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Autore: Aquarius_Virgo    05/07/2012    4 recensioni
Königsberg è ormai una città fantasma, in balia dei russi. Prussia è sconfitto, e sta vivendo i suoi ultimi istanti come Nazione prima di morire. Istanti che passerà insieme alla persona che ha sempre amato...
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Dearly Beloved
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Prussia -Gilbert Belischmidt- Ungheria -Elizabeta Héderváry-
Pairing: Prussia/Ungheria
Genere: Sentimentale, Drammatico, Angst, Guerra
Rating: Giallo
Warning: One Shot, Song!Fict, Character!Death
Conteggio Parole: 1436 (Fiumidiparole)
Note: 1.Ambientata durante l'invasione russa della Prussia, che cade come regno diventando territorio russo.

2.Il brano è tratto da una canzone dei Green Day -sì, sempre loro- Jesus of Suburbria.

3.La morte in questa fanfiction viene intesa come morte della Nazione, per rinascere come semplice territorio alla fine della Seconda Guerra Mondiale (capirete in seguito).

4.Partecipa alla Challenge 500 Themes sul Livejournal, promp 414: Quando il per sempre scompare.



{Dearly beloved are you listening?
I can't remember a word that you were saying
Are we demented or am I disturbed?
The space that's in between insane and insecure
Oh therapy, can you please fill the void?
Am I retarded or am I just overjoyed
Nobody's perfect and I stand accused
For lack of a better word, and that's my best excuse }



Gilbert alzò una mano verso il cielo plumbeo di Königsberg. Ogni muscolo del suo corpo gli faceva talmente male che solamente il compiere quel gesto gli causava un atroce dolore, e non riuscì a tenere sollevato il braccio teso per alcuni secondi senza che un lieve gemito gli abbandonasse le labbra grondanti di sangue color rubino splendente. Un colpo di tosse gli percosse il torace e lentamente decise di aprire i suoi grandi occhi color ametista. Il cielo era colmo di nuvole scure, pronte a lasciar cadere sulla città assediata la sua monotona pioggia, e la sua mano protesa per cercare aiuto era sporca di sangue e piena di tagli. Alle sue orecchie giungevano solamente grida di vittoria e di disperazione e atroci urla sofferenti.

Quanto aveva combattuto? Non se lo ricordava, non ricordava più niente. Non ricordava nemmeno il motivo per cui aveva un fottuto buco all'altezza dello stomaco, la sua mente era completamente vuota, e nessuno era lì per aiutarlo. Non c'era suo fratello Germania a tirarlo fuori dai guai, né Spagna o Francia ad unirsi a lui in qualche scapestrata avventura. Non c'era Austra che lo guardava con diffidenza, né Italia che invece gli piagnucolava accanto o che invece lo strattonava per la manica con fare allegro. E Ungheria...

Davanti ai suoi occhi stanchi, offuscati dal dolore e dall'agonia, apparve il giovane volto sporco di terra di Elizabeta, i suoi grandi occhi verdi avevano due lacrime che gli pungevano ai lati. Si ricordò di quando erano entrambi ancora due giovani nazioni che combattevano insieme per cercare di diventare sempre più grandi e forti – e gli fece sorridere l'idea che l'ungherese, quando era bambina, pensava di essere un maschio-. Ricordava di quel giorno come se fosse ieri -buffo, dato che era accaduto secoli prima e non aveva la benché minima idea di quello che era accaduto pochi minuti fa-, Ungheria piangeva perché aveva di nuovo dovuto subire le angherie di Regni più grandi e prepotenti di lei. Lei si vergognava, era forte e non avrebbe mai voluto far vedere le sue lacrime a Prussia. Lei, che detestava quando il prussiano la prendeva in giro e si dimostrava più abile di lei ad usare la spada e a combattere, lei che rideva quando riusciva a battere Gilbert nelle corse a cavallo e nel tiro con l'arco, lei che si era sposata con Roderich nonostante tutti sapessero cosa provasse per Gilbert, ma che entrambi -il prussiano e l'ungherese- decidevano di nascondere. Quel giorno però Elizabeta si era nascosta dietro un piccolo cespuglio di alloro -alloro, sì... ne ricordava il profumo- e aveva pianto di nascosto, rannicchiata con le ginocchia al petto. Gilbert le si era avvicinato, lei lo aveva scostato riluttante, ma lui le aveva sorriso.


«Io ti proteggerò per sempre, Ungheria!»


Ironico. Non riusciva a ricordarsi la risposta di Elizabeta. Non riusciva nemmeno a riportare alla mente il suono della sua voce. Ah! Se stava davvero morendo, allora il destino era stato crudele con lui. Ricordargli della donna che aveva tanto amato, che le era stata portata via e con cui solamente di recente si stava finalmente rappacificando, per poi non fargli nemmeno sentire la sua voce.

E fargli tornare in mente quella promessa...

La forza gli stava lentamente abbandonando il corpo, persino il braccio che poco prima era stato alzato in cerca di aiuto gli cadde debolmente sul fianco, sbattendo contro il duro terreno. A malapena aveva ancora la coscienza per poter pensare ai suoi ultimi istanti di vita, ma il resto del suo corpo ormai non viveva più, se non per qualche tremito. Il suo petto si alzava e si riabbassava lentamente e i suoi brillanti occhi viola avevano perso la loro luminosità. Il viso non era più contraddistinto da quel ghigno superiore e soddisfatto che perennemente lo accompagnava e ormai non era altro che un corpo privo di vita che aspettava solamente l'insorgere della morte.

Doveva saperlo, anche se era solo un bambino, quando aveva fatto quella promessa ad Elizabeta. Doveva saperlo che il per sempre esisteva solamente nelle favole, lui che era nato e cresciuto come un guerriero e che ogni giorno viveva a stretto contatto con la mote, in battaglia.

Eppure lui si era illuso che un Regno guerriero e forte come lui sarebbe esistito per l'eternità.

E in quel momento, quando si rese conto che il per sempre stava scomparendo, il lontano suono di una voce lo richiamò alla realtà, un ultimo barlume di luce gli illuminò l'animo, ridonandogli la coscienza. Delle fredde lacrime gli bagnarono il viso, goccia per goccia.

Quando riaprì debolmente gli occhi potè vedere il viso di Elizabeta, un espressione di angoscia le sfigurava il volto arrossato e le lacrime incessanti le rigavano le guance. La mano sporca di sangue di Prussia era stata afferrata dalle mani esili e pallidi della ragazza, che se l'era portata con un movimento disperato al petto. Le sue labbra si muovevano ed erano aperte in quello che poteva apparire un urlo, ma a Gilbert arrivava solamente un suono ovattato. Ma al vedere il volto della persona che aveva tanto amato gli riempì di nuovo il petto d'aria, il sangue tornò a scorrere regolarmente e un inorgoglito ghigno gli si dipinse di nuovo in corpo. Era così felice di vederla che l'adrenalina gli aveva dato alla testa, lei gli aveva donato l'euforia necessaria per vivere ancora qualche istante e darle il suo ultimo addio.


{To live and not to breathe
Is to die In tragedy
To run, to run away
To find what you believe
And I leave behind
This hurricane of fucking lies
I lost my faith to this
This town that don't exist }



«Gilbert?! Gilbert sei vivo?! Ti prego non puoi morire, non devi morire!»

Ungheria non avrebbe voluto piangere. Non aveva mai amato piangere davanti a Prussia, perché sapeva che, superato quel momento di iniziale debolezza, l'avrebbe presa in giro. Perchè lei amava dimostrarsi forte, anche quando non lo era. Ma quando era giunta a Königsberg e aveva saputo che Gilbert era ormai in fin di vita da Ivan, il cuore le si era come spezzato in petto, esattamente come un bicchiere di cristallo lasciato involontariamente cadere. Ora era a pezzi, e per quanto ci si potesse sforzare non ci sarebbe stato modo di rimettere insieme tutti i mille frammenti in cui era stato rotto.

Si accorse in un attimo che il viso di Prussia aveva ripreso colore, e che sul suo volto si era stampato il suo solito sorriso beffardo. Un tempo l'avrebbe preso a pugni, ma ora era contenta di rivederlo sorridere in quel modo.

«Elizabeta...» la chiamò con un sospiro strozzato, la mano che aveva cominciato a tremare. Lei non smetteva di piangere, il volto sempre allegro e solare in quel momento era sfigurato dal dolore. «N-non devi piangere.» fu quello che riuscì a formulare nella sua mente ormai offuscata e a dire tra i gemiti e i rantoli, ricercando il respiro necessario per parlare.

«E tu non devi morire! Mi hai sentito? Resisti, sta arrivando aiuto!»

Ungheria stava per voltare lo sguardo, alla spasmodica ricerca di qualcuno che potesse aiutare Prussia, a guarirlo, o portarlo in un ospedale... qualsiasi maledetta cosa! Invece Königsberg sembrava una città fantasma di cui loro erano gli unici abitanti. No, lui poteva ancora vivere, anche se ormai i russi avevano invaso il suo territorio e ne avevano preso il possesso lui poteva ancora vivere!

«Ungheria, sta tranquilla... non riuscirete a sbarazzarvi di me... così facilmente!» mentre parlava, sempre più debolmente, le accarezzava la guancia col dorso della mano e la asciugava dalle lacrime, per quanto poteva.

Lei si aggrappò alla sua camicia bianca, imbrattata di sangue ancora caldo -il sangue di Prussia-, come se potesse trattenerlo, non farlo scappare.


Invece lui sorrideva. Triste, rassegnato, ma sorrideva come sempre.

Quando si lanciava nell'impeto della battaglia, lui sorrideva. Quando si divertiva a prendere scherzosamente in giro l'amica, lui sorrideva. Quando andava in giro a bighellonare con Antonio e Francis. Quando gli aveva detto che si sarebbe sposata con Austria, al suo matrimonio, lui aveva sorriso. Sebbene le ferite gli facessero male dentro e fuori, lui non aveva mai perso la sua spavalderia, né la sua voglia di vivere la vita e di prenderla col giusto tono. Nascondeva tutto dentro e non dimostrava mai nulla, nessuna vergogna, nessun dolore, nessun rimpianto. Nemmeno in quel momento, in cui era prossimo alla morte, davanti ad Ungheria voleva mostrare le proprie sofferenze, anche quando era certo che il suo per sempre stava per scomparire. Lui continuava a sorridere.


«Ci rivedremo presto, Elizabeta. Tu aspettami...»

Le sue dita, ormai prive di forze, andarono a posarsi sulle sue rosee e carnose labbra, umide di lacrime. Avrebbe tanto voluto baciarle, almeno un ultima volta. Eppure anche solo rivederla aveva ridato in lui speranze nuove, e ridato la voglia di vivere quell'ultimo istante per capire che moriva felice, senza rimpianti, accanto alla persona che amava.


{I don't feel any shame
I won't apologize

When there ain't nowhere you can go
Running away from pain
When you've been victimized
Tales from another broken home
}

   
 
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