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Autore: _ivan    30/06/2012    16 recensioni
In un mondo post-apocalittico, un padre apre il suo cuore sulla pagina di un diario rubato.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL MONDO DI PRIMA
CHE ORA NON C’È PIÙ

 

[ il testo è presente anche in formato pdf, più ordinato e pulito. questo è il link > http://tat.altervista.org/IL_MONDO_DI_PRIMA.pdf ; buona lettura! ]
'rubo' la fantastica idea a lordstefanius ( vi consiglio la lettura dei suoi scritti ), e carico una canzone che vorrei ascoltaste:
dovete solo chiudere gli occhi e immaginare l'immensità > http://www.youtube.com/watch?v=l7nJyh_TDkI
io, in questa storia, dietro la tristezza ci vedo la speranza.

 
 
 

Italia, 2021

 
Oggi ho capito che è l’acqua la cosa che mi manca di più.
L’acqua vera, quella buona, quella fresca, quella che ti ci potevi fare il bagno e poi sentirti pulito, quella che se lo avessi saputo prima me ne sarei riempito fino a scoppiare, quella del mondo di prima che ora non c’è più.
Me ne sono reso conto oggi, quando dopo un’immensa fatica siamo riusciti a riportare in vita una vecchia pompa a mano divorata da estuari di ruggine. “Sembra come una signora vecchia” mi ha detto Hope dopo averla analizzata con quel suo solito fare curioso, “perché ha tutte quelle cose sulla faccia”. E io non so sinceramente dove avesse visto la ‘faccia della pompa’, ma credo comunque si riferisse alle rughe. Lì per lì mi ha fatto sorridere molto. È un bambino speciale.
Il rumore dei tubi, comunque, è stato assordante e i primi fiotti erano terrosi, di un puzzo nauseabondo. Dopo qualche spinta l’acqua ha cominciato a schiarire – per fortuna - fino poi a diventare cristallina. Acqua pulita. Non riuscivamo a smettere di ridere! Ce ne siamo riempiti le mani e ce la siamo lanciata addosso, sui capelli, sui vestiti. Solo infine abbiamo bevuto. Eccome se lo abbiamo fatto. Abbiamo bevuto avidamente, come mai avevamo fatto. Poco importa se dopo eravamo bagnati e fuori faceva freddo, e non avevamo il cambio. Ci siamo divertiti molto, ed è quello che – a volte – conta.
Rimarremo qui per la notte nella speranza che non arrivi nessuno. Ma tanto non arriva mai nessuno.
Nel dubbio però resto sveglio, come al solito pungendomi ogni tanto il palmo col coltello. Ho notato che funziona, anche se a volte mi procuro piccoli tagli che durante il giorno bruciano molto, e la mattina sono talmente stanco da non reggermi in piedi.
Siamo arrivati qui nel primo pomeriggio, dopo aver superato le montagne, stanchi e accaldati dopo il lungo cammino. Ancora non capisco come Hope faccia ad avere tutte queste energie, in fondo ha solo quattro anni. Mi domando fino a quando durerà questa fortuna.  Il casolare è a valle, bagnato da raggi di sole che lo fanno sembrare un’apparizione a chi giunge da est. Il tetto è franato, e così da lontano sembra che qualcuno abbia voluto compattare l’edificio per poterselo portare altrove.
Il piano terra era completamente vuoto: abbiamo trovato solo una graffetta di metallo in un cassetto. Hope c’ha giocato quasi tutto il pomeriggio, ma poi gliel’ho sequestrata perché non volevo la perdesse. Potrei sempre riutilizzarla per farci un amo da pesca. Lui lì per lì mi ha detto che mi odiava, ma dopo cinque minuti è venuto e mi ha abbracciato. “Scusa papà”, ha detto, e io l’ho perdonato.
Abbiamo trovato due grossi topi e sul momento ho pensato di mangiarmeli, ma poi li abbiamo cacciati via, così adesso io e Hope siamo gli unici abitanti della casa accartocciata.
In tarda serata abbiamo anche cercato di catturare una marmotta, ma ci è sfuggita. Credo che a Hope non sia dispiaciuto più di tanto, perché quella era la prima marmotta che vedeva in vita sua e per questo ci teneva che sopravvivesse. Non sono comuni le marmotte, di questi tempi. Ad ogni modo l’entusiasmo credo gli sia servito in parte ad assopire i morsi della fame.
Io invece resisto come posso, come sempre. Non so cosa darei per un solo filone di pane, come quello del mondo di prima che ora non c’è più. A volte mi pare quasi di sentirne l’odore. Non ho mai avuto così tanta fame in vita mia. A volte succhio per ore il laccio della felpa e mi fermo solo quando sento sanguinare le gengive.
E come se non bastasse, ancora una volta niente scatolette. Niente di niente. Sono un po’ preoccupato su come faremo nei giorni a venire. Oggi abbiamo aperto le ultime due: a Hope ho dato lo spezzatino, mentre io ho mangiato le pesche, anche se poi alla fine ne ho date due metà a lui perché voleva assaggiarle. Io così ho mangiato solo quel che restava e ho bevuto il succo zuccheroso, nella speranza di saziarmi.
Sono otto giorni che non vediamo altri esseri umani: qualche cane, un paio di gatti, delle lucertole, ma niente umani. Forse dovremmo avvicinarci alle città, ma per il momento preferisco starne il più lontano possibile come mi hanno consigliato. Nelle città ci sono gli sciacalli. A dire il vero gli sciacalli sono ovunque, ma nelle città è più facile trovarli. Gli ultimi due umani che abbiamo visto sono stati Hans e Christian. Ci eravamo dati appuntamento sulla costa due giorni fa ma non sono più arrivati. Chissà che fine hanno fatto. Ho paura che sia successo qualcosa, magari li hanno presi.
Mi hanno detto che alcuni sciacalli mangiano addirittura le persone. Io la trovo una cosa raccapricciante, ma so che la disperazione può far impazzire chiunque. Spero solo non succeda mai a me. Al college, nel mondo di prima e che ora non c’è più, avevo letto un libro sulla follia, ma ora non ne ricordo più il titolo né tantomeno il contenuto. A volte il fatto di non ricordare le cose mi intristisce.
Comunque sulla costa li abbiamo aspettati, Hans e Christian. Da quando è successo tutto, questa è stata la prima volta che ho rivisto il mare. Non mi è piaciuto e mi ha messo tanta tristezza. Somigliava tremendamente a una città inondata, con palazzi d’immense carcasse di navi morte, spogliate di tutto dalla forza brutale delle onde malate di radiazioni. C’erano imbarcazioni squarciate nel profondo e lasciate a morire nel nulla, in prossimità di città fantasma inghiottite dalla polvere avida. In alcuni tratti si potevano percorrere centinaia di metri saltando da una lamiera all’altra e senza mai toccare l’acqua. Mi è sembrato un cimitero. Come il cimitero degli elefanti, che ormai saranno estinti, proprio come tutto il resto.
Hope invece ne è rimasto folgorato: quello per lui è il solo ed unico mare, e io non voglio spiegargli che prima era diverso, che prima era più bello. Non voglio che sia triste pensando che ora il mare è brutto. Il mare di adesso per lui è bello, più bello di tutto il resto, ed è giusto che nella sua mente resti così, imperturbabile ed affascinante.
L’inverno sta arrivando, e lo si capisce dal fatto che ora le sere siano molto più fredde di prima. Per un attimo ho creduto che non sarebbe più giunto, l’inverno: l’estate quest’anno è sembrata infinita, un’esplosione di energia tale da avermi dato l’impressione di poter continuare per sempre. E invece mi sbagliavo. O forse sta arrivando l’autunno, e io non me ne sono accorto.
Ad ogni modo per far fronte alla stagione dovremo trovare delle provviste, dei vestiti più pesanti e magari un carrello per portarci dietro tutto. Potremmo seguire le strade nella speranza che non siano troppo distrutte e che l’asfalto abbia resistito, così da poterlo spingere senza troppi problemi e non dover mettere tutto negli zaini. Vorrei trovare anche del sapone, perchè sono stufo di avere le unghie nere e i capelli sporchi. E credo che Hope abbia i pidocchi. Gliel’ho detto l’altra sera e quando gli ho spiegato cosa fossero lui ha fatto un gran sorriso. “E’ una cosa bella” ha detto illuminato dalla luce del fuoco acceso nel bidone “perché io sono forte, e se costruiscono la casa su di me non cadrà mai!”. Mi ha fatto sorridere. Sono fiero di lui. È così buono che a volte mi stupisco del fatto che sia figlio mio. E quando guardo i suoi grandi occhi non posso fare a meno di ripensare a Sarah.
Credo di essere malato, e questa volta penso sia una cosa seria. Oggi è il dodicesimo giorno, e sento dentro di me che il male non passerà. Non questa volta, almeno. Mi sembra che non faccia altro che degenerare, di ora in ora, fino a momenti in cui anche solo respirare mi fa sentire fucilate di spilli nel corpo. Ho preso delle vecchie medicine ma non vorrei che avessero aggravato la situazione.
Una parte di me vorrebbe dirglielo, perché è giusto che sia preparato all’idea che un giorno il suo papà potrebbe non esserci più, tuttavia dirlo significherebbe confermarlo, prenderne consapevolezza, e io non sono ancora pronto. Ho ancora troppe cose da insegnargli: come si pesca, come si riconosce se una casa è sicura, come si costruisce una trappola per i conigli, come si accende un fuoco, come si rimorchia una ragazza, nel caso in cui dovesse mai conoscerne una. Vorrei non doverlo lasciare mai. È ancora troppo presto.
Ho preso una decisione: ci uniremo al prossimo gruppo che incontreremo sul nostro cammino, nella speranza che siano brave persone. In tal caso potrei lasciare loro la custodia di Hope, così non dovrebbe seppellirmi. Mi piace pensare che un giorno avrà la vita normale che si merita.
Domani partiamo all’alba. Berlino è ancora molto lontana, e chissà se è davvero pulita come dicono. Sarebbe un sogno.
Ora devo andare, Hope si è svegliato, fa sempre lo stesso incubo.
Chissà se finirà mai. Lo spero.
   
 
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