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Autore: shotmedown    04/07/2012    5 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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                     I wanna share your horizons,
and see the same sun rising.
Turn the hour hand back to
when you were holding me..
Jet lag, Simple Plan

 

 





Pierre p.o.v

Varcai la soglia dell'aeroporto con i ragazzi. Ogni volta era un tuffo al cuore. Il ricordo del nostro primo incontro mi assaliva, mi attanagliava l'anima e non riuscivo a lasciarlo andare, nonostante tutto. Perché, maledizione, io l’amavo più di quanto pensassi. Posai la valigia sul carrello, che poi un uomo condusse verso dei tappeti affinché potesse esserne controllato il contenuto. C'erano da attendere due ore prima che il nostro volo partisse. Anche Samantha era lì, lontana da me. Stava facendo il check in e si era diretta verso un'altra uscita: il suo aereo per Boston stava per decollare. Non riuscii a guardarla mentre porgeva il biglietto alla donna accanto al gate, non riuscii a vederla sparire dietro il portellone. Era finita. Quel giorno, all'Empire State Building, avevo capito tutto.
La strinsi forte, perché il mio corpo, il mio cuore lo richiedevano. Io non avrei mai voluto che finisse così, mi aveva sussurrato, con voce rotta da quelle che poi scoprii essere lacrime, ma è dovuto succedere. Benché si ostinasse a ripetermi che fosse stato per il mio bene, io non riuscivo a perdonarla. Come potevo sentirmi meglio se lei se ne andava? Chuck mi aveva più volte detto che se avessi permesso a qualcosa di portarmi via ciò che amavo, avrei dovuto lottare per difenderla. Ma io non avevo avuto scelta. Lei era tornata da Ben, io ero rimasto da Lachelle. In breve, avevo mantenuto una promessa mai fatta.
<< Tu sai, vero, che darei via tutto per tornare a Montréal con te? >> Mormorò, affondando il viso nel mio petto. Riuscivo a sentire il calore del suo respiro attraverso la t-shirt leggera. Fu una bella sensazione, dato il vento autunnale che soffiava.
<< Hai già dato via tutto tornando a Boston. La tua vita è ancora in casa nostra. >> Preferii utilizzare quell'aggettivo, piuttosto che un altro. Infondo io, la mia casa eravamo ancora suoi. Come lei era mia, ma non se ne rendeva conto. La sentii sorridere, e poi stringere la presa sulla mia maglietta. Povero illuso, Ben, che credeva lei fosse tornata per dei ripensamenti sui suoi sentimenti nei suoi confronti. Lei era mia. Mia e basta.
<< Perché non sei tornato con Lachelle? >> Chiese, sollevando lo sguardo e incrociando il mio. Non l'avevo mai vista così, in quattro anni che ci conoscevamo. O forse sì. Quelli erano gli stessi occhi, la stessa espressione che aveva quando l'avevo visto in aeroporto, persa e sconsolata. Tradita. Ora, però, sembravo scorgere un barlume di speranza.
<< Perché se fossi voluto rimanere con lei l'avrei fatto sin dall'inizio. Forse, se non avessi dato adito ai miei sentimenti di rovinare tutto, a quest'ora tu vivresti ancora nel tuo appartamento e potrei tranquillamente vederti e parlarti. Invece no, ho dovuto attendere che le coincidenze ci facessero incontrare a New York per poi spingermi fino all'ottantaseiesimo piano dell'Empire State Building per poter avere un dialogo con te. >>
<< Non hai rovinato tutto, Pierre. Io...tu lo sai, io ero convinta che l'amore non esistesse. Mi ero arresa alle difficoltà. >> Spiegò, staccandosi lievemente. << Poi sei arrivato tu, stupido cantante da strapazzo, con la tua band di ragazzi scalmanati, con le vostre canzoni che rispecchiavano ogni mio dannato stato d'animo. Lo avete sempre fatto, e davvero non so come abbia potuto dimenticarmi di voi in cinque, sei anni che fossero. Però, forse, se non avessi smesso per forze superiori, vedi mia madre, di ascoltare la vostra musica, non ti avrei mai conosciuto. E se lo avessi fatto, per me saresti stato Pierre dei Simple Plan. Per me, tu, ora sei Pierre Charles Bouvier, un uomo meraviglioso che non merita di soffrire. Così come non merita di soffrire Anne, che certamente vorrebbe vedere suo padre insieme a sua madre. E tu saresti felice con loro, io lo so. Di me non mi importa, non ho più nulla da perdere ormai. Sei una brava persona, Pierre. >> Si soffermò un attimo. Non riuscivo a parlare, non sapevo cosa dire. << Però sei anche un cantante, tanto meglio. >> Disse, ironica, e lì scoppiai a ridere.
<< Un cantante molto figo. >> La corressi, con finta nota di altezzosità. Di rimando, mi spintonò lievemente. Qualcuno si voltò a guardarci, e poi un gruppetto di persone si avvicinò. Mi scrutò per bene, poi con volto meravigliato mi riconobbe. C'erano alcune ragazze, accompagnate da quattro o cinque ragazzi, che pretesero un autografo. Li accontentai volentieri, per poi proporre una foto di gruppo che Sam si offrì di scattare. Una ragazzina, infine, mi si avvicinò e mi intimò di chinarmi. Lo feci, e mi sussurrò un 'grazie' all'orecchio che trovai infinitamente dolce. Quanto fossi devoto ai nostri fan, era cosa risaputa. Non mancava occasione che lo rendessi noto, senza problemi. Li salutai e tornai da Sam, che si era affacciata sulla citta di New York.
<< Torna a Montréal. >> Affermai soltanto. Lei si voltò, si allungò verso di me e mi sfiorò le labbra cingendomi il collo con le braccia. Non approfondii il bacio, sapendo che lei non avrebbe voluto.
<< Ci vediamo, Bouvier. >> Si allontanò, proteggendosi con le sue stesse braccia.
 
Poggiai le mani sul lungo tubo di metallo che correva lungo la finestra e guardai l'aereo, che, purtroppo, era in fase di decollo.
Alla fine era partita.
 
Sam p.o.v

Le ore di viaggio sarebbero state poche, però la fretta che avevo mi stava tartassando. Le mie mani tremavano, il mio corpo chiedeva movimento. Io volevo Pierre. Prima arrivavo a Boston, prima tornavo a Montréal. Avrei potuto richiedere un calmante, ma non ero certa mi avrebbe fatto granché. Credevo di averlo convinto con le mie parole, ma lui era ostinato, e io mi fidavo di lui. Se diceva di esserci per me e per Anne, io gli credevo. Inoltre, non vedevo l'ora di rivedere la piccola, che ormai aveva compiuto un anno. Quando atterrammo, riaccesi il cellulare, trovandovi un messaggio. Il numero non lo conoscevo, ma lo lessi lo stesso. "Tu gli fai bene, torna qui. E poi Anne dice continuamente il tuo nome, anche se non ti vede da una vita. Dubito che 'papà' sia stata la prima parola che ha pronunciato." Lachelle. Come aveva il mio contatto telefonico? Cancellai immediatamente i mille dubbi che mi occupavano la mente, per dar spazio ad un solo pensiero: non c'era rancore. Il fatto che Lachelle fosse una donna così sensibile, ma al tempo stesso così forte, mi faceva ricredere sul fatto che Pierre avesse sul serio scelto me. Cosa ci avrà trovato in una complessata, che non riesce a far altro che combinare danni ovunque cerchi di metter mano? Sebastién si era trovato a parlare con me, un giorno, e mi aveva rivelato che tutti, nel gruppo, mi ritenevano una tipa molto chiusa. Ma che quando mi ero aperta, avevo mostrato il lato che Pierre amava di più. Ma qual era questo lato? Presi un taxi e gli chiesi di fare in fretta, per dirigermi a casa e mandare Ben a quel paese. Ero sicura, nel frattempo, che stesse ancora frequentando Margareth. Quella donna non si stancava mai di essere "l'altra". Forse si divertiva, chi poteva dirlo. Pagai la corsa e guardai il vialetto di casa mia. Come ogni volta, il mio vicino mi diede del "bentornata", per poi rientrare. Cercai di fare lo stesso. L'auto di Ben era nel vialetto. Un'altra era parcheggiata di fronte casa. Pff, è qui. Sgualdrina. Adesso non avrei neanche avuto il rimorso di doverlo lasciare. Mi sentii un po' in colpa, dato il fatto che a lui avevo riservato un discorso e da Pierre ero scappata. Spalancai la porta e lasciai cadere la valigia. Aprii la porta dello sgabuzzino e presi gli altri due trolley che mi ero portata dietro quando ero partita, un anno prima e salii in camera per metterci dentro tutta la mia roba. Sicuramente quei due erano in veranda. Ancora lui sperava che sentendo i miei passi avrebbe fatto in tempo a farla andare via. Che idiota. Mi impossessai dello scatolone che tenevo sul fondo dell'armadio e tolsi il coperchio: dentro, tutti i miei ricordi. C'erano anche le chiavi di casa del vecchio appartamento, e la copia di quelle di casa di Pierre. Le presi entrambe e le misi in borsa, per poi svuotare il contenuto dello scatolone in una delle due valige. Infilai vestiti, scarpe, fotografie. Quando ebbi finito, mi guardai allo specchio. Avrei fatto una doccia, prima di prendere il prossimo volo. Lasciai cadere i vestiti sul pavimento, poi in silenzio entrai nella cabina, per fare una cosa veloce. Volevo coglierli in flagrante, non era cosa da nascondere, e dirgli semplicemente che me ne andavo. Bloccai il getto d'acqua e mi rivestii, per poi, a fatica, scendere di sotto con i bagagli. Il tutto pesava molto, ma a breve tutta la mia vita sarebbe stata più leggera. Avrei poi chiesto che mi fosse portata l'auto, in futuro. Per ora chiamai un altro taxi, e nell'attesa che arrivasse, mi affrettai verso la veranda. Come previsto, c'erano. Entrai senza bussare.
<< Scusate il disturbo, >> fu un divertimento vedere il disagio di Ben, "imprigionato" sul divanetto dal corpo di Margareth, nuda. Ebbi l'istinto di coprirmi gli occhi, ma desistetti << ti volevo avvisare che sto partendo. >>
<< Dove vai? >> Fece, scostando la donna. Questa si coprì con una coperta.
<< Non ti avvicinare o giuro che Margareth in futuro non avrà niente con cui giocare. >> Dissi, acida. << Me ne vado, torno a Montréal. Appena puoi mandami l'auto. Non voglio che ci facciate sesso dentro, è nuova. >> Così detto, mi allontanai e tornai di fronte casa. Proprio in quel momento, arrivò il taxi. Il tassista mi aiutò a caricare le valige, e prima che Ben potesse giungere, seminudo, sul posto, fui già alla fine del vicolo. Era fatta. Io ero libera.
<< Dove, signorina? >> Con un sorriso stampato sul volto, pronunciai il nome dell'aeroporto. Sperai Pierre mi perdonasse per essere ripartita senza rendergli note le mie intenzioni. La settimana seguente sarebbero ripartiti per l'Europa, non volevo perdermi l'occasione di dirgli che lo avrei aspettato. Ancora una volta valutai se quella scelta fosse del tutto sbagliata, ma puntualmente mi tornarono alla mente gli abbracci, le carezze e le parole di Pierre. Se lui diceva che sarebbe andato tutto bene, se Lachelle mi confermava che non aveva intenzione di tornare con lui...io ero lì. Ci avevo provato, ma stargli lontana era impossibile. E lo avevano dimostrato le numerose coincidenze che ci avevano spinti ad incontrarci. Non volevo pensasse fossi egoista; infondo tutto ciò che avevo fatto era per lui. Ma forse avevo pensato troppo a me stessa, al senso di colpa e quant'altro per rendermi conto che lo stavo semplicemente rovinando. Sentirmi così importante per lui mi rendeva felice come non mai. Sembravo un'adolescente con la prima cotta. Solo che io lo amavo più di me stessa.
Presi l'ennesimo taxi, quel giorno, e recitai a memoria il nome della strada in cui abitava Pierre. Riconobbi il volto del tassista, che, un anno prima, mi aveva riportata a Montréal. Forse, però, prima sarei dovuta andare da Leah. Infondo non la vedevo da tantissimo tempo, e dovevo avvisarla che non c'era più bisogno di andare a Boston. Cambiai rotta, e la indicai all'uomo, che non parve scocciato dall'improvviso ripensamento. Arrivammo in breve sotto il palazzo, in Rue la Moine. Sentii le lacrime pungermi gli occhi, ma le ricacciai indietro. Inviai, come l'ultima volta, un messaggio a Leah. E proprio come l'ultima volta in un breve istante fu da me, e io ero a terra, sovrastata da lei e Jack.
<< Dannazione, ce ne hai messo di tempo! >> Gridò la mia amica, stringendo forte. Non potei fare a meno di ridere, quando finalmente si decisero ad aiutarmi. Si alzarono e mi tirarono su, con loro.
<< C'è Seb di sopra. >> Disse Jack.
<< Perché? >>
<< Siamo diventati grandi amici della band, carissima. Ti sei persa un mucchio di cose. >> Spiegò lui, aprendomi il portone.
<< Ma sono appena tornati. Insomma, perché lui è qui? >> La mia amica rise, aiutandomi con la valigia. Le intimai di lasciarla lì, perché non sarei rimasta molto. Avevo qualcuno da incontrare.
<< Diciamo che si è innamorato... >> Leah lasciò cadere la frase, e io rimasi sconvolta. Mi ero persa tantissimo. << Si è innamorato delle mie frittelle. Mi ha inviato un messaggio prima di sbarcare chiedendomi esplicitamente...>>
<< Io direi che ti ha ordinato. >> Proruppe Jack. Senza rendercene conto, avevamo percorso decine di scalini. Eravamo di fronte casa.
<<...Di preparargliele. Ora è qui. >> Difatti, quando entrai, lui era sul divano, mentre divorava un piatto che a me parve infinito di frittelle. Scoppiai a ridere, e mi avvicinai a lui per abbracciarlo. Ci eravamo visto anche poche ore prima, ma era con i ragazzi, e io non potevo avvicinarmi. Dovevo fare una sorpresa a Pierre.
<< Ciao donna di mondo! >> Disse, stringendomi e sollevandomi da terra.
<< Sei un maiale, al solito! Oinky dei miei stivali. >>
<< Oinky al tuo servizio, mademoiselle! >> Mi offrì una frittella, che però rifiutai. Andavo un po' di fretta. Chiesi a Leah il permesso di prendere l'auto, e quando mi diede le chiavi, salutai tutti. Seb mi chiese un passaggio fino a casa sua, che non potetti negargli. Però cercai di fare il più in fretta possibile, per arrivare prima da Pierre.
<< Seb, Pierre è in casa, vero? >> Annuì, indicandomi la strada. Gli dissi che non era necessario, dato il fatto che la ricordavo perfettamente. Tutte le sere in cui lo avevo riaccompagnato, facendo la parte dell'amica sobria, mi erano rimaste impresse nella mente. Sebastién don Giovanni, mi era rimasto nella mente, a dire il vero.
<< Solo che lo troverai in condizioni pessime. Prima di partire non si è rasato. >> Sorrisi, ricordandomi della lieve barbetta che era solito tenere quattro anni prima. Prima che diventasse ancor più bello di quanto non fosse. Più ci pensavo, più mi veniva voglia di saltargli addosso. Cancellai quei pensieri dalla mia mente, e continuai a guidare. Arrivammo, e lo salutai, per poi dirigermi verso la mia meta. Finalmente. Accelerai quando un semaforo, verde da troppo tempo, fu sul punto di diventare rosso, e in breve mi trovai di fronte la casa. Non era molto distante da dove abitava Seb. La sua auto era lì.
Osservai la struttura, sentendo una morsa allo stomaco.
Santo cielo, quanto mi erano mancate quelle quattro mura. Attraversai il vialetto, e una volta sotto il porticato, bussai leggermente alla porta. Sentivo il battito del cuore accelerare ogni secondo. Inspirai ed espirai più volte, quasi avessi le contrazioni, poi chiusi gli occhi e cercai di calmarmi. Solo quando sentii il rumore della maniglia che si abbassava sentii di poter morire.
La sua figura mi apparve dinanzi. Un velo di barba gli copriva il volto assonnato, le guance rosse e i capelli fuori posto. Doveva essersi addormentato.
<< I gerani, >> dissi, cercando di mantenere la calma per rendere il sarcasmo più evidente e non apparire diversamente, mentre vedevo affiorare sul suo volto, a poco a poco, un'espressione di felicità << non sai prenderti cura neanche dei gerani. >>

 



Penultimo capitolo, con tanto di immagine (quella che più amo del video)! Eh sì, è giunta la fine della storia, ma il finale è ancora una sorpresa (anche per me, mi sa) Senza farlo apposta, finisco a 33 capitoli, come gli anni del Piero *-* .

Lisa :3 

 
  
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