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Autore: KazeSlasher    01/07/2012    5 recensioni
«F-fratellone?»
Il bimbo dai capelli candidi stava seduto a gambe incrociate sul letto, sfogliando un vecchio libro di favole con le pagine sgualcite e ingiallite.
Spesso aveva insistito per regalargliene uno nuovo, magari con delle belle illustrazioni. Ma il bambino si era sempre opposto categoricamente, stringendo il pesante volume al petto, come se fosse un orsacchiotto.
Si avvicinò a lui e si sedette sul bordo del letto, piegando lievemente la testa di lato, guardandolo negli occhi. Il piccolo tremò lievemente per un attimo, poi sussurrò...
«...tu mi vuoi ancora bene, vero?»
Si ritrovò a guardarlo serio, senza tradire un'emozione. Batté piano le palpebre.
«Certo.»
[Partecipa all'iniziativa "Otto autori per un prompt"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza
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Questa storia partecipa all'esperimento "Otto autori per un prompt" ed è ispirata al seguente prompt:

"Nessuno ha mai pensato a Norvegia come una persona affettuosa, inclusi i suoi fratelli.
Ma Islanda faceva molti incubi quando era piccolo. Invece di andare da Norvegia nel pieno della notte, preferiva strisciare nel letto di Danimarca, che era sempre pronto a coccolare Islanda per farlo sentire al sicuro dopo un incubo.
Norvegia non l'ha mai saputo, perché gli altri due non ne hanno mai realmente parlato. Ma un giorno, in epoca recente, lo scopre ed è probabilmente geloso, forse anche arrabbiato e pieno di risentimento -ma per la maggior parte ferito, perché non avrebbe mai negato l'affetto di Islanda. (Chi scrive su questo prompt è libero di giocare con la reazione di Norvegia, anche se preferirei rimanesse sul negativo).”
Bonus: Islanda va' ancora, ogni tanto, da Danimarca per farsi rassicurare.
Bonus2: Il bonus di cui sopra è il modo in cui Norvegia viene a sapere di tutte le altre volte.

A questa iniziativa partecipano anche:
- happylight 
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=98503
- Milla Chan http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=107403
- Rota http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=48345
- ViolaNera http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=163681
- s_theinsanequeen http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=101906
- AmyLerajie http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=6311
- Adrienne Riordan http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=17847

Aclhuophobia


«P-pabbi...»
Una vocetta sottile, delicata, così flebile da far fatica a notarla, nonostante il silenzio.
Una testolina pallida, i capelli chiarissimi che sembravano quasi emettere una debole luce propria, nel buio in cui era immersa la stanza.
«Ehi...»
Gli fece cenno di avvicinarsi, mettendosi a sedere sul bordo del letto, scostandosi le lenzuola calde di dosso.
Il bambino si avvicinò piano, tremante, guardandolo con gli occhi spalancati.
«Che succede?»
Il piccolo tirò su col naso.
«M-martröð...»
Accennò un sorriso comprensivo, allungando le braccia verso di lui.
Vide i suoi capelli esitare per un istante, e poi corrergli incontro. Sentì l'esile corpicino contro di sé, caldo ma scosso dai brividi, come se avesse freddo.
«Va tutto bene... era solo un sogno...»
L'altro annuì piano contro il suo petto, stringendosi forte a lui.
Gli accarezzò piano i sottili capelli, prendendolo delicatamente tra le braccia e posandolo sul letto, coprendolo con le lenzuola.

Spalancò gli occhi, boccheggiando.
Quel sogno. Di nuovo.
Si passò una mano sulla fronte madida di sudore, socchiudendo gli occhi quasi con timore, come se le immagini appena scomparse dalla sua mente potessero riapparire di fronte a lui in tutta la loro dolorosa verosimiglianza. Ogni volta che chiudeva le palpebre, poteva intravedere i capelli dei due sul cuscino, i volti nascosti dalle coperte.
Si diede dell'idiota.
Posò i piedi a terra silenziosamente, alzandosi piano dal letto. Le lenzuola, di una stoffa strana simile a carta, frusciarono e caddero a terra. Le superò con una falcata, dirigendosi verso la porta. La mano si posò sulla maniglia di plastica bianca, spingendola verso il basso. La porta si aprì senza emettere il minimo cigolio.
Uscì dalla stanza, senza richiuderla, cominciando a camminare lungo il corridoio buio, deserto. Un passo dietro l'altro, lento e silenzioso. Neppure un fruscio, solo i piedi nudi sulle piastrelle fredde, che producevano un suono ovattato. Ogni metro percorso lo avvicinava alla sua meta. Quella porta...
La conosceva alla perfezione. Bianca, con gli spigoli perfetti, tranne quello in basso scheggiato che lasciava intravedere il marroncino originario del legno, la disposizione e la forma delle cerniere, lo stipite... ogni dettaglio di quella porta era marchiato a fuoco nella sua mente. Era importante, per lui.
Quante notti aveva passato nascosto dietro quella porta origliando in silenzio, immaginando ciò che lì dentro accadeva con una chiarezza tale da sembrare più reale della realtà.
Quella porta era l'amore, il tradimento, il dolore, la rabbia.
Accarezzò piano la superficie un tempo lucida, ora più opaca, intorno alla maniglia. Poi trattenne il respiro, mordendosi il labbro inferiore, e premette.

«F-fratellone?»
Il bimbo dai capelli candidi stava seduto a gambe incrociate sul letto, sfogliando un vecchio libro di favole con le pagine sgualcite e ingiallite.
Spesso aveva insistito per regalargliene uno nuovo, magari con delle belle illustrazioni. Ma il bambino si era sempre opposto categoricamente, stringendo il pesante volume al petto, come se fosse un orsacchiotto.
Si avvicinò a lui e si sedette sul bordo del letto, piegando lievemente la testa di lato, guardandolo negli occhi. Il piccolo tremò lievemente per un attimo, poi sussurrò...
«...tu mi vuoi ancora bene, vero?»
Si ritrovò a guardarlo serio, senza tradire un'emozione. Batté piano le palpebre.
«Certo.»
Allungò una mano e la affondò nei capelli del fratellino, morbidi fili d'argento che gli solleticavano le dita. Si sforzò di sorridere.
Non era abituato a elargire sorrisi e carezze. Mascherava perfettamente ogni sentimento dietro quel muro di apparente insensibilità. Era una qualità quando si trattava di affari, ma un pessimo difetto con le persone a cui teneva.
Sapeva perfettamente perchè gli aveva fatto quella domanda. Stava crescendo, e passavano sempre meno tempo insieme. Gli concedeva sempre meno affetto.
«G-grazie...»
Il bambino mormorò debolmente, guardandolo negli occhi e subito abbassando il capo. Lui annuì e, silenziosamente, uscì dalla stanza.

Quel ricordo riaffiorò quasi con violenza mentre guardava la camera del fratello. 
Si avvicinò al letto ancora disfatto, lisciando le pieghe lasciate sul cuscino dalla sua testa. Notò i vestiti ordinatamente piegati appoggiati sullo schienale della sedia.
Sospirò nervosamente, domandandosi dove fosse andato a quell'ora improbabile in cui di solito dormiva.
Lui lo sapeva. Ogni notte andava nella sua stanza a guardarlo dormire. Lo faceva sentire meglio. Più in pace.
Abbassò lo sguardo e notò le sue pantofole accanto al comodino. Era uscito a piedi nudi. 
Forse era solo andato in bagno...
Irrigidì la mandibola, voltandosi di scatto e uscendo dalla stanza. Richiuse la porta, come se non fosse mai entrato.
Sbuffò, appoggiando la schiena al muro, fissando il corridoio bianco.
Tutto bianco. Pavimento, muri, porte, maniglie... Odiava quel corridoio.
E odiava l'ultima porta a sinistra.
Chiuse gli occhi e si rimise in piedi, fissando quella porta che faceva capolino pochi metri più avanti.
Sapeva già cosa avrebbe trovato. Sapeva cosa avrebbe visto dietro quella porta.
Aprì gli occhi e, rigido come un automa, attraverso a grandi falcate lo spazio che lo separava da quella stanza, senza più preoccuparsi di non fare rumore. Il fratello non era nella sua stanza, quindi non stava dormendo. Il problema non si poneva.
L'ennesima porta bianca dalla maniglia bianca era davanti a lui, ora. Ebbe la tentazione di sfondarla.
Ma si trattenne. Si limitò a posare la mano sulla maniglia, premendo un po', lasciandole tutto il tempo che le serviva per chinarsi al suo volere.
Spinse la porta appena la porta, creando uno spiraglio da cui poteva sentire ciò che dicevano all'interno senza essere visto.

«Acluofobia.»
«Acluo... che?»
«E' il nome che i medici danno alla paura del buio.»
«Io non ho paura del buio!»
«Ah no?»
«N-no. Per niente.»
«Che ci fai qui, allora?»
Un mugolio.
Una risata allegra.
«...non c'è niente da ridere.»
«Non sto ridendo di te, ci mancherebbe... E' solo che lo dici tutte le volte.»
«Non ho paura del buio. Chiaro?»
«Convinto tu...»
Qualcuno sbuffa.
Il rumore di un cuscino lanciato addosso.
Una risata attraverso il cuscino.
«Non farne un dramma... è normale. La paura del buio non è la paura del buio stesso, ma la paura dei pericoli che potrebbe nascondere.»
«Dan...»
«Sì?»
«Non è il buio della notte a farmi paura.»
«Allora che cosa?»
«...è il buio che mi sento dentro.»

Stava parlando con lui. Ancora una volta.
Perchè andava da lui? Perchè con quell'idiota si confidava e con suo fratello no?
Ringhiò sommessamente.
Lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Aveva visto la complicità tra quei due crescere nel tempo. Lunghi anni in cui lui era stato solo il fratello silenzioso e insensibile. L'altro, invece, da perfetto sconosciuto era diventato l'amico con cui confidarsi.
Un dolore violento e improvviso alla bocca dello stomaco. Un male che conosceva fin troppo bene. Un demone che dimorava, nascosto, nel suo animo da sempre.
Gelosia.
Era geloso, sì. Geloso di suo fratello. 
Suo. Solo suo. Non di quell'idiota.
Spinse la porta con forza, ora, entrando nella stanza.

«Che inten-»
L'uomo dagli ispidi capelli biondi si interruppe, voltandosi verso di lui con un'espressione ebete che mutò velocemente in un'altra, tra lo stupito e il colpevole.
Anche il ragazzo lo guardò, ma nei suoi occhi lesse paura e senso di colpa.
Lunghi, interminabili secondi di silenzio, che si insinuarono dentro di lui come una zavorra invisibile e insostenibile. Un peso terribile che si prese a forza lo spazio che prima era occupato da un grande vuoto.
Digrignò i denti, con la sgradevole sensazione di una belva che lo dilaniava dall'interno.
«Che ci fai qui?»
Parole gelide e meccaniche che, a differenza della sua mano sinistra stretta in un pugno tremante, non tradivano l'esplosione violenta che sentiva dentro di sé.
«I-io...»
«Non ha fatto niente di male! Ha fatto un incubo ed è venuto a farsi consolare, tutto qui.»
Guardò il biondo dritto negli occhi, in quelle iridi blu che amava e odiava allo stesso tempo. Ma non c'era traccia di amore, ora, nei suoi occhi. Solo una rabbia incontenibile, un magma incandescente che premeva per uscire, per bruciare e distruggere.
«Perchè da te? Io non ne sarei in grado?»
I due si guardarono per un istante. Suo fratello abbassò lo sguardo, colpevole. Il più adulto ridacchiò, come suo solito.
«Non sei la persona più affettuosa e rassicurante del mondo, ecco...»
Immaturo e idiota. Anche in quel momento.
Fece un passo verso il letto dove entrambi erano sdraiati. Poi un altro. Poi un altro ancora.
Era bravo a contenere le proprie emozioni.
Di solito.

Un brivido gli corse lungo la colonna vertebrale, facendolo tremare di freddo e eccitazione. I suoi occhi vagarono febbrilmente lungo le pareti della stanza, sui mobili, sul pavimento.
Non era cambiato nulla. Tutto era rimasto uguale a come l'aveva lasciato.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso che si fece via via sempre più ampio, fino a fargli scoprire i denti.
Scoppiò in una risata incontrollabile. Si tenne l'addome con le braccia, piegandosi in avanti, fino a sbilanciarsi e a crollare a terra. Rideva, rideva forte. Così forte che quasi non sembrava lui. Il suo volto era una grottesca maschera deformata da un ghigno. Sollevò il viso dal pavimento, il corpo scosso da violenti spasmi.
Rideva con le lacrime agli occhi, tanto forte da non riuscire a riprendere fiato.
Osservò il letto, le lenzuola aggrovigliate. Poi il suo sguardo cadde sul pavimento.
Una mano tesa verso di lui.

«S-smettila... Noregur... b-basta...»
La voce del fratellino gli giungeva ovattata e distante, soffocata dal tumulto del sangue che pompava nelle orecchie. 
Il suo cuore aveva mai battuto tanto forte?
Un altro colpo. E un altro. E un altro ancora.
Il ragazzo dai capelli di neve se ne stava rattrappito in un angolo, fissandolo a occhi sgranati. Non riusciva a vederlo, non vedeva nulla ora, ma sentiva i suoi occhi sulla propria schiena. 
Si sentì felice. Suo fratello non aveva occhi che per lui, adesso.
Si fermò, ansante, guardando l'uomo dagli ispidi capelli biondi sotto di lui.
Tremava, boccheggiando. Sembrava parecchio malconcio. Forse non riusciva a respirare?
Gli accarezzò delicatamente una guancia, poi abbassò il viso sul suo, baciandolo sulle labbra.
«N-Nor...»
Sollevò il volto, guardando il fratello.
«Scusami... non volevo ti sentissi trascurato...»
Si alzò a fatica, gettando a terra l'ascia senza troppe premure, e si diresse verso di lui. Gli si sedette accanto e gli accarezzò dolcemente i capelli.
Si accorse che il ragazzo stava piangendo. Come aveva potuto non notarlo? Gli prese il viso tra le mani, osservando le lacrime che scendevano sul suo volto, le spalle scosse dai continui singhiozzi. Lo abbracciò, continuando a d affondare le dita nella sua chioma color della neve.
«Non devi avere paura. Il fratellone è qui e ti proteggerà, va bene?»
Lui non rispose, continuando a tremare. Decise di accettarlo come un segno d'assenso.
Inspirò a pieni polmoni, godendosi l'aroma acre dell'aria di quella stanza. Sentiva il viso sporco e le mani viscide.
Si leccò le labbra inaridite, socchiudendo gli occhi estasiato quando sentì sulla lingua quell'inconfondibile sapore metallico.
Sospirando felice, strinse un po' più forte a sé il ragazzo, posando la schiena contro il muro e osservando soddisfatto le pareti e il soffitto non più bianchi.
In fondo, gli aveva fatto un favore.
Il rosso era il colore preferito di quell'idiota.

Uscì dalla stanza con gli occhi lucidi e una piacevole sensazione, un solletichio alla bocca dello stomaco.
Non si preoccupò di chiudere la porta, e si avviò tranquillo verso la porta della propria stanza.
«Signor Bondevik, che ci fa qui?»
Si voltò di scatto, sorpreso.
Una donna. Che diavolo ci faceva quella in casa sua?
La osservò socchiudendo gli occhi, tutto sommato aveva un aria in qualche modo familiare... 
Lei gli sorrise paziente, doveva essersi accorta che non l'aveva riconosciuta.
«Lei non dovrebbe allontanarsi così tanto dalla sua stanza, lo sa. Mi segua, la riaccompagno.»
Docile, posò una mano sulla spalla della donna, notando come la stoffa verdastra della sua divisa avesse la stessa consistenza delle lenzuola del suo letto.
Lei sorrise nuovamente e gli prese la mano, conducendolo lungo il corridoio.
Odiava quel corridoio tutto bianco.
Si guardò intorno, rendendosi improvvisamente conto che il suo corridoio non era affatto tutto bianco. E neppure le porte lo erano.
Strinse forte la mano della donna, spaventato.
«Va tutto bene, stia tranquillo...»
Dove diavolo si trovava? Pochi istanti prima era a casa sua, invece ora...
Si voltò indietro, verso la stanza.
Vide suo fratello osservarlo con lo stesso sguardo inquieto e terrorizzato di poco prima, il volto rigato di lacrime, i capelli che prima aveva accarezzato striati di rosso.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, sui propri vestiti. 
Rossi. Rosso ovunque.
Si voltò nuovamente, ma suo fratello non c'era più. In compenso, una lunga scia di orme rosse attraversava ora il corridoio bianco. Erano le impronte dei suoi piedi nudi.
Osservò la donna al suo fianco, che camminava tranquilla, come se non vedesse.
Non riusciva a capire.
Lei gli sorrise e aprì la porta della sua stanza. Erano già arrivati?
Lo spinse delicatamente all'interno, facendolo sedere sul letto, poi gli si avvicinò piano.
Gli prese il braccio, sorridendo tranquillamente, e gli arrotolò la manica della camicia fino al bicipite.
Dal canto suo, lui non riusciva a fare altro che seguire i suoi movimenti precisi e delicati, eseguiti con la sicurezza di chi li ripete da secoli.
«Ci siamo divertiti stanotte, eh?»
Le sorrise apertamente, dopo un attimo di silenzio.
«Sì... tanto...»
La donna estrasse una siringa dal taschino del camice. Oh, aveva un camice? Non se n'era accorto prima...
L'ago penetrò nella pelle della giuntura senza causargli il minimo dolore. Rimase a guardarlo incantato. Non appena fu estratto però, sentì una profonda spossatezza impadronirsi di lui. 
Si era stancato davvero tanto, quella notte. Doveva riposare. Domani avrebbe dovuto farlo ancora, e se fosse stato stanco, quell'idiota avrebbe potuto vincere, stavolta.
Chiuse gli occhi, posando la testa sul cuscino, mentre la donna gli rimboccava le coperte.
«Buonanotte dottoressa...»
«Buonanotte signor Bondevik.»


  
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