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Autore: furetchen90    04/07/2012    1 recensioni
Una nonna racconta al nipote del sacrificio dei propri genitori per salvare lui e il paese montanaro in cui si trovano. Ambientato in un medioevo alternativo in cui la magia esiste.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La favola

Quando si sente coraggioso, visita la nonna. Raramente capita, ma è parte della famiglia e la famiglia è importante. Non è che non abbia altro da fare. Sta invecchiando, lei, e spera che ogni sua visita non sia l'ultima. Ogni volta che entra viene accolto da un insulto e da uno scialle, una sciarpa o qualunque altro pezzo di stoffa ben ricamato, in faccia.
Insulta indietro a modo suo, accetta il dono ed entrambi cominciano la solita routine ciclica. Quando è li, vorrebbe sentire la storia.
“Che storia?” - chiede lei, come se non sapesse.
E lui dirà, coraggioso - “Sai che storia: di come sono morti”.
Non sa perché vuole udirla, ma ne sente il bisogno. Non le ci vuole molto per dirgliela, e non condivide molti dettagli, ma quel poco che rivela basta.

Inizia la stoltezza, sebbene mite rispetto ai tempi passati. Sono passati anni, ma è ancora incerta se il nipote è cambiato davvero o è ancora uno sciocco, e lui ricambia chiedendosi se la nonna è rimasta la strega di un tempo.

Le persone anziane dimenticano alcune cose, ma lei è un eccezione. E' convinto che rimarrà acuminata quanto la punta di una spada appena forgiata sin il giorno in cui smetterà di respirare. Conosce quella storia meglio di chiunque. Dopo tutto, stette li. Si dice così. Anche lei affrontò la stessa difficoltà, ma rimase in vita.

Quando era un bambino, le chiese perché.
Lei semplicemente rispondeva, col suo sorriso un poco sdentato, che la vita è curiosa.
Lei però aveva gli occhi distanti, sapeva che la verità fosse dura e sofferente.
Questa volta, quando le chiede di raccontargli la storia, c'è la solita finzione, la stessa stanca vessazione, e ripone punteruolo e cruna e tessuto. Che faccia contorta, quando li ripone sul desco; un altro scialle, lui nota, e spera che il prossimo non sia per lui. Li tesse, lei, sempre dalla lana più rozza e punzecchiante.
Mentre lui gira la sedia verso il fuoco, lancia un ramoscello nel focolare e fa ballare le carbonelle con il batacchio.
Si siede sul tappeto ai suoi piedi..
Nostalgia, fitta e quasi confortante, lo riempie. Quante volte si è seduto in quella maniera, attendendo che lei gli raccontasse la storia?
“Non li conoscesti i tuoi genitori” - cominciò, come sempre. “Che peccato. Erano tanto buoni” - collocò il suo lungo, scheletrico sulla tempia e grattò lievemente - “intelligenti, intelligentissimi. Non seppi e non so perché si sposarono, non capii perché volle unirsi con una chierica, sebbene lui studiasse l'arte della guerra. Entrambi, comunque, erano studiosi: studiavano diverse arti, ma pur sempre di arti si trattava"
Si sistemò meglio sulla propria sedia e Dil cercò di immaginarsi madre e padre, sebbene non li avesse mai visti. Non ha nemmeno una memoria offuscata di entrambi. Niente. Semplicemente niente. A volte ne è grato, ma delle volte, la sua curiosità la consuma.

India continua, la voce quieta, raschiante come la sedia a dondolo su cui siede - “Or dunque, tuo padre si diresse all'avventura e lasciò tua madre con me. Quando tornò alcuni anni or sono, cambiò totalmente."
Apre gli occhi e lo alluma con una coscienza eburnea – “Non peggiorò, ne migliorò. Era... differente. Come se avesse visto tanto, e troppo. Si stabilì con noi e, per del tempo, non volle allontanarsi. Stava sempre a fissare il fuoco, tutto stralunato…"

Dil si voltò per guardare il fuoco divorare il ramoscello prima gettato.
“Non questo fuoco di sicuro, Nonna” - disse spontaneo - “perché l'ho appiccato io, quest'oggi”
“Non fingere di non sapere quello che sai” - lei diruppe, e scivolò nuovamente sulla sedia per sedersi più dritta.
"Devons non si ritirò dalla società, semplicemente studiava assai. Giammai appassì. Pensava, e pensava giusto. E quando pensò, tu nascesti.” - finge di avere in mano un infante -
“E che neonato brutto eri” - continuò - “tutto rugoso e piangente, perché bisognoso d'attenzione ogni secondo del giorno”
“Allora... ero come tu sei ora” - lui sarcasmò, ed un momento dopo, la mano della nonna gli schiaffeggiò la cervicale.
Lui grugnì ed espresse formali, ma insincere, scuse.
“Quando avesti sette mesi, mi stancai dei tuoi piagnistei e me ne scesi nel villaggio”
“Per occuparti dei malati” - disse lui ruotando i propri occhi, tutto negletto.
“Una scusa conveniente” - lui spalleggia - “Una sola via da percorrere in un paio di giorni. Dopo un po' di tempo, il cielo si oscurò eccessivamente. Non ricordo bene quando fu fu che ci colpì...”

Dil si accorge che questa parte della storia non l'ha mai sentita e si flette in avanti per meglio ascoltare.

Gli occhi della nonna si illuminano, quando questa, finalmente, rivive gli eventi di vent'anni or sono.
“Il cielo oscuro come quello notturno, pressappoco durante il pomeriggio presto, inizialmente lenta. Stetti seduta assieme alla vecchia Maggie davanti casa sua, con un pentolone d'acqua bollente innanzi, e posi la mano per controllare: la neve si stava inspessendo sempre ogni minuto id più. Ne ho viste in vita mia di tormente, ma quella... era terrificante. Terrificante e graziosa. Un eburneo muro gigantesco che s'avvicinava sempre più, e ricordo bene quando mi rinchiusi in casa appena la folata di vento crebbe."

"La tormenta causò danni?" - suppose. Giammai lei parlò così tanto di quella tempesta. Il posto da cui proviene è colpito dalle tempeste, di tanto in tanto, però non si sarebbe mai aspettato ne fosse avvenuta una simile in passato.

Ovviò che causò danni, stupido! Colpì la casa con tanta forza da farla smuovere e smise solo quattro gironi dopo!”
Ora lo sguardo della nonna è diretto alle proprie mani, poi poste vicino alle fiamme del focolare per l'improvviso brivido. “Solo quando la tormenta terminò, iniziai a preoccuparmi per i tuoi genitori, tutta sola, lontana da ogni cosa”
Anche un po di aiuto per la tua cocciutaggine, pensò Dil.

"La vecchia Maggie morì a causa della sua malattia prima della fine della tempesta e le presi le coperte per meglio coprirmi. Anche quando la tormenta terminò, non fu davvero finita: la neve era rimasta innanzi le finestre, altissima, ed era impossibile passarci in mezzo, fuorché la si forasse.
Sebbene le nostre porte si spalancassero verso l'interno delle case, non tutti disponevano di una vanga per scavare.
E tra chi la possedeva, non tutti avevano sufficiente forza per spalare. La maggior parte della gente rimase senza legna da ardere.
“Per questo ne tieni tanta in casa” - espresse lui palamidone, per essere ignorato dalla nonna seduta stante.
“Entro una settimana riuscimmo a rimuovere quasi tutta la neve, ed io decisi di dirigermi laddove i tuoi genitori s'erano diretti: ci impiegai tre giorni, nonostante indossassi i calzari adatti per camminare sulla neve"

La storia comincia ad essere nuovamente familiare e Dil poggia la propria testa sulle mani, mentre sta coricato.
“Vidi la casa distante, ma non c'era fumo proveniente dal camino. E l'aria era tanto immobile che sentivo solo il mio respiro”
Ed ora la parte dove dice che i suoi genitori stavano stesi a terra, morti congelati, sul pavimento della casa. Tipico.
Non si attese, però, i dettagli aggiuntivi.
“Quindi io corsi...”
Difficilmente poteva immaginare la propria nonna correre, ma siccome l'evento accade vent'anni nel passato, probabilmente era assai più arzilla e verace. Che strano. Tende la testa per meglio capire quelle novità risalenti al passato

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Corsi verso il capanno degli attrezzi, ruppi la finestra e presi la vanga. La porta era completamente seppellita, i cardini totalmente congelati. Ritornai indietro dalla finestra, scavai innanzi la porta, riuscii a rimuovere tutta la neve e finalmente potetti aprire la porta. All'intero, il freddo era più glaciale che l'esterno, siccome il sole non ebbe illuminato la dimora per una settimana intera. Non c'era legna, del tavolo nessuna traccia. Chiamai Devons, ma nessuno rispose. Neanche tu, particolarmente reattivo alla mia presenza, ogni qualvolta mi trovassi nelle vicinanze. Quando poi, vidi il letto..."

La sua voce assai stenta, ma Dil spalla e continua ad ascoltare. Sarà una sua impressione: la nonna non ha mai pianto. La conosce come una donna coriacea. La persona più forte e coraggiosa che ci sia.

“Sembrò che ogni coperta della casa stesse sul letto – le loro coperte, i loro mantelli, tutto – perché cercarono di darsi da fare in tutto e per tutto pur di riuscire nel loro intento. Quando smossi le coperte, vidi che non c'era nulla, ma scavai più a fondo ed entrai in contatto con un minuscolo lembo di pelle, continuai a scavare e trovai te. Pensai fosti morto e temetti il peggio, ma poi sentii il tuo vagito e il tuo faccione si fece rosso rosso.
Dil scosse il capo: di solito, a questo punto della storia, avrebbe voluto chiedere alla nonna “Come hai vissuto senza i miei genitori?” ma, invece, si sorprese.
“Come sono riuscito a vivere?” - non aveva mai sentito quella versione della storia e voleva carpirne tutti i dettagli.
“Non saprei davvero” - disse, sbattendo rapida le palpebre - “Piangesti così tanto che non avesti lacrime alcune rimaste, e saresti effettivamente morto congelato tra quelle coperte...”
“Nonna!” - lui la richiamò, il suo volto un ibrido tra orrore ed imbarazzo.

Cosa? E' la verità!” - lei si porge verso lo spillo e continua con il suo ricamare.
“Ai piedi del letto c'erano delle patate avvolte in un tovagliolo. Probabilmente, ti hanno tenuto caldo a lungo"

"E mia madre e mio padre?" - sapeva che fossero già morti quando era arrivata, la nonna, ma era troppo curioso di scoprire sempre più.
“Cercai di essere speranzosa ed attesi che tornassero, dopo aver annunciato di esser riusciti a bloccare la tempesta con le loro conoscenze. Avevano studiato così a lungo, pensai che avrebbero successo completamente. Ebbero successo... ma non fu completo”
Sospirò leggermente e tutto quello che potette sentire fu il clangore dei suoi spilli.
“Non trovai niente, finché la neve si sciolse il mese successivo” - continua lei priva di qualunque grazia, questa volta - “e non fu facile nemmeno seppellirli, finché il terreno non s'ebbe intenerito”
Non s'immagina di com'è avere dei cadaveri intorno, sepolti nel terreno, finché questo si ammorbidisce.
“Dove li trovaste?”
Sa della stranezza della domanda.
Lei smise di filare e si accorse degli occhi vetrini di lui.
“Non so che stettero pensando mentre si trovavano lì. Bruciarono i mobili e se avessero condiviso il letto, probabilmente, avrebbero sopravvissuto, proprio come sopravvivesti tu.
Agita la testa e osserva in basso, studiando ogni contorcimento del proprio ago mentre disperatamente cerca di concentrarsi.
“Devons era a supino e stava steso giusto a qualche centimetro dalla porta del magazzino. Gli sarei potuta inciampare addosso e non me ne sarei accorta nemmeno."
“E mia madre?”
“Contro la porta del magazzino”
“Pensi che...”
“Siano morti assieme? O che non si siano nemmeno visti morire?”
Tossì e scosse il capo.
“Immagino che Devons uscì quando il fuoco iniziò a scarseggiare per cercare qualcosa nelle vicinanze e tua madre rimase in attesa, con te. Preoccupandosi per il ritardo del proprio marito, probabilmente uscì tua madre, dopo averti ben avvolto e collocato le patate calde sul materasso del letto su cui eri stato posto. Immagina se fosse inciampata sul suo cadavere mentre lo cercava. Erano coperti con vesti calde, avrebbero potuto stare fuori per ore, prima di finire laddove sono finite”
“Vicini alla loro destinazione” - sussurra lui.
“In una tempesta ferale quanto quella, anche pochi centimetri dal proprio naso bastano a perdersi.”
“Che storia depressiva...”
“Dici? Questa è vita”
“Nonna...” - dice Dil, alzandosi
“Dimmi, nipote” - risponde lei, resistendo all'urgenza di piangere.
Dil si avvicina alla porta per andarsene.
“Grazie”
“Sei il benvenuto nella mia casa, nipote”


































































  
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