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Autore: Bethesda    01/07/2012    2 recensioni
«Ma capisco. Non te lo avrei chiesto comunque. Solo…»
Mi maledissi: non sopportavo mostrarmi debole, anche se si trattava del mio migliore amico appena ritornato dall’Oltretomba. Eppure sentii un groppo formarmisi in gola e gli occhi pizzicare, mentre la mia vista cominciava a farsi traballante, come se stessi osservando ciò che mi circondava attraverso il fondo di un bicchiere pieno d’acqua.
«…avrei voluto che fossi con me, quella notte».
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Now that it's over 
I just wanna hold her 
I'd give up all the world to see that little piece of heaven looking 
back at me 
Now that it's over 
I just wanna hold her 
I've gotta live with the choices i made 
And I can't live with myself today 
 


Da quante ore andava avanti quella discussione? Forse mi sbagliavo, forse erano passati pochi minuti da quando avevo scagliato la prima pietra, increspando la superficie apparentemente calma di quel lago gelido e profondo che era Holmes. L’aria era tesa e nonostante le parole fossero quasi sussurri, erano pregne di astio e angosce che in tre anni avevamo represso.
 
 
 
 
«Come potremmo chiamarlo?»
 
Mary sorrise, le mani a prendere le mie per portarle al ventre prominente.
 
«Vuoi già pensarci adesso? Mancano due mesi».
 
«Credo che sarebbe piacevole fare le prime ipotesi».
 
Sbuffai divertito, portandomi un poco più avanti sulla poltrona e abbandonando definitivamente il giornale a terra per posarle un bacio in grembo.
 
 
 
 
«Non avevo scelta: con alcuni fra i più pericolosi uomini di Moriarty a piede libero saremmo stati in pericolo entrambi. E tu avevi una moglie a carico».
 
«Ti avrei affiancato comunque».
 
«Tu stesso questa notte hai visto quanto fosse pericoloso Moran. E lui era l’ultimo rimasto: prima non sarebbe bastato. Avremmo commesso un passo falso e non potevo permetterlo. Tu non potevi permettertelo».
 
Scintille di ghiaccio sembravano percorrere l’aria di quello che un tempo era stato il nostro salotto e neanche il camino riusciva a scioglierle rendendo l’ambiente caldo come un tempo, quando lì accoglievamo i nostri clienti, pronti ad ascoltare nuove storie dai risvolti criminosi.
 
 
 
 
«Se fosse una femmina mi piacerebbe Elizabeth. O Kate», cominciai, dandole corda con un certo diletto.
«Margareth è grazioso».
 
Annuii accondiscendente.
 
«E per un maschio?»
 
Tacqui indeciso, la fronte appoggiata sulla pancia di mia moglie.
 
«Andrew, Michael, Harry. La scelta è vasta».
 
Sentii le sue fragili dita insinuarsi fra i miei capelli e un piacevole brivido mi percorse la schiena a quel tocco leggero.
 
«Perché non Sherlock?»
 
 
 
 
«Abbiamo sempre affrontato insieme ogni criminale e non mi sono mai pentito. Non mi sarei tirato indietro, affatto».
 
«Scioccamente, aggiungerei. Tu avevi chi ti amava e non potevi comportarti in modo irresponsabile».
 
«Irresponsabile», esclamai irritato, ma lui continuò a parlare.
 
«La questione andava risolta fra me e Moriarty: non avevo nessuno di cui occuparmi e avrei eliminato un cancro della società».
 
Strinsi i pugni mentre sentivo la rabbia attanagliarmi gola e stomaco.
 
 
 
 
Alzai gli occhi a cercare i suoi, lasciando che la mano con la quale mi stava accarezzando scivolasse verso il volto.
 
«Mary…»
 
«John, so che ti manca. E questa sarebbe un bel modo per ricordarti di lui».
 
Cercai di sorridere ma mi resi conto che il mio sguardo fosse già tornato a più di un anno prima, a raschiare quella sottile polvere che si era posata delicatamente sui fatti delle cascate Reichenbach. Li tenevo lontani da me, velati e dai contorni indefiniti perché mi spezzavano dentro ogni volta, con sempre rinnovato vigore. Ci sono dei limiti che anche il più forte degli uomini non può superare più di una volta: la morte di Holmes era uno di quelli.
 
Un moto di gratitudine e commozione mi pervase e mi resi conto di amare Mary con tutta la parte del mio animo che non era caduta nell’abisso insieme al mio amico. Mi alzai, sovrastandola in altezza, e presi il suo volto fra le mani, posandole un bacio sulle labbra.
 
«Trovo sia perfetto».
 
 
 
 
Presi un profondo respiro: avrei portato avanti quella discussione con tutta la calma possibile, per quanto mi risultasse difficile.
 
«Mi sarebbe bastato un telegramma, un messaggio. Anche un solo cenno da parte di tuo fratello».
 
Scosse la testa e si alzò dalla poltrona, dirigendosi verso il caminetto per ravvivarlo con l’attizzatoio, un’azione totalmente inutile ma che il suo animo teatrale aveva richiesto come pausa da quel fiume di parole che ci eravamo scambiati.
 
«E, te ne prego, non addurre come scusa il fatto che sia incapace di mentire: dopo che ho scritto della tua morte l’intero mondo ti sapeva scomparso e non avrei avuto alcun motivo per riprendere la penna in mano se avessi saputo che ti avrebbe danneggiato o anche solo portato a rischiare ulteriormente la vita».
 
«Vuoi dire che non avresti tentato di contattarmi in alcun modo», domandò scettico.
 
«Saperti sano e salvo, anche lontano da qui, mi avrebbe tolto un peso dal cuore. Non avrei contestato le motivazioni della tua scelta, ma lasciarmi all’oscuro di tutto è stato immensamente crudele».
 
Non sembrò saper rispondere a quell’affermazione e io stesso ormai mi sentivo schiacciato dai miei stessi sentimenti, dai ricordi che si accavallavano, tanto da sentirmi obbligato a continuare a parlare, incurante delle ferite mai cicatrizzate che stavano riprendendo a sanguinare dolorosamente.
 
«Avrei saputo che prima o poi, anche dopo anni, saresti tornato. Perché sapevo che sarebbe avvenuto: non avresti mai lasciato la città per sempre, non avresti mai lasciato me. E il fatto che tu sia qui lo dimostra».
 
«Watson…»
 
«Non mi avresti mai lasciato solo».
 
 
 
 
Era incominciato tutto con una fitta, un crampo notturno. Sembrava che il momento fosse arrivato ma mancava un mese, era troppo presto. Forse il bambino si era semplicemente messo a scalciare un poco più forte e Mary si era inutilmente allarmata, pensai.
 
Dio, quanto avrei voluto che fosse stato così.
 
Se non fossi stato così cieco…
 
Se mi fossi reso conto prima che era solo il primo indizio della catastrofe…
 
Se fossi stato un bravo medico e non padre e marito avrei potuto forse fare qualcosa…
 
Purtroppo la vita non è fatta di “se”.
 
Lei era a letto, la fronte nivea imperlata di sudore, le membra tremanti e un sorriso lieve, tirato, unicamente perché smettessi di fissarla con apprensione. Spesso un nuovo dolore la prendeva e diventava una smorfia mal trattenuta. La sua temperatura era eccessivamente alta. Mi ricordai che in quei giorni l’avevo vista affaticata più del solito ma lei mi aveva tranquillizzato affermato che si trattava solo della stanchezza dovuta al parto imminente.
 
 
 
 
Lo sguardo di Holmes lasciò finalmente il caminetto, posandosi su di me.
 
«Ti posso assicurare che se ne fossi stato a conoscenza--».
 
«Non saresti venuto in qualunque caso».
 
Si bloccò, incerto se continuare o meno.
 
«Ma capisco. Non te lo avrei chiesto comunque. Solo…»
 
Mi maledissi: non sopportavo mostrarmi debole, anche se si trattava del mio migliore amico appena ritornato dall’Oltretomba. Eppure sentii un groppo formarmisi in gola e gli occhi pizzicare, mentre la mia vista cominciava a farsi traballante, come se stessi osservando ciò che mi circondava attraverso il fondo di un bicchiere pieno d’acqua.
 
«…avrei voluto che fossi con me, quella notte».
 
 
 
 
Fu necessario chiamare Anstruther, il collega che spesso mi sostituiva in ambulatorio, perché la mia cameriera presto si accorse che il panico mi stava assalendo e che non avrei potuto reggere da solo, come medico, ciò che a Mary stava accadendo. Così rimasi accanto a mia moglie tutta la notte, cercando di aiutare più che potevo ma essenzialmente consolandola, stringendole la mano e pregando.
 
Ciò che accadde quella notte è nitido ma frammentario: le urla di Mary, il panico, il dottore che mi costringe ad uscire dalla stanza, i conati di vomito che mi pervadevano quando la mia mente indugiava su ciò che sarebbe potuto accadere.
 
Poi, improvvisamente, il silenzio.
 
Non era totale. Sentivo un pianto sommesso, qualche bisbiglio.
 
Infine il cigolio della porta.
 
Feci per entrare ma Anstruther mi fermò sulla soglia, lo sguardo sfuggente.
 
«John--».
 
«Dov’è Mary? Come sta», domandai agitato, cercando di scrutare aldilà delle sue spalle.
 
«John, il bambino».
 
Un altro conato mi prese la bocca dello stomaco.
 
«Cosa è successo», domandai tremante.
 
 
 
 
Ripresi fiato, senza bloccare le lacrime che lente avevano iniziato a rigarmi le guance. Non pensai neanche di prendere un fazzoletto, quasi sperando che se non le avessi asciugate il mio amico non si sarebbe accorto del loro passaggio.
 
«Quando sei morto...no, quando ti sei finto morto, ho pensato che non mi sarei più rialzato. In Afghanistan ho visto cadere molti amici, troppi. Poi ti ho conosciuto e nonostante inconsciamente sapessi che il tuo lavoro ti avrebbe portato a correre grandi rischi, non ho mai pensato che ti avrebbe strappato da questo mondo. Ti sarei rimasto accanto e ti avrei protetto, per quanto mi fosse possibile. Poi ho incontrato Mary. Sai quanto l’amassi e per me è stata una gioia poterle stare accanto per gli ultimi anni della sua vita. Lei era la vita. E fu anche colei che mi permise di andare avanti. Quando poi scoprii che sarei divenuto padre, credetti finalmente di poter ricominciare».
 
Un sorriso triste mi passo per qualche secondo sul volto.
 
«Sai, lo avremmo chiamato come te».
 
Durò poco, strozzato da un singhiozzo che non riuscii a reprimere.
 
«Sembrava che un qualche dio si stesse divertendo a guardarmi mentre lottavo contro le avversità, additandomi con scherno mentre cadevo in ginocchio in mezzo alle macerie».
 
 
 
 
Quante ore erano passate? Ormai l’alba filtrava dalle finestre, portando una luce malinconica all’interno della nostra camera da letto.
 
Lei era avvolta da un lenzuolo, pallida e con il volto segnato dalla spossatezza.
 
Aveva perso troppo sangue e sembrava non accennare a smettere, mentre il respiro si faceva sempre più flebile.
 
Mia avvicinai cautamente, sedendomi sul bordo del letto e prendendole una mano, accarezzandola con le dita e portandomela alle labbra.
 
«John…»
 
«Ssh. Non sforzarti».
 
«John, il bambino».
 
«Mary…»
 
«Mi dispiace tanto».
 
Lo disse con voce rotta, un sussurro impercettibile e tremolante a causa delle lacrime. Andai a cercare le sue labbra per celare la mia disperazione, indugiandovi più del dovuto.
 
«Andrà tutto bene, tesoro mio».
 
 
 
 
Holmes era di fronte a me e non parlava.
 
Tre anni di oblio per quel silenzio in cui finalmente mi stava vicino, una mano a stringere la mia spalla con forza rassicurante.
 
D'altronde cosa avrebbe potuto dire? Ovvietà, frasi che molti avrebbero definito consolatorie. Ma lui non l’avrebbe fatto, lo avrebbe ritenuto inutile, superfluo, ed io stesso, a sentirle uscire dalle sue labbra, non ne avrei tratto alcunché.
 
Ma lui era lì, carne ed ossa, il mio migliore amico e compagno.
 
Solo il Cielo sapeva quanto avessi pregato per tale miracolo:
 
non essere solo.
 
Mi sarebbe bastato.
 
 
 
I'll see you in another life 
In heaven where we never say goodbye 


 


Note: Le due citazioni sono tratte da "Lucy"- Skillet (Grazie a Vivi che me li ha fatti conoscere :D)
Che dire? Ci ho provato a buttarmi un po' nell'angst! Il buon Doyle non ha mai approfondito (Ma che strano, eh? Non è da lui! XD) il come Mary sia morta e una cosa del genere mi sembrava plausibile, per quanto molto a grandi linee.
Vabbè, ormai è tardi: io l'ho postata X'D 
Spero vi sia piaciuta! 
Un bacio, 
Beth
   
 
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