Crack, fanon o
canon? Slash, het o threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I
♥ Shipping è un'idea del «
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Attimi
indispensabili per la fine
di
slice
“Itachi, sei veramente un bambino dolce.”
Mikoto
chiude gli occhi. Il suo petto si gonfia e una lacrima scende quando
il rumore della testa del marito che cade sul pavimento le giunge
alle orecchie. Sorride portando via quella lacrima, ormai scesa, con
la lingua. Va bene così, dopotutto. I suoi figli vivranno,
Itachi si prenderà cura di Sasuke; Mikoto ne è
certa.
Mentre attende la katana del suo primogenito con un sorriso
sulle labbra, porta la mente al suo matrimonio, dove tutto è
cominciato. E un istante dopo è davvero là, ad occhi
aperti, ad osservare l'evento da fuori.
C'è
un anello al suo dito, Fugaku sorride senza guardarla; è un
uomo composto che ha ricevuto un'educazione severa, ma è
felice, Mikoto lo vede, lo sente nello stomaco.
Suo padre sta
guardando male il padre di Fugaku; mille cose son state discusse tra
quei due, non c'è un singolo aspetto del suo matrimonio che
non sia scritto su fogli ufficiali, recanti il timbro del clan
Uchiha. Dovrà avere due figli maschi, ad esempio, per
garantire che la vita da ninja ne lasci almeno uno alla guida del
clan, e fino ad allora continuerà ad avere gravidanze. Mikoto
ha riso quando sua madre glielo ha comunicato, poi l'espressione
della donna non è cambiata e lei si è fatta seria,
riuscendo a scorgere un futuro in cui avrebbe potuto avere un
ragionevole attacco di panico. Ma adesso non importa, loro sono
felici.
C'è confusione, in quella sala. La cerimonia è
sfarzosa, tutto il clan partecipa e in quel momento i più
giovani li incitano ad un bacio. È tutto molto rumoroso fuori
dai suoi confini, se parlasse non riuscirebbe a sentire la propria
voce, mentre la confusione nella sua testa si traduce in un battito
serrato, nella sua gola, sulle sue tempie. Ed è in quel bacio,
con i volti così vicini per quel breve tempo, che Fugaku
prende la sua mano e la porta sul proprio petto. Anche il suo cuore
sembra impazzito.
Itachi
gira intorno alla coppia, osserva quelle mani, in silenzio.
L'immagine è bloccata.
Mikoto ha una mano sulle labbra e le
lacrime spingono forte per uscire.
“Sembrava che dovesse
durare per sempre...” sospira.
Itachi non la guarda,
continua ad osservare quel bacio, gli occhi chiusi, le mani congiunte
sul petto di suo padre.
“La stessa realtà che
conosciamo è un'illusione, madre: io ti amo, ma posso
scegliere una persona sola.”
Conosce
molto bene quella stanza d'ospedale, è semplice e bianca,
sembra abbastanza intonsa per accogliere l'animo puro di un bambino.
Mikoto lo ha pensato nella veglia agitata della notte precedente, poi
c'è stato il travaglio e il parto, tutto è passato in
secondo piano.
Le spinte sono sembrate laceranti e solo in
seguito, quando ha potuto avere una visione del suo bassoventre si
era accorta di tutto il sangue che era uscito; sembrava comunque
qualcosa di normale per i medici che avevano particolare affanno solo
nel chiederle un'ultima spinta.
E proprio in quell'ultima spinta
le sue urla si sono mescolate con un pianto frenetico che l'ha fatta
sorridere, sudata ed esausta.
Le è sembrato che
l'infermiera ci mettesse troppo tempo per pulire il suo bambino e il
cuore ha preso a battere più forte, forte come le è
successo pochissime volte. Un attimo dopo, la stanza è vuota e
quel fagotto è nelle sue mani, un pensiero le balena subito in
testa: è perfetto.
Non sa cosa dire, il bambino ha smesso
di piangere, come se attendesse di sentire cosa lei ha da dirgli.
Mikoto rimane a bocca aperta, con la testa colma di parole e nessuna
che abbia il suono di quello che vuole davvero dire. Alla fine si
arrende.
“Ciao,” dice solo, per prima cosa, guidata
dall'istinto. Poi tace per un attimo, perché nient'altro che
fissarlo negli occhi sembra importante, quegli occhi neri, così
piccoli, la cui profondità si scorge anche se sono semichiusi.
“Sono contenta di conoscerti, Itachi,” e si asciuga una
lacrima con il dorso della mano.
Il vano della porta, lasciata
aperta dalle infermiere, ospita Fugaku, lui e la sua strana
espressione hanno la testa inclinata da una parte.
Mikoto
prosegue, ignara dell'ospite.
“Sai, non credo di poter
proteggere nessuno, in questo momento, ma quando arriverà tuo
padre lo incaricherò di farlo anche per me. Devi avere
pazienza, con lui, non è facile, ma è un uomo buono,”
sorride, pensando all'espressione idiota che probabilmente farebbe se
fosse lì, senza sapere che è proprio quella che ha, “e
non ridere quando si arrabbia, lo so che è terribilmente
buffo, ma lui crede di essere minaccioso, vorrei che continuasse a
pensarlo,” ridacchia, incoerente, baciando il piccolo palmo
della mano del bambino.
Itachi
è immobile. Osserva quel bambino piccolo, osserva se stesso e
la serietà di sua madre nel raccomandargli di essere adulto
già dopo pochi minuti dalla sua nascita, poi viene passato
nelle braccia del padre, quando lui palesa la sua presenza. Sembra
che entrambi amino fissarlo negli occhi, lui non si ricorda di tanto
rispetto mentre suo padre uccide la sua infanzia a colpi di
responsabilità, ma ha una vaga sensazione addosso, un ricordo
lontano, come se appartenesse ad una vita precedente.
Mikoto,
dietro di lui, cade in ginocchio e le lacrime rigano il suo viso; non
riesce a staccare gli occhi da quel bambino. È davvero
perfetto.
Ancora
una volta si trova in una stanza d'ospedale, c'è odore di
sangue e i capelli del bambino che ha in braccio sono umidi e
nerissimi.
“Ciao, Sas'ke, sono la tua mamma,” Mikoto
piange già e tira su con il naso, senza ritegno, direbbe
Fugaku.
Quelle dita minuscole le ha già viste, poi stringe
gli occhi annebbiati dalle lacrime sulla manina, stende le dita con
una delle sue e si accorge che è evidente, quelle sono
diverse, sono di un altro bambino e sono così belle che le
bacia. Gli occhi sono sfuggenti, pare che voglia dormire.
Un altro
bambino moro fa capolino nella stanza. La voce del padre lo richiama
all'ordine.
“Itachi, non disturbare.”
Ma lui ha
visto la mamma sorridergli e porgergli quel coso minuscolo.
Ipnotizzato, non fa altro che avvicinarsi al letto della madre, in
silenzio si guardano e, senza che lei le dica niente, allunga le mani
e prende il fagotto. Itachi rimane a contemplare quel piccolo
esserino, un po' gonfio e sonnolente, poi Mikoto gli accarezza la
testa, correndo con le dita sulla sua piccola coda bassa, oltre le
spalle.
“Tuo padre sarà troppo impegnato a proteggere
te... Sei intelligente, Itachi, un giorno ti accorgerai che gli
uomini non sono particolarmente bravi a fare due cose insieme,”
Mikoto è seria, pare sia una verità, quella.
“Proteggilo tu, tuo fratello!” adesso sorride, invece, ma
è un sorriso serio. Itachi ha sempre saputo che c'è
qualcosa di speciale che aleggia sulle donne, sulle madri in
particolar modo, il suo istinto gli ha sempre suggerito di fare tesoro
di qualsiasi loro consiglio.
Si volta verso il fratellino, ci
pensa un momento e poi torna a guardare la madre.
“Lo farò,”
dice, con quella sua serietà solenne fuori luogo per un
bambino.
A Mikoto viene da piangere di nuovo, quegli occhi neri la
stregano ogni volta, con quella profondità e quella dolcezza,
le sciolgono il cuore. Spera di riuscire ad essere più madre,
con Sasuke, perché occuparsi totalmente di Itachi le è
mancato. Lo abbraccia, dicendogli che gli vuole bene.
Fugaku si
intravede, fuori dalla stanza, non è un ninja nel giorno della
nascita dei suoi figli, ma solo un uomo maldestro, un padre con
migliaia di pensieri in testa. Sta lì, appoggiato al muro, con
un pezzo di sandalo che spunta dalla porta che fa sorridere la
moglie, quando lo scorge.
Mikoto
piange, stanca e confusa. Quelli sono i ricordi più preziosi
che ha.
“Itachi...”mugola, in una supplica.
La
stanza d'ospedale è di nuovo il salotto di casa loro. Gli
occhi di Mikoto cadono sul corpo del marito nel tentativo di voltarsi
verso il figlio. Lei li serra e un singhiozzo le scuote il petto.
“Mi
hai chiesto di proteggerlo ed è quello che farò,”
dice Itachi, muovendo la mano con la katana.
Mikoto pare tornare
lucida, si tira in piedi con fatica e si volta verso di lui, sembra
abbia realizzato che Sasuke tornerà a breve dall'accademia.
Quello che non vede invece è la katana arrivarle addosso e
Itachi fa in tempo a spingergliela dentro fino all'impugnatura, prima
che lei provi davvero tutto quel dolore.
Rimangono in piedi,
instabili e vicini al punto che Mikoto vede le lacrime del suo
bambino, gli sembra che quegli occhi neri siano stati violentati
dalla vita. La loro profondità è diventata un abisso
dove quella dolcezza rischia di perdersi.
Lei lo sapeva, pensava
di essere preparata. Ha visto nubi scure e minacciose addensarsi sul
loro futuro, Mikoto ha potuto solo sperare per il meglio, in fondo ha
avuto paura per così tanto tempo che ormai ci si era abituata.
Aveva messo la sua vita nelle mani di Fugaku, ma lui guardava altrove
e non ha visto quelle conseguenze arrivare, o forse credeva che
fossero ancora molto lontane.
Itachi non ha potuto salvare sia il
villaggio che il suo clan.
Con la mano accarezza il suo viso,
cercando di sorridere. Non è colpa sua, gli uomini non sanno
fare due cose insieme.
“Va bene, Itachi...”
Ma le
donne sì, le madri possono odiare il destino e amare il
proprio figlio tanto da comprenderlo e perdonarlo.
Chiude gli
occhi e si appoggia a lui, priva di forze, “va tutto bene,
amore mio,” riesce a sussurrare, prima del buio.
Owari
È
frettolosa, non è venuta come la volevo io. Mi sento un po'
costretta a postarla perché l'ho cambiata milioni di volte e
non riesco a concepire qualcosa migliore di così, non amo
l'angst e neanche dover parlare di questo momento della vita di
Itachi, ho mal di testa, una scadenza, e altri due compleanni in sei
giorni. Ma non mi piace granché.
Mi dispiace e mi scuso con
la festeggiata: questo, evidentemente, è il mio massimo -
spero che almeno riguardi solo l'angst, questo limite. (Speranze
vane! XD)
Questa
malinconia tagliavene è per una delle due mamme del nostro
gruppo, Annamariz.
Senza niente togliere all'altra mamma, *butta
un bacio a Nejiko* dal momento che è il compleanno di Anna,
parliamo di lei. ^^
Annamariz
è una Mamma, una con la M maiuscola, che ti viene da pensare,
in situazioni come quella in cui si è trovata Mikoto, darebbe
la vita per i suoi figli. È una di quelle mamme di un tempo
che sembra sappia risolvere tutto, dà buoni consigli e ha dei
valori, ma ha anche lo spirito giovane che serve per comprendere e
far evolvere le nuove generazioni. Forse la vedo così solo per
una sensazione legata all'età, non so se c'entra davvero la
saggezza o la bellezza della gravidanza che rende tutte le donne più
luminose, ma Annamariz sembra uno di quegli adulti che cercavo quando
ero bambina e mi trovavo in difficoltà. Di quelli che ispirano
fiducia, ecco. Ho questa sensazione, nella pancia.
E io sono
ancora la bambina sperduta che esprime concetti con parole semplici
perché ha il cuore giovane, le persone che mi comprendono e mi
mostrano che le stesse parole semplici possono essere usate per tante
sfumature diverse e tutte belle, diverse ma giuste, ognuna nel loro
modo, mi affascinano. Le ammiro perché per me è questa
la maturità. Tendo, in un modo infantile, a vederle adulte e
vorrei riuscire ad essere così anch'io; so che ancora, a
volte, anche se poi pensandoci e ripensandoci mi accorgo dell'errore,
mi succede di cadere nel giochino del 'se una cosa mi sembra
sbagliata deve esserlo per tutti'. La vita, tramite queste persone,
mi ha insegnato che l'importante è avere motivazioni sensate e
riuscire ad essere obbiettivi anche nel giudicare le cose che si
amano di più.
Le persone che sanno farlo mi fanno crescere
e non credo che ci sia davvero un modo per ringraziarle, la mia
autostima non mi permette di credere che la mia amicizia possa
bastare, ma in fondo in fondo, ci spero.
Auguri Annamaria!
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.