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Autore: Escapist96    04/07/2012    4 recensioni
One shoot romantica su Emppu Vuorinen che, dopo una sessione di prove con i Nightwish, va in un bar per incontrare un vecchio compagno di scuola. Ma quando questo lo lascia da solo al locale e emppu decide di tornare a casa, incontrerà una ragzza dagli occhi magnetici.
Saskia.
Non ho potuto chiederle il nome, ma me l’ha detto lei. Ma non è sufficiente. Sento che dentro di me qualcosa si agita. Qualcosa che vorrebbe sapere di più di lei, trovarla un’altra volta, parlarle, chiederle perché mi ha seguito, ma soprattutto vederla, vedere quei suoi occhi di ghiaccio magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Erno Vuorinen, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'For the heart I once had'
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Appoggio con cura la chitarra in un angolo della stanza, dove so che la ritroverò domani così come l’ho lasciata, saluto rapidamente i miei compagni e corro fuori dalla sala prove. Non ho detto loro dove sto andando -per una volta ho voglia di fare qualcosa senza di loro- ma sono di fretta e non posso fermarmi a dare spiegazioni o rischiare che mi invitino ad uscire con loro.
Mentre mi chiudo la porta alle spalle riesco appena a scorgere un’espressione di sorpresa sul volto di Anette, ma non mi fermo per dirle che è tutto a posto, altrimenti farebbe domande.
No, non ho un appuntamento con qualche ragazza. Non sono il tipo. Preferisco che sia il caso a farmi incontrare le donne, non ho intenzione di interferire nei suoi progetti.
Mi copro la testa con il cappuccio peloso della giacca, immancabile nell’abbigliamento di un finlandese intelligente -quale sono io, ovviamente-, per proteggermi dalla neve che cade vorticosamente e attraverso le poche e strette vie che mi separano dal locale dove voglio arrivare. Non ci sono mai stato, è un pub poco conosciuto e di dimensioni ridotte, ma l’amico con cui mi devo incontrare dev’essere un cliente abituale perché me lo ha caldamente consigliato.
Non vedo Marko da anni, da quando entrambi abbiamo finito la scuola e io sono entrato a far parte dei Nightwish, riducendo drasticamente il tempo libero da dedicare alla vita sociale. L’ultima volta che l’ho salutato, sotto casa sua dopo una festa, era già più alto di me di una buona testa e la lunghezza dei suoi capelli rossi superava quella dei miei oggi. E’ un patito del metal e ho ricevuto diverse sue lettere in cui mi faceva i complimenti per la mia musica e il mio successo. E l’altro giorno mi ha telefonato -le nostre madri si conoscono, non credo sia stato difficile ottenere il mio numero- per chiedermi di incontrarci per una rimpatriata amichevole e mi ha proposto di vederci qui, nel locale in cui sto entrando adesso, il Black Poison.
La prima cosa che mi colpisce è l’atmosfera cupa. Non me l’aspettavo. Le luci sono basse e i muri dalle tinte scure non aiutano a schiarire il posto. Accostate alle pareti ci sono poche poltroncine dall’aspetto scomodo, ma invitante se -come nel mio caso- si è appena usciti da una sessione sfiancante di prove con la propria band metal. Poi vedo il bar e il mio desiderio di sedermi svanisce in un attimo.
Mi avvicino al bancone e ordino una birra, mentre mi chiedo come farò a riconoscere qualcuno che non vedo da così tanto tempo fa. Ma non è un problema perché dopo nemmeno dieci minuti un uomo mi si avvicina e mi dà una pacca sulla spalla.
“Sei Emppu, vero?” chiede, con una voce profonda che non ricordavo avesse.
Annuisco. “Marko?”
“In persona, anche se sono cambiato molto dai tempi della scuola” sghignazza. Mi squadra rapidamente, con un sorriso bonario, poi mi prende in giro. “Tu, invece, non sei affatto diverso!” esclama. “Sei sempre alto uguale!”
Scoppia a ridere e io mi unisco a lui, ormai abituato all’umorismo sulla mia discutibile altezza.
“Jen, un’altra birra per il mio amico e una per me! Offro io!” ordina, rivolto al barista, dopo aver salutato anche lui come un vecchio conoscente.
L’alcool comincia a fare effetto dopo qualche giro e le nostre lingue si sciolgono. Mi tempesta di domande che riguardano la band, per quanto io cerchi di deviare il discorso su altri argomenti il più possibile. Alla fine rinuncio e gli dico tutto quello che vuole sapere, riguardo ai tour, agli album e ai miei compagni.
Conclusa questa parte della mia vita, ci ritroviamo a parlare delle nostre relazioni e scopro che questo gigante è sposato ormai da undici anni e ha la sua piccola tribù di quattro figli -e uno in arrivo. Quando tocca a me, ringrazio l’alcool perché riesco a non arrossire essendo costretto ad ammettere di non avere nemmeno una fidanzata.
“Davvero?” sussulta.
Sembra sorpreso.
“Perché ti stupisci? Ti do l’idea di un tipo che s’impegna seriamente?” scherzo.
“Non so… non ti conosco abbastanza, ma mi ricordo il tuo carattere così spensierato da attirare chiunque intorno a te! Immaginavo avessi trovato in fretta una persona con cui stare!”
Scuoto la testa, con un mezzo sorriso. “Non sono il tipo, mi ripeto” replicò. “O per lo meno non ho ancora trovato Lei, quella giusta!” aggiungo, per distogliere l’attenzione dalla poca serietà espressa dalle mie parole.
Cambiamo discorso, toccando svariati argomenti, poi all’improvviso il suo cellulare squilla.
“Pronto?”
“Sei sicura, tesoro?”
Sussulta e vedo che gli tremano le mani. “Arrivo subito”
Chiude il telefono, lo mette in tasca.
“Mi dispiace… dovremo vederci un’altra volta per finire questa chiacchierata” mi dice, tornato lucido all’improvviso, mentre sta già indossato il cappotto che aveva abbandonato su una poltrona.
Io annuisco e lui mi saluto, sbrigativo.
“Ma cosa è successo?” gli urlo dietro, mentre è a pochi passi dalla porta.
“Mia moglie. Sta succedendo qualcosa con il bambino…”
Il suo tono si addolcisce mentre parla della sua famiglia e non lo trattengo oltre, facendogli cenno con la mano di non preoccuparsi per me.
Faccio per rivestirmi anche io, quando mi rendo conto che se tornassi a casa adesso non troverei nessuno ad aspettarmi, solo il mio caldo letto vuoto. Quindi ordino un altro giro e mi unisco a un gruppo abbastanza numeroso in un angolo del locale.
Lancio un’occhiata di sfuggita all’orologio -sono le undici- e improvvisamente si accendono delle luci intermittenti, psichedeliche, e la musica si alza a un volume assordante. La festa si anima e il pub si scalda. Senza accorgermene sono circondato da ragazze. Sono tutte più giovani di me e degli altri uomini qui presenti. Ognuno di noi viene attorniato da almeno quattro o cinque di loro e non può respingerle. L’alcool mi dà alla testa e dopo qualche minuto nemmeno voglio respingerle. Le mie labbra sfiorano quelle di ciascuna di loro, senza esitazioni e false reticenze. Ho caldo. Mi sfilo la camicia e resto a petto nudo. Una delle ragazze percorre la linea del mio corpo con le dita e brividi freddi mi percorrono la pelle, ma non mi ritraggo e le accarezzo i capelli. La bacio di nuovo e dopo di lei faccio lo stesso con le altre. Mi sento incredibilmente disinibito, non ho niente a fermarmi, e mi lascio andare. Le luci del locale non mi aiutano a recuperare la lucidità e non sento il tempo scorrere finchè un dj non annuncia al microfono che è l’una di mattina.
Nonostante lui insista sul fatto che “la festa sta appena per cominciare”, cerco di raccapezzarmi, recupero la giacca ed esco dal locale prima che la foga della serata possa di nuovo trascinarmi nella follia.
Il freddo dell’aria notturna mi colpisce in viso e mi restituisce lucidità a sufficienza per trovare la strada di casa, seppur barcollando e con la musica che mi rimbomba ancora in testa.
A fatica, infilo la chiave nella serratura e sento la scatto che mi avvisa dell’apertura dell’uscio. Lo spingo con uno sforzo innaturale e sto per chiudere, quando sento una voce sottile appena fuori.
“Fa… fammi entrare…ti prego”
E’ una donna, lo capisco dalla voce, e sta tremando -batte i denti, questa è una prova inconfutabile.
Socchiudo ancora una volta la porta e scorgo il viso dolce e rotondo di una delle ragazze che erano con me al locale. Ha gli occhi lucidi e allucinati per il freddo pungente e vedo che fa fatica persino a muoversi.
-Dannazione, è troppo poco vestita per lasciarla lì fuori!- esclama una voce compassionevole dentro di me.
Indossa un paio di shorts poco più che inguinali e una canottiera semi trasparente. Sulle spalle ha un minuscolo scialle, e che a malapena le copre le scapole.
Le porgo una mano e la aiuto ad entrare. Mi sembra così fragile… La accompagno fino al bagno e la invito a scaldarsi quanto vuole, anche usando la vasca e tutto ciò di cui può aver bisogno, poi mi volto ed esco dalla stanza.
Passo in cucina a buttarmi dell’acqua fredda in viso, per svegliarmi dal torpore datomi dall’alcool e mi tolgo i vestiti bagnati e gelidi per sostituirli con il morbido pigiama invernale che mi restituisce il calore che ho perso nel tragitto tra il locale e la casa.
Mi avvicino nuovamente alla porta del bagno e busso gentilmente. Non sento risposta e apro leggermente per controllare la ragazza.
“Cosa fai ancora lì?” le chiedo stupito.
E’ ancora inginocchiata a terra, nel punto in cui l’ho lasciata più di venti minuti fa, con i capelli umidi a coprirle il volto e la braccia tremanti a sorreggerla dal cadere definitivamente distesa. Supero la breve distanza che ci separa e le sollevo delicatamente il viso con una mano, non ha smesso di battere i denti e sta tremando visibilmente.
“Non ce la fai?” domando, comprensivo.
Lei scuote debolmente la testa e solleva gli occhi verso di me. I suoi occhi. Sono come una lama di ghiaccio brillante in una note buia. Mi colpiscono e mi scuotono in profondità. Distolgo lo sguardo intimorito dall’effetto che i suoi occhi hanno su di me e li poso sui suoi lineamenti delicati e allo stesso tempo ancora infantili. Non so quanti anni abbia, ma sembra quasi una bambina.
“Vuoi che ti aiuti?” insisto.
Annuisce e un briciolo di sangue le torno nelle guance mentre arrossisce impercettibilmente per un accenno di pudore -strano, considerando l’atteggiamento disinvolto che aveva al locale- ma non respinge il tocco delle mie mani che la spogliano delicatamente.
Metto da parte i dubbi che ho sul fatto di volerla vedere nuda e le sfilo la canottiera, passando dalla testa, e i pantaloncini. Rimane soltanto con un intimo leggero, bianco, con i bordi di pizzo.
La sorreggo con mani forti mentre si sforza di alzarsi e di muovere i pochi passi che stanno fra lei e la vasca, ma non riesce ad entrarci perché gambe non la reggono mentre cerca di scavalcarne il bordo. La sollevo senza la minima fatica -stupendomi di quanto io sia tornato lucido in fretta, abbastanza da agire razionalmente- e la depongo sul fondo lucido. Poi apro i rubinetti dell’acqua, lasciando scorrere più a lungo quella calda. Ma non posso immergerla in un bagno bollente se non voglio farla stare ancora peggio.
I suoi brividi diminuiscono mentre l’acqua le lambisce la pelle pallida, che lentamente recupera un colorito più roseo e naturale. Smette di battere i denti dopo qualche minuto e il suo respiro, affaticato, si regolarizza insieme alla temperatura del suo corpo.
Sospiro di sollievo.
Poi vedo che comincia a ciondolarle la testa e le si chiudono gli occhi.
“Merda” sibilo tra i denti, mentre la tengo per evitare che vada con la testa sott’acqua. Avvicino l’orecchio alle sue labbra e sento il suo respiro. E’ profondo, calmo. Il respiro di una persona addormentata.
Lascio che l’acqua scivoli nel tubo si scarico, poi la sollevo nuovamente, l’avvolgo in un asciugamano e la porto via dal bagno.
-E adesso dove la metto?-
Di certo non posso lasciarla dormire sul divano in salotto. E’ una ragazza, sta male… starebbe troppo scomoda. L’alternativa più ovvia è il mio letto, la sistemazione più confortevole possibile nell’appartamento. La trasporto fino in camera e l’adagio, con la testa abbandonata sul cuscino. L’avvolgo nelle coperte e accosto le tende, perché la luce del mattino non la disturbi.
Sto per spegnere la luce quando sento un lieve colpo di tosse alle mie spalle.
Torno a guardare verso la ragazza -non so ancora come si chiama, quindi prendo l’appunto mentale di chiederglielo domani mattina- e mi accorgo che si è svegliata. Mi sta guardando e…
Quegli occhi.
Ancora una volta raggiungono qualcosa dentro di me che mi fa tremare e provare una sensazione indefinita, ma piacevole, di calore.
“Grazie” sussurra, poi cade di nuovo addormentata.
La osservo ancora una volta prima di andare via. Ha lunghi capelli biondo cenere sparsi sulla federa del cuscino su cui solitamente appoggio i miei. Le sue labbra, adesso immobili e non più scosse da tremori, sono piccole e rosse come il bocciolo di una rosa.
Sorrido fra me e me, mentre spengo la luce. E’ proprio bella, devo ammettere.
 
Sto correndo lungo una strada apparentemente senza fine. Non c’è nessuno qui intorno.
 Dove sono?
Non lo so.
Non so nemmeno se questo posto esista nella realtà o sia solo una mia immagine mentale.
Non importa.
So che devo correre.
Cerco qualcosa.
Cosa?
Non so nemmeno questo.
Ma lo riconoscerò, non ho dubbi.
Inciampo.
Cado a terra, ma non sbatto da nessuna parte.
Mi rialzo e riprendo a correre.
Corro.
Corro.
E all’improvviso vedo un muro.
Lo devo raggiungere.
Sono a pochi metri di distanza…
E svanisce nel nulla insieme alla strada.
 
Mi ritrovo sospeso nel nulla.
Cosa stavo cercando?
Non lo so.
E poi lo vedo.
Lo so.
E’ quello.
Un paio di occhi.
Lame di ghiaccio che feriscono la mia vista e allo stesso tempo la appagano.
Un paio di occhi.
Perché li stavo cercando?
Non lo so.
Un paio di occhi.
Di chi sono?
Non lo so.
Ma chiunque abbia questi occhi dovrebbe essere mia.
Un paio di occhi…
 
Mi sveglio con un sussulto, sudato e agitato.
Stavo sognando. Mi sento confuso dalle immagini che hanno affollato la mia notte. Una notte popolata di ricerche, cadute nel nulla e occhi azzurri.
Occhi azzurri.
La ragazza!
Improvvisamente ricordo tutto e mi alzo di scatto, raggiungendo la camera.
Busso, ma non arriva alcuna risposta. Mi sembra di rivivere la scena del bagno di ieri sera mentre apro la porta, ma questa volta non c’è nessuno ad aspettarmi dentro.
La stanza è vuota, il letto intatto, il cuscino senza pieghe, le tende aperte.
Non c’è alcuna traccia della presenza della ragazza, dall’aspetto da bambina, che ho accolto in casa ieri sera. Muovo qualche passo nella camera, cercando con gli occhi una prova che mi dica che non sono impazzita, che non mi sono immaginato tutto.
Non c’è niente…
Invece sì. Sul comodino c’è un piccolo quadratino bianco, di carta ripiegata con cura. Mi avvicino e lo prendo tra le dita, aprendolo con foga.
Ci sono poche parole, ma sono sufficienti. E’ successo, la ragazza è stata in questa casa. Quegli occhi esistono, quegli occhi non sono una mia invenzione, così come non lo è la sensazione che mi fanno provare anche solo attraverso il pensiero.
 
<< Grazie di tutto.
                          Saskia >>
 
Saskia.
Non ho potuto chiederle il nome, ma me l’ha detto lei. Ma non è sufficiente. Sento che dentro di me qualcosa si agita. Qualcosa che vorrebbe sapere di più di lei, trovarla un’altra volta, parlarle, chiederle perché mi ha seguito, ma soprattutto vederla, vedere quei suoi occhi di ghiaccio magnetico.
Ripiego il foglio e lo stringo in mano, poi lo ripongo nel portafoglio che vado a prendere nell’ingresso, giurando a me stesso che troverò la ragazza, Saskia, se non altro per farle qualche domanda. Chi è? Sa chi sono? Forse è un fan dei Nightwish? No, non credo. Una fan non si sarebbe comportata in quel modo una volta da sola in casa con me.
Mi preparo ed esco di corsa, rendendomi conto di essere maledettamente in ritardo per le prove in programma per oggi. Proprio in quel momento mi squilla il cellulare.
“Pronto?”
“Dove sei?” urla Tuomas nel telefono. “Ti stiamo aspettando da quasi un’ora!”
“Arrivo tra poco” replicò rapidamente, poi riattacco il telefono perché non ho alcuna voglia di subirmi una ramanzina per la mia irresponsabilità cronica.
L’aria intorno a me è ancora fredda, ma non gelida come quella di stanotte. Mi sorprendo a guardarmi intorno, nella speranza di incrociare per caso il suo sguardo.
-Cosa mi sta succedendo?-
Scrollo la testa, per scacciare il pensiero, e riprendo a correre, arrivando pochi minuti più tardi alla sala prove.
Non mi danno neanche un istante per riprendere fiato. Marco mi mette in mano la chitarra, Anette e Jukka sono già pronti, Tuomas si posiziona dietro alla sua tastiera con un sospiro. Cominciamo.
La musica pervade la stanza. La voce di Nettie di diffonde melodiosamente, la sua voce dolce e perfetta per questa canzone. E poi le sue parole mi colpiscono come una doccia fredda.
 

A loner longing for
the cadence of her last breath…
 
Why do I miss someone
I’ve never met, with bated breath I lay
 Sea winds brought her to me
A butterfly, mere one-day miracle of life
And all the poetry in the world
Finally makes sense to me

 
Non avevo mai pensato al significato di questa canzone, non mi ero mai post oil problema, non mi ero mai chiesto quanta verità ci fosse sullo sfondo di questi versi scritti da Tuomas. Solo adesso lo realizzo.
Saskia.
Sento il bisogno di quel profondo respiro che ho sentito uscire dalle sue labbra era distesa nella vasca di casa mia.
Mi manca. L’ho vista una sola volta, non l’avevo mai incontrata prima, ma mi manca.
Il gelo, l’aria ghiacciata di ieri l’ha portata da me. Non i venti del mare, ma quelli di Kitee.
Lei è stata vicino a me una sola notte. Non un solo giorno, ma un sola notte.
E tutto, questa canzone per prima, comincia ad avere un senso.
Non riesco a non pensare a lei, ai suoi occhi, alla sua figura addormentata nel mio letto. E riconoscono la mia situazione nella musica che stiamo suonando.
 

Sometimes a dream turns into a dream

 
Il mio sogno, quello che ha tormentato la notte appena passata, si è trasformato in un sogno ancora più impalpabile.
Lei.
Non è altro che un altro sogno adesso.
Purtroppo.
Un nome non mi basta per ritrovarla.
Mi perdo nei miei pensieri e mi accorgo troppo tardi che le mie mani non stanno più seguendo la musica dei miei compagni. Loro hanno iniziato una nuova canzone, io ho ricominciato questa da capo. M’interrompo, sotto lo sguardo incredulo del gruppo.
“Cosa ti succede, Emppu?” Tuomas è nervoso, non gli piace questa mia distrazione.
Scuoto la testa. “Niente, Tuom. E’ stato solo un momento di disattenzione…”
Lui annuisce, ma vedo che non è soddisfatto. Nonostante questo, ci invita a riprendere dall’inizio questo pezzo.
 
Dopo ore e ore di prove, riesco finalmente a rimanere solo. Di nuovo, non ho detto a nessuno dove sto andando, nemmeno a me stesso. Sono i miei piedi a guidarmi. E improvvisamente mi rendo conto di dove mi sto dirigendo.
Sono tornato al locale di ieri sera.
Spingo la porta e mi trovo in un luogo che ha ben poco a che fare con quello che ricordavo. Oggi è pomeriggio pieno, non sera. Il locale è luminose e allegro. I clienti sono presi dai loro caffè, dalla lettura di qualche giornale o dalle chiacchiere con gli amici. Nessuno fa caso a me, in un primo momento.
Mi avvicino al bancone e ordino qualcosa da bere. Il barista non è lo stesso di ieri sera. Questo è più giovane, deve avere più o meno vent’anni, e mi lancia un’occhiata di sfuggita mentre gli chiedo una coca cola -non ho intenzione di ubriacarmi già a quest’ora-
Mi porta la bibita dopo qualche secondo e i suoi occhi si soffermano su di me di più questa volta. Mi studia attentamente, poi sussulta e si porta le mani davanti alla bocca.
“Tu… tu... sei Emppu Vuorinen?” mi chiede, a voce troppo alta per i mie gusti.
Cerco di negare, ma il ragazzo ne è ormai certo e mi guarda con tanto d’occhi. Poi si riscuote dalla sua immobilità stupita e comincia a guardarsi freneticamente intorno in creca di qualcosa da farmi autografare. Mi porge tremante un pezzo di carta e io vi pongo la mia firma rapidamente, sperando che nessuno si sia accorto di quello che è successo.
Purtroppo, invece, un paio di ragazzine mi stanno indicando e stanno confabulando animatamente, indecise se alzarsi e venire a parlarmi o meno. Lo stesso sta facendo un gruppo seduto al tavolo alle mie spalle. Non lascio a nessuno il tempo di decidersi e li precedo, uscendo frettolosamente dal locale, con l’amaro in bocca: non l’ho trovata e sono riuscito a farmi riconoscere. Adesso sarà difficile andare in quel pub senza rischiare di finire attorniato dai fan.
Ma non posso rinunciare… devo trovare un modo per passare inosservato.
L’arrivo di un messaggio mi salva dai miei pensieri di autocommiserazione.
<
Spero di poter rimediare un’altra uscita e rivederci presto!>>
Guardo il mittente. Marko.
Perfetto, ecco il mio lasciapassare per le visite in incognito al Black Poison.
Digito la mia risposta rapidamente e lo invito per una birra fra tre giorni. Non so come farò a resistere così a lungo, ma non mi va di mettergli pressione dato che ha appena avuto un’altra figlia. Spero solo che il tempo passi, o potrei morire -se non per il desiderio di rivederla, che aumenta sempre di più con il passare dei minuti e delle ore, per mano dei miei compagni di gruppo-.
 
Black Poison.
Sono sotto l’insegna luminosa ad aspettare Marko, fremendo perché voglio entrare, ma non osandomi a farlo da solo. Quando finalmente lo vedo, sono già sudato e teso come una corda. Saskia sarà lì dentro questa sera? E se non c’è cosa farò? Non posso andare avanti con questo desiderio o mi distruggerò la saluta, oltre che la band, che ha bisogno di me con la testa a posto per poter provare decentemente.
Nemmeno due minuti dopo, sono tra quelle mura scure che mi avevano tanto stupito qualche giorno fa, ma che adesso sento come mie, dopo tutte le volte in cui mi sono rivisto al loro interno.
Come l’altra sera, ci sediamo e chiacchieriamo tranquillamente, finchè non arrivano le undici e le luci psichedeliche impongono il loro dominio nel locale. Sento un brivido percorrermi la schiena e un vuoto nel petto.
Arriverà?
Saskia, la ragazza con i lineamenti da bambina e gli occhi di ghiaccio, la ragazza che non mi lascia dormire tranquillo da quattro lunghe notti, arriverà?
Mi alzo e scendo in pista, nel bel mezzo della stanza, protetto dalle ombre della sera e dalle luci intermittenti che non permettono a nessuno di riconoscermi.
E io la riconoscerò?
Il dubbio mi pervade tutti sensi e mi sento sul punto di svenire. E se avessi fatto tutto questo per nulla? Non sono sicuro di riuscire ad individuarla in questa confusione di luci.
Marko, accanto a me, si muove come se niente fosse, senza conoscere i miei pensieri e i miei piani.
E dopo più di un’ora -che mi sembra non passare più- durante la quale ho analizzato tutte le ragazze che mi si sono avvicinate, respingendole una ad una, vedo una figura minuta correre verso la porta. Si sta facendo largo a fatica tra la calca di gente, ma riesco a vedere chiaramente lo scintillio dei suoi occhi quando un cono di luce la sfiora.
Azzurro.
Azzurro ghiaccio.
E’ lei.
Spintono tutti quelli che mi stanno introno e raggiungo l’uscita pochi secondi dopo di lei, sperando che non sia già sparita nella notte buia. Mi guardo intorno, scivolando con gli occhi lungo la via deserta. Deserta. Una fitta mi attraversa il petto.
L’ho persa di nuovo, dannazione!
Faccio per voltarmi e tornare dentro a scusarmi con Marko per il mio comportamento, quando sento dei singhiozzi soffocati provenire da dietro un muro. Inconsciamente, mi avvicino a quel suono e quando svolto l’angolo mi ritrovo davanti a lei. E seduta a terra, con la schiena al muro e le ginocchia strette al petto. Ha la testa appoggiata alle ginocchia e sta piangendo sommessamente, scossa da tremiti. Di freddo? Non ne sono sicuro.
Mi avvicino silenziosamente e le poso una mano sulla spalla.
Lei sobbalza e urla terrorizzata.
“No…” sussurro. “Non voglio farti del male”
Solleva verso di me gli occhi, quegli occhi, e mi guarda stralunata. Mi ha riconosciuto? Forse, perché ha smesso di urlare e semplicemente mi fissa implorante.
Non mi faccio domande, non ne faccio a lei -quelle possono aspettare a questo punto-, ma la sollevò delicatamente, prendendola tra le braccia e m’incammino verso casa. E’ leggera come una piuma, il suo aspetto minuto non inganna, e non faccio alcuna fatica, ma il respiro mi accelera immediatamente al contatto con la sua pelle -fredda, ma morbida- e velocizzo il passo.
Non sono passati nemmeno venti minuti quando entro in casa, questa volta senza esitare a portarla dentro con me.
La distendo sul letto, la faccio sedere, con la schiena appoggiata su un letto e la aiuto ad avvolgersi nelle coperte dopo essersi spogliata.
“Ciao” le dico, finalmente.
“Ciao” mormora, flebilmente.
“Sai chi sono?” le chiedo gentilmente e cautamente, mentre tutto dentro di me mi urla di baciarla immediatamente. Freno il mio istinto e rimango calmo più che posso.
Lei scuote la testa.
“Mi chiamo Emppu” le rispondo. “Tu… tu sei Saskia, non è vero?”
Questa volta annuisce. “Sì… grazie, grazie an…ancora”
Un sorriso mi si apre sul volto. “Non preoccuparti, non è niente!” la rassicuro.
Rimaniamo qualche minuto così, in silenzio, finchè non riesco più a trattenere la domanda che preme per uscire. “Cosa ti è successo?”
Lei mi guarda interrogativamente, sinceramente confusa.
“L’altra notte mi hai seguito fino a casa nonostante il freddo, oggi sei scappata piangendo dal locale… c’è qualcosa che non va?”
Una teoria comincia a farsi strada tra i miei pensieri, ma preferisco reprimerla, disgustato all’idea.
“Io non…”
La interrompo subito. “Se non vuoi raccontarmelo non c’è problema, ma non negare per favore!” esclamo.
“No… ti devo qualche spiegazione, hai ragione…” sussurra, smettendo persino di balbettare terrorizzata.
“C’è un uomo al Black poison… un uomo che ogni sera mi chiede… mi chiede di fare delle cose con lui…”
La voce le trema quasi impercettibilmente, ma una lacrima le riga il viso rivelando il suo dolore. “E io non posso, non posso rifiutare perché ho bisogno di lui, del suo aiuto…”
Le prendo una mano e la sento rabbrividire. Mi accorgo che anche il semplice contatto le fa paura, nonostante io ormai l’abbia toccata molte volte.
“Perché?” la invito a continuare.
“ho bisogno dei soldi che mi dà e dell’aiuto che dà alla mia famiglia… ma… non ce la faccio ad andare ancora avanti… non ho pi il coraggio di stare con mia madre, che ha dato anni della sua vita per darmi il meglio e io mi ritrovo a fare… a fare la prostituta…”
Le ultime parole le escono dalle labbra quasi sputate. “Sono costretta a vendermi… a un uomo che mi fa schifo…”
Continua a parlare, ormai sciolta e decisa ad aprirsi con qualcuno, con uno sconosciuto come me, e io la ascolto. La ascolto e sento che tutto, tutto, quello che mi sta dicendo mi fa sentire ancora più vicino a lei. E vorrei consolarla, ma posso solo restare ad ascoltare le sue parole di dolore.
“Non posso, non posso continuare così… non voglio continuare…”
“Non devi” la interrompo improvvisamente.
Una risata isterica le esce dalle labbra ben disegnate. “E tu come lo sai? Cosa ne sai tu di quello che devo fare io? Ho bisogno dei suoi soldi… te l’ho detto!”
“Non devi” ripeto. “Non devi, perché ti aiuterò io, se vuoi”
Sbatte le ciglia chiare, stupita. “Tu? Tu mi puoi aiutare?” le si illuminano per un attimo gli occhi, ma subito dopo le lacrime tornano a scendere lungo le sue guance. “Cosa vuoi in cambio?”
Questa volta sono io a fissarla incredulo. In cambio? Non voglio niente… No, voglio lei… ma non nel modo in cui pensa!
“Niente” sussurro. “Ti aiuterò, ma tu non dovrai più andare in quel locale, non dovrai più vedere quell’uomo”
Lei annuisce. “Niente?”
Le scosto i capelli biondi dal viso con delicatezza, resistendo al forte impulso di poggiare le mie labbra sulle sue. Siamo così vicini…
“Te lo giuro” mormoro, sincero.
E lei mi sorride, radiosa come non l’avevo ancora vista. I suoi occhi di ghiaccio si accendono e brillano di vita e fanno sciogliere qualcosa dentro di me. L’ultima barriera, l’ultimo ostacolo che mi separava da una consapevolezza che non posso più allontanare.
-Te lo giuro- ribadisco tra me e me. -Aspetterò, aspetterò che sia tu a volerlo-
E’ un promessa.
Una promessa che saprò mantenere.
Perché mi sono innamorato.
Io mi sono innamorato.
 
 
 

THE END

 
 

NOTE DELL'AUTRICE
Grazie a chi ha letto questa one-shoot ^^
non mi pare che ci siano altre fanfiction su Emppu e volevo provare (lo farò anche per ciascuno degli altri appena ho tempo) a fare un racconto romantico su di lui *-* Spero di esserci riuscita abbastanza bene ^^
Se avete voglia fatemi sapere con una recensione!!!


Il personaggio di emppu Vuorinen non mi appartiene, Saskia e Marko sì :)
La canzone citata è Cadence of her last breath (che chissà come finisce int utte le mie fanfic) e While your lips are still red (nel titolo) dei Nightwish!
  
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