Serie TV > Gossip Girl
Ricorda la storia  |      
Autore: purplebowties    01/07/2012    3 recensioni
“Che cosa ci fai qui?” ripeté Chuck di nuovo, esasperato. La prima volta che le aveva rivolto quella domanda amara, al tavolo da poker, non le aveva dato il tempo di rispondere adeguatamente, troppo occupato a fuggire il più possibile lontano da lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Bart Bass, Blair Waldorf, Chuck Bass | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Autore: purplebowties
Titolo: Are You Willing To Pay The Consequences?*1
Rating: Arancione
Timing: AU post episodio 5X24, The return of the ring.

Personaggi:
Chuck Bass, Blair Waldorf, Jack Bass
Nominati o minori: Bart Bass, Dorota, Nate Archibald, Serena Van Der Woodesn
Paring: Chuck\Blair
Introduzione: “Che cosa ci fai qui?” ripeté Chuck di nuovo, esasperato. La prima volta che le aveva rivolto quella domanda amara, al tavolo da poker, non le aveva dato il tempo di rispondere adeguatamente, troppo occupato a fuggire il più possibile lontano da lei.
Note:*1 Il titolo è un riferimento all’episodio 4X09, The Witches of Bushwick.


 

"But the most difficult part can be admitting there was a sin to begin with.
Most people find it too hard to face their crimes and find it easier to pretend nothing ever happened."


27 Agosto, casa Waldorf, New York


L’ingresso dell’attico era deserto e completamente silenzioso, eccezione fatta per il ritmo irregolare ed accelerato del suo respiro. Chuck si lasciò le porte dell’ascensore alle spalle e, poggiando la schiena contro il muro, percepì l’autocontrollo scivolare via un po’ alla volta, scoprendosi incapace di impedire alle sue mani di tremare. La rabbia ed il disgusto gli si agitavano dolorosamente nel petto, ribollivano bramose di esplodere: avrebbe voluto gridare e strappare via l’angoscioso senso di vuoto che gli faceva contorcere le viscere e pulsare le tempie.

Si sentiva esausto, sfiancato dalla verità crudele che aveva da poco appreso. Quella rivelazione, spiattellata senza alcun tatto così come era lo stile di Jack Bass, gli aveva riempito il cuore di morte ed era stato solo il senso bruciante del tradimento a dargli la forza di giungere a casa Waldorf.

 “Mr. Chuck?”

Chuck trasalì quando la luce venne accesa e vide Dorota arrivargli incontro con aria interrogativa e preoccupata. Ora l’ingresso brillava del chiarore caldo del lampadario e Chuck pensò che avrebbe preferito rimanere al buio, così che nessuno avrebbe potuto guardarlo in faccia e scorgere ogni segno della sua debolezza. Quel pensiero lo costrinse i pugni fino a che le nocche non gli divennero chiarissime. Non era affatto lui ad essere un debole, rettificò mentalmente.

“Mr. Chuck, si sente bene?” gli chiese Dorota, avvicinandosi più lentamente. Chuck chiuse gli occhi per un attimo, tentando di riprendere fiato. Prima che potesse accorgersene, Dorota gli aveva già messo in mano un bicchiere di scotch invecchiato.

“Devo vedere Blair,” soffiò.

La donna gli lanciò uno sguardo sconfortato. “Miss Blair non è qui, Mr. Chuck."

 



30 Maggio, Casinò di Montecarlo, Principato di Monaco


“Che cosa ci fai qui?” ripeté Chuck di nuovo, esasperato.

La prima volta che le aveva rivolto quella domanda amara, al tavolo da poker, non le aveva dato il tempo di rispondere adeguatamente, troppo occupato a fuggire il più possibile lontano da lei.

“Lei punta, signore?” gli aveva chiesto il croupier, del tutto inconsapevole della tragedia che stava andando in scena sotto i suoi occhi.

Chuck aveva spostato lo sguardo su Blair, stupito e spaventato dalla fermezza che le leggeva sul viso. Lei aveva accennato un sorriso determinato ma paziente, premuroso e Chuck aveva ricordato quanto tempo avesse sperato invano di rivedere quell’espressione incrociare i suoi occhi e per quanto si fosse logorato attendendo che Blair trovasse nuovamente la forza, la voglia o il coraggio di guardarlo in quel modo, senza timore, pena o disapprovazione. Uno sguardo puro ed amorevole, lo sguardo che gli aveva rivolto ogni volta che aveva giurato che non lo avrebbe abbandonato per nulla al mondo, che lo avrebbe amato per quello che era e per quello che lei sapeva essere in relazione a lui; la Blair carica di passione, quella capace di amore incondizionato, quella coraggiosa e caparbia che non aveva paura di lui perché non aveva paura di se stessa.

Solo che poi quelle promesse erano state tradite - una ad una - e lo avevano lasciato come un guscio vuoto, spogliato della sua dignità, a disegnare percorsi alternativi alla vita che aveva sognato di poter avere con lei, strade battute nel tentativo di sopravvivere senza che Blair lo tenesse per mano, spargendo intorno a se polvere e frammenti di quelle stesse promesse.

Blair le aveva gettate via. Lo aveva fatto a causa sua, si era detto Chuck mille volte,  ripetendosi che non meritava di essere scelto e amato, non per come era almeno, perché, se persino Blair non lo aveva accettato, allora non lo avrebbe fatto nessuno, non lo avrebbe fatto nemmeno lui stesso. Così si era prodigato nel tentativo di diventare un uomo migliore, una persona degna di considerazione e stima, per poi rendersi conto, con la più languida malinconia ad appesantirgli il cuore, che era stata ancora lei ad indicargli la direzione da seguire. Lo aveva fatto inconsapevolmente, da lontano, e Chuck l’aveva altrettanto inconsapevolmente lasciata fare, fino al giorno in cui aveva aperto gli occhi ed aveva realizzato di essere diventato quello che Blair aveva sempre desiderato che fosse.

Eppure, in ultima istanza, lei ancora non lo aveva voluto. Aveva rinnegato tutte  le sue promesse persino di fronte alla forma più luminosa e semplice che Chuck era riuscito a dare a se stesso, soffocando e maledicendo ogni parte di lui che Blair - come tutti - avrebbe rifiutato sdegnosamente, inorridita e spaventata.

“Che cosa ci fai qui?”

 “Chuck,” lo aveva invocato Blair soffice  carezzevole, sfiorandogli la mano con delicatezza.

Guardandola ancora carico di sgomento, tuttavia, Chuck aveva realizzato che non importava quanto gli occhi di lei fossero colmi di sincero pentimento, non importava neppure che avesse deciso di attraversare l’Atlantico per scovarlo, perché il suo cuore era ancora troppo a pezzi e non c’era alcuno sguardo languido o alcuna parola dolce che gli avrebbe permesso di assecondare nuovamente il volere di quella donna.

Se l’era ripromesso quando aveva giurato a se stesso che non avrebbe sprecato più un secondo della sua vita ad aspettarla, perché si era sforzato di cambiare, ma questo non era bastato. Non era bastato ad impedirle di sposare un altro uomo, ad impedirle di fuggire lontano da lui e da ogni possibilità di un suo aiuto, di preferirgli un uomo come Dan Humphrey, di accusarlo ingiustamente, ostinata nel voler vedere solo il marcio in lui, solo cattive intenzioni, doppi fini e meschinità. Ma, come era faticosamente riuscito a capire, non era lui il problema. Il problema era piuttosto la stessa Blair, una Blair cieca e svuotata di tutte le sue qualità migliori, l’ombra della Blair che lo aveva amato con fierezza, che lo aveva amato pienamente, come lui necessitava di essere amato, come aveva finalmente capito di meritare.

Così si era alzato di scatto, consapevole del fatto che, per quanto il suo istinto gli stesse gridando a gran voce di giocare, in alcun modo si sarebbe concesso di cedere.  Lei se ne sarebbe andata di nuovo, aveva pensato. Lo avrebbe abbandonato, magari dopo aver realizzato che il loro rapporto era troppo complicato, che non era abbastanza coraggiosa o che non aveva abbastanza forza per vivere fino in fondo la loro relazione, per permettere a se stessa di amarlo così come il cuore le diceva di fare. 

“Te l’ho già detto Blair, non posso più fare questo gioco."  La frase era stata sputata come una sentenza definitiva, lapidaria, fredda.

Con quelle parole Chuck l’aveva abbandonata al tavolo, sperando di essersi lasciato alle spalle tanto lei quanto l’irrazionale, primordiale voglia di stringerla, di baciarla e di ricordare a se stesso quanto non avesse mai smesso - nemmeno per un secondo - di sentirla sua, anche quando non avrebbe voluto, anche quando la presenza di Blair nel suo cuore non era stata altro una spina conficcata che lo faceva agonizzare.

Prevedibilmente, tuttavia, le sue speranze erano state tradite. Blair lo aveva seguito fino alla sua camera d’hotel e bussato insistentemente alla porta per un’ora, finché lui non si era trovato costretto ad aprirle, esausto ed innervosito dalla sua stessa incapacità di chiuderla fuori dalla sua camera come dalla sua vita.


“Credo che tu lo sappia già, Chuck."

Blair entrò nella stanza lentamente, un passo alla volta, ed ogni rintocco dei suoi tacchi sul pavimento di legno lucido lo fece sussultare, sommandosi al ritmo irregolare dei suoi battiti. Non ricordava che potesse essere così incredibilmente, sfacciatamente bella.

Il vestito arancione intenso le fasciava le forme elegantemente proporzionate esaltandone ogni curva. Chuck percepì l’impellente bisogno di strapparglielo ferocemente di dosso, anche solo per veder mutare l’espressione di velata sicurezza che le disegnava tra le labbra un sorriso malizioso in un’esplosione di puro piacere. Lei sarebbe stata costretta ad implorarlo di farla sua, accaldata ed irrequieta, maledicendolo per ogni crudele lentezza ed esitazione, impaziente di sentirlo nuovamente dentro di lei.

“Se sei venuta qui con l’intenzione di farmi cambiare idea, Blair, stai perdendo il tuo tempo,” affermò Chuck tagliente chiudendo la porta, mentre un gomitolo di rabbia gli si annidava nel petto: rabbia per la pretesa che le brillava negli occhi scuri, verso la sua stessa incapacità di restare indifferente, verso la convinzione con cui Blair lo stava fissando impertinente, certa che lui avrebbe ceduto.

“Sono qui perchè so quello che voglio."

 Blair brillava di una maestosità oscura e sensuale, del fulgore bruciante e deciso di cui Chuck conservava ancora il ricordo, frammenti sbiaditi della Blair che aveva amato fino a non poter e non voler esistere senza di lei. Era nuovamente la splendida, pericolosa creatura che aveva catturato ed incatenato il suo cuore, era il desiderio ed il turbamento che spingeva i suoi piedi a muovere qualche passo cadenzato nella sua direzione, con la lucidità ottenebrata dal modo in cui lei aveva fatto scivolare i capelli da un lato, lasciando che lui potesse posare lo sguardo sul suo collo nudo. 

“E che cosa vuoi?” la provocò Chuck quando le fu rischiosamente vicino, tanto da poter vedere l’effetto che le luci fioche della stanza facevano sul vermiglio lucido del suo rossetto.

Fu in un attimo fugace che vide le labbra di Blair tremare di emozione e schiudersi, ed in quel secondo seppe che non avrebbe più potuto trattenersi. Non difronte all’infernale, disperata speranza che si agitava negli occhi di Blair, lo stesso guizzo magnetico della prima volta che era stata sua, desiderosa che qualcuno la vedesse veramente, che la amasse senza mezzi termini.

Chuck chiuse le palpebre quando le labbra di lei gli sfiorarono l’orecchio.

Te,” sussurrò. 

Ed in un momento ogni centimetro di Blair fu suo, ogni lembo di pelle tesa e bramosa che le sue dita furono in grado di raggiungere, ogni ciocca di capelli che i suoi palmi riuscirono ad afferrare impetuosi. L’aveva spogliata ancora prima di rendersene conto ed il vestito strappato giaceva ora come una macchia di sangue e oro a terra, mentre lui le baciava le labbra già gonfie ed il collo, la sollevava di peso e con forza la lasciava cadere sul letto. 

Poi, con le mani di lei ancora aggrappate alla sua camicia senza più bottoni, Chuck si fermò un istante ad osservare il piacere colmarle gli occhi ed accaldarle le guance. “Dimmi che sei mia,” le disse con il fiato corto, pregando che quell’ordine non fosse suonato come una supplica.

“Sono tua, non sono mai stata di nessun’altro."

A quel punto, Chuck non ebbe più bisogno di parlare.

 



5 Luglio, Hotel Ritz, Parigi

 

“Mi chiedo quando riuscirò a strapparti un vero sorriso,” gli disse Blair con un’espressione pensosa e malinconica, facendo scorrere lentamente l’indice lungo tutta la curva delle sue labbra.

Chuck chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, stringendo l’abbraccio che li legava. 

Doveva ammetterlo: Blair era riuscita a persuaderlo con la sua determinazione. Eppure era stato davvero sicuro che lei avrebbe gettato la spugna quando, dopo la notte infuocata di passione che avevano passato a Monaco, l’aveva lasciata ancora addormentata con un semplice bigliettino appoggiato sul cuscino. “Non posso, mi dispiace,” recitava il messaggio. 

Era stata una mossa crudele, ne era consapevole, ma guardandola dormire pacificamente al suo fianco Chuck aveva avuto paura di perdersi nuovamente, aveva temuto che quel niente dal quale si era risollevato con indicibile difficoltà lo avrebbe inghiottito nuovamente, se solo si fosse avvicinato troppo. Se fosse tornato con lei prima o poi si sarebbe trovato annientato dal suo stesso amore. Così era fuggito con il sole che sorgeva, sordo alle lamentele e alle risatine di scherno di suo zio, e con lui si era diretto a Vienna, pronto a conquistare un altro casinò e a strappare via dalla pelle il ricordo ancora vivissimo di quella di Blair.

Ma Blair si era dimostrata tanto testarda e decisa da mettere da parte l’orgoglio una seconda volta e seguirlo, affatto arrendevole e apparentemente non scalfita dal suo desiderio di resisterle. “Credevi davvero che ti avrei lasciato scappare?” gli aveva chiesto e Chuck non aveva trovato parole per risponderle, così si erano scoperti nuovamente incapaci di resistersi.

Per un mese, girando l’Europa, non avevano fatto altro che abbandonarsi alla passione e Chuck aveva sentito di avere nuovamente diciassette anni, un tempo in cui potevano fare l’amore ed appartenersi senza che ci fosse davvero bisogno di parlare, senza grandi promesse, con la leggerezza di un impegno non dichiarato. Blair non aveva preteso nulla da lui, non gli aveva chiesto alcuna conferma, ne Chuck si era sentito abbastanza pronto da confessarle nuovamente il suo amore, così avevano stipulato un tacito accordo di silenzio.

Tuttavia, in momenti come quelli, Chuck sapeva che Blair avrebbe voluto qualcosa di più, che avrebbe voluto scavare dentro la profondità dei suoi silenzi e spingerlo a confessarle suoi pensieri più tormentati ed il soffrire che si ostinava a tacerle.

Chuck avrebbe potuto raccontarle di quanto si sentisse tradito e di quanto avesse aspettato invano, cosciente dell’inutilità di quell’attesa, che suo padre lo chiamasse e ritrattasse, che gli chiedesse scusa magari, pronto a riconoscere il suo valore e quanto di importante lui fosse riuscito a fare in sua assenza. Avrebbe potuto confessarle le sue insicurezze e i suoi dubbi, la latente paura di non farcela che con fatica riusciva a circoscrivere e mantenere lontana, di quante volte il ricordo dell’espressione di Bart lo avesse fatto sentire sconfortato e minuscolo, incapace di dare un senso a tutta quella disapprovazione e a quella freddezza, accendendo in lui il feroce desiderio di mostrare quanto fosse meritevole di considerazione e quanto Bart fosse in torto nel definirlo un ragazzino, una debole nullità. Restare in silenzio ed escluderla da quei pensieri, tuttavia, gli dava l’impressione di mantenere il controllo sulla situazione.

Per quanto provasse, Chuck non riusciva a fidarsi. L’idea che Blair lo avrebbe abbandonato nuovamente continuava a tormentarlo e non mancava mai di sentirsi sorpreso dal fatto di trovarla ancora affianco ogni giorno, disposta a stargli vicino, nonostante lui le stesse negando fiducia e sicurezza.

“Sorrido spesso, Blair,” tergiversò malizioso tirandola ancora più a sè.

Il lenzuolo di seta l’avvolgeva delicatamente, dandole una forma eterea e luminosa. Quella luce radiosa, tuttavia, sembrava essere tradita dal velo di cupezza che Chuck le leggeva negli occhi: di sicuro, dopo un mese passato ad attendere che lui le aprisse il suo cuore, Blair doveva aver cominciato ad impazientirsi, desiderosa della giusta considerazione e di risposte concrete.

Blair lo fissò intensamente, facendogli scorrere le dita tra i capelli con un’espressione indecifrabile. Sospirò, sciogliendosi infine in un sorriso triste.
“No, non veramente,” puntualizzò con tenera saccenza. “Ma sapresti sorridere di nuovo se solo ti concedessi di dirmi quello che ti passa per la testa."

Chuck restò a guardarla trattenendo il respiro. Per un mese aveva aggirato magistralmente quella conversazione, trovando di volta in volta modi per non doverla sostenere. Si ricordò di come da ragazzino gli fosse stato impossibile confessarle di amarla, troppo preoccupato che lei sarebbe fuggita di fronte a quello che avrebbe scorto guardandogli dentro. Ricordava quella sensazione di inadeguatezza e l’idea che Blair fosse un essere perfetto, la cosa più luminosa che fosse mai entrata nella sua vita, l’unica sua possibilità di salvezza. Ricordava il terrore di non essere abbastanza e la sensazione di stupore che aveva provato capendo che una persona come lei avesse deciso di stare con qualcuno come lui, che di certo non meritava un briciolo dell’amore miracoloso che lei voleva donargli.

Vivere Blair gli aveva chiaramente insegnato che Chuck Bass non esisteva che in funzione a lei ed era solo in lei che Chuck aveva trovato una ragione valida per credere in se stesso e per essere se stesso. Capire che la sua esistenza aveva un valore al di là della presenza di Blair era stato difficile e doloroso e Chuck aveva più volte pensato di essere condannato ad un becero stare al mondo nell’assenza dell’amore di Blair ma, realizzando di essere vivo e di esserlo senza di lei - Che lo aveva abbandonato senza che si fosse macchiato di alcuna colpa - Chuck si era reso conto di quanto tempo e di quanta vita avesse gettato via nel tentativo di dimostrarle tutta la sua devozione, nel tentativo di essere semplice, di esserlo per lei.

Ma lui non era semplice; non c’era alcuna parte di se stesso che Chuck potesse etichettare in quel modo e vivere nel tentativo di imitare l’assenza di complessità si era dimostrato quasi più difficile che accettare la complessità stessa, finchè si era ritrovato esausto, consumato e svuotato di ogni briciolo di forza. Tra tutte le cose disgustose e crudeli che suo padre gli aveva detto, le parole che aveva avuto per Blair gli avevano aperto gli occhi su qualcosa che per troppo tempo si era sforzato di non vedere: annullandosi per lei, esaurendo in lei tutta la sua energia e la sua esistenza, Chuck si era ritrovato spogliato della sua essenza e privo di obbiettivi, sogni o desideri che non la riguardassero. Si era ridotto ad essere nulla ed ancora adesso non riusciva a perdonarsi di aver avuto così poco riguardo verso di sè.

Per questo motivo non riusciva a far cadere alcuna barriera con lei: donarle i suoi pensieri più intimi sarebbe stato come affidarle nuovamente se stesso e Chuck non era sicuro che lei sarebbe rimasta. Avrebbe potuto abbandonarlo nuovamente, scegliere di nuovo di non volerlo. Infondo era questo che Blair aveva fatto per tutto l’anno.

“E cosa mi dice che non te ne andresti?” le chiese in un sussurro, sciogliendosi dall’abbraccio.

Si alzò velocemente e fece qualche passo verso la finestra.  Parigi brillava delle prime luci del mattino. Erano stati così spensierati quando erano arrivati lì, talmente appassionati e frivoli che Jack non aveva mancato di apostrofarli con un commento sprezzante ma divertito. “Siete pateticamente romantici,” aveva detto con un ghigno ilare e disgustato scuotendo la testa, e loro ci avevano riso su, brindando con le loro flûte di Champagne prima di baciarsi nuovamente.

Con il cuore gonfio di malinconia, Chuck pensò a quanto intensamente aveva desiderato che quel viversi senza pensieri fosse durato per sempre. Quando si voltò nuovamente per guardarla Blair si era tirata a sedere ed ora il lenzuolo di seta bianca era un cumolo di luce aggrovigliato sul letto. Chuck dovette serrare gli occhi per impedire che le trasparenze della sottoveste di Blair lo costringessero ad evitare nuovamente la conversazione e lanciarsi con passione su di lei. Sapeva di non potere, non era giusto: Blair meritava di sapere che lui non si sentiva pronto a corrispondere nessuna delle sue aspettative.

“Ti amo e voglio stare con te, Chuck. Non so perché tu ti voglia ostinare a non crederci."

Chuck abbassò gli occhi, ferito. Ci credeva, eccome se ci credeva. Eppure non era abbastanza, non poteva essere abbastanza dopo tutto quello che era successo. “Ci credo,” le disse con tono greve. Lentamente si spostò fino al  carrellino dei liquori e versò qualche dita di scotch in un bicchiere di cristallo. Per tutto il tempo sentì lo sguardo intenso ed interrogativo di Blair sulla nuca. Poi, nuovamente, sistemandosi davanti al letto, si girò e la vide raggomitolata sul bordo, che lo fissava assorta e triste con le labbra semiaperte. Bevve un sorso di liquore e poi prese fiato. “Ma non è questo il punto."

Blair gli rivolse un’occhiata accigliata e con un movimento veloce si tirò in piedi a sua volta. La vide avanzare verso di lui e posizionarglisi sotto il mento.

“Che intendi dire?” gli chiese in un soffio, timorosa.

A Chuck bastò percepire quell’indecisione nel tono di Blair per capire che lei sapeva esattamente dove lui sarebbe voluto andare a parare. Forse lo immaginava da giorni, lo aveva immaginato con ogni sguardo meditabondo e malinconico che gli aveva rivolto, intenzionata a leggergli dentro.

“Per tutto il tempo hai saputo di amarmi, Blair. Sapevi di amarmi quando hai sposato Louis, sapevi di amarmi quando mi hai tenuto lontano da te, quando hai preferito nasconderti a Brooklyn piuttosto che starmi vicino. Queste cose sono successe e non posso fare finta che non abbiano cambiato nulla, Mi amavi, ma non avevi abbastanza coraggio da scegliere me,” le disse tutto d’un fiato, riassaporando un po’ dell’amarezza e del rancore che vivere quei momenti aveva fatto scaturire in lui.

Strinse un po’ più forte la presa intorno al bicchiere e abbassò lo sguardo per non dover perdersi negli occhi lucidi con cui Blair lo stava fissando.

“Ma adesso sono abbastanza coraggiosa, Chuck. Sono qui, ti ho scelto,” protestò Blair con  voce un po’ tremante e Chuck pregò di non vedere nessuna lacrima rigarle il visto, perché altrimenti lui stesso sarebbe stato costretto a reprimere gocce di dolore liquido e a quel punto si sarebbero baciati e ci sarebbero ricascati, ingannati dalla loro passione, per poi trovarsi qualche ore dopo allo stesso punto morto.

“Sì, mi hai scelto adesso. Forse mi sceglierai anche domani, forse lo farai per un anno. Ma come posso sapere che un giorno non deciderai che amarmi è sbagliato, che non hai abbastanza forza per starmi accanto perchè è troppo complicato? Come posso sapere che questo tuo coraggio non è solo una fase, che sei davvero sicura di aver accettato il fatto di volermi?”.

Per tutto l’anno Blair aveva scelto di non credergli. Aveva scelto di pensare il peggio di lui, di soffocare il sentimento che per lui provava, aveva scelto di rinnegarlo, di negargli il suo aiuto, di negargli il suo affetto e fino all’ultimo secondo aveva tenuto come riserva l’opzione che l’avrebbe tenuta lontano da lui, lontano dalla prova di coraggio che era il loro grande amore.

Blair rimase muta e Chuck colse nel suo silenzio ogni possibile sfumatura di rimpianto. Non piangeva, comunque. Era immobile di fronte a lui con gli occhi bassi ed il respiro trattenuto, a contemplare i frammenti di qualcosa che lei stessa aveva rotto.

“Non posso aprirmi con te perché non riesco a trovare in me la certezza che non te ne andrai, che è questa la tua decisione definitiva,"

“Potrei dirti che non succederà, ma ho idea che non mi crederesti,” mormorò Blair. Gli accarezzò la guancia lentamente e Chuck poté percepire il tremore intenso delle sue dita e la commozione bagnarle nuovamente gli occhi.

Ebbe voglia di stringerla e di prometterle che le credeva, ma giurarle che aveva ancora la sua fiducia era una bugia disturbante che per nulla rendeva giustizia all’amore che provava per Blair. Sarebbe stato un po’ come ingannarla e Chuck si era ripromesso che mai più avrebbe giocato con i sentimenti di Blair, perché quell’atteggiamento gli ricordava il fantasma di un uomo insicuro e spaesato, l’uomo che era stato e che non avrebbe più voluto essere.

“Mi dispiace,” le disse e poi si perse a baciare per l’ultima volta le labbra già salate di lacrime.

 


 

26 Agosto,  jet privato di Chuck Bass, in volo verso New York

 

Chuck chiuse la telefonata con un sorriso tra le labbra e, uscendo dalla sua cabina, fece scivolare il telefono nella tasca interna della giacca di seta color porpora. Parlare con Nate non mancava mai di lasciargli una sensazione di calore familiare nel petto, nonostante le conversazioni con il suo migliore amico fossero sempre abbastanza esasperanti. Per circa quaranta minuti Nate non aveva fatto altro che lamentarsi del caldo, del troppo lavoro, della noia e di quando fosse incredibilmente difficile prendersi cura di Monkey, per poi concludere, ansioso ed entusiasta, che non vedeva l’ora di riaverlo a casa, così da poter passare di nuovo le serate insieme e parlare. “Sai, man, sono preoccupato per Serena. Non la sento da mesi,” gli aveva confessato Nate tra una lagnanza e l’altra e Chuck aveva immediatamente dedotto dal tono esageratamente accorato ed agitato dell’amico che sarebbe stato sicuramente quello il loro principale argomento di conversazione.

Chuck sospirò, rincuorato. Angosciato com’era per la presunta scomparsa di Serena, Nate avrebbe evitato ogni domanda curiosa su Blair e Chuck non poteva essere più sollevato all’idea di non dover parlare di lei. Parlarne significava essere costretto a pensarla e pensare a lei era qualcosa che stava accuratamente e faticosamente evitando di fare. Blair gli mancava profondamente e, benché avesse smesso di sentirsi inesistente e vuoto senza di lei, ciò non gli impediva di provare comunque un’opprimente impressione di incompletezza, qualcosa che aveva a che fare con il suo inconsapevole cercarla nel sonno per poi affrontare la spiacevole realtà che non era il corpo di Blair quello che stava stringendo, ma un morbido cuscino di piume che non mancava mai di sembrargli duro e scomodo come una lastra di marmo.

“Quindi, come sta la tua fidanzata?”

Chuck alzò gli occhi infastidito, incontrando l’immagine disturbante di un Jack esageratamente divertito che, con un ghigno sornione stampato in faccia, se ne stava seduto a gambe incrociate su una delle poltrone in pelle. Sbuffò quando lo vide versare qualche dita di scotch in un bicchiere vuoto e porgerglielo con aria beffarda. 

Chuck afferrò il cristallo riluttante e, innervosito, prese posto davanti allo zio. “Blair non è la mia ragazza,” soffiò spazientito mentre prendeva un sorso dal suo liquore.

Prevedibilmente, Jack si sciolse in una risata. “Oh, Chuckie!” lo canzonò con tono falsamente paterno, rivolgendogli un’occhiata di scherno. “Ma io non parlavo di Blair. In realtà parlavo del caro Nathaniel. Più di mezz’ora di conversazione al giorno: deve essere necessariamente amore."

Chuck roteò gli occhi, arricciando le labbra. Jack sapeva come essere una tediosa spina nel fianco quando voleva (e voleva decisamente troppo spesso), doveva dargliene atto.

“Avanti, nipote. Se non ti sciogli un po’ finirò per pensare che stai diventando musone come il tuo vecchio," Jack esitò, fingendo di fermarsi a pensare. “Anche se devo ammettere che è oltremodo dolce sapere che Blair è sempre il primo dei tuoi pensieri, davvero."

Chuck si irrigidì, versandosi dell’altro scotch e cercando di ignorare l’odioso paragone con Bart. Che Jack trovasse i suoi riferimenti a Blair tutt’altro che dolci lo dedusse dal tono sfacciatamente ironico e dall’occhiata compassionevole che lo zio gli riservò. “Non è affar tu quello che accade tra me e Blair,” si impuntò Chuck spazientito.

Erano giorni che Jack non faceva altro che tergiversare ed aggirare la questione Bart e Chuck era certo che gli stesse nascondendo qualcosa. Lo aveva sospettato per mesi ed il loro ritorno a New York rappresentava l’occasione perfetta per estorcergli la verità. Se voleva averla vinta su suo padre era strettamente necessario che sapesse tutto ciò che c’era da sapere.

“Non essere così permaloso, Chuck. Qualcuno potrebbe pensare che la ami ancora perdutamente,” disse Jack allargando le braccia.

Chuck lo fissò in silenzio per una manciata di secondi, segretamente divertito dall’espressione incuriosita che lo zio aveva assunto di fronte al suo temporaneo mutismo. “Credi che non sappia che mi stai nascondendo qualcosa?” gli chiese infine Chuck con fredda pacatezza, proseguendo nel versare scotch nei bicchieri di entrambi.

Per un istante Jack parve spiazzato e Chuck si compiacque di aver imparato da bambino a decifrare immediatamente i segni di debolezza nel viso delle persone, perché quel barlume di sorpresa durò meno di un secondo. Continuò a squadrarlo, senza abbassare lo sguardo.

Paranoia. Una delle mille cose che ti rendono il degno figlio di tuo padre,” ribatté Jack dopo un po’.

Chuck ghignò, mettendosi a sedere più comodamente sulla poltrona. Fece passare le dita sulla seta viola dell’ascot, lo lisciò con delicatezza e, quando ebbe finito, puntò nuovamente lo sguardo su suo zio. “Sai, c’è un vantaggio nell’affrontare una conversazione su un volo di più di otto ore, specialmente se il jet su cui stai volando è tuo," si fermò un attimo, facendo roteare lo scotch nel bicchiere ed accarezzandone il bordo con il pollice. “Il vantaggio è che il tuo interlocutore non può andare da nessuna parte ed è assolutamente tua discrezione quale rotta fare eseguire al pilota e dunque quanto tempo il viaggio debba o meno durare." Chuck arricciò le labbra in un sorriso tagliate ed incredibilmente soddisfatto quando vide l’espressione di Jack mutare da moderatamente divertita ad assolutamente seccata.

“Mi stai per caso minacciando?” gli chiese lo zio, finalmente serio.

“Considerala più come un’esortazione a parlare che una minaccia, Jack. Sai che non ci tengo ad averti come nemico, è anche grazie a te che adesso ho concrete possibilità di affrontare mio padre ad armi pari. Quello che sappiamo entrambi, invece, è che sei tu ad avere bisogno di me per ottenere un posto nell’azienda. Bart sarà anche una persona detestabile ma non è un mistero per nessuno chi sceglierebbe tra te e me. Lo ha già fatto, può farlo di nuovo. E, anche se non volessimo scomodare il mio caro padre, sai altrettanto bene che tutta la rete di agganci che abbiamo costruito negli ultimi tre mesi fa affidamento su di me, il ragazzo di vent’anni che ha salvato una multinazionale da fallimento sicuro, non certo su di te, il quarantenne inaffidabile con una sfrenata passione per le donne, lo scotch e la magica neve."

Jack incrociò le braccia e si sporse un po’ avanti sul sedile. “Pensavo che queste cose piacessero anche a te,” puntualizzò amareggiato.

Chuck sorrise, tranquillo. “Mi piacciono, infatti, e molto. Ma io non sono te, ho altre cose per cui valga la pena vivere."

“Come Blair, ad esempio?” lo provocò Jack.

C’era una certa vena di risentimento negli occhi di suo zio, ma Chuck non vi lesse alcun pericolo. Vi lesse piuttosto solitudine e rancore e vuoto. Si sentì sollevato all’idea che i suoi stessi occhi non fossero più voragini di niente. “Ancora una volta, non sono affari tuoi,” sentenziò senza perdere la calma, tradendo il fastidio che provava nel sentire il nome di Blair pronunciato da Jack: anni di lotte gli avevano insegnato che non mostrarsi vulnerabili di fronte a suo zio era il modo migliore per non cadere nei suoi tranelli. “Avanti, Jack. Lo sai che quando si tratta di noi Bass i segreti restano nascosti il tempo necessario per rovinarci la vita,” terminò composto.

Jack scosse la testa con un ghigno amaro tra le labbra e gli riempì nuovamente il bicchiere di scotch. “Bevi,” lo esortò piattamente. “Rimpiangerai di aver voluto sapere la verità, Chuck."

 



28 Agosto, Empire Hotel, New York

 

“Chuck, parlami."

Chuck serrò gli occhi per impedire ad una lacrima di bagnargli la guancia, stringendo a se il corpo di Blair.

L’aveva cercata per ore e l’aveva trovata infine sul tetto dell’Empire, con gli occhi fissi sull’orizzonte e la luce sanguinea dell’insegna a disegnarle macchie di rosso sul profilo pallido. Non c’era stato bisogno di dire nulla, si era limitato ad andarle incontro e stringerla, tremante di sconforto, rabbia e dolore, lasciando che l’amore di lei lo cullasse al ritmo del suo respiro sorprendentemente calmo e che le mani di Blair si insinuassero tra i suo capelli, accarezzandolo con delicatezza. In un attimo si erano ritrovati seduti a terra e la gonna del vestito di Blair si era mossa in uno sbuffo di nero ed oro quando lui ci aveva poggiato la mano ed aveva incontrato quella di lei.

Non sapeva dire per quanto fossero rimasti in silenzio, ma di certo era stato un tempo piuttosto lungo perché, quando finalmente riaprì gli occhi per posarli sullo sguardo preoccupato ed amorevole di Blair, le prime luci dell’alba stavano cominciando a tingere di azzurro e rosa pallido il cielo nero.

Prese fiato. “Mio padre...” iniziò titubante, scoprendo quanto effettivamente fosse doloroso raccontarlo a qualcuno.

Ma Blair non era qualcuno. Non solo Blair era l’unica che avrebbe capito, l’unica capace di leggergli l’anima, ma era anche l’unica a cui Chuck avrebbe voluto mostrare quello che aveva dentro. Se ne era reso conto con un guizzo di sconforto, scoprendo che, in mezzo alla devastazione che la rivelazione di Jack gli aveva lasciato nel petto, Blair era ancora l’unica con cui avrebbe voluto parlare; lei che era stata capace di fare un passo indietro e tornare al suo fianco e che, in ultima istanza, aveva avuto il coraggio di sceglierlo.

Chuck percepì Blair trattenere il respiro e stringergli la mano con più forza. Quel tocco gli diede un incentivo per proseguire.

“Non è stato costretto, Blair. Ha scelto di inscenare la propria morte perché era più comodo farlo,” disse Chuck tutto d’un fiato, convinto che prima avrebbe parlato, prima quel bruciante senso di tradimento gli avrebbe dato un momento di tregua.

“Che intendi?” chiese Blair in un respiro.

“Si era immischiato con degli affari sbagliati e avrebbe perso troppi soldi, forse avrebbe avuto guai con la legge,” si bloccò a metà frase, disgustato. Blair continuava a stringergli la mano. “Capisci? Soldi. Ha scelto di lasciarmi da solo per soldi.”

Una risata amara gli pizzicò la gola mentre coglieva l’ironia innaturale di quella situazione. Per anni aveva desiderato ardentemente di dimostrare di essere all’altezza delle aspettative di suo padre, per una vita intera aveva elemosinato approvazione ed affetto e, quando infine aveva pensato che Bart lo avesse lasciato per sempre, ancora non era stato capace di staccarsi dall’idea di quello che da lui Bart avrebbe voluto, misurandosi ogni giorno con il senso di inadeguatezza ed il ricordo del suo sguardo gelido, lo stesso sguardo con il quale aveva pensato di ingannarlo di nuovo, spiattellandogli in faccia quanto lo considerasse minuscolo ed indegno del suo cognome. Ora, invece, tutto quello che Chuck riusciva a vedere in suo padre era un uomo a cui mai e poi mai avrebbe desiderato assomigliare, la persona che si era macchiata del più becero dei tradimenti, quella che, senza motivo alcuno, si era rifiutata di amarlo. Aveva rifiutato di amare suo figlio, aveva preferito crogiolarsi nell’indifferenza e tenerlo lontano piuttosto che tentare di aprigli il suo cuore e donargli fiducia.

“E’ rimasto a guardarmi annaspare da lontano senza muovere un dito. Avrebbe potuto aiutarmi e ha scelto di non farlo. Avrebbe potuto affrontare le conseguenze delle sue azioni e non lasciarmi solo, ma ha preferito nascondersi e gettarmi in una fossa di leoni a convivere con i suoi nemici, perché era più facile,” proseguì.

Con cautela Blair si spostò dal fianco di Chuck e si posizionò in ginocchio davanti a lui, afferrandogli entrambe le mani. Gli occhi le si erano fatti lucidi e sembravano ancora più grandi, pieni com’erano di un’amorevole empatia, tanto che a lui parve di scorgere molto del suo stesso sconforto nel modo in cui restavano spalancati e fissi. 

“Scelgono tutti di lasciarmi, Blair,” mormorò inconsapevole, quasi avesse finito di elaborare quel pensiero solo nel momento in cui aveva terminato di dirlo ad alta voce.

“Non permetterti più di pensare che sia colpa tua, Chuck,” gli disse Blair dopo qualche momento di silenzio. Con lentezza liberò una delle mani dalla sua presa e l’appoggiò delicatamente sulla sua guancia, sorridendo scossa e triste. Chuck la vide trattenere il fiato e deglutire, bloccando il tremore delle labbra piene in un battito di ciglia. “L’unico motivo per cui queste persone scappano via da te è perché sono loro stesse a non meritare l’uomo che sei e sono troppo codarde per volerlo ammettere." Blair fece una pausa ed una lacrima le scivolò giù per il viso, lasciandosi dietro una riga perlacea. “Io non voglio più essere codarda, Chuck. Io voglio lottare per te e meritare il tuo amore, voglio starti affianco, credere in te e combattere contro tutte le persone che non hanno voluto farlo, perché è questo che mi rende felice. Tu mi rendi felice, solo tu”.

Era quanto di più meraviglioso potesse desiderare d’amare, pensò Chuck mentre la vedeva boccheggiare in attesa di una risposta con gli occhi luccicanti di tutto l’amore che provava per lui. Delicatamente si sporse in avanti e, prendendole il viso tra le mani, le regalò un bacio a fior di labbra, breve e tremulo, umido della commozione di entrambi. Il sole non era ancora alto e la penombra li avvolgeva entrambi, fresca e confortante nel suo miscuglio di notte e giorno, di passato e futuro: erano sospesi nell’attimo del loro presente. Poi, lentamente, si staccò.

“Se non lo avessi forzato involontariamente ad uscire dalla sua latitanza, Bart non sarebbe mai tornato indietro. E mi detesta per averlo costretto a venire allo scoperto, per averlo vincolato ad essere nuovamente un padre. Ma non è quello che hai fatto tu, Blair. Tu sei tornata da me spontaneamente e sei tornata perché mi volevi. Ci hai messo del tempo, ma infondo hai scelto me. E questo ti rende la donna forte e coraggiosa che non riesco a smettere di amare,” confessò.

Fu come essersi tolto un peso enorme dal petto, una sensazione di libertà e salvezza che sembrò superare ogni traccia di vistosa sofferenza. Aprile il suo cuore era nuovamente la cosa più naturale che gli riuscisse fare, una ventata di fresco respiro nel soffocare dei suoi pensieri cupi e tormentosi. Non l’avrebbe lasciato e non sarebbe scappata, Chuck lo seppe nell’istante in cui la vide sciogliersi nel più ampio dei suoi sorrisi, tramortita e nuovamente emozionata dalle parole che le aveva appena rivolto.

“Non voglio essere come mio padre, Blair,” continuò serio. “Non sono come lui. Voglio scegliere di fidarmi e voglio scegliere di fidarmi di te."

“Sei pronto  a rischiare, Bass?” gli chiese Blair ridendo nel pianto.

Era così diversa dalla sera in cui gli aveva chiesto di scommettere, al casinò: non c’erano acconciature elaborate e vestiti seducenti, non c’erano i tacchi alti ed il rossetto provocante. Blair aveva i capelli sgualciti e il trucco ormai del tutto inesistente e a Chuck parve di non averla mai trovata così bella come nell’attimo in cui decise che sarebbe stata sua per tutta la vita.

"Tutto,” le rispose, ed il niente che tanto aveva temuto fu solo un ricordo sbiadito nell’ombra lucida dell’alba.


   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Gossip Girl / Vai alla pagina dell'autore: purplebowties