La
favola
Quando
si sente coraggioso, visita la nonna. Raramente capita, ma è
parte della famiglia e la famiglia è importante. Non è
che non abbia altro da fare. Sta invecchiando, lei, e spera che ogni
sua visita non sia l'ultima. Ogni volta che entra viene accolto da un
insulto e da uno scialle, una sciarpa o qualunque altro pezzo di
stoffa ben ricamato, in faccia.
Insulta indietro a modo suo,
accetta il dono ed entrambi cominciano la solita routine ciclica.
Quando è li, vorrebbe sentire la storia.
“Che
storia?” - chiede lei, come se non sapesse.
E lui dirà,
coraggioso - “Sai che storia: di come sono morti”.
Non
sa perché vuole udirla, ma ne sente il bisogno. Non le ci
vuole molto per dirgliela, e non condivide molti dettagli, ma quel
poco che rivela basta.
Inizia la stoltezza, sebbene mite
rispetto ai tempi passati. Sono passati anni, ma è ancora
incerta se il nipote è cambiato davvero o è ancora uno
sciocco, e lui ricambia chiedendosi se la nonna è rimasta la
strega di un tempo.
Le persone anziane dimenticano alcune cose, ma lei è un eccezione. E' convinto che rimarrà acuminata quanto la punta di una spada appena forgiata sin il giorno in cui smetterà di respirare. Conosce quella storia meglio di chiunque. Dopo tutto, stette li. Si dice così. Anche lei affrontò la stessa difficoltà, ma rimase in vita.
Quando
era un bambino, le chiese perché.
Lei semplicemente
rispondeva, col suo sorriso un poco sdentato, che la vita è
curiosa.
Lei però aveva gli occhi distanti, sapeva che la
verità fosse dura e sofferente.
Questa volta, quando le
chiede di raccontargli la storia, c'è la solita finzione, la
stessa stanca vessazione, e ripone punteruolo e cruna e tessuto. Che
faccia contorta, quando li ripone sul desco; un altro scialle, lui
nota, e spera che il prossimo non sia per lui. Li tesse, lei, sempre
dalla lana più rozza e punzecchiante.
Mentre lui gira la
sedia verso il fuoco, lancia un ramoscello nel focolare e fa ballare
le carbonelle con il batacchio.
Si siede sul tappeto ai suoi
piedi..
Nostalgia, fitta e quasi confortante, lo riempie. Quante
volte si è seduto in quella maniera, attendendo che lei gli
raccontasse la storia?
“Non li conoscesti i tuoi genitori”
- cominciò, come sempre. “Che peccato. Erano tanto
buoni” - collocò il suo lungo, scheletrico sulla tempia
e grattò lievemente - “intelligenti, intelligentissimi.
Non seppi e non so perché si sposarono, non capii perché
volle unirsi con una chierica, sebbene lui studiasse l'arte della
guerra. Entrambi, comunque, erano studiosi: studiavano diverse arti,
ma pur sempre di arti si trattava"
Si sistemò meglio
sulla propria sedia e Dil cercò di immaginarsi madre e padre,
sebbene non li avesse mai visti. Non ha nemmeno una memoria offuscata
di entrambi. Niente. Semplicemente niente. A volte ne è grato,
ma delle volte, la sua curiosità la consuma.
India
continua, la voce quieta, raschiante come la sedia a dondolo su cui
siede - “Or dunque, tuo padre si diresse all'avventura e lasciò
tua madre con me. Quando tornò alcuni anni or sono, cambiò
totalmente."
Apre gli occhi e lo alluma con una coscienza
eburnea – “Non peggiorò, ne migliorò.
Era... differente. Come se avesse visto tanto, e troppo. Si stabilì
con noi e, per del tempo, non volle allontanarsi. Stava sempre a
fissare il fuoco, tutto stralunato…"
Dil
si voltò per guardare il fuoco divorare il ramoscello prima
gettato.
“Non questo fuoco di sicuro, Nonna” - disse
spontaneo - “perché l'ho appiccato io, quest'oggi”
“Non
fingere di non sapere quello che sai” - lei diruppe, e scivolò
nuovamente sulla sedia per sedersi più dritta.
"Devons
non si ritirò dalla società, semplicemente studiava
assai. Giammai appassì. Pensava, e pensava giusto. E quando
pensò, tu nascesti.” - finge di avere in mano un infante
-
“E che neonato brutto eri” - continuò -
“tutto rugoso e piangente, perché bisognoso d'attenzione
ogni secondo del giorno”
“Allora... ero come tu sei
ora” - lui sarcasmò, ed un momento dopo, la mano della
nonna gli schiaffeggiò la cervicale.
Lui grugnì ed
espresse formali, ma insincere, scuse.
“Quando avesti sette
mesi, mi stancai dei tuoi piagnistei e me ne scesi nel
villaggio”
“Per occuparti dei malati” - disse
lui ruotando i propri occhi, tutto negletto.
“Una scusa
conveniente” - lui spalleggia - “Una sola via da
percorrere in un paio di giorni. Dopo un po' di tempo, il cielo si
oscurò eccessivamente. Non ricordo bene quando fu fu che ci
colpì...”
Dil si accorge che questa parte della storia non l'ha mai sentita e si flette in avanti per meglio ascoltare.
Gli
occhi della nonna si illuminano, quando questa, finalmente, rivive
gli eventi di vent'anni or sono.
“Il cielo oscuro come
quello notturno, pressappoco durante il pomeriggio presto,
inizialmente lenta. Stetti seduta assieme alla vecchia Maggie davanti
casa sua, con un pentolone d'acqua bollente innanzi, e posi la mano
per controllare: la neve si stava inspessendo sempre ogni minuto id
più. Ne ho viste in vita mia di tormente, ma quella... era
terrificante. Terrificante e graziosa. Un eburneo muro gigantesco che
s'avvicinava sempre più, e ricordo bene quando mi rinchiusi in
casa appena la folata di vento crebbe."
"La tormenta causò danni?" - suppose. Giammai lei parlò così tanto di quella tempesta. Il posto da cui proviene è colpito dalle tempeste, di tanto in tanto, però non si sarebbe mai aspettato ne fosse avvenuta una simile in passato.
“Ovviò
che causò danni, stupido! Colpì la casa con tanta forza
da farla smuovere e smise solo quattro gironi dopo!”
Ora lo
sguardo della nonna è diretto alle proprie mani, poi poste
vicino alle fiamme del focolare per l'improvviso brivido. “Solo
quando la tormenta terminò, iniziai a preoccuparmi per i tuoi
genitori, tutta sola, lontana da ogni cosa”
Anche
un po di aiuto per la tua cocciutaggine,
pensò Dil.
"La
vecchia Maggie morì a causa della sua malattia prima della
fine della tempesta e le presi le coperte per meglio coprirmi. Anche
quando la tormenta terminò, non fu davvero finita: la neve era
rimasta innanzi le finestre, altissima, ed era impossibile passarci
in mezzo, fuorché la si forasse.
Sebbene le nostre porte
si spalancassero verso l'interno delle case, non tutti disponevano di
una vanga per scavare.
E tra chi la possedeva, non tutti avevano
sufficiente forza per spalare. La maggior parte della gente rimase
senza legna da ardere.
“Per questo ne tieni tanta in casa”
- espresse lui palamidone, per essere ignorato dalla nonna seduta
stante.
“Entro una settimana riuscimmo a rimuovere quasi
tutta la neve, ed io decisi di dirigermi laddove i tuoi genitori
s'erano diretti: ci impiegai tre giorni, nonostante indossassi i
calzari adatti per camminare sulla neve"
La
storia comincia ad essere nuovamente familiare e Dil poggia la
propria testa sulle mani, mentre sta coricato.
“Vidi la casa
distante, ma non c'era fumo proveniente dal camino. E l'aria era
tanto immobile che sentivo solo il mio respiro”
Ed ora la
parte dove dice che i suoi genitori stavano stesi a terra, morti
congelati, sul pavimento della casa. Tipico.
Non si attese, però,
i dettagli aggiuntivi.
“Quindi io corsi...”
Difficilmente poteva immaginare la propria nonna correre, ma
siccome l'evento accade vent'anni nel passato, probabilmente era
assai più arzilla e verace. Che strano. Tende la testa per
meglio capire quelle novità risalenti al passato
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“Corsi verso il capanno degli attrezzi, ruppi la finestra e presi la vanga. La porta era completamente seppellita, i cardini totalmente congelati. Ritornai indietro dalla finestra, scavai innanzi la porta, riuscii a rimuovere tutta la neve e finalmente potetti aprire la porta. All'intero, il freddo era più glaciale che l'esterno, siccome il sole non ebbe illuminato la dimora per una settimana intera. Non c'era legna, del tavolo nessuna traccia. Chiamai Devons, ma nessuno rispose. Neanche tu, particolarmente reattivo alla mia presenza, ogni qualvolta mi trovassi nelle vicinanze. Quando poi, vidi il letto..."
La
sua voce assai stenta, ma Dil spalla e continua ad ascoltare. Sarà
una sua impressione: la nonna non ha mai pianto. La conosce come una
donna coriacea. La persona più forte e coraggiosa che ci sia.
“Sembrò che ogni coperta della casa stesse sul
letto – le loro coperte, i loro mantelli, tutto – perché
cercarono di darsi da fare in tutto e per tutto pur di riuscire nel
loro intento. Quando smossi le coperte, vidi che non c'era nulla, ma
scavai più a fondo ed entrai in contatto con un minuscolo
lembo di pelle, continuai a scavare e trovai te. Pensai fosti morto e
temetti il peggio, ma poi sentii il tuo vagito e il tuo faccione si
fece rosso rosso.
Dil scosse il capo: di solito, a questo punto
della storia, avrebbe voluto chiedere alla nonna “Come hai
vissuto senza i miei genitori?” ma, invece, si sorprese.
“Come
sono riuscito a vivere?” - non aveva mai sentito quella
versione della storia e voleva carpirne tutti i dettagli.
“Non
saprei davvero” - disse, sbattendo rapida le palpebre -
“Piangesti così tanto che non avesti lacrime alcune
rimaste, e saresti effettivamente morto congelato tra quelle
coperte...”
“Nonna!” - lui la richiamò,
il suo volto un ibrido tra orrore ed imbarazzo.
“Cosa?
E' la verità!” - lei si porge verso lo spillo e continua
con il suo ricamare.
“Ai piedi del letto c'erano delle
patate avvolte in un tovagliolo. Probabilmente, ti hanno tenuto caldo
a lungo"
"E
mia madre e mio padre?" - sapeva che fossero già morti
quando era arrivata, la nonna, ma era troppo curioso di scoprire
sempre più.
“Cercai di essere speranzosa ed attesi
che tornassero, dopo aver annunciato di esser riusciti a bloccare la
tempesta con le loro conoscenze. Avevano studiato così a
lungo, pensai che avrebbero successo completamente. Ebbero
successo... ma non fu completo”
Sospirò leggermente e
tutto quello che potette sentire fu il clangore dei suoi spilli.
“Non
trovai niente, finché la neve si sciolse il mese successivo”
- continua lei priva di qualunque grazia, questa volta - “e non
fu facile nemmeno seppellirli, finché il terreno non s'ebbe
intenerito”
Non s'immagina di com'è avere dei
cadaveri intorno, sepolti nel terreno, finché questo si
ammorbidisce.
“Dove li trovaste?”
Sa della
stranezza della domanda.
Lei smise di filare e si accorse degli
occhi vetrini di lui.
“Non so che stettero pensando mentre
si trovavano lì. Bruciarono i mobili e se avessero condiviso
il letto, probabilmente, avrebbero sopravvissuto, proprio come
sopravvivesti tu.
Agita la testa e osserva in basso, studiando
ogni contorcimento del proprio ago mentre disperatamente cerca di
concentrarsi.
“Devons era a supino e stava steso giusto a
qualche centimetro dalla porta del magazzino. Gli sarei potuta
inciampare addosso e non me ne sarei accorta nemmeno."
“E
mia madre?”
“Contro la porta del magazzino”
“Pensi
che...”
“Siano morti assieme? O che non si siano
nemmeno visti morire?”
Tossì e scosse il
capo.
“Immagino che Devons uscì quando il fuoco
iniziò a scarseggiare per cercare qualcosa nelle vicinanze e
tua madre rimase in attesa, con te. Preoccupandosi per il ritardo del
proprio marito, probabilmente uscì tua madre, dopo averti ben
avvolto e collocato le patate calde sul materasso del letto su cui
eri stato posto. Immagina se fosse inciampata sul suo cadavere mentre
lo cercava. Erano coperti con vesti calde, avrebbero potuto stare
fuori per ore, prima di finire laddove sono finite”
“Vicini
alla loro destinazione” - sussurra lui.
“In una
tempesta ferale quanto quella, anche pochi centimetri dal proprio
naso bastano a perdersi.”
“Che storia
depressiva...”
“Dici? Questa è vita”
“Nonna...”
- dice Dil, alzandosi
“Dimmi, nipote” - risponde lei,
resistendo all'urgenza di piangere.
Dil si avvicina alla porta per
andarsene.
“Grazie”
“Sei il benvenuto nella
mia casa, nipote”