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Autore: Kuno84    06/07/2012    10 recensioni
Tutti conosciamo l'esito della battaglia finale contro Safulan. Ma se le cose fossero andate diversamente? Ranma avrebbe combattuto, avrebbe salvato Akane contro ogni evidenza, o più semplicemente si sarebbe lasciato soccombere alla pazzia?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 11

“Accettazione”

  
  
Che cos’era la felicità? 
Se l’era chiesto parecchie volte, ma non aveva mai saputo trovare una risposta. 
La felicità era qualcosa con cui non aveva a che fare da tanti, troppi anni. Gli unici ricordi capaci di scaldargli il cuore riguardavano i suoi veri genitori e il bene che gli volevano; ma, per quanti sforzi avesse fatto per conservare gelosamente quelle memorie nello scrigno del proprio cuore, anch’esse si erano ormai ridotte a delle macchie vaghe e confuse, travolte da ondate incessanti di sofferenza e di stenti, di soprusi e di dispetti. 
La matrigna e le sorellastre avevano reso la sua vita un inferno e, poco per volta, Konatsu si era convinto che le cose dovessero andare in questo modo, che lui se lo fosse meritato per qualche motivo, probabilmente per essersi comportato male. D’altronde mamma e papà se n’erano andati, lo avevano abbandonato e, se davvero almeno loro gli avevano voluto bene, doveva per forza essere colpa sua: era lui a non essersi meritato quell’amore. 
Pertanto come poteva definirla, se non in negativo? La felicità, semplicemente, era qualcosa a cui Konatsu non era destinato. 
O almeno di questo era stato fermamente convinto fino a qualche tempo fa, quando aveva conosciuto la signorina Ukyo. Lei lo aveva strappato dalla terribile prigione familiare, dalle angherie della matrigna e dalle cattiverie di Koume e Koeda. Lei gli aveva offerto una nuova prospettiva di vita, una possibilità. E poi… 
Poi, anche quel mondo era andato in frantumi, senza preavviso. Era stato tutto così veloce: la visita del padre del signor Ranma, la reazione sconvolta della signorina Ukyo. Ogni speranza di felicità si era dissolta, di nuovo. 
Tuttavia Konatsu ne aveva avuto un assaggio e il sapore non era sbiadito, stavolta, ma vivo e pungente: così adesso rinunciarvi era perfino più doloroso. 
“Solo tu. Dipende da te. Pensi veramente di essere disposta a tutto?” 
“Non lo penso. Lo sono.” 
“Ebbene, affinché Akane possa tornare in vita… tu, Ukyo Kuonji, dovrai morire.” 
A quelle parole il cuore gli si era spezzato in due. 
Quando aveva accettato la proposta della signorina Nabiki, l’aveva fatto abbandonando ogni esitazione, convinto che non rimanesse nulla da perdere, senza la minima idea che la situazione potesse addirittura peggiorare: ora non poteva fare a meno di dirsi di aver contribuito in prima persona a quel disastro. 
Però… Non era di certo sua intenzione, eppure un pensiero, ormai ricorrente in quei giorni e sicuramente il più egoistico e arrogante che avesse mai elaborato, che il cielo avesse pietà di lui per questo, si fece di nuovo strada. Konatsu, diversamente dal solito, lasciò la sua mente libera di scandire ogni singola parola. 
Non voglio perdere tutto un’altra volta. 
“Non lo faccia!” Gridò, scoprendo solo allora di aver già brandito da diversi secondi il proprio kunai, l’unica arma che era riuscito a disimpegnare nelle ultime settimane con lo stipendio guadagnato all’Ucchan, e avvertendo un inedito sentimento di rabbia scorrere nelle proprie vene. 
  
  
Ranma non poteva quasi credere ai propri occhi. 
“Konatsu…” Si limitò a mormorare Ucchan, sorpresa almeno quanto lui. 
Il kunoichi aveva puntato un pugnale in direzione della vecchia e assunto la posizione di combattimento, badando nel contempo a fare scudo alla padroncina con il proprio corpo. “Mi perdoni… perdonatemi tutti, ma io non posso permetterlo! Chi vorrà anche solo avvicinarsi alla signorina Ukyo dovrà passare sul mio cadavere!” 
Questa frase lo spiazzò ancora di più, portandolo quasi a dimenticare le parole precedenti dell’amazzone. Non ebbe nemmeno il tempo di considerare la reale portata degli ultimi eventi, che scorse Obaba avvicinarsi ai due, incurante e minacciosa al tempo stesso. 
“Interessante… saresti disposto a tanto, pur sapendo che potrei prenderti alla lettera?” Con un giro del bastone, tanto rapido che Ranma stesso fu appena in grado di intravedere il movimento, la vecchia colpì la mano di Konatsu, disarmandolo. “Kunoichi di grande talento o no, con me non avresti alcuna speranza.” Sibilò. 
Il legno si spostò ancora, arrestandosi a uno spazio infinitesimale dal collo del ragazzo, teso come una lama affilata. E forse altrettanto pericoloso, nelle mani di Obaba. 
Il kunoichi però non si mosse di un muscolo, lasciandosi fissare negli occhi senza distogliere lo sguardo nemmeno per un momento. Se la vecchia non intendeva fare sul serio, cosa di cui Ranma non era nemmeno troppo sicuro, non nutriva invece alcun dubbio che Konatsu non stesse scherzando affatto e che all’occorrenza sarebbe stato capace perfino di immolarsi. 
E gli altri? Nessuno diceva qualcosa? Nabiki? Tofu? Mousse? Si stavano limitando a fissare la scena, come impietriti. Come lui. Non andava affatto bene. 
La tensione crescente spinse Ranma a scuotersi e a pararsi lui stesso davanti alla vecchia. Le gambe gli vacillarono appena, ricordandogli la stanchezza che aveva in corpo, ma provò a non darlo a vedere esibendo un tono aggressivo. 
“Basta, Obaba! Si può sapere che ti passa per la zucca?! Cosa diamine vorresti fare?” La domanda era meno articolata di quanto intendesse, ma non era casuale. Non aveva creduto nemmeno per un istante a quella specie di minaccia di morte rivolta a Ucchan, ma voleva assolutamente comprendere quale fosse, ora, il nuovo gioco di quella cariatide pluricentenaria. 
La vecchia non s’indispettì, come si aspettava. Al contrario, abbassò finalmente il bastone e indietreggiò addirittura di qualche passo. 
“Io nulla.” Borbottò, ridacchiando con un tono che non aveva nulla di divertito. “La scelta è di Ukyo, solo lei può decidere se salvare Akane… e pagarne il prezzo.” 
Ancora con questa storia? Il fatto stesso che Obaba prospettasse un modo per salvare Akane, quando fino a cinque minuti prima non scorgeva alcuna speranza, infondeva a Ranma un nuovo vigore, ma gli bastò udire la parola ‘prezzo’ per ricordare il resto e lasciare che un brivido gli percorresse la spina dorsale. 
“Spiegati con parole comprensibili.” Sibilò. 
L’interlocutrice annuì, senza mutare la propria espressione. 
“È per via dell’Akanenichuan. Vi ho detto che la sorgente ha attirato a sé la tamashii, ovvero la parte senziente dell’anima di Akane: pertanto, quando Ukyo si è versata quell’acqua, il liquido ha fatto da tramite e la tamashii è ora nel suo corpo.” 
“Un… un momento, non capisco.” S’intromise una nuova voce. Era quella di Nabiki, priva però della saccenza di qualche minuto prima. Anzi gli parve che avesse perfino fissato per un attimo Kasumi, prima di proseguire, ma doveva aver visto male. “Se è come dici, ciò varrebbe anche per tutte le altre persone che cadranno nella sorgente. Anzi, quella Kima di cui parlavate poco fa non vi si era già immersa? Non avevate detto proprio così? E dunque perché a lei non è successa una cosa simile?” 
“Questo lo posso spiegare io.” Fu Mousse a prendere la parola. “Kima ha usato le sembianze di Akane Tendo prima che la vera Akane fosse ridotta in fin di vita e bagnata con l’acqua miracolosa di Jusendo. Non ha fatto uso della trasformazione durante la battaglia finale, né vedo perché avrebbe dovuto farlo dopo.” 
“Tra l’altro”, puntualizzò Obaba, “la guida delle Sorgenti Maledette mi ha raccontato al telefono che la stessa Kima, successivamente alla partenza del consorte e degli altri, è tornata a Jusenkyo e si è bagnata di nuovo nella Niannichuan neutralizzando gli effetti della fonte di Akane. Chiaramente non aveva più interesse a ottenere quell’aspetto, terminate le ostilità. Inoltre…” 
La vecchia esitò, come imbarazzata. Ranma la invitò con lo sguardo a proseguire. “Diciamo che ho… chiesto alla guida di fare una prova… usare l’acqua della fonte su una cavia a sua scelta. Lui ha preso un coniglietto che apparteneva a sua figlia, dopodiché vi ha versato con un mestolo l’acqua dell’Akanenichuan. Da quel che mi ha riferito nemmeno un paio d’ore fa, il coniglio è rimasto un semplice coniglio.” 
“L’acqua di quella sorgente è diventata semplice acqua.” Disse Tofu, più riflettendo a voce alta che rivolto a qualcuno in particolare. 
“Perciò è confermato”, concluse la vecchia, “adesso l’anima di Akane dimora nel corpo di Ukyo.” 
Nabiki alzò un sopracciglio. “E il riferimento all’alba? Cosa c’è di speciale in questa notte?” 
“Si tratta di una notte di novilunio. È trascorso un ciclo lunare esatto dall’utilizzo dell’acqua di Jusendo, che finora ha preservato il corpo di Akane. La guida mi ha spiegato che all’alba perderà il suo effetto, e l’idratazione si arresterà: in quel momento il corpo diverrà inservibile e l’anima non avrà più la possibilità, nemmeno teorica, di farvi ritorno… e perciò, a quel punto, la sua dimora attuale diventerà definitiva.” 
La vecchia tornò a dirigere lo sguardo verso Ucchan, spingendolo a fare altrettanto. 
Konatsu non si era mosso di un millimetro dalla sua posizione, come se non avesse udito alcuna parola, e probabilmente doveva essere proprio così. Nei suoi occhi Ranma poteva leggere una determinazione che una sola volta vi aveva scorto, molto tempo prima, quando il kunoichi era stato drogato dalla matrigna e dalle sorellastre affinché combattesse contro di lui al livello estremo del suo spirito combattivo. 
In questo momento, gli parve che fosse altrettanto estraniato dalla realtà. 
“Fammi passare, Konatsu.” 
Ukyo pose una mano sulla spalla del ninja, che sussultò, lasciando cadere la propria maschera e rivelando la consueta espressione gentile e preoccupata. Senza dare l’impressione di essersene accorta, lo superò e domandò a Obaba: “Se all’alba l’anima di Akane sarà ancora dentro di me… io morirò? Intendevi dire questo, prima?” 
“Signorina Ukyo…” Iniziò Konatsu. 
“Va tutto bene”, lo zittì lei, accennando un sorriso, “stiamo solo parlando.” 
Obaba annuì. “Scommetto che inizialmente non avevi la minima idea di cosa avvenisse quando tu eri trasformata in Akane, ciò poiché la sua tamashii prendeva il sopravvento, facendoti perdere la coscienza di te stessa. Quando ti bagnavi con l’acqua fredda, rimaneva solo Akane. Ma ti sarai sicuramente accorta che questo avviene sempre meno, che cominciate a percepire le vostre presenze a vicenda: ciò perché le vostre anime sono in conflitto. Perciò, se al sorgere del sole tu avrai le sue sembianze… l’anima di Akane non potrà più fare ritorno nel suo corpo e occuperà definitivamente il tuo. In poche parole la trasformazione sarà irreversibile, l’acqua fredda e l’acqua calda non potranno mutare la situazione. Resterà soltanto lei, mentre tu non potrai mai più riprendere coscienza. Akane sarà salva, ma tu…” 
La frase non continuò e la sala si riempì di silenzio. 
Tutto ciò che Ranma avvertiva era il battito accelerato del proprio cuore. 
Aveva sempre avuto ragione, il proprio istinto non si era sbagliato. L’Akane che aveva visto e sentito, con cui aveva parlato, era la vera Akane, il suo maschiaccio violento. E una maniera per salvarla esisteva, doveva esistere, eppure… come poteva essere questa l’unica soluzione? Come si sarebbe potuto chiedere a Ucchan… a qualunque persona, perfino… perfino al vecchiaccio, un sacrificio del genere? 
Alzò lo sguardo verso di lei, solo per scoprire che lo stava fissando a sua volta in modo ansioso. Quasi implorante. Non poteva sbagliarsi, Ucchan stava guardando proprio lui. Come mai? Aveva forse paura che le avrebbe chiesto di sacrificarsi, lo credeva esaurito fino a questo punto? No, piuttosto… lei per caso voleva che glielo chiedesse? 
Ucchan sospirò rumorosamente, interrompendo il contatto visivo, poi chiese alla vecchia: “Se invece rimarrò me stessa, cosa succederà ad Akane?” 
“In quel caso”, rispose, “sarà la tua tamashii a prevalere, una volta per sempre, e nemmeno in questo caso l’acqua fredda servirà più a qualcosa. Non c’è una terza scelta.” Obaba scosse lentamente il capo e scese dal tavolo, inerpicandosi sul suo bastone. “L’alba è vicina, ma hai ancora, pressappoco, un paio d’ore di tempo per decidere. Quel che avevo da dire l’ho detto, adesso conviene a tutti voi rifletterci sopra. Torno subito.” 
Si avviò verso la cucina, a rapidi balzi. Improvvisamente si arrestò, si voltò e scorse con lo sguardo i presenti, come alla ricerca di qualcuno. Ranma stava già facendosi avanti quando, con sua sorpresa, la vecchia chiamò a sé Kasumi. 
  
  
Sebbene avesse preannunciato chiaramente il suo attacco, scagliandosi contro di lui con un affondo in corsa, Genma sembrò non aver intuito le sue intenzioni fino all’ultimo momento, tanto che schivò il colpo per un soffio. Soun si girò di nuovo, le spalle rivolte alla parete posteriore del Nekohanten, accanto alla porta di servizio, così da potergli almeno chiudere la via di fuga e  incrociare il suo sguardo.  
“Te… Tendo! Si può sapere che ti salta in mente?!” Gridò l’altro, tra l’incredulo e lo spaventato. 
“Te l’ho detto prima, Saotome. Stiamo combattendo.” 
Attaccò ancora con un calcio volante, che questa volta Genma scansò con maggiore prontezza per poi pararsi di fronte a lui e tentare una contromossa. Soun si portò indietro con una capriola e aumentò la distanza, coprendo il fianco. 
Genma ridacchiò sgraziatamente. “Suvvia, non hai cuore… non sono nemmeno nelle condizioni di difendermi, senza i miei occhiali non vedo un tubo!” 
Soun scosse il capo. “La tua miopia non è così acuta. Ricordo il giorno in cui cominciasti a portare le lenti, così come ricordo la tua aria tronfia mentre mi spiegavi che nessun artista marziale avrebbe osato attaccare al massimo delle proprie forze un avversario che indossava gli occhiali… Una delle tue prime e innumerevoli ‘tecniche’, no? Com’è che l’avevi chiamata? Mossa della pietà della talpa?” 
“Ah ah ah! Era andata così?” Domandò quello stupido, grattandosi il capo. 
“Proprio non capisci… non c’è niente da ridere!” Soun si riportò in avanti, convogliando rapidamente tutta l’ansia, la preoccupazione e il dolore che aveva provato nelle ultime ore. Un paio di secondi furono sufficienti a convergere e rilasciare attorno al proprio corpo una discreta quantità di aura combattiva. Il pugno che ne scaturì mancò quel disonorato per una frazione di secondo, andando invece a spaccare in due parti uno dei numerosi secchi dell’immondizia. 
Il fracasso che ne conseguì confuse per qualche secondo i suoi sensi. Improvvisamente Soun vide tutto nero, e non si trattava dello scenario notturno. Avvertiva la frustrazione premere da ogni viscera del suo corpo, e si sentiva sporco almeno quanto il compagno di gioventù. Non poteva permettere che tutto finisse così, doveva perseverare, ripulirsi. Ma Saotome che fine aveva fatto? 
Guardò davanti a lui, poi a sinistra e a destra. Niente. 
“Prova qui in alto, Tendo.” 
Alzò lo sguardo, per avvistare Genma che planava a mezz’aria, pronto al contrattacco. Cercò di elaborare una qualche strategia, prima che gli fosse addosso, ma il colpo arrivò prima che riuscisse a disporsi diligentemente in posizione difensiva. Crollò a terra e rotolò immediatamente su se stesso, cercando di ignorare il dolore, per ammortizzare lo svantaggio. Recuperò una posizione eretta nel più breve tempo che gli fosse stato possibile, sperando di cogliere di sorpresa quel farabutto, ma il nuovo pugno smosse solamente una manciata d’aria, mentre un paio di costole lo informarono nuovamente, e con maggiore convinzione, dei danni che aveva ricevuto. 
Strinse i denti e s’impose di concentrarsi. Questa volta sapeva dove guardare e, infatti, non fu sorpreso di avvistare Saotome appollaiato come una scimmia sopra il muretto che dava alla strada. “Certe cose”, disse ad alta voce, non nascondendo una punta di disgusto, “non cambiano mai.” 
“Dovresti saperlo che il combattimento volante è la specialità della scuola Saotome.” Gli rispose l’altro, come se fosse stato appena inorgoglito da un complimento. 
“L’unica tua specialità, dal primo giorno che ricordo, è la codardia.” 
Genma bofonchiò, finalmente irritato. 
“Anche tu sei rimasto lo stesso di un tempo, quando ti lasci trascinare dall’ira è fin troppo facile affrontarti.” Replicò. “Sei tale e quale a quello sbarbatello di buona famiglia, pieno di sé, convintissimo che sarebbe diventato il più forte artista marziale del mondo solo perché, a suo dire, incarnava i più alti valori di rettitudine, probità… e altre fesserie che non finivi di decantare un solo istante. A quell’epoca, i tuoi avversari li sconfiggevi a forza di sbadigli.” 
“Non hai tutti i torti.” Ammise Soun. “Effettivamente agli inizi ero un po’ ingenuo… poi, però, sono cambiato. Ho smesso di credere a quelle cose, ho dovuto, dopo averti incontrato.” 
“Sembra che tu me ne faccia una colpa. Dovresti ringraziarmi, ti serviva qualcuno che ti mostrasse come va davvero il mondo. Lo sai a cosa mi riferisco, no? Niente ideali, nessuna pietà.” 
“Ricordo bene il tuo motto.” In rapida successione, diverse immagini del passato ripresero vita davanti a Soun. Sentì su di sé il peso degli allenamenti e dei digiuni, le immani fatiche affrontate per conquistarsi l’attenzione dei suoi primi maestri. La superbia che gli aveva ottenebrato la mente, mentre si accingeva a combattere per la prima volta contro uno degli altri pretendenti, un ragazzotto dagli abiti trasandati che non dava affatto l’aria di un grosso ostacolo. La sorpresa e la frustrazione della prima sconfitta, per mano di quello stesso straccione. L’indignazione, nella consapevolezza di essere stato battuto con mezzi poco ortodossi. La rivalità, la competizione. L’infinità di scontri e di confronti che ne era seguita. 
E poi il lento mutare di quei sentimenti, il loro sfociare, poco a poco, nel reciproco rispetto, nella mutua considerazione del proprio rispettivo valore. Nell’amicizia. 
No, oggi non era ‘tale e quale a quello sbarbatello’. Era cambiato, profondamente, e non sempre in meglio. Se avesse potuto, sarebbe tornato indietro per non fare certe scelte? Fino a quella notte pensava di no, che nulla potesse valere ciò che aveva ricevuto, in cambio dell’essere sceso a qualche compromesso con i valori in cui credeva. 
Ma ora… 
Un moto di rabbia s’impadronì nuovamente di lui, facendo vacillare l’autocontrollo che si era imposto. Soun ne fu subito cosciente, ma assecondò il proprio corpo ed espanse l’aura, lasciandosi guidare dalla propria indignazione e decidendo che, per una volta, non si sarebbe preoccupato delle conseguenze. 
Genma era ancora accovacciato nella posizione di prima, con aria visibilmente scossa. Pallido come uno strofinaccio, sembrava come paralizzato e impossibilitato alla fuga. Forse finalmente aveva compreso. 
Ma ora è troppo tardi. 
  
  
Nabiki porse alla sorella anche l’ultima tazza e si voltò ancora in direzione della porta che dava sul retro, domandandosi se avessero fatto bene a seguire il consiglio della vecchia. 
“Lasciate pure che si sfoghino.” Aveva detto loro con aria disinteressata, nonostante il fracasso che avevano appena sentito provenire dall’esterno. “Quei due devono chiaramente risolvere delle questioni personali… e le loro faccende private, adesso, non ci riguardano.” Piuttosto si era rivolta di nuovo a Kasumi, chiedendole di preparare del tè per tutti: la notte non era finita e bisognava mantenersi lucidi, in un momento simile. 
Infine aveva additato lei stessa, e per un momento Nabiki credette di aver contraddetto Cologne di Joketsuzoku almeno una volta di troppo, negli ultimi minuti, salvo sentirsi poi domandare con fare del tutto innocuo se potesse dare una mano alla sorella maggiore, mentre la vecchia tornava nella sala grande con gli altri. “Di là c’è ancora bisogno di me”, si era quasi scusata, “e l’assenza della mia bisnipote si fa sentire. Chiedere a quell’imbranato di Mousse di preparare del tè, poi, è del tutto fuori discussione.” 
Nabiki l’aveva lasciata fare. Chiaramente Obaba non la voleva più tra i piedi e, in un certo senso, poteva anche comprenderla. Ma non per questo era ancora incline a fidarsi delle ultime rivelazioni. 
L’Akane incontrata due volte da Ranma non era altri che Ukyo trasformata dall’acqua della sorgente di Jusenkyo, e fin qui bene. Però, nel corpo di Ucchan sotto la trasformazione, a detta di Obaba, risiedeva l’anima della vera Akane. Se davvero fosse stato così, in questo momento la sua sorellina sarebbe stata viva e vegeta, e nella stanza accanto. Le sarebbe bastato aprire la porta, versare su Ukyo dell’acqua, niente di più. 
“…me li puoi prendere?” 
“Come?” Replicò confusa. 
Kasumi non alterò minimamente il tono della voce. “Ti ho chiesto se puoi passarmi i tovaglioli, dovrebbero essere in una di quelle credenze.” Concluse, indicandole la direzione. 
“Certamente.” Nabiki non seppe nemmeno dire se avesse davvero parlato, o soltanto pensato tra sé la risposta. Provò a nascondere il proprio fastidio e si mise alla ricerca, senza troppa fretta. Anche in casa, si era sempre tenuta per quanto possibile alla larga dalla cucina, limitando il proprio contributo a cose semplici come scaldare l’acqua. Forse Obaba aveva incaricato lei, e non la signora Nodoka, di assistere Kasumi in cucina semplicemente per farle dispetto. 
Tutto sommato, considerò che un po’ di tè avrebbe fatto piacere pure a lei, anche se avrebbe preferito qualcosa di più forte. L’adrenalina da cui si era sentita pervadere fino a pochi minuti prima era un pallido ricordo e aveva lasciato il posto a un poco di emicrania, così stava faticando perfino a pensare coerentemente. 
Ma dove diamine si erano cacciati quegli stupidi tovaglioli? Aprì l’ennesimo scomparto, ancora senza successo. Scostò con malagrazia diversi barattoli di spezie, nella speranza di vederli uscire allo scoperto, ma, fallito anche questo tentativo, accennò a sbattere con violenza lo sportello. 
Una mano la afferrò per il polso, fermandola. 
“Le cose devono andare esattamente come vuoi tu, vero? È difficile che non sia così. Però, quando eccezionalmente ciò avviene, non sai più come affrontare l’ostacolo.” 
Non c’era rimprovero, nella voce. E nessuna ostilità. Eppure, Nabiki si sentì come un ladro colto in flagrante. 
“Kasumi…” 
E di colpo tutto assunse una chiarezza disarmante. Cosa le stava succedendo? Come aveva potuto permettere a se stessa di lasciarsi dominare dalle emozioni fino a questo punto? Non era lei quella, non la persona che si era imposta di essere. 
La prolungata mancanza di sonno doveva averle giocato davvero un brutto scherzo, per averle fatto perdere così facilmente la propria freddezza, la propria lucidità, e ciò ormai da diverse ore. Questa notte si era comportata in modo più incosciente di Ranma e Akane messi insieme, e doveva proprio ringraziare i kami se Obaba non l’aveva ancora scaraventata dall’altra parte di Nerima per la sua sfacciataggine… 
Nabiki recuperò la propria compostezza e sorrise alla sorella. “Grazie. Non so cosa mi sia preso. Dev’essere uno shock, per te, vedermi in questo stato.” 
Kasumi ricambiò il sorriso. 
“Non proprio. Sai… mi ricordo un’altra volta come questa.” 
Non si aspettava una risposta simile. Nabiki alzò un sopracciglio e la invitò, con lo sguardo, a proseguire. 
“Fu quando la mamma ci lasciò.” Kasumi poggiò delicatamente una mano sulla sua spalla. “Papà non ebbe la forza di darci la triste notizia e ci raccontò che era dovuta andare in un luogo lontano. Io avevo capito, ma tu e Akane eravate ancora troppo piccole, o almeno così pensavo.” 
S’irrigidì leggermente, e Kasumi dovette averlo notato, perché a sua volta accentuò un poco la stretta. 
“Akane si era intestardita ad aspettare il ritorno della mamma, perfino attendendola fino a sera davanti la porta di casa. E tu… avevi fatto altrettanto, almeno fin quando, un giorno, credo che la verità fosse divenuta chiara anche a te. E non lo sopportasti. Non sopportasti il fatto che la morte di nostra madre ti fosse stata tenuta nascosta, che ti fosse stata fatta credere una menzogna. Soffristi, non solo per la perdita, ma anche per tutta la speranza che avevi riposto inutilmente per tanto tempo. Mi dispiacque tantissimo, allora, di averti ingannato anch’io, ma non sapevo come scusarmi… e non ti dissi assolutamente niente, e ancora oggi non so perdonarmelo... Scusami, sorellina.” Le ultime parole furono pronunciate con la voce rotta dall’emozione. Kasumi la abbracciò forte e lei si lasciò abbracciare, avvertendo il calore della sorella e qualcos’altro. 
Quante altre volte sarebbe stata colta alla sprovvista quella notte? Dal punto di vista di Nabiki, uno sfogo simile da parte della sorella maggiore era più inatteso perfino delle parole della vecchia. Ma sapeva anche cosa Kasumi avesse davvero sottinteso, con quel discorso. Forse… adesso lei era nella stessa situazione di allora. Aveva paura di credere in un possibile miracolo, non voleva illudersi riguardo una persona cara e rimanere delusa di nuovo. 
Era così chiaro, ora. Se non aveva ancora varcato la soglia e bagnato Ukyo con dell’acqua fredda, era solo perché ne aveva paura. Non fidarsi era più facile, molto più facile, e le permetteva di mantenere il controllo della situazione. Ma finalmente comprendeva cosa fosse giusto e, anche se ciò l’avrebbe resa vulnerabile per la prima volta dopo tanti anni, decise che avrebbe corso il rischio. Dopotutto non aveva mai perso una scommessa. 
“Va tutto bene.” Disse, ricambiando la stretta di Kasumi. Poi pensò che fosse ormai il caso di scoprire le carte. “A proposito, i tovaglioli che mi avevi chiesto di cercare non sono per caso quelli che stai tenendo in mano? Non ti facevo così distratta… a meno che tu non sia più simile a me di quanto credessi.” Due a zero per te, sorellina. Aggiunse tra sé, divertita, ripensando all’altra notte. 
“Oh cielo.” Kasumi si asciugò una lacrima e si lasciò sfuggire un lieve sorriso.

 

   
 
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