello per parlare con lui. Ma non gli sembrava la spiegazione giusta. Non riusciva a costruire una frase elementare di senso compiuto con la parola cercare intesa nel significato originale di ricerca concreta. Scacciò quei pensieri dalla mente, deciso a non rovinare quei momenti con un senso di sconfitta, e alla fine si addormentò così, lasciando il raccoglitore aperto sul tavolo.
 
Si svegliò il giorno dopo che la luce era già piena, e seduto di fronte a lui c'era Mastino che lo guardava con aria interdetta. Gli sembrava di avvertire la sua rabbia, e non capiva quanto questa fosse reale e quanto fosse dettata o almeno ingigantita dalla sua paura.
- Chi è? -
Il tono sembrava tranquillo. Alex abbassò lo sguardo.
- È uno... -
- Cosa vuol dire che è uno? -
- Vuol dire che è uno -
Mastino si voltò a guardare il muro: - Mh. Quindi tu vai in giro con una borsa piena delle foto di uno -
Ci fu un attimo di silenzio, ma poi Alex rispose, e si rese conto che non gli dispiaceva, che era quello che voleva, poter condividere tutto con lui, o almeno sapere se invece non poteva farlo:
- Ok, ok, lui è... se avessi idea di cosa è un buon padre forse direi che lui per me è un buon padre. Non lo so, è quello che io credo sia un buon padre. È la parte migliore di me -
- C'è altro? -
- Chissà perché mi suona poco come una domanda... -
- Perché sei abbastanza sveglio, ecco perché -
- Sì, c'è altro... merda... ne sono stato innamorato per un sacco di tempo -
- E lui... -
- No, per lui è diverso... -
- Mh -
Per un pò stettero in silenzio.
- Senti, io non me ne libero, non me lo puoi chiedere. Non voglio scegliere tra lui e te, ma non lascerò qui le foto -
- Però non le guardare più -
- Ma le posso tenere. Basta solo che non le guardo -
- Sì -
- Allora va bene. Mi basta -
Mastino grattò un pò il legno del tavolo.
- E a me basta che tu non le guardi. Per il resto, se qualcuno tenterà di portartele via, farò di tutto per impedirlo. Voglio solo che non le guardi -
 
Nei giorni seguenti fu come se i due compagni tentassero di riportare tutto alla normalità, ma con tentativi maldestri. Era come se una cortina fredda imbrigliasse i loro gesti, così che le gentilezze e le attenzioni erano brusche, come lampi improvvisi che tentavano di squarciare un velo di solitudine, o almeno della sua ombra. Mastino riuscì a migliorare un pò la situazione una volta, stringendo la spalla del compagno e dicendogli: - Lo so che non posso pretendere di essere l'unica cosa importante per te. È solo che non lo volevo sapere in quel modo -
- Lo so, dovevo dirtelo subito. Scusa -
Ma dicendo questo si chiese cosa volesse dire subito, in un mondo in cui il tempo non va a scatti, e ti trascina via con sé senza che ti rendi conto di quello che sta succedendo. Qualche sera dopo, mentre erano seduti nella sala che avevano scelto per trascorrere la notte, Alex si accorse dello sguardo di Mastino, che continuava a dirigersi alla sua borsa. Non era sicuro di capirne il motivo, e si sentì a disagio, ma non disse nulla. Fu invece Mastino a rompere il silenzio: - Giusto per curiosità... come dovrebbe essere per te un buon padre? -
Anche se sapeva che stava per fare una cazzata, anche se si sarebbe morso la lingua ancora prima di aprire bocca, Alex rispose: - Un buon padre è quello che non ha figli -
Poi alzò lo sguardo per controllare la faccia dell'altro. Lo stava guardando seriamente, ma sembrava aver deciso di concedergli quella risposta. Di sicuro però adesso pretendeva altro.
- Ok, vuoi sapere cosa dovrebbe fare un buon padre per essere tale -
- Già - "Uno che ormai si è compromesso, diciamo"... chi lo stava pensando? Alex? Mastino? Tutti e due?
- Dovrebbe volere il figlio? Dovrebbe volere quello che vuole il figlio? Senti non lo so, te l'ho detto, è una mia idea... è una persona che mi ha aiutato, non so se lo ha fatto come lo farebbe un buon padre. Mi sembra solo la definizione meno lontana per una cosa che con le parole degli altri non so definire -
Ci fu un breve attimo di silenzio.
- Non lo so, forse ho solo detto una cazzata, ho usato una parola che non dovevo usare... Credevo che non volessi più pensarci... -
- Già -
Ma Alex si sentiva abbastanza sicuro che in tutto quel discorso, l'uomo delle foto c'entrasse davvero poco.
 
Girovagare per il castello aveva ripreso il tono svogliato e inconcludente di tanto tempo prima, quando i due erano ancora poco più che sconosciuti. E anche il sapore delle lunghe marce sembrava essersi riavvolto su sé stesso, procedere al contrario. Alex avrebbe voluto prendersi a pugni, avrebbe voluto che il compagno - ma lo era ancora? - lo prendesse a pugni, avrebbe voluto qualsiasi cosa ponesse fine a quella deriva lenta e logorante. Si sentiva in colpa, ma molto più che in colpa si sentiva un gran bastardo, come se tutta la felicità di quel periodo l'avesse rubata con l'inganno. Mastino sembrava assorto nei suoi pensieri, e Alex si sentiva troppo bastardo persino per avere il diritto di sperare che avesse solo bisogno di tempo per far decantare tutto, pian piano, in mezzo ad altri pensieri che erano solo suoi.
Finché un giorno qualcosa sembrò attirare l'attenzione dell'uomo, senza che Alex capisse il perché. Stavano spiando una sorta di cerimonia, da una specie di terrazzo che dava su una vasta sala e che avevano raggiunto attraverso una scala stretta e tortuosa. Alex aspettò pazientemente mentre il compagno guardava in basso i monaci, e altre creature, assorti in litanie fastidiose e snervanti ma a quanto pareva innocue, finché fuori non si fece buio. Aveva deciso di assecondare Mastino in ogni cosa, se non altro per cercare di guadagnarsi quello che gli aveva dato in passato, anche senza il coraggio di sperare che le cose si sarebbero sistemate. Ma aveva aspettato distrattamente, senza notare nella sala sotto di loro la presenza del vecchio, talmente grinzoso e coperto di rughe, e dai capelli talmente lunghi e bianchi, da sembrare ben oltre che vecchio, ma piuttosto antico come il tempo stesso. E quindi non aveva nemmeno notato che quel vecchio era vestito esattamente come il giovane che tanto tempo prima lo aveva accolto e gli aveva chiesto di firmare il registro con l'aiuto di una carta. Perché a volte succede così: il destino ci passa accanto anche quando non ce ne accorgiamo. Così quando infine fu buio appoggiò una mano sulla spalla del compagno: - Andiamo... dobbiamo dormire... -
 
Quella notte però Alex non riuscì a dormire, come gli succedeva ormai spesso. Rimase steso accanto a Mastino, immobile, aspettando che un nuovo giorno lo consumasse lentamente in maniera diversa da come lo consumava la notte. E si accorse quindi di quando Mastino si alzò dal letto e uscì dalla stanza. Non aveva idea di quali intenzioni avesse, ma immaginava fosse diretto al salone che aveva spiato tutto il giorno, e decise di seguirlo da lontano.
Ovviamente aveva indovinato se non altro la destinazione dell'uomo: lo vide sparire oltre la porta e decise di affacciarsi appena per controllare. Mentre si stava avvicinando, però, sentì provenire dal salone rumori e, gli sembrò, bassi grugniti, sordi e raspanti, che lo spaventarono più di quanto avrebbe fatto un grido. Si precipitò nella stanza e vide Mastino a terra, sovrastato dal vecchio che prima non aveva notato e che sembrava aggredirlo con una forza assurda per una creatura tanto decrepita. Alex portò istintivamente la mano sinistra alla borsa, senza avere nessuna idea sul tipo di aiuto che si sarebbe dovuto aspettare. E nella mano sentì formarsi all'improvviso il peso di un oggetto - una pistola! Non pensò altro se non "spero che tu sappia cosa stai facendo", mentre la passava nella mano destra e mirava - senza aver mai mirato prima in vita sua - alla testa del vecchio, che si stava alzando con il chiaro intento di attaccare poi la propria vittima.
Fu un istante in cui il tempo sembrò arrestarsi di colpo, per poi riprendere dopo uno strappo violento. Il vecchio che veniva scaraventato via e si accasciava poco lontano, e il grido disperato di Mastino che fu come una lapide calata sul cranio di Alex, sull'ultima parte viva della sua anima che ora moriva: - No! Era mio figlio! -
 
L'orrore lo aveva paralizzato. Se aveva creduto di provare sensi di colpa prima di allora, ora era come se tutto il suo essere coincidesse con il momento stesso in cui la colpa era comparsa per la prima volta nel mondo. E a questo si aggiungeva la consapevolezza che se si fosse ritrovato in quella situazione avrebbe rifatto la stessa cosa altre cento, altre mille volte. Era come se due demoni lo strattonassero in direzioni opposte a velocità folle, sempre più giù in un meschino turbine di distruzione. Cadde in ginocchio e non ebbe la forza per reagire nemmeno al trambusto che annunciava l'arrivo di abitanti del castello che non potevano certo avere intenzioni benevole, ma aveva la borsa appoggiata ad una gamba, e accanto a lui comparve una figura umana che gli disse: - Presto, stanno arrivando! -
Il suo aspetto sembrava essere la personificazione del linguaggio con cui l'uomo delle foto era descritto nel suo cervello, fu l'unico concetto che gli venne in mente quando si voltò a guardare quella sorta di guardiano, mentre si chinava su Mastino per spingerlo via, lontano dal pericolo. Alex fu felice di non doverlo toccare, si sentiva sporco come se al posto del suo corpo ci fossero strati e strati di spazzatura percolante e putrida.
Appena usciti dal salone e raggiunto un corridoio che sembrava deserto e buono per nascondersi, Alex si fermò.
- Portalo al sicuro - disse al guardiano, che rispose con un cenno di approvazione.
 
Il guardiano era però solo di Alex, per quanto i due uomini fossero stati uniti, almeno per un breve periodo, e così assolto il compito, e portato Mastino fuori pericolo in un luogo tranquillo, scomparve senza lasciare traccia. E lui rimase rannicchiato su quel letto in cui era stato deposto, con la sensazione di tentare di respirare in un mondo svuotato di tutta l'aria, un qualche pianeta deserto e morto perduto nei recessi più remoti dell'universo. E assieme all'aria sembrava sparito anche il tempo, e sembravano spariti sia la luce sia il buio, in uno stato in cui, se esisteva qualcosa, era solo la parte di lui minima indispensabile ad avere coscienza del dolore e della disperazione. E fu qui che apparve il giovane, in quella specie di limbo che sembrava fatto solo per devastarlo dentro con il ricordo.
- Cosimo - mormorò l'uomo, mentre dietro di lui si avvicinava il giovane che aveva presenziato all'arrivo di Alex nel castello, solo più pallido, effimero, come se un alito di vento potesse spazzarlo via.
Mastino ora era seduto e lo fissava. Allungò una mano nel tentativo di toccarlo, e Cosimo a sua volta appoggiò la sua su quella del padre, senza poterla toccare. L'uomo abbassò lo sguardo
- Ho mandato tutto a puttane, non sono riuscito a salvarti -
Cosimo non si prese la briga di ribattere, né di definire meglio la situazione, solo continuò a tenere la sua mano sul corpo del padre, in quel tocco che non era un tocco, sapendo che sarebbe bastato a spiegare tutto. Disse invece: - Papà... Alex è in pericolo... nella tana del ragno... Non è tutto perduto. Non lasciare che tutto vada perduto -
E all'improvviso si ritrovò seduto in una normale stanza del castello, con il tempo che aveva ripreso a scorrere, la luce del sole che entrava dalla finestra, e l'aria che gli entrava nei polmoni e ne usciva mentre mormorava "merda" tra sé e sé.
 
Non aveva idea di dove si trovasse la tana del ragno, aveva solo il sospetto che la vera tana fosse molto più centrale rispetto alla stanza con il tavolo a pressione, che quella fosse solo una sorta di appendice, e forse nemmeno l'unica, ma si precipitò fuori, e iniziò a correre. Si rese presto conto che non lo faceva alla cieca: in tutti i passaggi, i corridoi e le scale che sceglieva aleggiava come un'alone, un'aura che gli ricordava il guardiano che lo aveva portato in salvo, e che al momento gli sembrava di non avere nemmeno visto. Ed era sicuro che fosse l'unica cosa da fare. Era sicuro che Alex avesse ancora con sé la borsa, che si manifestava ora in questo modo. E finalmente dopo una corsa folle e che sembrava senza fine, e che lo aveva riportato nei corridoi claustrofobici delle segrete, si ritrovò in una vera e propria caverna umida e fredda, illuminata da tenui riflessi glaciali. Si fermò ad esaminare i dintorni, sicuro di essere arrivato nel posto giusto, e infatti nel grande spazio, in mezzo a grossi frammenti di tela strappata e ossa c'era un bozzolo intero e gonfio. Vi si precipitò e iniziò a strappare la tela con le mani, finché non vide affiorare il volto del compagno, freddo e bianco
- Merda - disse tra i denti, mentre appoggiava una mano su di lui, e sentiva il gelo sotto le dita
- Non aver paura, ti porto via -
Finì di strappare via il grosso della tela, di cui il ragno non aveva abusato, perché evidentemente era abbastanza sicuro dell'effetto del veleno, ma quando stava per sollevare Alex per fuggire da lì si accorse che il ragno li aveva scoperti e raggiunti.
Nella mano di Alex comparve una spada, e Mastino la prese e si preparò ad attaccare. Il ragno tentò di immobilizzarlo con getti di tela, ma ogni volta la spada riusciva a spazzarli via senza nessun danno, e presto il mostro si alzò sulle zampe posteriori, infuriato. Mastino però colse l'occasione per conficcare la spada in ogni zona riuscisse a raggiungere dell'animale, spingendosi velocemente sempre più verso il basso, mentre il mostro emetteva squittii acuti e terrificanti, fino a che non si accasciò al suolo privo di vita.
 
Il viaggio di ritorno in superficie fu come un incubo ovattato e confuso, non riuscì nemmeno a capire se stavolta stava facendo tutto da solo o se l'alone lo guidava ancora. Si fermò appena trovò una sala un pò più appartata con un cortile nelle vicinanze. Depose Alex nel letto, si chinò su di lui, appoggiandogli una mano sulla spalla: - Non lo hai ucciso tu. Quella cosa non aveva più niente del mio ragazzo. Lui era già lontano, al sicuro. Ok? -
Si fermò un istante a guardarlo, sperando di infondergli un pò di sicurezza, ma sentiva anche lui la disperazione come morsi, come artigli che non davano tregua.
- Vado a cercare un pò di legna. Serve un fuoco -
Fece alcuni viaggi in giardino, finché si assicurò di avere abbastanza legna per mantenere il fuoco abbastanza a lungo, quindi lo accese, distese un materasso vicino alla fiamma e vi sistemò il compagno. Poi gli si accoccolò dietro e lo strinse a sé, in modo da tenerlo più al caldo possibile. Si alzava a intervalli regolari, quando c'era bisogno di alimentare il fuoco, poi tornava a sistemarsi sul materasso per scaldare l'altro. Lo sentì addormentarsi, e si accorse quando si risvegliò ore dopo. Era ancora freddo. Lo strinse a sé ancora più forte.
- È colpa mia. Tu non potevi saperlo. E io ti ho trattato di merda. Scusami -
- Non volevo andarmene - mormorò Alex, frugando debolmente dentro una tasca - Dammi la mano -
Mastino gliela porse, e il compagno depose nel suo palmo un proiettile - È tutto quello che è rimasto. Mi dispiace -
Sentì la mano di Mastino stringersi sul proiettile, le sue braccia stringere lui a sé quasi a fargli male, e poi il suo corpo scosso da tremiti e singhiozzi silenziosi.
L'uomo cercò di scandire meglio che poteva un grazie, e poi cercò di mettere nell'abbraccio tutto quello che non riusciva a dire a parole. Stringeva nel pugno il proiettile, e pian piano Alex sentiva il calore fluire da quelle braccia verso il suo corpo, e lavare via il gelo del veleno.
Il giorno dopo, Mastino si svegliò e si accorse subito di non avere più il proiettile in mano.
- Dov'è? -
Alex era seduto lì vicino, e gli porse una collana a cui aveva legato il proiettile, anche se in modo rudimentale.
- Non è una roba di alta moda, ma insomma... -
- È bellissima invece. Ma tu cosa fai in piedi? -
- Sei stato tu, con l'aiuto di quello scommetto - disse indicando la collana che gli aveva appena dato.
- Cosa? -
- Deve funzionare come la mia borsa. Dopo che lo hai preso in mano, ho iniziato a sentire il tuo calore che mi spazzava via il veleno da dentro -
- Intendi dire che... che ho il potere della cura? -
- Forse, o forse un altro - gli comparve in mano una spranga di metallo - la cura è meglio se non c'è bisogno di sperimentarla, per cui prova a scaldare questo abbastanza da piegarlo. Stai attento, se il tuo potere è questo non so se la tua pelle è immune dalle sue conseguenze -
Mastino prese in mano la spranga, e senza sapere bene in che modo, tentò di scaldarla. Il tentativo ebbe successo, persino troppo rispetto alle precauzioni che aveva suggerito l'amico, ma almeno seppero subito che la sua pelle era immune.
- Stai comunque attento, può darsi che la protezione sia legata al solo uso del potere -
Mastino annuì.
- Ok. Fammi provare un'altra cosa - Raccolse uno dei due segmenti di metallo in cui si era divisa la spranga, lo tenne un secondo in mano, e poi lo picchiò contro il muro, frantumandolo in mille pezzi.
- Bella pensata. Questo vuol dire che il potere non è legato a un elemento, quanto piuttosto all'atto stesso di alterazione -
- Insomma, niente cura... -
- Bé, ieri lo hai usato per curare, è questo che conta, no? -
Mastino gli rivolse un sorriso, su cui gravava tutta la fatica di quei giorni, ma in cui non c'era traccia di tristezza.
 
Passarono la giornata nel giardino vicino, senza muovere un passo lungo le contorte vie del castello, e si coricarono come sempre al calare della notte. La mattina dopo Alex si svegliò e vide che Mastino si era già alzato. Era seduto accanto a lui e stava sfogliando il suo album di fotografie.
- Hey ma... cosa...? -
L'uomo chiuse l'album con un'aria che sembrava un misto tra il remissivo e il divertito.
- Scusa, non avrei dovuto -
Ma sembrava rendersi conto che passato lo stupore la cosa dovesse far piacere al compagno. E il fatto che nascondesse questa consapevolezza in maniera troppo maldestra fece venire voglia a Alex di non confermargliela, di tenerlo un pò sulle spine. Come in un gioco. Si appoggiò sui gomiti e buttò lì: - Era solo che pensavo che ti desse fastidio... -
Mastino stavolta lo guardò sorridendo sfacciatamente, ma per un attimo su quel sorriso passò un velo di tristezza.
Alex allora si alzò, gli passò le braccia attorno al collo e lo strinse a sé.
- Quel potere non può dartelo uno che ce l'ha con te. Non sarebbe una cosa normale. Non funziona perché è tuo figlio, ma perché lui vuole esserlo, tuo figlio -
- È stato lui a dirmi che eri in pericolo nella tana del ragno -
Alex lo baciò sui capelli.
- Un proiettile potrebbe sembrare un brutto ricordo. Ma non è affatto un brutto ricordo - e dicendo questo per un istante il suo sorriso assunse un tono feroce - è l'arma che ha fatto fuori quella merda che ha inquinato il suo corpo. Un figlio non è un pezzo di carne. Voglio che tu ne sia convinto, che sappia che non lo dico per dire -
Ci fu un istante di silenzio.
- Ma insomma, quello che avevo intenzione di dirti all'inizio... se ti va... ecco, puoi guardare queste foto quando vuoi. Non mi dà fastidio -
- Allora le guarderò, se mi viene voglia. E penserò a quando le hai guardate tu, se sarò giù, per ricordarmi qualcosa di bello - e dicendo questo lo strinse un pò di più in quell'abbraccio.
 
Più tardi tornarono in giardino e si sedettero sull'erba.
- Sai perché abbiamo smesso di esplorare il castello, vero? -
- Credo di sì -
- Ho trovato quello che cercavo. E tu mi hai aiutato ad ottenerlo. Ma non è questo il punto. Il fatto è che non posso più guidare io. Io posso solo uscire dal castello, ma non voglio farlo finché tu rimani dentro. Non ti lascio qui da solo. Quindi adesso tocca a te -
Alex sembrava soppesare le parole.
- Ci ho pensato. Non so se saprei dove andare. Ma forse la situazione è molto migliore di quella che magari ti immagini -
- Sentiamo -
- Ho iniziato a pensare che forse la cosa che cercavo eri tu. Potrebbe sembrare una cazzata, perché sai, non ti avevo mai visto fino a che non sono arrivato qui... -
- Non è una cazzata. Lo sai che non la è. E c'è un solo modo di sapere se è la risposta giusta -
Si alzò e gli fece un cenno: - Andiamo? -
- Andiamo - e a quelle parole comparvero i due guardiani. Alex pensò che vedeva quello del compagno per la prima volta, e ricordando l'impressione che gli aveva fatto vedere il proprio per la prima volta si chiese se il loro aspetto potesse cambiare a seconda di chi fosse a guardarli, o magari dello stato d'animo del portatore. Ma poi pensò che non valeva la pena farsi troppe domande, prese per mano Mastino e si incamminarono convinti che di lì a poco avrebbero trovato l'uscita.
 
E infatti, attraversando una via che si districava interamente in mezzo ai giardini baciati dal sole e protetti dalle mura, arrivarono infine in un vasto cortile che sembrava ancora più grande perché completamente spoglio di alberi, ma con un'unica colonnina al centro, simile ad un leggio di pietra ma con un bussolotto con una grande serratura al posto in cui in un leggio normale si sarebbe messo il libro. Davanti alla colonna, ad una discreta distanza, si ergeva il più gigantesco e pesante cancello che avessero mai visto, proporzionato solo alle mura che aveva intorno. Dal di fuori sembravano giungere, in lontananza, suoni dal ritmo lento e pigro.
Videro i due guardiani avvicinarsi alla colonnina e avvicinare le mani, in cui stringevano evidentemente le due metà della chiave, che infatti entrò nella serratura facendola scattare.
Il cancello iniziò ad aprirsi lentamente, rivelando al di fuori, oltre una manciata di imponenti gradini di pietra, una vasta spiaggia quasi bianca e un immenso oceano che sembrava diventare un tutt'uno col cielo all'orizzonte. I due si precipitarono fuori sempre tenendosi per mano, ridendo come non gli sembrava di avere mai fatto, e quando furono lontani crollarono in ginocchio esausti respirando quell'aria che sembrava così diversa, così più libera. Si raddrizzarono di nuovo solo al suono di un possente fruscio come di alberi giganteschi che facessero cozzare le chiome una contro l'altra con violenza, e videro i mattoni del castello, che da lì sembrava più una grande fortezza squadrata, che in grandi blocchi si disgregavano in masse di sabbia rovinando al suolo.
Si guardarono un istante, poi si strinsero uno all'altro.
- In tutto questo casino non mi sembra di averti ancora detto che ti amo -
- Non sono mica scemo. Comunque sì, ti amo anche io, giusto per puntualizzare -
E si baciarono, senza sapere cosa sarebbe successo domani, e senza preoccuparsene, con la sola certezza che sarebbero stati un pò più sicuri, un pò più forti e un pò meno soli.
  
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