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Autore: hithisisfrollah    01/07/2012    2 recensioni
«Al momento Reth non è in casa.»
«E non sa che fine ha fatto?»
«Sarà a caccia di procioni. Oggi è mercoledì.»
«A caccia di procioni.»
«Precisamente.»
sì, sono tornata. temete gente sana di mente, temete.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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heilà c:
lo so, questo capitolo ha tardato ad arrivare, ma la buona scusa è che sto traslocando .__. 
beh, che dire. spero che vi piaccia e che recensiate, così potrete mettere per iscritto gli insulti coloriti che partorirete (?) leggendo. 
xo,
tool. 



Si preannunciava una mattinata scialba. Colazione con cappuccino istantaneo e un cornetto secco. Il cappuccino era acqua fresca color caffè, come al solito quando decidevo di mettermi a trafficare con la cucina. Con qualsiasi tipo di cucina.
Mentre lavavo la mia tazza cremisi, sbuffando, qualcuno mi pizzicò i fianchi. «Buongiorno, Ree.» disse con voce assonnata.
Uh, sì.
Vi presento Nick.
Il mio… ecco, il mio… spacciatore. No. Il mio scopamico. Neanche. Il mio più intimo conoscente. Sì, direi che “intimo” rende l’idea.
«’Giorno, Nick.»
«Colazione?»
«Te la fai da solo.»
«E dire che gli scienziati sostengono che il sesso addolcisca le donne.»
«Dipende dalle prestazioni, sai?»
«Stai insinuando che sono scarso?»
«Assolutamente no. Ma se una mia insignificante precisazione mina la tua autostima, probabilmente, nel tuo profondo, sai di essere stato scarso.»
Sorrisetto.   
Lui scosse la testa e rise.
«Che stronza.»
Zampettai verso di lui e gli sfiorai le labbra, piano. Era il mio solito “scusa”.
Nick mi carezzò le guance con le dita affusolate e ricambiò. Era il suo solito “ti perdono”.
In due anni che lo conoscevo, tra noi non era mai cambiato nulla. Sempre questo rapporto strano, ai limiti del comprensibile per chiunque.
Nick era come il migliore amico delle superiori che tutte le ragazze vogliono farsi, ma che lasciano perdere per “non rovinare l’amicizia”. E io ero la cattiva migliore amica, la pessima, che aveva deciso di farselo comunque. Perché tanto poi le cose erano rimaste più o meno le stesse. Adesso avevamo solo annullato ogni imbarazzo.
Era come se avessimo fatto un patto, la prima notte insieme.
Facciamo che ‘sta cosa non è niente di definitivo. Facciamo che si sta insieme finché ci va e poi se uno va via, nessuno ci resta male. Facciamo così, perché non voglio niente che mi mandi il cervello in tilt più di quanto gli spinelli già fanno. Ma hey, il nostro è sempre amore. Solo che ho troppa paura per amarti come si deve, quindi facciamo che ci basta così.

Ammetto che, a pensarci concretamente, la cosa sembrava un filo contorta, ma quando ci guardavamo negli occhi, i pensieri non contavano. Contava quel patto nelle mani della notte, nelle mani delle lenzuola e della paura.
Quando mi fidanzai con Carl non fu un problema. Li presentai e dopo Nick scomparve. Qualche messaggio ogni tanto, ma si era fatto da parte, perché c’era qualcuno che voleva qualcosa di definitivo con me. Quando poi lo mollai, non ci fu bisogno di parole. Vide le mie lacrime e fu lì per me, punto. Proprio come un migliore amico.  

Quando aprii la porta, skate sotto braccio, mi trasse a sé e mi baciò sulla punta del naso. I ciuffi biondi mi solleticarono la fronte.
«Fai la brava, Ree.» solo lui mi chiamava così.
 
 
«Brano sgarzolino che ti prende e non ti lascia, gente. Godetevelo.» e partii Girls Just Wanna Have Fun. La filo diffusione nel negozio era stata una buona idea. Almeno quando parlavo da sola, potevo rivolgermi allo speaker.

Erano passati tre giorni da quando il ragazzino aveva rubato quel cd. Ogni volta che ci ripensavo, mi saliva una rabbia bollente fino alla punta dei capelli. Era certo che avrei dovuto bruciare il nastro di sorveglianza, quindi gli avevo servito su un piatto d’argento la possibilità di farmi fessa. Strano che non avesse preso altre cose. In realtà neanche avevo controllato, mantenendo fede al mio mantra di indifferenza totale verso quel posto squallido.
Mentre riflettevo su quanto sbagliata fosse la disposizione degli scaffali, mi arrivò una voce alle orecchie.
«Ancora qui? Credevo ti avessero licenziata.»
Sorrisetto. Gomiti sul bancone e mani sulle guance.
«E io che ti avessero arrestato. Che peccato, vero?»
«Sono incorreggibile, lo so.» sorrisetto.
«Perfetto Lupin, allora vai a sfuggire agli sbirri da qualche altra parte.» sbuffo.
Mi allontanai, avviandomi agli scaffali in disordine che Ciccio Bomba mi aveva chiesto (più imposto, ma non facciamo i pignoli) di riordinare.
Lui mi seguii, dicendo che avrei dovuto essere più gentile con i clienti.
Risposi che non rientrava nelle credenziali richieste per quel lavoro, l’essere gentile.
«Chiedono le credenziali in questo tugurio?» sembrava davvero scettico, si lasciò sfuggire una risatina.
Scossi la testa, mentre rimettevo gli Oasis dopo i Nirvana e i Guns n’ Roses prima dei Pink Floyd.
«Probabilmente. Sarà stata una di quelle domande a cui non ho risposto.» glissai.
Si allontanò. C’eravamo solo noi in negozio, sentivo che strisciava i piedi sul pavimento.
Passò un po’ di tempo, il silenzio era opprimente. Cominciai a canticchiare una vecchia canzone dei Green Day.
I’m having trouble trying to sleep. I’m counting sheep but running out. As time ticks by. And still I try. No rest for crosstops in my mind.
«On my own, here we go.»
Mi sorrise, un pochetto. Io accartocciai le labbra di lato. Aveva cantato la mia parte preferita, cavolo.
«Ti piacciono i Green Day?» chiese. Sembrava improvvisamente sveglio. Ebbi come un flashback di me a quindici anni, che andavo in giro chiedendo la stessa cosa a chiunque. Stavolta sorrisi.
«Dire che mi piacciono è un eufemismo del cazzo.»   
 
 
 
«E così ti chiami Frank.»
«Affermativo.»
«Beh, non hai la faccia da Frank.»
«Dici?»
«Mmh. Proprio per niente. Sembri più un Caleb.»
Risi. Caleb era davvero orribile.
«Chiamami Tony, se vuoi.»
«No, non mi piace.» disse, accartocciando le labbra di lato. Lo faceva spesso. Prese a scrutarmi, con gli occhi stretti dal tramonto. In quella luce sembravano ancora più chiari. Le pupille ci stavano affogando, in quei laghi ghiacciati.
«Credo ti chiamerò Seth. Sì, Seth è perfetto.»
Da quando mi aveva detto dei Green Day, non avevamo più smesso di parlare. Sempre punzecchiandoci, ma era divertente sparare le più grandi cazzate, miste a dichiarazioni d’amore alla musica.
Alle sei finii il turno e c’incamminammo insieme verso casa. Io più tardi tornavo alla mia, meglio era. Intuii fosse lo stesso per lei.  
Non era male. Contornati da quei capelli scuri, i suoi occhi bruciavano. E aveva una spruzzata di lentiggini sul naso, uscita da non si sa dove, secondo lei. Più o meno era alta quanto me, e non fece battute di sorta sulla mia altezza. Un altro punto a suo vantaggio.
«Sai cosa, neanche a me piace il tuo nome.» dissi.
Inspirò l’ultima boccata dalla sua sigaretta e poi se la buttò alle spalle. Incrociò le gambe sulla panchina dove eravamo seduti e si voltò di nuovo verso di me.
«Allora come vuoi chiamarmi, Seth?»
«Pensavo a Megan, guardandoti.»
Restò a soppesare, reclinando la testa all’indietro e fissando il cielo.
«Ma sì, può andare.»
Reclinai anche io la testa all’indietro.
«Ti chiamerò così, da oggi. Magari anche Meg.»
«D’accordo, Seth.»
Passarono minuti velocissimi, poi lei si alzò, si passò una mano tra i capelli e disse che doveva andare.
La guardavo, semplicemente. Annuii, con un Oh.
«Tanto ci vediamo in negozio, prima o poi.»
«Certo. Torno presto.»
Suonava come una promessa. Lei annuii, l’imbarazzo era palese.
Io mi sentivo intontito, non avevo neanche capito che se ne sarebbe andata davvero.
«Allora ciao, Seth.»
Mi sorrise.
«Ciao, Meg.»

  
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