Oramai
non le era più possibile prendere il solito treno di tutti giorni per recarsi al
lavoro. Eppure, stranamente, non era né arrabbiata né dispiaciuta. Al contrario,
apprezzava la sua mancanza di precisione, la interpretava come un fuggevole
istante di libertà, rubata dalla schiavitù di un lavoro che a sua volta
supportava la stessa. Se si fosse sbrigata avrebbe potuto anche farcela, ma in
quell'istante la puntualità era l’ultimo dei suoi pensieri. Aveva l’intenzione di
godersi il privilegio ottenuto attraverso le casualità di una vita troppo
calcolata, anche se solo per mera esigenza.
Un bel caffè preso in pace - senza guardare mai l’orologio a muro che ogni santa
mattina turbava i suoi pensieri di risveglio – le permise di godere, attraverso
l’enorme vetrata del salone, la bellissima scena… di quella profonda nebbia
mattutina che, come un quadro naif, avvolgeva quel luogo di surreali profumi di
oblio. Come se… tutto ciò che aveva lasciato, con sofferenza, in dono al
passato avesse potuto in qualche modo continuare ad evolversi, al di là della
nebbia… originando diversi vissuti. Ed era proprio il sordo suono del silenzio,
interrotto dal timido ticchettio dell’orologio a muro, a segnare il confine tra
la realtà ed il desiderio. Era bello vivere contemporaneamente questi due mondi,
consapevoli… l'uno dell’altro.
Era ancora buio, quando uscì da casa, aveva un passo lento, garbato. Era avvolta
da una lunga sciarpa bianca, le sue mani trovavano rifugio nelle ampie tasche di
una giacca marrone, di pelle, cosciente del proprio vissuto.
Salì sul un treno che inspiegabilmente era puntuale. Nel mentre sedeva, tirò
fuori dalla borsa un piccolo libricino destinato a tenerle compagnia durante il
tragitto. Notò il SOLITO ragazzo dai capelli rossi che le passava accanto
timidamente, anche lui aveva perso il suo SOLITO treno. Sostò un istante
osservando i posti liberi accanto a lei e fece un cenno, che in seguito non
completò, per chiedere di occupare uno di quei posti, ma poi si mise sulla
successiva dislocazione, in una posizione che gli permetteva di tenerla sotto
controllo. Lei accolse tale comportamento “traditore di intenzioni”, con un
sorriso di simpatia, lo sapeva… era da tanto tempo che quel ragazzo provava
dolcemente ad avvicinarla.
Con lei era salita sul treno anche una donna dalle origini africane con un
passeggino. Vide nel passeggino un bellissimo bambino di quasi un anno con
grandi occhi scuri nei quali si riusciva a leggere la vera essenza della vita.
Dopo soli pochi minuti tutti i posti erano già occupati. Il bambino iniziò a
piangere, aveva corde vocali da vendere. L’insofferenza della madre infastidiva
la gente che passiva assisteva alle urla del bambino. Uno dei passeggeri,
sdegnato, disse: “Io non sono una madre, ma presumo che il bambino debba essere
preso in braccio”. La donna sentì le sue parole e di reazione prese in braccio
il bambino ed iniziò a bisbigliare, un bellissimo canto africano. Doveva essere
una specie di ninna nanna.
All’improvviso, Roia, chiuse gli occhi in un sorriso. Il presente oramai aveva
perso la sua valenza, abbassò il libro e si perse nelle savane dell’Africa, dove
l’orizzonte non ha confini. Sentiva il fruscio del vento nelle praterie, nelle
foreste pluviali e nei deserti infuocati che cullavano i ricordi di un
irresistibile richiamo nostalgico del passato… Continuava a visitare quei mondi,
trasportata dal canto melanconico della donna. Vide lei… nelle gialle pianure
d’Africa, appoggiata ad un albero solitario, mentre allattava il figlio… sulla
sua destra, a pochi metri di distanza, un gruppo di leoni…
Ahimè… tempo scaduto!
Oramai era arrivata a destinazione, si alzò per rimettersi la giacca. Il ragazzo
dai capelli rossi scese per primo e nel mentre passava accanto a lei, per la
prima volta, ebbe il coraggio di salutarla con un cenno della mano ed un
sorriso, diafano più che presente.
Scese anche lei dal treno, la stazione era avvolta dalla nebbia, poco distante
l’attendeva il quotidiano… quello di sempre…