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Autore: Yaya_Moony    06/07/2012    1 recensioni
Gli era mancato quel contatto, quel calore, quella sensazione di sicurezza e di famigliarità che solo lui riusciva a trasmettergli, e solo ora se ne rendeva davvero conto. Tutti quegli anni passati lontano, tutto quel tempo trascorso cercando febbrilmente qualsiasi traccia di Danarius, lo avevano portato via dall’unica persona per cui avesse mai pensato di smettere di scappare; gli avevano lasciato un vuoto incolmabile dentro, e solo ora che stava venendo riempito da quel semplice contatto, si rendeva conto di quanto fosse profondo. - Una M!HawkexFenris, la prima che abbia mai scritto XD SPero vi piacciA!
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Yayachan
Fandom: Dragon Age 2 (M!HawkexFenris)
Rating: verde
Parole: 2.398
Avvertimenti: OTP/Slash
Prompt: #1 Il vuoto lasciato dal tempo (della 500theme di http://500themes-ita.livejournal.com/)
Note: La descrizione di Hawke corrisponde al mio Hawke, cioè al modo in cui ho personalizzato il pg protagonista del gioco. La fan fiction è posta all’inizio del 3° atto del gioco, quando Hawke è già stato nominato campione di Kirkwall.



Fenris mandò giù un altro sorso di vino portandosi la bottiglia direttamente alle labbra, poi emise un breve sospiro e poggiò la bottiglia ormai semivuota sul tavolo provocando un sonoro tonfo.
Non un rumore proveniva dalle altre stanze della tenuta e oltre alla luce delle candele nella stanza nient’altro illuminava l’interno. La sua visuale si fermava praticamente alle scale davanti alla porta, oltre le quali sembrava esserci una specie di buco nero senza fondo che minacciava di ingoiarlo se si fosse avvicinato.
L’elfo abbassò lo sguardo sulla bottiglia, tentato di finirla tutta d’un sorso, ma si trattenne. Risalì con lo sguardo il proprio braccio e si soffermò sui tatuaggi di Lyrium  che gli percorrevano la pelle: erano ancora lì, come sempre, pronti a ricordargli che cosa si fosse lasciato indietro, da che cosa stesse scappando e il dolore che aveva dovuto sopportare in tutti quegli anni.  Poi, senza preavviso, nella sua mente comparve il viso di Hawke e la sensazione delle sue labbra che gli sfioravano la pelle in corrispondenza di quei segni, dolcemente, amorevolmente…
Mosse una mano nell’aria come a scacciare quel pensiero e poggiò la schiena contro la sedia con uno sbuffo.
Era tornato a Kirkwall da un paio di settimane, ma non era praticamente uscito da lì dentro se non per mangiare qualcosa alla taverna dell’Impiccato - cosa che faceva anche di fretta per non rischiare di incontrare Isabela ed essere costretto a rispondere alle sue domande: non era mai stata brava a farsi gli affari propri e lui non aveva intenzione di far parte delle sue vittime.
Nessuno dei suoi vecchi compagni sapeva che fosse tornato; non ancora almeno. Hawke compreso, ovviamente.
Si sentiva in colpa per essere sparito a quel modo, senza praticamente dare sue notizie, ma aveva bisogno di farlo: doveva trovare Danarius, il suo vecchio padrone,  per avere finalmente l’occasione di ucciderlo e fargli pagare ogni cosa che gli aveva fatto passare. Inoltre dopo l’incontro con Hadriana, l’apprendista del mago, aveva saputo di non essere del tutto solo – aveva una sorella da qualche parte – e voleva scoprire se fosse un’altra menzogna.
Il destino, però, aveva voluto diversamente.
Nonostante le sue ricerche durate tre anni, non era riuscito ad avere alcuna notizia del Magister, niente che potesse condurlo da lui, niente che gli facesse pensare che l’uomo era sulle sue tracce, e niente che confermasse o smentisse le parole di Hadriana.
Era quasi arrivato a pensare che fosse davvero tutto finito e che finalmente avrebbe potuto vivere liberamente. Quasi, appunto. Poi la sua mente gli aveva ricordato con chi avesse a che fare ed era giunto alla conclusione che Danarius volesse proprio questo, che lui pensasse di essere libero, che pensasse di non avere più niente da temere, e poi appena avesse abbassato la guardia, sarebbe uscito dall’ombra per rimettergli le catene che con tanta fatica era riuscito a spezzare.
No, non poteva permettersi di rilassarsi, non finchè quell’uomo fosse stato in vita: la fine di tutto sarebbe giunta solo con la morte di uno dei due.
Quei tre anni di assenza, a conti fatti, avevano solo riconfermato le sue paure, senza dargli alcun sicurezza o speranza. Forse era anche per questo che non aveva avuto il coraggio di parlare con Hawke.
Deglutì. La luce delle candele traballava davanti ai suoi occhi socchiusi facendo vibrare le ombre in tutta la stanza. Era un lento, ma irregolare tremolio. Poi quel tremolio si fece per un attimo più veloce e una ventata d’aria fresca sfiorò il viso dell’elfo facendogli scivolare un piccolo ciuffo di capelli bianchi davanti agli occhi.
Corrugò la fronte, perplesso: eppure aveva chiuso tutto, ne era sicuro.
Il cuore nel suo petto perse un battito mentre tutto diventava chiaro come il sole.
-Danarius…-
Si alzò di scatto e allungò un braccio verso la sua spada poggiata contro il muro.
Stringendo saldamente l’elsa con entrambe le mani si avvicinò a passi lenti alla porta della stanza. Più si avvicinava alle scale, più era facile sentire distintamente dei rumori provenienti dal piano di sotto.
Scivolò in avanti di qualche passo e allungò il collo oltre il pianerottolo centrale che poi si diramava in due scalinate. Nessuno. Solo il buco nero e apparentemente senza fine del salone d’entrata.
Si avvicinò ai primi scalini iniziando poi a scendere con le spalle rivolte al muro. Flettè le dita intorno all’elsa per rinnovare la presa sull’arma. Il cuore gli martellava talmente in fretta che temeva l’avrebbero sentito arrivare a causa dei palpiti.
Uno scatto, poi un fruscio e un borbottio sommesso. Una sola voce.
Una goccia di sudore gli scivolò lungo il viso e sparì nella curva del collo sotto la casacca. Era lì, c’era qualcuno.
Danarius?
Non sapeva nemmeno lui se sperarlo davvero oppure no.
Si avvicinò alla porta accanto alla fine delle scale, che dava su un’altra stanza e si poggiò contro al muro. I rumori provenivano da lì.
Sospirò profondamente cercando di riacquistare lucidità. A terra poteva vedere l’ombra dell’intruso muoversi affannosamente, come alla ricerca di qualcosa. Ma perché Danarius avrebbe dovuto mandare una sola persona? Possibile che avesse trovato qualcuno abbastanza abile da tenergli testa da solo? E se invece fosse stato proprio il Magister? Possibile?
Scosse la testa, contraddicendosi da solo: no, Danarius non avrebbe mai corso il rischio di essere ucciso, non faceva mai niente da solo, soprattutto se poteva pagare qualcun altro per farlo al suo posto. Probabilmente stava cercando di dare poco nell’occhio e aveva mandato solo un assassino per ucciderlo nel sonno.
Un rumore più forte lo strappò ai proprio pensieri, e improvvisamente si sentì uno stupido per essersi fatto distrarre a quel modo dalla sua stessa mente.
Abbassò lo sguardo a terra e vide che l’ombra dell’intruso si era fatta più piccola.
-Arriva…- sussurrò a se stesso.
Quando sentì che i passi erano quasi arrivati alla porta scattò di lato ed entrò a spada tratta, deciso ad ucciderlo, chiunque fosse. I tatuaggio che gli percorrevano tutto il corpo brillarono di blu conferendogli un aspetto vagamente spettrale e inquietante.
L’uomo sussultò e fece per alzare entrambe le mani sopra le spalle per afferrare le else dei pugnali che aveva dietro la schiena. Poi si bloccò.
-Fenris…?- mormorò stupito.
E Fenris si bloccò, sorpreso e in qualche modo spaventato. Avrebbe riconosciuto ovunque quei capelli biondi tirati indietro, quegli occhi verdi e vivaci…e quella voce.
-Hawke…?- mormorò a mezza voce. Improvvisamente la spada pesava il doppio -  o erano le sue braccia a perdere forza. Abbassò l’arma, ma non riuscì a dire altro, nonostante le sue labbra tentassero di farlo parlare.
-Fenris!- ripetè Hawke, questa volta con più entusiasmo, mentre apriva le braccia come a volerlo abbracciare. -Quando sei tornato? Non ne sapevo niente!- gli si avvicinò, palesemente entusiasta  e gli poggiò entrambe le mani sulle spalle.
Ora che si era reso conto che Danarius non centrava niente, il suo cuore avrebbe dovuto smettere di battere all’impazzata; invece, se possibile, aveva aumentato la velocità, tanto da provocargli una vago senso di vertigine. Tenne la spada con una sola mano e si portò l’altra alla fronte con un breve gemito.
Hawke aggrottò la fronte. -Tutto a posto?- domandò cercando il suo sguardo.
-Ah…beh…si, direi di si- replicò l’elfo. Poi alzò lo sguardo su di lui. -Che ci fai qui?- chiese anche se con un’eccessiva nota adirata che rese la domanda alquanto scontrosa. Se ne accorse, ma non si corresse: dopotutto lo aveva davvero fatto spaventare, quella era pur sempre casa sua.
-Ah…- Hawke deglutì, come se si fosse appena reso conto della situazione. -Si hai ragione, scusami…- si portò una mano alla nuca, imbarazzato. -Ero solo venuto a portarti dei libri che mi ha portato Merrill …sui Dalish…ho pensato che ti sarebbero potuti interessare.- spiegò e spostata la mano dalla testa, indicò una pila di 4 libri poggiata su una cassa vicino all’unica candela accesa.
-Non voglio i libri di Merrill- replicò Fenris dando una sola breve occhiata ai tomi -potrebbero essere infetti.-
Hawke sospirò, vagamente divertito. Dopotutto si aspettava una reazione del genere: Fenris non aveva mai amato i maghi, a causa del suo vecchio padrone, e li riteneva una minaccia da estirpare, senza distinzioni. -Andiamo, vuoi dirmi che non hai alcun interesse a conoscere qualcosa riguardo alla tua razza?-
-No.- rispose seccò l’altro. Poi distolse lo sguardo dall’umano e si allontanò di un passo, sottraendosi alla sua stretta. -E poi non sono ancora bravo a leggere- aggiunse a mo’ di debole giustifica.
-Beh, possiamo esercitarci se vuoi- propose Hawke con tranquillità - sono anni che non ti vedo …mi farebbe piacere passare un po’ di tempo insieme- aggiunse con un sorriso.
Fenris schioccò la lingua contro il palato, ma non alzò lo sguardo fino alle ultime parole dell’altro. A quel punto il suo cuore e il suo stomaco fecero una capriola all’unisono, togliendogli per un attimo il fiato.
-N-non ce n’è bisogno…- gli assicurò tentando di sembrare convincente.
Hawke non rispose, ma Fenris poteva chiaramente figurarsi la sua espressione – sopracciglio alzato compreso – senza nemmeno guardarlo.
-D’accordo- acconsentì alla fine -se hai del tempo da perdere…-
-Mi dispiace averti fatto spaventare- continuò Hawke -Non credevo fossi tornato e non vedendo luci accese nell’entrata non ho nemmeno pensato a controllare di sopra.-
Fenris sospirò, anche se avrebbe voluto prenderlo a calci. -Non importa- replicò – giusto perché lo spavento era ormai svanito. -Ma non mi piace che la gente entri in casa mia quando non ci sono…-
-Io sono la “gente”?- domandò di rimando l’umano e nella sua voce vibrò chiaramente una nota maliziosa.
-Anche non lo fossi- replicò Fenris dopo un attimo di esitazione -gradirei non usassi le tue abilità di ladro per entrare qui dentro.-
-Oh, Fenris ma tu stesso hai rubato questa casa al suo padrone- ridacchiò riferendosi al fatto che la villa appartenesse a Danarius e che Fenris se n’era impadronito nella speranza che l’uomo tornasse a riprendersela, fornendogli così la possibilità di ucciderlo.
L’elfo storse le labbra. -Avrei potuto ucciderti…pensavo fosse qualcuno mandato da Danarius-
-Lo immaginavo- annuì Hawke, e alzò le mani -prometto che non lo farò più… -
-Mh- commentò atono l’altro, poi fece per andare a prendere i libri.
Aveva fatto appena un passo che si sentì afferrare per un braccio e tirare. Mormorò una mezza protesta che però si spense nel momento in cui alzò lo sguardo e si ritrovò ad un palmo di naso dal petto di Hawke.
Il ricordo della notte passata insieme ritornò prepotentemente a farsi strada nella sua testa e un brivido gli risalì lungo la schiena. La gola gli si seccò e il cuore riprese a battere ad una velocità allarmante.
-Mi sei mancato, Fenris- mormorò la voce di Hawke a poca distanza dal suo orecchio. -Ero preoccupato per te…-
-Lo so…mi…dispiace…- replicò l’elfo cercando di non balbettare. -Sono stato troppo occupato a cercare qualche traccia di Danarius…-
-Avresti potuto almeno farmi sapere che stavi bene…- protestò Hawke, ma senza risentimento nella voce.
Fenris deglutì. -Mi dispiace- mormorò semplicemente. Avrebbe voluto dire altro, rispondere nel suo solito modo deciso e piccato, ma era come se ogni pensiero che gli arrivava alle labbra fosse troppo stupido per sprecare tempo ad esprimerlo.
Hawke rimase a guardarlo per qualche secondo, poi poggiò la propria fronte contro la sua e chiuse gli occhi. Sentì le sue braccia cingergli i fianchi e stringerlo.
Fenris si lasciò avvolgere da quell’abbraccio, ma non chiuse gli occhi, seguitando a osservare il viso dell’uomo. Gli era mancato quel contatto, quel calore, quella sensazione di sicurezza e di famigliarità che solo lui riusciva a trasmettergli, e solo ora se ne rendeva davvero conto.  Tutti quegli anni passati lontano, tutto quel tempo trascorso cercando febbrilmente qualsiasi traccia di Danarius, lo avevano portato via dall’unica persona per cui avesse mai pensato di smettere di scappare; gli avevano lasciato un vuoto incolmabile dentro, e solo ora che stava venendo riempito da quel semplice contatto, si rendeva conto di quanto fosse profondo.
-Mi sei mancato anche tu- mormorò senza accorgersene. Per un attimo gli sembrò che la voce fosse quella di qualcun altro; poi Hawke sorrise. Improvvisamente sentì l’urgenza di voler toccare quelle labbra, di risentirle contro le proprie. Si avvicinò fino a lasciare pochi millimetri, ma esitò.
L’altro emise un suono interrogativo e riaprì gli occhi, ritrovandoselo ancora più vicino di prima. I suoi occhi si assottigliarono un poco accentuando il sorriso, ma non disse nulla, come in attesa di vedere cosa avrebbe fatto.
Fenris non era mai stato sicuro dei suoi sentimenti e tre anni prima, nonostante fossero finiti a letto insieme, era scappato, spaventato dai propri sentimenti e dalla felicità incondizionata e dirompente che gli aveva invaso ogni fibra corporea. Era scappato, come sempre.
Non poteva, però, ignorare per sempre quell’attrazione che provava ogni volta che gli era vicino; né i battiti impazziti del proprio cuore.
Lasciò cadere la spada che urtò il pavimento con un clangore sordo. Poi prese il viso di Hawke con entrambe le mani e lo baciò. Ci mise più foga di quanta avrebbe voluto mostrare, ma poco importava.
Prima di staccarsi diede un leggero morso al labbro inferiore dell’altro, poi rimase a guardarlo.
Hawke emise un suono di apprezzamento. -Ho aspettato 3 anni, ma direi che n’è valsa la pena…- disse con il suo solito tono sarcastico.
-Mi dispiace…- mormorò, e in quell’unica scusa erano racchiuse tutte quelle che avrebbe voluto fargli: scusa per essermene andato, scusa per averti lasciato, scusa per non averti detto che ero tornato, per averti fatto preoccupare, per essere scappato di nuovo…
-Non importa- gli assicurò Hawke. -Però mi devi una sovrana, lo sai?- aggiunse con aria fintamente infastidita.
-E perché?-
-Perché Isabela aveva scommesso che fossi tornato già da tempo, ma non avessi voluto cercarci volontariamente…- spiegò alzando un sopracciglio.
-Oh.- mormorò l’elfo -mi dispiace- fu l’unica cosa che gli uscì di bocca.
Hawke ridacchiò. -Pazienza, tanto le avrei perse comunque alla prima partita a carte.-
Fenris emise un sbuffo simile ad una risata e sorrise. -Andiamo, prendo i libri…-
-D’accordo.-
Mentre salivano le scale verso il paino di sopra, l’oscurità non gli sembrava più in grado di ingoiarlo, né gli sembrava che nascondesse alcun che di pericoloso, e non appena salì l’ultimo scalino e vide Hawke ad aspettarlo davanti alla porta, seppe che il vuoto nel suo petto era stato definitivamente colmato, ma che non avrebbe mai più permesso che si formasse.
Gli sorrise, e lo seguì all’interno.
   
 
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