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Autore: Rota    01/07/2012    2 recensioni
Certo, se si fosse limitato a fare colazione in silenzio, magari molto veloce, per poi andarsene per i fatti suoi e svolgere le proprie mansioni non sarebbe successo nulla di male, alcun cataclisma o uragano di sorta. Sarebbe stato forse meglio per tutti, lasciare le cose come stavano.
Nella realtà, Danimarca sapeva benissimo che Norvegia non era una persona capace di tenersi le cose dentro e rimanerne distaccato per sempre, anche se aveva un modo tutto suo – decisamente fisico e doloroso – di fargli capire qualcosa. Prima lo affrontava e meglio era.
Pensando questo, poggiò il gomito sul tavolo e si prese il mento tra le dita, cominciando a fissare la schiena dell'altro con una certa insistenza. Pensò brevemente se avesse fatto qualcosa negli ultimi tempi capace di irritare Norvegia ma, anche essendo totalmente sincero, non riuscì davvero a trovare nulla. Per cui gli rivolse la parola.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Autore: Rota
*Titolo:
Egoista
*Fandom:
APH - Axis Powers Hetalia
*Personaggi:
Danimarca, Norvegia, Islanda
*Pair:
leggero DenNor
*Generi:
Slice of life, Introspettivo
*Avvertimenti:
Shonen ai, One shot
*Rating:
Giallo

*Note: 1. Questa storia partecipa all'esperimento "Otto autori per un prompt".

  1. A questa iniziativa partecipano anche le autrici seguenti: Milla Chan, OrochiMary, ViolaNera, AmyLerajie, Adrienne Riordan, happylight.

  2. Mi sarebbe dispiaciuto non scrivere questa fanfic, per cui ce l'ho messa tutta per fare qualcosa di decente. Spero che il risultato sia valso la fatica XD

  3. La dedico ad AmyLerajie, non tanto perché è l'organizzatrice di questa challenge e perché voglio “ingraziarmela” in qualche modo, ma solo perché è riuscita con una frase a darmi effettivamente l'energia per riuscire a scriverla. Quindi glielo devo, ecco (L)

  4. Questa fanfic è fin troppo introspettiva, non ho idea di come mi sia uscita fuori XD spero solo che il senso di tristezza generale non rovini poi il finale, ecco °-° mi dispiacerebbe, invero ùù''

  5. Buona lettura a tutti voi :D (L)


 


 


 


 


 

 

A sentirlo così, detto da voci altrui, forse sarebbe stato poco credibile e di certo un motivo di scherno sinceramente genuino e innocente, dove la malizia avrebbe preso posto ad una ben più terribile fede che era radicata negli animi più o meno come verità assoluta e incrollabile. D'altronde, se Danimarca aveva lavorato per così tanto tempo perché la sua immagine fosse quella di un uomo incapace di preoccupazioni, sempre allegro e disponibile, con le parti buie del proprio cuore ben dimenticate e superate quello che riceveva in cambio non era altro che la conseguenza naturale di tutti i suoi sforzi: un sorriso non da spiegazioni e una risata copre qualsiasi altro suono. Superficialità per superficialità, pareva che niente lo potesse davvero toccare nel profondo nella stessa egual maniera del suo tocco che mai davvero restava impresso in qualcosa o in qualcuno, scivolando sopra cose o persone come la pioggia leggera dell'estate, come l'acqua discreta delle onde più miti e pacifiche. Il tempo aveva cambiato proprio tutto e se una volta il suo abbraccio era tanto stretto da sembrare la morsa di una catena di freddo ferro, ora sembrava talmente blanda che ci si poteva ballare dentro, muoversi fino ad allontanarsi per sempre – e il timore che lui lo facesse apposta per vedere chi voleva rimanere con lui e chi invece andarsene, per sempre, aveva preso le menti di quelli che lo conoscevano abbastanza da poter intravedere la terribile disperazione che respingeva ben dentro il proprio sguardo. Danimarca era stato, era e sempre sarebbe rimasto uno stupido egoista, capace di amare soltanto in modo totalizzante e intensissimo tanto che pochi, pochissimi, erano riusciti a reggerlo senza rimanerne spaventati o turbati nell'intimo.

In realtà, sembrava incapace di provare qualsiasi emozione.

 

Quella mattina gli era bastato poco per accorgersi che qualcosa non andava. Entrare in cucina, sedersi al tavolo dove era stata apparecchiata una colazione per due e sentire Norvegia che trafficava con stoviglie e altro non erano stati che gesti puramente meccanici, inseriti in quella sorta di routine che ripeteva ogni singolo giorno da quando lui e i due fratelli si erano ritrovati a sottostare allo stesso tetto e a condividere lo stesso pavimento di marmo. La normalità si era creata a poco a poco, tra i tre, iniziando con l'accettare il fatto che avessero abitudini e orari totalmente diversi, ritmi di vita quasi inconciliabili e a cui sicuramente non avrebbero rinunciato solo per una convivenza forzata. Così Norvegia, che si svegliava prima di tutti, aveva cominciato a preparare la colazione anche per gli altri senza godere della loro compagnia mentre sorseggiava le sue tre tazze di caffè mattutine; così Danimarca aveva cominciato a ordinare le proprie cose con maggior cura, per evitare che Islanda, di ritorno a casa, potesse godere della vista del suo intimo dimenticato sopra il divano o in qualche altro posto di dubbia reputazione. Piccoli gesti di rinuncia che li avevano fatti avvicinare, stringere assieme, resi partecipi di una socialità sempre più palese e profonda.

Proprio per questo Danimarca lo capì subito, quasi ci fosse un odore nell'aria che lo testimoniasse in maniera più concreta. Arrischiandosi un poco, avrebbe anche potuto definirla empatia, ma quello avrebbe comportato qualcosa in più che era decisamente meglio evitare di tirare in ballo, specie in certe situazioni. L'uomo era più propenso a chiamarlo istinto di sopravvivenza.

Certo, se si fosse limitato a fare colazione in silenzio, magari molto veloce, per poi andarsene per i fatti suoi e svolgere le proprie mansioni non sarebbe successo nulla di male, alcun cataclisma o uragano di sorta. Sarebbe stato forse meglio per tutti, lasciare le cose come stavano.

Nella realtà, Danimarca sapeva benissimo che Norvegia non era una persona capace di tenersi le cose dentro e rimanerne distaccato per sempre, anche se aveva un modo tutto suo – decisamente fisico e doloroso – di fargli capire qualcosa. Prima lo affrontava e meglio era.

Pensando questo, poggiò il gomito sul tavolo e si prese il mento tra le dita, cominciando a fissare la schiena dell'altro con una certa insistenza. Pensò brevemente se avesse fatto qualcosa negli ultimi tempi capace di irritare Norvegia ma, anche essendo totalmente sincero, non riuscì davvero a trovare nulla. Per cui gli rivolse la parola.

-C'è qualcosa che non va, Norge?-

Norvegia non fermò le proprie mani né altri muscoli quando sentì quelle parole, non lasciando all'uomo il privilegio di prenderlo alla sprovvista. Era troppo arrabbiato per permettersi un simile passo falso. Non lo ribeccò né gli rivolse la parola, e lo sentì alzarsi dal tavolo e dirigersi verso di lui; lo vide anche comparire nel proprio campo visivo quando decise di chinarsi verso il suo viso.

-Norge?-

Gli schiaffò in faccia uno straccio pieno di sapone e sporco, facendolo arretrare all'improvviso. Come risposta era piuttosto esplicita e di sicuro evitava certi dettagli imbarazzanti, per esempio le spiegazioni che gli doveva in merito e le stupide e sciocche domande che non sapeva ancora se voleva fargli oppure no. Si sentì solo un poco sollevato dalla visione di Danimarca che imprecava e cercava di ripulirsi il viso con le dita e i palmi delle mani, stropicciandosi gli occhi ormai rossi come un moccioso e le ciocche dei capelli bassi che gli ricadevano sopra la fronte tutta bagnata. Gli lasciò spazio sufficiente accanto a sé, al lavandino, perché potesse allungare le mani, prendere l'acqua dal rubinetto e sciacquarsi per bene il volto – lui, intanto, aveva ripreso a fare il suo lavoro come se niente fosse, senza spiccicare parola.

Danimarca borbottò decisamente contrariato.

-Cos'ho fatto di così grave per meritare tutto questo, si può sapere?-

Norvegia, prima di riuscire a rispondere anche solo una sillaba, vide comparire sull'uscio della porta della cucina il fratello minore che sbadigliava senza vergogna e si dirigeva verso di loro. Il giovane fu solo un po' stranito dall'insolita visione ma non fece troppe domande: ricordava il tempo in cui era normale che Danimarca ricevesse i colpi tanto poco amorevoli di Norvegia e si ritrovasse accasciato al suolo con più di un livido sul corpo a dolergli. Gli affari di coppia non erano cosa che riguardava lui, davvero no. Così si sedette al proprio posto e cominciò a servirsi di un po' di caffè, sbadigliando ancora.

Norvegia lo guardò in ogni sua mossa, con uno sguardo fisso che quasi faceva paura. Non si era più mosso, non aveva detto nulla: sembrava quasi in un momento di stasi che lo estraniava totalmente dal mondo. Toccò a Danimarca a risvegliarlo – gli mise una mano sulla spalla e lo chiamò di nuovo, vagamente preoccupato.

-Norge?-

Lo scacciò in malo modo, come si fa con gli insetti molesti e fastidiosi. Finì di pulire le stoviglie, si sciacquò le mani e si diresse verso l'uscita della dimora, senza più prestare attenzione ai due.

 

Danimarca era restato a fissare l'anta chiusa della porta per qualche istante prima che la voce di Islanda lo potesse raggiungere e scuotere dai propri pensieri.

-Qualcosa non va?-

L'uomo dovette guardarlo in viso per rendersi conto di star agendo in un modo non tanto normale: il ragazzo era visibilmente preoccupato e quello non era certo un bene. Sorrise al meglio che poté, andando a raggiungerlo al tavolo per poi scompigliargli i capelli con l'ampia mano.

-Ma no, cosa vai a pensare? Stiamo tutti bene!-

Erano frasi che ripeteva spesso, a dire la verità, e in certe occasioni suonavano tanto vuote quanto il gesto meccanico di lavarsi i denti la mattina dopo aver consumato la colazione. Per fortuna Islanda non percepì nulla di diverso dal solito e, dopo averlo guardato male per l'imbarazzo di ricevere una carezza in più quando non c'era il buio a salvarlo dall'evidenza, cominciò a mangiare i suoi cereali e a riservare tutta la propria attenzione alla scodella che aveva tra le dita.

Danimarca gli sorrise davvero e si prese cinque secondi per guardarlo con affetto mentre si ingozzava e occupava la bocca per non essere obbligato a rispondergli qualcosa di scortese, dopodiché sospirò appena e cominciò a mangiare a propria volta.

Empatia o non empatia, il vero difetto di Danimarca era che quando faceva una cosa la faceva sempre nel modo sbagliato – ne era fin troppo consapevole ma, pur essendo vecchio di così tanti secoli, conservava poca memoria per quanto riguardava modi civili di comunicazione. Era per quel motivo che il sesso con Norvegia funzionava sempre benissimo: dava sfogo a tutto e non aveva bisogno di alcuna parola, solo versi strani che venivano giustificati dall'eccitazione. Se lui e l'altro erano sopravvissuti così tanto tempo assieme, però, era perché quantomeno ci tentavano, in maniera parecchio caparbia, a rimanere assieme e a formare quello che sembrava a tutti gli effetti un abbozzo di legame, una forma strana di sentimento, un insieme di fatti e sensazioni comuni che arrivava a definirli “coppia”.

Non sapeva bene quale fosse il problema di Norvegia e finché non fosse stato l'altro a permettergli di avvicinarlo non avrebbe potuto fare niente se non conservare per sé la consapevolezza che no, nonostante le scosse non sarebbero caduti neanche quella volta – la consapevolezza, assai egoista, che in realtà non c'era ancora niente in grado di separarli, di qualsiasi entità fosse.

Con il cuore un poco più leggero, riuscì persino a mangiare due scodelle di cereali e del pudding inservibile che Islanda aveva preparato con tanto amore solo e solamente per lui.

 

Non capitava spesso che Norvegia si svegliasse durante la notte: aveva imparato a dormire in orari ben precisi e stabiliti, senza distinzioni di luogo e orario. Era stato obbligato a farlo da una serie di eventi passati che lo avevano visto soldato, diplomatico, politico, appestato, guerriero, navigante, commerciante. Si era semplicemente adeguato a ogni tipo di esigenza per impedire ad un'eventuale carenza fisica di essergli in qualche modo dannosa.

Aveva sentito il materasso del letto che dividevano lui e Danimarca piegarsi ad un nuovo peso. Sulle prime aveva pensato che l'altro fosse semplicemente tornato dal bagno o qualcosa del genere e quindi non ci aveva fatto caso, aspettandosi che allungasse le mani nella sua direzione e lo abbracciasse nell'attesa di riacquistare il sonno. In realtà era capitato qualcosa che lo aveva svegliato completamente.

Benché fosse solo un sussurro, aveva percepito la voce di Islanda in maniera forte e chiarissima, tanto che non ebbe bisogno che di quell'unica parola che il giovane pronunciò per capire di chi si trattasse.

-Danimarca...-

Lo aveva fatto con un tono affettuoso, bisognoso, che non ricordava affatto di avergli mai sentito prima. Aveva poi anche sentito un fruscio di vestiti che gli aveva suggerito un certo movimento dei corpi l'uno verso l'altro – l'uno tra le braccia dell'altro.

Danimarca aveva risposto alla richiesta implicita d'aiuto con un sospiro assonnato e uno schiocco di labbra che altro non poteva che essere un bacio sulla pelle.

Se la cosa si fosse limitata a quello Norvegia avrebbe relegato il tutto alla pura curiosità e stranezza, niente di eccessivamente allarmante. Non fu così.

-Hai fatto di nuovo un incubo?-

Quel “di nuovo” suggerì all'uomo l'allungarsi nel tempo di quel tipo di contatto di cui lui era all'oscuro, iniziato chissà quando e non ancora finito. Fu punto dall'esigenza di sapere da quanto la cosa andava avanti e quante erano state le volte che Islanda avesse cercato rassicurazioni di quel genere.

Rassicurazioni di Danimarca e non rassicurazioni sue.

Non era più riuscito a dormire, neppure quando aveva sentito le poche parole che si erano scambiati e poi il respiro calmo e regolare dei due diventare leggero per il sonno ormai raggiunto. Attanagliato com'era da quel miscuglio di emozioni che gli appesantiva lo stomaco, aveva passato tutta la notte a dare un nome a quanto avesse provato.

Gelosia, risentimento, frustrazione, incomprensione, furore. Arrabbiarsi con Danimarca e con Islanda era stata una scelta pessima, lo doveva ammettere, ma non riusciva a fare altrimenti. Non percepiva colpa, solo un senso di ingiustizia che lo rendeva inquieto.

Nella propria razionalità pensò anche a come la cosa era iniziata. Danimarca e Islanda si erano ritrovato per un lungo periodo da soli o in condizioni tali che era difficile esternare le proprie emozioni ad altri – il tempo in cui Danimarca era un punto di riferimento per tutti loro, una sorta di obelisco che emanava una luce abbagliante. L'origine era stata sicuramente quella, Norvegia se n'era convinto, così come si era convinto dell'insensatezza del suo perdurare anche in epoca moderna.

Con la coscienza in mano, aveva convenuto di aver ampiamente dimostrato a sé stesso e agli altri la propria emotività, la capacità insita di prendersi cura degli altri e non solo della propria persona. Probabilmente era egoista pensarlo, ma dopo tutto quello che era successo sarebbe stato più appropriato che Islanda fosse andato da lui e non da Danimarca. La consapevolezza di essere geloso non lo aiutava affatto, anche se l'orgoglio lo salvava da crisi di coscienza eccessive.

Non voleva spiegazioni in merito né in realtà si sentiva in dovere di chiarire qualcosa. A differenza di quell'egoista di Danimarca, sapeva cosa tirare fuori e cosa tenere dentro – almeno, credere in questo lo aiutava di parecchio.

Sarebbe tutto rimasto come prima, con la sola differenza di una piccola cicatrice dentro di lui, l'ennesima e invisibile. Questo e solo questo sarebbe stato in grado di salvare cosa si era venuto a creare tra di loro, quel qualcosa a cui l'uomo non comunque rinunciare.

 

Islanda era quello che usciva di casa per ultimo avendo pochi impegni di carattere generale che poteva relegare benissimo al solo pomeriggio. Sistemava quello che suo fratello non poteva fare per forza di cose, riordinava casa e faceva i letti, metteva dei piatti pronti per il pranzo nel caso Danimarca trovasse cinque minuti per passare di lì e prelevarli per sé – capitava spesso, in realtà, anche perché sembrava che l'uomo gradisse o facesse quantomeno finta di gradire di più la sua cucina piuttosto che quella di una qualsiasi altra mensa. Islanda era in dubbio se considerarlo davvero un gesto carino oppure suicida, tuttavia, anche se si fosse trattato di una forzatura come mille altre, sarebbe riuscito a sentirsi grato solo e solamente per il pensiero.

Dopo aver messo a posto la cucina e pulito le ultime stoviglie che lui e Danimarca avevano usato, si era diretto verso le camere da letto e aveva aperto le finestre per far cambiare l'aria. Si era appoggiato alla finestra con i gomiti e aveva guardato fuori, verso quelle nuvole grige che oscuravano non poco il cielo; forse non avrebbe piovuto quel giorno ma di sicuro avrebbe fatto abbastanza freddo fino a sera. Si chiese, senza accorgersene, se nell'uscire di così gran fretta suo fratello si fosse ricordato di prendere la giacca con sé perché anche a pensarci non ne conservava affatto memoria. Sentì lo stormire di qualche uccello e guardò oltre il confine dell'orizzonte, sui tetti delle case e sugli edifici della città. Sembrava davvero un posto tristo ma era consapevole che non fosse altro che l'effetto della luce. A ben guardare, c'erano abitazioni dai mattoni rossi e dai giardini piacevoli, finestre aperte dal cui interno si potevano sentire melodie familiari e serene di rumori domestici, costruzioni erette al divertimento e al gioco.

Bastava solo imparare a guardare e non limitarsi a vedere di sfuggita.

Islanda aveva imparato col tempo a notare i dettagli, a giudicare cosa fosse da considerare e cosa no, a scartare l'inutile e tenere per sé solo il necessario: altri ritmi, altre pretese, altra gente. Se era riuscito a non soccombere era stato solo grazie all'insistente affetto di suo fratello e la presenza costante di Danimarca che, solo standogli vicino, erano stati in grado di farlo abituare alla fisicità estranea – ricordando a lui e al suo animo l'antico e dolce retrogusto della parola “famiglia”.

Islanda aveva anche capito che, dopotutto, cose e persone non erano poi così diverse, perché bastava prestar loro quel poco d'attenzione in più per capire tutto quel che serviva. Era stato semplice accorgersi che nelle strette che Danimarca gli riservava c'era ben oltre che il semplice affetto momentaneo: scorgeva le tracce di un desiderio secolare, la calma che seguiva l'ansia terribile nata da una solitudine insostenibile. Forse lo sentiva nel suo temporeggiare troppo quando gli ordinava di mollarlo, forse nella forza delle dita eccessiva, forse ancora nel suo chiudere gli occhi e smettere persino di sorridere, respirando piano e soppesando ogni istante. Era stato semplice persino accorgersi dell'amore mai spento che Norvegia provava per lui: non nei gesti spontanei del corpo, non nelle parole squillanti e fin troppo acute, ma nella vicinanza che l'altro gli faceva sentire sempre. Lo percepiva attraverso gli sguardi, le frasi non dette, le intenzioni dell'uomo che lo mettevano chiaramente sempre prima di tutto, persino dell'amore che riservava a Danimarca.

Il campanello dell'ingresso lo distrasse dai propri pensiero e lo fece rientrare nell'abitazione. Andando ad aprire alla porta incontrò il postino che gli consegnò la posta con un sorriso e un gesto cortese del capo di riverenza per poi allontanarsi sulla sua bicicletta e passare all'abitazione successiva.

Senza dire nulla, Islanda prese a smistare le lettere tra i componenti della casa. Per lo più, le Nazioni ricevevano convocazioni a carattere politico oppure inviti ad eventi diplomatici, qualche volta delle cartoline da amici internazionali e lettere di intimi – aveva scoperto in questo modo come Danimarca mantenesse una sorta di contatto epistolare con Finlandia, quasi che la distanza fosse tale da non potersi vedere per mesi e mesi interi.

Andando nella camera di Norvegia e Danimarca, depose le lettere sopra i loro comodini come sempre faceva. Nel mentre, sfiorando quasi per caso con lo sguardo il letto che occupava gran parte della stanza, spontaneamente gli tornarono in mente alcuni ricordi della notte passata solo da qualche ora.

Si vergognava di quei tratti infantili che conservava, nei modi e nei gesti, perché si rendeva conto di non saper rinunciare a quella parte di sé che era rimasta indietro, ad altri tempi. Quando era piccolo, capitava spesso che andasse a farsi consolare da Danimarca, in quel lettone grande che sempre sceglieva per la propria persona. Aveva incubi di ogni tipo, riguardanti paure primordiali e fin troppo radicate dentro di lui; gli faceva davvero bene il calore evidente, concreto e palese che l'uomo riusciva a trasmettergli, senza sé e senza ma. All'inizio Danimarca aveva anche cercato di parlargli, ma poi era stato vinto dal suo silenzio e dalla sua ritrosia e quindi si era limitato ad abbracciarlo per ore, stretto stretto. Quello era più importante per Islanda che qualsiasi discorso, perché non aveva bisogno d'altro.

Quella notte era successa una cosa simile. Dopo tanto, aveva di nuovo fatto uno di quei terribili sogni e si era svegliato nel pieno della notte. Era scivolato nel letto del maggiore solo dopo essersi convinto che no, suo fratello non si sarebbe di certo svegliato per così poco e no, non ci sarebbe stato di certo male nel caso contrario per una cosa così stupida. L'abitudine alla cosa gli aveva dato quella rassicurazione in più che lo aveva portato a cercare rifugio nelle braccia di Danimarca e quel poco di egoismo che conservava gli aveva fatto credere che fosse giusto così, dopotutto.

Diede un'ultima occhiata alla stanza, dopo aver sistemato il letto e i vestiti di Danimarca sparsi un po' ovunque; sorridendo, si chiuse la porta alle spalle.

 

-Fratellone, vieni a guardare il film assieme a noi?-

Tutto quello era iniziato in una tale maniera, con Islanda che lo guardava fisso e Danimarca che gli rivolgeva l'ennesimo sorriso a tutto viso. Come la mattina, la sera risultava uno dei pochi momenti della vita quotidiana che i tre potevano condividere senza troppi problemi, salvo imprevisti di qualche genere o uscite occasionali che li dividevano. Gli altri due avevano già preso posto davanti alla televisione, su quell'unico grande divano che avevano nel salotto, e mentre la luce di diverse immagini illuminava di gradazioni diverse i loro profili l'uomo li aveva visti attendere con leggera impazienza la sua risposta.

Aveva voluto dimenticare in un istante l'impellente desiderio di farsi un bagno dopo quella giornata di lavoro e la fame che gli faceva brontolare lo stomaco: appoggiata la propria borsa all'attaccapanni e denudatosi della giacca leggera che non lo aveva per niente salvato dal freddo, si era messo in mezzo tra i due e aveva guardato non altro che lo schermo. Alla sua sinistra, Danimarca aveva ridacchiato; alla sua destra, Islanda aveva allungato le gambe perché poggiassero con i talloni sulle sue cosce e aveva ripreso a mangiare i pop-corn che si era preparato.

Erano passati non altro che venti minuti e già il maggiore dei tre aveva cominciato a dormire, russando della grossa, vinto da chissà quale fatica, lasciando effettivamente da soli i due fratelli. Norvegia si mosse con una certa circospezione, pian piano e senza dare nell'occhio, ma riuscì a lanciare più di un'occhiata al profilo del fratello minore. Lo vide rilassato e tranquillo, magari un poco spossato e stanco come era naturale che fosse. Il senso di oppressione che gli aveva preso il cuore per tutto il giorno si alleviò a quella vista, anche se solo di un poco: era stato e rimaneva ferito, anche se non aveva così tanta insensibilità dentro di sé da rimanere impassibile di fronte a quello.

Verso la fine del film, Islanda si allungò meglio verso di lui, tanto che Norvegia quasi credette che stesse cercando la giusta posizione per cominciare a dormire. Invece, in un gesto che lo sorprese non poco, dopo aver depositato la ciotola degli snack ormai vuota a terra il minore dei fratelli ruotò su sé stesso e andò ad appoggiare il busto contro di lui fino quasi ad abbracciargli le ginocchia. Dal modo in cui rilassò le spalle e stette fermo per più di mezz'ora Norvegia capì che la cosa doveva piacergli abbastanza, quel tanto almeno perché non si rendesse conto della rigidità dell'altro.

Se nel vedere i suoi capelli chiari non si fosse ricordato del rumore del bacio della notte precedente di sicuro l'avrebbe accarezzato proprio lì, sul capo. Se nel guardare le sue spalle esili non si fosse ricordato del rumore di corpi in movimento sotto le lenzuola della notte precedente di sicuro l'avrebbe stretto in un abbraccio tenue e leggero – come la stanchezza, alle giuste occasioni, bastasse a vincere certe ritrosie, era davvero un mistero incomprensibile. Non fece niente di tutto quello, almeno fino alla fine del film. Poi, mentre stiracchiava braccia e gambe per alzarsi e andare a letto, Islanda gli rivolse un'espressione soddisfatta e un mezzo sorriso gentile, senza pretese.

E quella volta riuscì persino a rispondergli.

 

Stava ancora sbadigliando quando incontrò il proprio fresco cuscino con la guancia. Islanda aveva dovuto buttarlo giù dal divano per convincerlo ad andare a letto, perché se fosse stato per lui avrebbe passato la notte ben volentieri in salotto con i vestiti ancora addosso e nessuna coperta a coprirlo – pessima idea, per una persona che doveva lavorare il giorno seguente.

Strinse la braccia contro il petto ed emise qualche piccolo gemito di soddisfazione mentre si muoveva piano sopra il materasso, sentendo le palpebre sempre più pesanti e gravi.

Percepì però l'arrivo di Norvegia quando qualcosa sollevò le lenzuola e vi si infilò dentro. Non poteva essere Islanda, pensò, perché era decisamente troppo poco minuto. Con un sorriso inconsapevole a curvargli le labbra, si allungò verso l'altro fino a incontrarne il corpo e lo prese in un abbraccio molle; appoggiò il capo sul suo cuscino, tanto che il naso era a distanza così ravvicinata con la nuca dell'altro uomo che, nel movimento, doveva fare attenzione a non colpirlo. Era ancora caldo di doccia e morbido, profumava tutto ed era così bello che Danimarca si strinse di più a lui e affondò il viso nei suoi capelli, mordicchiandoli appena. Il fatto che stesse praticamente dormendo lo salvò da un pugno, perché Norvegia non era così stupido da non capirlo, tuttavia abbassò le proprie mani e slacciò la presa che l'uomo aveva su di lui. Danimarca gli grugnì a contatto col suo orecchio e lo riacchiappò subito per poi soffiare piano di soddisfazione. Sembrava davvero una sorta di animale in cerca di coccole – e per quanto la cosa non fosse per niente strana, in quel momento per Norvegia era ancora più fastidiosa del solito. Sciolse di nuovo la stretta delle mani di Danimarca, con più forza di prima, e fece persino per allontanarsi da lui prima di accorgersi che era tanto al limite del materasso che gli sarebbe bastato un solo movimento in più per cadere sul pavimento. Il maggiore sbuffò ancora ma evitò di provarci una terza volta, accontentandosi invece di stargli praticamente schiacciato contro.

Aveva nutrito la speranza che una giornata gli potesse bastare per dimenticare il malumore o, tutt'al più, a picchiarlo talmente tanto da lasciar intendere quale fosse il problema. Era decisamente più difficile quando Norvegia si rifiutava di fare l'una e l'altra cosa, perché sprofondava in un mare che lui era impossibilitato a raggiungere, tanto in basso che anche ad avere le braccia lunghe come le sue non sarebbe riuscito neanche a sfiorarlo. Ed era lo stesso posto in cui si era rifugiato quando aveva maturato il desiderio di separarsi da lui. Danimarca era consapevole che solo quello era capace di fargli provare una paura cieca, ma non poteva fare proprio nulla con le sue forze e limitarsi ad assistere agli eventi causati dagli altri lo metteva in un'agitazione ancora più grande.

Sospirò, separandosi dal corpo di Norvegia per mezza spanna, in modo da poter alzare le braccia fino alla schiena di lui e incrociarle lì, per mettersi una volta per tutte a dormire. Lo sentì alzarsi e sedere sul materasso, poi il nulla che precedeva il sonno.

Infine, si addormentò senza più pensieri.

 

Passò buona parte della notte in quella posizione, fisso perché consapevole che il minimo movimento l'avrebbe tradito e quindi svegliato anche l'altro. Non era per sorvegliare se Islanda avesse ripetuto o meno il gesto della notte precedente e neppure per sorvegliare la zona in attesa di qualche assurdo pericolo: se Norvegia passò le ore a guardare il viso addormentato di Danimarca fu solo perché ne aveva sentito il bisogno dentro l'animo.

Era consapevole che non avrebbe dimenticato in fretta il nuovo dolore che aveva provato, probabilmente non avrebbe fatto altro che allungare la lista dei motivi per cui riteneva giusto e necessario picchiare Danimarca con tutta la propria forza qualora fosse stato necessario e irrinunciabile. Un piccolo pezzettino in più che gli avrebbe regalato sempre nuovi pretesti di odio.

Ma era anche vero che odio e amore avevano radici comuni e intensità pari, e lui lo sapeva bene. Mescolare le due cose era naturale e necessario in certe cose, perché la rivalità costruiva i rapporti esattamente come la solidarietà – bastava solo saper dosare bene l'una e l'altra.

Odiava suo fratello perché aveva un carattere così simile al suo che trovava quantomai difficoltoso sapere se davvero gli voleva bene o se era solo l'istinto a muoverlo verso di sé; amava suo fratello perché, tanto uguale a lui, era l'unico capace di capire fino in fondo le sue difficoltà, i suoi pensieri, la sensibilità che muoveva le sue azioni.

Odiava Danimarca perché era così egocentrico che pretendeva tutto per sé anche quando diceva che no, in realtà tutti loro erano uguali e nessuno poteva fare distinzioni di sorta; amava Danimarca perché era tanto egoista che credeva davvero a quello che diceva e conservava una purezza rinnovata di fondo che era invincibile, eterna, splendente.

Odiava quei due perché avevano un mondo tutto loro; li amava perché, quando davvero occorreva, condividevano con lui quel mondo.

Le diversità che c'erano tra loro erano state le basi più dure e profonde per il loro rapporto, perché era vero che il tempo cambiava e nessuno dei tre era lo stesso di mille anni prima. Norvegia era convinto, o forse si era lasciato solo convincere, che a quel modo c'era una possibilità per ricominciare, per tornare come alle origini e costruire qualcosa di nuovo, loro e soltanto loro. Avrebbe soffocato l'invidia e la gelosia con un diverso amore, avrebbe ricambiato l'affetto a modo suo sicuro che sarebbe stato accettato.

Quello significava, in realtà, essere davvero una famiglia. E soppesando quel concetto con quello dell'orgoglio personale, la pace che derivava dalla consapevolezza comune di far parte di un nucleo, seppur traballante e incerto alle volte, Norvegia sapeva già quale delle due opzioni era necessario scegliere. Un boccone amaro per altri giorni assieme.

 

Per questo motivo, quando decise che era ora di dormire anche per lui, si sdraiò talmente vicino a Danimarca che fu un gesto naturale – per entrambi loro – incontrarsi in un intreccio di braccia e di gambe, di calore e morbidezza, quasi fossero stati una sola ed unica identità.

   
 
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