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Autore: Nymeriah    04/07/2012    5 recensioni
Una mattina nella testa di Lorcan Scamander; tra aforismi, sensi di colpa e lecca lecca.
Seconda Classificata al You&Me Contest.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Albus Severus Potter, Lorcan Scamandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Questa storia è seconda classificata al The You&Me Contest, si inserisce quindi all’interno della serie di You&Me: feels like I'm in lovedi MiaStonk.
Nello specifico dopo il capitolo 27. È possibile leggerla anche a sé, ma se 
questi personaggi dovessero appassionarvi, fate un salto qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=803646&i=1 per leggere come sono arrivati a questo punto.

 

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LECCA LECCA



 << Il corpo pecca, ma una volta che ha peccato ha superato la sua colpa 
perché l’azione è una forma di purificazione:
nulla più rimane se non il ricordo di un piacere o la voluttà di un rimpianto. 
L’unico modo per liberarsi di una tentazione è di abbandonarvisi:
resistete, e la vostra anima si ammalerà di nostalgia per le cose che si è vietata,
di desiderio per ciò che le sue mostruose leggi hanno reso mostruoso e fuori legge […].
Nello spirito e solo nello spirito hanno sede anche i grandi peccati dell’umanità. >>
  << Basta >>, balbettò Dorian Gray, << basta, mi sconvolgete. Non so che cosa rispondere!
Tacete, lasciatemi pensare. O meglio, lasciate che tenti di non pensare >>.*

 

  La sua voce ormai era solo un sussurro, una cantilena stanca, che spezzava le parole e le impastava di sonno; le palpebre socchiuse, gli occhi vacui che scorrevano il testo per la forza dell’abitudine e il braccio che doleva per aver tenuto alto il libro troppo a lungo.
La mente però era già scivolata in quella dimensione intermedia tra sogno e realtà, dove ogni rumore giunge ovattato e ogni pensiero si deforma.
  Per questo motivo, quando le zampette pelose atterrarono sulla pagina aperta del libro e gli occhietti liquidi si puntarono su di lui, Lorcan non capì subito cosa stesse accadendo. Intravedeva appena il movimento continuo della tela che veniva lavorata con minuzia e lentezza, e il corpo del ragno era solo una macchiolina scura e indefinita.

 
Ragno.
 
Qualcosa gridava nella sua testa, qualcosa stava contando… poi un allarme.
 
Troppe zampe.

 
  Un brivido lo riscosse da capo a piedi e sgranò gli occhi così in fretta da percepire la cornea fargli male. Lanciò un grido a pieni polmoni, mentre scagliava il libro più lontano possibile e tentava di liberarsi dal groviglio di lenzuola per fuggire lontano dal mostro
Lottò eroicamente contro le tende del baldacchino e cadde sul pavimento di pietra gelida e dura. Percepì il proprio corpo risvegliarsi dal tepore del sonno ed ogni cosa tornò violentemente nitida; come anche il dolore al braccio e alla schiena, per essere rimasto troppo tempo nella stessa posizione. Provò a rimettersi in piedi e la stanchezza gli piombò addosso, pesando sulle sue spalle e facendolo curvare leggermente in avanti. 
Piegò la testa di lato e si sgranchì il collo dolorante: nel farlo notò che uno dei suoi compagni di stanza stava sbirciando verso di lui con aria assonnata. Gli fece un cenno secco e infastidito, facendogli intendere che poteva tornare a dormire.
 
Dormire: come vorrei riuscirci anch’io.
 
  Ma non ci riusciva. Da giorni.
Aveva sempre avuto un sonno agitato, ma negli ultimi tempi era diventato impossibile godersi anche solo un’ora intera di sonno riposante e ristorante. La sua mente lavorava in continuazione, in modo febbrile, e non faceva che produrre ansie, rimorso e senso di incompletezza.
  Si trascinò verso il bagno e appoggiò entrambe le mani sul marmo bianco del lavandino, alzò gli occhi e lo specchio replicò l’immagine perfetta di un uomo pateticamente innamorato.
E stanco.
Le occhiaie erano come fosse sotto gli occhi lucidi, di quel poetico blu cobalto autunnale, che era abituato a riconoscere nelle iridi del fratello gemello. Gli zigomi alti erano più pronunciati del solito e le guance leggermente più scarne, perché in effetti non mangiava nemmeno tanto ultimamente. Le labbra rosa, pallide e screpolate per le troppe sigarette.
  Si sciacquò il viso con acqua gelida e rabbrividì, ma fu piacevole.
E si lavò i denti, perché gli piaceva la sensazione di freschezza che lasciava il dentifricio.
Diede due colpetti sul codino di Ciuffo, che si era appisolato dentro una sua scarpa; il coniglietto gli leccò una mano con aria intorpidita e gli saltellò attorno per salutarlo.
Lorcan gli accarezzò il musetto e lo premiò con una nocciolina, che lui afferrò con i dentoni e divorò in pochi secondi.
Il ragazzo infilò una camicia e dei pantaloni, poi un mantello qualunque, non controllò nemmeno che fosse il suo, e uscì dal dormitorio.
 
   << Lumos >> pronunciò l’incantesimo in un bisbiglio e la bacchetta gli illuminò la strada.
 
  Non aveva idea di dove stesse andando, ma intanto si muoveva; e questo era un bene.
Perché stare fermo lo faceva pensare di più; e questo era un male.
Il soggetto delle sue macchinazioni mentali era sempre lo stesso: un esserino dagli occhi grandi, perennemente spalancati, come se il mondo attorno a lui lo spaventasse.
E verdi.
Merlino, quanto erano verdi.
E non era un verde banale, era un colore vivo. Come la goccia di rugiada, che si posa sulla vegetazione primaverile, e corre veloce dal cuore alla punta della foglia, poi cade nel vuoto… e muore. Ma nel tempo in cui corre, lo fa con una vitalità senza eguali, e tocca la superficie della foglia, la rende di un verde bagnato e liquido e luminoso.
 
Ho sbagliato tutto. Ho fermato la goccia di rugiada e il verde dei suoi occhi non vive più.
 
Le sue gambe si fermarono, non per sua volontà. Successe e basta.
 
È colpa mia. Come ho potuto?
 

Nello spirito e solo nello spirito hanno sede anche i grandi peccati dell’umanità.

 
  Il senso di colpa arrivò affilato come una lama, trafisse il suo petto e continuò oltre, ma senza abbandonarlo. La bacchetta ancora a mezz’aria; la luce un po’ più fioca disturbò un quadro, che borbottò qualcosa in direzione del ragazzo.
Lorcan socchiuse gli occhi.
 
Sono stanco.
 
  << Lorcan? >>
 
  Quella voce lo riscosse, gli attraversò la mente come qualcosa di estraneo e fastidioso.
Alzò lo sguardo su suo fratello e sull’aura di noiosità che si portava sempre appresso.
Lysander aveva le sopracciglia inarcate in un’espressione mista di curiosità, rimprovero e sufficienza. La sua divisa era perfettamente in ordine, nonostante stesse probabilmente facendo la ronda da ore; aveva l’aria attenta e concentrata, come se si trovasse di fronte ad un enigma difficilissimo da risolvere.
Sembrava un manichino, e a Lorcan venne da ridere perché conosceva suo fratello e sapeva che quell’immagine non lo rispecchiava minimamente.
Non c’era nessuno più disordinato interiormente e più confuso di Lysander Scamander.
E nella situazione sentimentale in cui si trovava, anche se faceva di tutto per nasconderlo, gli importava ben poco dei suoi doveri di Caposcuola.
 
  << Che stai facendo fuori dal letto a quest’ora? >>
 
  << Un rave party. >>
 
  Lys sbuffò, e per un attimo sembrò che volesse togliersi la maschera della perfezione, perché in fondo davanti a lui poteva farlo.
Erano fratelli.
 
  << Lorcan… >> esordì, usando quel tono svogliato e un po’ infantile, che usava solo con lui quando voleva chiedergli di smetterla, a prescindere da cosa stesse facendo, perché lui faceva sempre qualcosa di male.
 
  << C’era un ragno nel mio baldacchino >> confessò, e si impose di non arrossire.
 
  Un lampo di comprensione attraversò il volto di Lysander, perché lui sapeva.
Sapeva che all’età di otto anni Lorcan si era imbattuto in una piccola tarantola pelosa, che lo aveva fatto piangere ininterrottamente per ore; sapeva che Luna, per farlo smettere di frignare, aveva dovuto raccontargli assurde storie su una particolare pianta dal nome impronunciabile, che aveva il potere di allontanare i ragni.
  Lysander avanzò verso di lui e gli puntò la bacchetta contro per illuminargli il volto: notò subito le occhiaie e il viso sciupato del gemello.
 
  << Hai quest’aspetto orribile… per un ragno? >>
Domanda sbagliata.
 
Soprattutto perché la risposta la sai già, e no… non lo dirò a voce alta.
 
Lorcan sorrise, anzi ghignò. E lo fece nel suo modo perfido.
Il fratello si irrigidì, perché conosceva quell’espressione e sapeva che era pericolosa.
 
  << È un caso che tu stia facendo la ronda proprio davanti al dormitorio Grifondoro? >>
Lys increspò i muscoli del viso in un’espressione, che per un attimo sembrò quasi sofferente, e poi tornò alla sua falsissima maschera di cera.
 
  << Sì, non decido io dove devo… >>
 
  << Roxanne ancora non ti parla? >>
 
Lysander sussultò, perché quel nome era un tabù, e a Lorcan piaceva uscire dalle righe quindi lo pronunciava di continuo di fronte al fratello, che quella volta rimase in silenzio, con la bocca aperta ma completamente a corto di parole.
  Al contrario, a Lorcan non accadeva mai di rimanere senza nulla da dire, perché aveva sempre in testa vortici in movimento di aforismi e citazioni, o più semplicemente di imprecazioni e maledizioni dirette alla vittima di turno.
 
  << Se posso permettermi, fratello… sei un cretino >> asserì con tutta la tranquillità dovuta alla placida notte in cui si trovavano, << lei è quella giusta e lo è sempre stata. Hai fatto lo stronzo, e non puoi cancellarlo, tuttavia… “Noi non possiamo ritornare ai santi, perché c’è assai più da imparare dai peccatori.” **>>
 
  Lysander continuò ad osservare la schiena magra di Lorcan, avvolta stretta nel mantello, anche quando fu inghiottita dalla penombra. Si passò poi una mano tra i capelli sospirando di stanchezza, e si scusò gentilmente con l’ennesimo quadro che si lamentava della luce.
Riportò gli occhi nel buio nero del corridoio e mormorò al vento.
 
<< Stavi parlando con me o con te stesso, fratello? >>
 

 *** 


  Le uova lo guardavano storto.
Era certo che lo stessero guardando male.
Le inforchettò a morte, sfogando tutta la sua frustrazione su quelle maledette uova al tegamino, che erano odiose, ma sembravano comunque avere più personalità di James Potter. Lorcan alzò gli occhi sul Grifondoro e lo trovò impegnassimo nella sua attività preferita: sbavare su Lisa Wood.
  James teneva gli occhi scuri e adoranti fissi sulla ragazza, che si abbuffava di pancetta affumicata nonostante fosse solo ora di colazione, e aveva un braccio muscoloso attorno alle spalle esili di lei. La mano del ragazzo giocava con i capelli lisci e arruffati della Wood, perché non era possibile che Lisa si pettinasse la mattina, era piuttosto la forza di gravità a rendere la sua capigliatura più normale verso mezzogiorno.
Lisa si voltò verso il fidanzato e gli sorrise, con un pezzo di pancetta tra gli incisivi e l’aria raggiante di chi sa di avere davanti un’intera giornata, che impiegherà per minacciare e terrorizzare gli studenti del primo anno. Potter ridacchiò e ovviamente la baciò, in un modo così dolce e soffice che Lorcan fu costretto a distogliere lo sguardo.
  Era felice per Lisa, lo era davvero, ma il suo nido d’amore era dolorosamente perfetto.
E lui avrebbe tanto voluto qualcosa di anche solo lontanamente simile… con Albus.
Lanciò un’occhiata al tavolo dei Serpeverde, ma lui non c’era.
  Vide invece Noah Nott, che gesticolava animatamente in direzione di Lily Potter e le mandava baci talmente rumorosi da risuonare in tutta la sala. La Grifondoro, paonazza in viso, si copriva con una mano e fingeva di non conoscerlo; cosa piuttosto inutile, visto che gli Elfi Domestici si erano rivelati creaturine sorprendentemente pettegole, ed ora tutta Hogwarts sapeva che Noah Nott aveva “coccolato” Lily nelle cucine.
  Lorcan sbuffò e allungò un braccio per afferrare la marmellata, strinse il barattolo con una mano e il coperchio con l’altra, e serrò le labbra nello sforzo di svitarlo.
Non ci riuscì.
 
 << Sul serio, Lorc? >>
 
 Sospirò e porse il barattolo a Lisa, che ora lo guardava trattenendosi a fatica dal ridergli in faccia. La ragazza lo svitò al primo tentativo, e glielo porse con aria trionfante.
 
 << Budino. >>
 
 << Zoccola. >>
 
  Lisa scoppiò in una risata sguaiata e Lorcan increspò le labbra in un sorriso.
Adorava la risata di Lisa: era scoppiettante, ed era gioia allo stato puro. E lui amava quel lato della ragazza, l’energia spropositata che aveva bisogno di sfogare costantemente; in genere lo faceva picchiando James senza motivo o giocando a Quidditch, urlando a vittime casuali insulti fantasiosi e repliche affilate.
La vide minacciare un Corvonero per obbligarlo a sloggiare e poi sedersi al suo posto, proprio di fronte a Lorcan, che aprì la bocca giusto per darle fiato come faceva sempre in presenza di Lisa.
 
  << Perché non sviti anche il mio di barattolo? Fino a che non esce la marmellata… >> le sorrise, con gli occhi colmi di malizia liquida.
 
Lorcan sentì il rumore di uno schiaffo, un bruciore improvviso dietro la nuca, e si piegò in avanti massaggiandosi il collo.
 
  << Maiale. >>
 
  Molly era in piedi dietro di lui: gambe divaricate e mani sui fianchi, come l’eroina di un fumetto babbano. Lorcan l’aveva sempre considerata una Wonder Woman in carne ed ossa, perché aveva quel modo tutto suo di esprimere se stessa, quel modo così sincero e giusto di volersi bene e di volerne agli altri, e sapeva guidare e proteggere la sua numerosa famiglia come la condottiera di un esercito.
Lorcan ammirava Molly Weasley.
E lui ammirava ben poche donne al mondo, soprattutto se non si contavano le scrittrici babbane morte da secoli. Non che ci tenesse a palesare il suo amore per Jane Austen tanto che, quando rileggeva Orgoglio e Pregiudizio, si premurava di farlo di nascosto. Chiunque avesse trovato un diciassettenne maschio intento a leggere un libro del genere si sarebbe posto qualche domanda sul suo orientamento sessuale; soprattutto se avesse udito Lorcan precisare che il personaggio che più lo affascinava non era Elisabeth Bennet, ma il signor Darcy.
 
  << Ti ho portato una cosa. >> 

 
  Molly alzò un sopracciglio con aria sorpresa e incuriosita, perché in effetti Lorcan non era un tipo da regali, a meno che non si trattasse di libri, ma anche in quel caso li prestava più che regalarli.
La rossa lo vide estrarre dalla sua borsa alcuni giornalini e sbatterli sul tavolo alla vista di tutti. Sulla copertina un titolo a caratteri cubitali: PlayWizard, e subito sotto di esso una strega che indossava soloun cappello a punta e un mantello, che le copriva appena una spalla. E basta.
Molly diventò scarlatta, e Lorcan non poté fare a meno di notare come le guance si intonassero elegantemente con i suoi capelli. Era una visione spettacolare.
 
  << Ho pensato che avresti apprezzato >> le disse ghignando e sentì Lisa ridacchiare dall’altro lato del tavolo.
 
Poi però vide Molly piegare le labbra nel suo sorriso astuto e seppe che stava per ribattere per le rime.
 
  << Perché tu non li usi più >> disse, ed era un’affermazione, di quelle sicure. << Ti sei abbonato a PlayWitch? >>
 
Lorcan sorrise nervoso e abbassò il tono di voce in modo che potesse sentire solo lei.
 
  << Non proprio, diciamo che ultimamente ho interessi più… mirati. >>
 
Lanciò un’altra occhiata al tavolo dei Serpeverde per istinto, e sospirò perché lui non c’era. E aveva tanta voglia di vederlo e di toccarlo e di baciarlo e di…
 
  << Ti masturbi sulle foto di mio cugino? Elegante! >>
 
  Sorrise a Molly e si alzò dal tavolo anche se alla fine non aveva nemmeno assaggiato la marmellata. Ma non ne aveva più voglia, l’appetito gli passava puntualmente ogni volta che la sua testa raggiungeva un sovraccarico di pensieri faticosi.
Salutò anche Lisa, con un’occhiata calda e familiare, e si allontanò dal tavolo.
Mentre si dirigeva verso l’uscita, incrociò lo sguardo di Rose Weasley: aveva gli occhi sbarrati e vacui, una fetta biscottata in bocca, ed era seduta in braccio a Scorpius Malfoy, che la guardava intimidito. La fetta biscottata cadde nel piatto e la ragazza sfoderò un sorriso tagliente e inquietante in direzione di Lorcan.
Lui accelerò il passo.
Terrorizzato.
 

 *** 

 
  La biblioteca era semideserta.
Ed era un’ottima cosa, perché a Lorcan piaceva cullarsi nel silenzio.
Era rincuorante, rilassante, e poi lui non era mai stato un tipo particolarmente socievole.
O meglio, odiava cordialmente il genere umano.
  Pescò un libro a caso dalla sua borsa, tanto non c’era pericolo che prendesse un volume scolastico, si portava dietro solo montagne di narrativa classica.
 

<< Con la tua immagine e con il tuo amore, tu benché assente mi sei ogni ora presente.
Perché non puoi allontanarti oltre il confine dei miei pensieri;
ed io sono ogni ora con essi, ed essi con te. ***>>

 
Cazzo. Shakespeare.
 
Aveva decisamente pescato male. Sentì qualcosa di pungente premere all’altezza del petto, e fu doloroso.
 
Avrei preferito Storia della Magia.
 
  Lorcan chiuse il libro in fretta e lo gettò nella borsa senza guardare esattamente se l’avesse centrata o meno.
Si alzò in piedi decidendo che avrebbe cercato qualcosa di nuovo da leggere tra gli scaffali, ma il senso di inquietudine non accennava a scemare.
E i versi di Shakespeare ora gli vorticavano in testa, violenti e fuori controllo.
 

<< Maledetti siano i vostri occhi: m’hanno stregato e m’hanno diviso in due.
Una metà di me è vostra, l’altra metà è ancor essa vostra. Vorrei poter dire mia.
Ma se è mia, ne consegue ch’è vostra. E così è tutto vostro. ****>>

 
Appoggiò la fronte contro un volume grosso e ingiallito, le braccia inermi lungo i fianchi e gli occhi chiusi. Respirò più lentamente, e la polvere gli riempì le narici.
 
Sto diventando patetico.
 
Infilò le mani in tasca e trovò l’accendino. Corse verso l’uscita della biblioteca, perché aveva davvero bisogno di una sigaretta, o meglio di un pacchetto intero.
  Ma quando raggiunse il terz’ultimo scaffale si bloccò, fu un movimento talmente improvviso che i capelli gli finirono davanti agli occhi. Indietreggiò di qualche passo e osò sbirciare alla propria destra, mentre il cuore mancava un battito.
 
Albus Severus Potter era lì.
 
Dormiva con la testa abbandonata su un volume aperto di Erbologia, una mano ancora infilata tra una pagina e l’altra, la chioma scompigliata che gli copriva la fronte e uno zigomo morbido. Le spalle si alzavano e si abbassavano al ritmo regolare del suo respiro.
Lorcan deglutì, benché sentisse tutto ad un tratto la bocca arida come il deserto, e avanzò verso di lui, chinandosi per guardarlo bene in faccia: le ciglia nere e lunghe, come quelle di una ragazza, adombravano appena le guance arrossate e le labbra erano socchiuse.
Merlino, le sue labbra…
Lorcan sapeva bene che quelle labbra erano insieme Inferno e Paradiso.
E avrebbe voluto rifugiarvisi all’istante, avrebbe voluto svegliarlo e baciarlo fino a togliergli il fiato, spogliarlo e fare qualsiasi cosa con lui.
  Ma non poteva, perché sapeva che, non appena Albus si fosse svegliato, l’avrebbe guardato con disprezzo e sarebbe fuggito via da lui con quella sua camminata sempre frettolosa.
E comunque Rose avrebbe ucciso Lorcan per aver osato avvicinarsi a suo cugino senza prima pianificare il tutto nel loro “piano canino”.
  Sospirò, un po’ troppo rumorosamente, e sussultò quando sentì Albus borbottare qualcosa che rimaneva sulla punta della sua lingua. Avvicinò l’orecchio per cogliere quello che stava dicendo.
 
  << Lorcan… lecca lecca. >>
 
Il ragazzo si portò una mano alla bocca, per impedirsi di scoppiare a ridere.
Non poteva credere di aver sentito bene, ma Albus borbottò ancora, sempre le stesse parole e ne fu sicuro.
Lorcan sorrise, felice.
E levò una mano per scostare la ciocca di capelli color fuliggine dal suo zigomo.
Poi avvicinò il volto a quello di Al e sfiorò le sue labbra con il bacio più leggero che sapeva dare; più che un bacio, ne era un’ombra.
Dopo qualche minuto fece violenza su se stesso per allontanarsi dal tavolo, perché non voleva, ma doveva farlo. E fu solo quando fu di nuovo fuori, e sentì il vento sferzargli sulle guance e la sigaretta consumarsi tra le proprie labbra, che riuscì a parlare di nuovo.
 
  << Ti amo >> sussurrò tanto piano che le parole furono solo aria.
 

 *** 

 
  Albus aprì gli occhi e sentì di avere la guancia destra completamente indolenzita, alzò la testa e gli occhi caddero pesantemente sul libro di Erbologia.
Sbadigliò, senza coprirsi la bocca, perché tanto in biblioteca a quell’ora non c’era nessuno, e si stropicciò gli occhi con i pugni cercando di darsi una svegliata.
 
Devo smetterla di studiare di notte.
 
Quando finalmente il suo campo visivo tornò nitido, notò qualcosa sul tavolo di fronte a sé. Un bastoncino bianco e lungo, infilato in qualcosa di tondo e colorato.
Si allungò e lo afferrò, sgranando gli occhi esterrefatto.
 
  << Un lecca lecca >> lo riconobbe e si guardò attorno incuriosito.
 
Chi può averlo lasciato qui?
 
Pensò a sua cugina Roxy, che andava matta per i dolci, o a Rosie che a volte gli lasciava regali nascosti in posti assurdi, come nei calzini. A Noah che… no, Noah l’avrebbe mangiato.
Albus scrollò le spalle e cominciò a scartarlo. Nel farlo notò che c’era scritto qualcosa, in una grafia sbavata e illeggibile, sulla carta che lo avvolgeva.
 

Ti riconquisterò.

 
  A quel punto capì.
Sapeva che avrebbe dovuto arrabbiarsi, avrebbe dovuto scagliare lontano il regalo o buttarlo nel cestino senza pensarci due volte.
Ma non fece niente di tutto questo.
Invece tirò fuori la lingua e leccò il lecca lecca.
Era buono.
Sorrise.
 






 

NOTE DELL’AUTRICE:
*Da “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde.
**Sempre dall’opera di Wilde.
***Da “Sonetti” di William Shakespeare.
****Da “Il Mercante di Venezia” di William Shakespeare.

Tutti i personaggi appartengono a J.K. Rowling, fatta eccezione per Lisa Wood e Noah Nott, che sono stati creati da MiaStonk, così come le caratterizzazioni di tutti i pg e i retroscena degli stessi.

 

Il giudizio del contest:  
II CLASSIFICATA


Grammatica 10/10: Questa è perfetta! È sublime! E quanto di meglio si possa chiedere. Nove pagine e non un errore (o almeno non lampante!). Purtroppo più una storia è perfetta, meno c’è da dire, ma davvero ho riletto più volte e non mi è saltato all’occhio nulla. 

Stile 10/10: Uno stile semplice, ma non troppo; ricercato, ma non ampolloso. Qualcosa di invidiabile, decisamente. Perfettamente adatto a Lorcan, sembra cucito su di lui. Lo segui con le tue parole, che moduli a seconda del suo stato d’animo. Le citazioni, che di solito non amo, sono sempre ben inserite e alzano il livello della storia, conferendo una cera dignità anche a Lorcan che non è solo un libertino incallito. Non sono la mia coppia preferita, ma il tuo stile mi ha incantata. 

Caratterizzazione dei personaggi 4,75/5: prima l’unica pecca, forse mi sarebbe piaciuto vedere un po’ di più Al. Non che stoni o sia sbagliato, però sento di potermi esprimere davvero solo su Lorcan. Al lo vediamo di sfuggita, è una macchia poco nitida. Soprattutto lo è in confronto alle mille sfaccettature che hai dato a Lorcan. E su questo tanto di cappello. Nemmeno il tuo Lorcan è un tipo, un personaggio piatto. Mostra le sue debolezze, fa vedere i patetici tentativi che attua per nasconderle. Se poi mi devo esprimere su quanto sia simile al Lorcan di Mia… Beh anche qui direi punteggio pieno, ma anche a te dico quello che ho già detto. Nonostante sia una storia che deve molto a You&Me, ha una sua completezza in sé, regge anche senza sapere tutto quello che è successo prima. 

Giudizio personale 9,5/10: Al e Lorcan non sono la mia coppia preferita, l’ho già detto, ma credo che sia impossibile non apprezzare una tale meraviglia. Adoro come hai scavato dentro Lorcan e devo dire la verità, me l’hai fatto quasi piacere. Non sei mai caduta nella banalità, nelle sdolcinatezze eccessivamente romantiche. L’unica perplessità rimane quell’Al che compare così tardi e per un ruolo così marginale. Lorcan è decisamente il protagonista incontrastato di questa storia, e occupa il suo ruolo alla perfezione, senza mai esagerare, ma anzi cedendo dello spazio anche ad altri personaggi.

34,25/35
   
 
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