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Autore: ladymisteria    03/07/2012    0 recensioni
"Sherlock Holmes se ne stava in piedi in quella stanza della sede governativa dei servizi segreti britannici.
Sembrava perfettamente a suo agio, nonostante fosse scalzo, bagnato come un pulcino e avesse sulla testa una spada di Damocle con impressa a caratteri cubitali un'accusa per alto tradimento."

Seguito di "Rain and Confidences"
Versione riveduta e corretta
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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Sherlock sbadigliò vistosamente, allungando la mano verso il cellulare.

Compose il numero e attese.

Ma di nuovo, nessuno rispose dall’altra parte.

Erano due giorni che telefonava ogni due ore alla Donna, ricevendo in risposta solo un silenzio snervante.

La tentazione di buttare nuovamente il cellulare contro il muro era forte, ma si trattenne.

Si guardò, riflesso nello specchio.

Perché non riusciva a concentrarsi?

Perché non riusciva a capire che cosa fare?

Chiuse gli occhi, cercando di rimuovere dalla mente tutto ciò che poteva distrarlo.

Qualcuno bussò alla porta, e il detective riaprì gli occhi, scocciato.

Non rispose.

Di nuovo colpi alla porta, stavolta leggermente più forti ed insistenti.

«Che c’è?» domandò a voce alta, spazientito.

La porta si aprì e un ometto anziano, vestito di tutto punto, entrò nella stanza.

Sherlock alzò gli occhi al cielo.

«Non dovrei stupirmi così tanto. Dovevo immaginare che lavorassi ancora qui, Sanderson».

Il maggiordomo annuì paziente.

«Infatti, signorino».

Il detective sbuffò divertito.

«“Signorino”. Credo tu possa smettere di chiamarmi ancora così».

Lo guardò.

«C’è un motivo per cui sei qui?»

«Sua madre ci teneva a ricordarle che non deve uscire dalla proprietà».

«Mi conosci da quando sono nato. Davvero credi che basti dirmi una cosa perché io la faccia?».

L’uomo sospirò.

«Ovviamente no, signore. Ma la signora mi aveva pregato di ricordarglielo».

Sherlock sorrise obliquo.

«Mi sei sempre stato simpatico. Più di qualunque altro domestico. Anche quando mi riportavi sotto al braccio a mio padre, dopo l’ennesima fuga»

«Suo padre si infuriava sempre così tanto, signore» ricordò l’uomo, con una punta di nostalgia.

Sherlock scrollò le spalle.

«Cose che capitano. Mio padre era una persona poco paziente che si alterava facilmente. Mycroft è identico a lui. L’unica differenza è che Mycroft è troppo pigro anche per arrabbiarsi».

Il detective squadrò l’uomo di fronte a lui.

«Il diabete va bene?»

«Migliora di giorno in giorno».

«E l’anca che ti rompesti per inseguirmi quando fuggii sulla quercia in giardino?».

Il maggiordomo sorrise pazientemente.

«Non mi dà tregua. Soprattutto quando cambia il tempo».

Il detective annuì.

«Ha bisogno di qualcosa, signore?»

«No, nulla. Grazie».

L’uomo uscì, e Sherlock tornò a sdraiarsi sul letto.

La breve chiacchierata con Sanderson l’aveva aiutato a schiarire le idee.

Richiuse gli occhi.

Doveva concentrarsi.

*

John Watson tornò verso Baker Street.

Ne era uscito qualche ora prima, in cerca di risposte; di chiarimenti.

Quanto avvenuto in quei pochi giorni l’aveva lasciato basito e incredulo.

Era possibile che fosse successo veramente?

Sherlock che si confidava con lui a riguardo del fratello e di quanto provava per La Donna, la notizia che proprio quest’ultima sembrava aver tradito la sua fiducia – oltre che l’intera nazione britannica - lasciando Sherlock in balia degli eventi…

Stentava a crederci.

Entrò nell’ingresso, dove la signora Hudson gli si fece incontro.

«John, c’è una signora di sopra che chiede di Sherlock».

John la ringraziò, salendo le scale.

Non era certo il momento di avere clienti, quello.

Ma Sherlock non gli avrebbe mai perdonato di aver abbandonato un caso semplicemente per quanto successogli.

Avrebbe ascoltato quanto la visitatrice aveva da dirgli, poi, se non si fosse trattato di un problema urgente e abbastanza stimolante per Sherlock, le avrebbe spiegato l’impossibilità del detective ad aiutarla.

Aprì la porta dell’appartamento, pronto a porgere i suoi saluti e il suo aiuto alla signora seduta sulla poltrona.

Le parole gli morirono in gola.

*

Mycroft entrò nella vecchia camera di Sherlock, trovandolo in piedi davanti alla finestra, gli occhi fissi davanti a sè.

Il cellulare era abbandonato sul letto.

Qualcosa gli disse che Sherlock doveva averlo nuovamente lanciato per la stanza, dopo l’ennesima chiamata a vuoto.

La presenza di nuovi graffi sul retro e negli angoli non lasciava alcun dubbio.

«Nessun risultato, vero?» domandò.

«Conosci già la risposta».

«Credo che sia giunto il momento di tener fede alle promesse fatte a Strasburgo, Sherlock. Mettiti all’opera e capovolgi a tuo vantaggio questa accusa. Dimostra che la colpa non è tua. Sei l’unico che può cambiare l’andamento di questa storia».

Sherlock scosse il capo.

«Un giorno. Solo un altro giorno, poi mi presenterò davanti a chi di dovere con le prove della mia innocenza».

Mycroft lo guardò scettico.

«Lo faresti davvero?»

«Noto sempre con enorme piacere la completa fiducia che riponi in me, Mycroft».

Lo fissò.

«Erano i patti, no?».

Mycroft studiò il viso del fratello.

«Mi dirai mai cos’è accaduto durante quei tre anni trascorsi con lei?»

«Non credo rientri tra le cose che devi sapere, Mycroft».

«Sempre pieno di rancore»

«Ovviamente. Non che potessi aspettarti altro, no?».

«Voglio solo aiutarti»

«Hmmm… In effetti qualcosa per aiutarmi potresti farla» disse il minore, tornando a voltarsi verso la finestra.

«Sarebbe?»

«Esci dalla mia stanza».

   
 
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