Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |       
Autore: Savannah    21/01/2007    63 recensioni
Una normalissima serata al Club dei Duellanti: Gryffindor e Slytherin, ai due lati di un camino, che cercano il modo più opportuno di scannarsi. A un certo punto la radio diffonde una notizia: il solito pazzo è scappato da Azkaban. Poco male, pensano tutti, qualcuno che, tanto per cambiare, vuole accoppare Potter...
Genere: Romantico, Commedia, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Di nuovo qua, in tutti i sensi ^_^
Questo non è esattamente il sequel di Original Sin che in tanti mi hanno chiesto, ma si colloca in quel breve intervallo tra The Ground Beneath Her Feet e Original Sin.
Spero che vi piaccia comunque e di non aver sbagliato i riferimenti!


*****************************************************


HOGWARTS LEGEND


[ Part#1: It Was a Dark and Stormy Night…]





Suddenly!
A movement in the corner of the room!
And there is nothing I can do

The Cure, Lullaby


La donna canticchiava tra sé, la voce tremante nella solitudine della sua casa, isolata nella campagna.
Quella sera in casa non c’era nessuno, a parte lei. Il marito era ancora in ufficio, i figli adulti ormai abitavano per conto loro, i figli più giovani erano a scuola. La donna continuò a cantare prestando orecchio distratto alla musica che usciva, insieme a una quantità di fruscii, dalla vecchia radio in un angolo.
Dalla pentola sulla cucina economica si sollevava una nube di vapore profumato di spezie e di verdura, che si mescolava al gradevole odore del fumo di legna del camino, dove un grosso ciocco di betulla crollò nel rumore familiare delle braci che si sgretolavano.
Nell’acquaio che perdeva, una goccia d’acqua scandiva con regolarità il pigro scorrere dei secondi. L’orologio sulla parete invece non produceva alcun ticchettio o suono tipico: non possedeva nemmeno le ore e i minuti e sul quadrante, al loro posto, c’erano i luoghi e le situazioni in cui potevano trovarsi i componenti della famiglia, ognuno rappresentato da una delle lancette.
La donna udì un rumore strano e interruppe a metà il movimento della bacchetta; il cucchiaio, che rimestava la zuppa, crollò contro il bordo della pentola e giacque immobile.
- Chi è? – domandò, la voce ferma che vibrava di un sottofondo di inquietudine – Chi c’è? -
Le rispose solo il silenzio, così lei sollevò la bacchetta e, ripetendo a mente un incantesimo di difesa, si avviò verso la stanza di soggiorno.
Sollevata, constatò che non c’era nessuno e dopo aver compiuto una breve perlustrazione della casa, tornò ai suoi fornelli. Gettando un’occhiata alla finestra si accorse che era socchiusa: strano, avrebbe giurato che era sprangata. La richiuse e ricominciò, in santa pace, a dedicarsi alla cena. Sul quadrante dell’orologio appeso alla parete, la lancetta che rappresentava proprio lei, si spostò dalla postazione “pericolo mortale” a quella “casa”…
***


Little child, be not afraid
The rain pounds harsh against the glass
Like an unwanted stranger
There is no danger
I am here tonight

Vienna Tengs, Lullabye for a Stormy Night

Naturalmente era una notte buia e tempestosa.
A stento c’era da specificare questa cosa, perché ogni volta che succedeva qualcosa di sinistro era sempre una notte buia e tempestosa, tanto che c’era da chiedersi perché mai, la gente, quando vedeva calare la sera e cadere dal cielo qualcosa di più di una semplice pioggerella, non cominciasse a prendere tutte le precauzioni del caso: Incantesimo Anti-Maniaco, qualche lampada stregata invece delle semplici candele pronte a spegnersi sempre al momento meno opportuno…
(Una Mano della Gloria che avrebbe immancabilmente fregato il maniaco in questione, pensava Malfoy).
… Oppure, magari, la semplice precauzione di chiedere chi diavolo fosse alla porta, invece del solito, distratto Alohomora dalla cucina o dalla vasca da bagno, preludio inevitabile a cruenti rituali che si concludevano immancabilmente con la famiglia affranta che, il mattino dopo, si doveva esibire nelle Olimpiadi del Gratta e Netta per ripulire la casa dal sangue e da tracce di materia cerebrale.
(Ammesso che l’aggredito possedesse un cervello, pensò Malfoy rivolgendo un’occhiata oziosa a Potter. In caso contrario la gente si sarebbe risparmiata parecchia fatica).
Tante volte l’aggressione era perpetrata con l’aiuto di una Pozione Polisucco e, in vista di quella eventualità, le mamme streghe di solito invitavano i rampolli maghi – oltre che a non accettare passaggi su scope o Cioccorane dagli sconosciuti – a tenere la gente fuori dalla porta un’oretta prima di aprire, controllando di tanto in tanto dallo spioncino se non sapevano ancora effettuare un Incantesimo Trasparente.
(Dilettanti. Malfoy sogghignò, lui conosceva quell’incantesimo da secoli, parecchie volte gli era tornato utile per rendersi conto che sotto il maglioncino della divisa di Hermione Granger non c’era solo un gran cuore dal coraggio Gryffindor).
Poco male che fuori della porta ci fosse l’ansiosissima e protettiva mammina bloccata con venti gradi sotto zero dalle sue stesse raccomandazioni.
Malfoy era pronto a scommettere che, la protagonista della storiella che stava raccontando Ron Weasley, fosse appunto una signora di mezza età, ansiosa, trascurata e grassa, con un cespuglio di capelli color rame e l’aria preoccupata, che stava cucinando per una nidiata di cenciosi figlioli uno più stupido dell’altro.
Una mamma a caso di un tizio lentigginoso a caso, insomma.
In ogni modo, nonostante le sue virtù di narratore fossero avvincenti quanto quelle del Professor Ruf, il Re delle Donnole era arrivato al clou della storiella – raccontata all’amico dell’amico, dal cugino in terzo grado che era emigrato in America nel quarantotto – cioè quando alla malcapitata madre, rimestando lo stufato, era capitato di vedere un dito umano andare su e giù nella sua pentola insieme alle patate e alle carote e aveva cacciato un urlo che aveva fatto accorrere i vicini, i quali, via camino, si erano precipitati da lei, e avevano trovato un cadavere a pezzi nel suo giardino, tra la pegola e le tane degli gnomi.
Potter sembrava improvvisamente tutto interessato.
- Quale dito? -
Il medio, pensò Malfoy.
Ginevra Weasley sembrava sul punto di mostrarglielo addirittura, realizzando una sua peccaminosa fantasia, tuttavia dovette ricordarsi, all’ultimo momento, che erano in pubblico.
- Il dito di chi? – insistette Potter.
Sicuramente il Ministero della Magia Svedese non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad assegnare quel tale premio, che Malfoy non riusciva mai a ricordare come si chiamasse, intitolato a quel tale mago che aveva inventato l’Incantesimo Dinamitardo: con ogni probabilità tutti i membri del Comitato sarebbero saltati in piedi urlando ”Potter! Potter!”, così il Bambin Sopravvissuto avrebbe avuto un’altra onorificenza da aggiungere alla sua ampia quantità di boria.
Hermione Granger, che purtroppo adorava il suo migliore amico, ma per fortuna si rendeva anche conto che, a volte, non era propriamente un asso nel cogliere l’essenziale di un discorso, gli diede un’amichevole pacca sul ginocchio e disse, paziente – Harry, credo non sia questo il punto –
Potter sgranò gli occhioni verdi.
Passaporta per la Svezia pronta per l’uso, uno, due…
- E qual è? -
…Vi ringrazia per la vostra scelta e si augura di avervi come ospiti al più presto!
- Harry – il tono di Ginny Weasley avrebbe indotto le legioni infernali ad aprire la prima sciovia per spostarsi da un girone all’altro – E’ una leggenda metropolitana -
Potter si massaggiò il mento e considerò prima la sua migliore amica e poi la sorella del suo migliore amico – Come quella del libro della strega che viveva a Bath e dei Sonetti di uno Stregone? –
- Quelle sono vere! Me lo ha detto papà! – disse Ron Weasley, in tono indignato – E anche il fatto del libro che bruciava gli occhi! -
Potter gli rivolse un’occhiata sorpresa e non rispose. Il Re, in maniche di camicia e con gli avambracci muscolosi scoperti, distolse lo sguardo dalla scatola dei biscotti al burro per puntarlo sul Migliore Amico, assumendo un’espressione profondamente ferita, tipo qualcuno che ha ricevuto la classica coltellata nell’arteria inguinale durante un fraterno abbraccio.
- Papà ti ha detto anche che esisteva Babbo Natale – intervenne impietosamente la Weasley.
- Oddio, Ron – sospirò Hermione – Non mi dire che ci hai creduto. E’ solo una leggenda metropolitana -
- Leggenda metropolitana – intervenne una voce limpida e vivace, vicino al tavolo verde, con il tono di chi ha trovato due parole particolarmente piacevoli da ripetere.
La ragazza dai lunghi capelli d’oro filato trattenuti da un nastro di velluto blu, fece dondolare la scarpa di vernice azzurra dal piedino snello fasciato di seta e annuì un paio di volte.
- Ne ho sentito parlare. Per esempio, in giro si dice che i testi delle canzoni di Celestina Warbeck contengano messaggi sublimi –
- Subliminali, Tessie, cara – corresse amorevolmente Reese Hewitt – Quella vecchia storia degli inviti a unirsi ai Mangiamorte e a usare Artigli di Drago e Pietra di Luna -
Jalice Love guardò le due amiche e sorrise – Avete ragione entrambe. I messaggi sono subliminali, ma le canzoni di Celestina sono … - sospirò – sublimi –
- E poi naturalmente, c’è quella faccenda delle canzoni delle sorelle Stravagarie. Sapete, pare che sentite al contrario contengano messaggi satanici… -
Anthony Goldstein, adagiato in una poltrona di pelle sfondata, che un tempo aveva fatto bella mostra di sé nello studio di Vitious, faceva roteare in un bicchiere panciuto del Firewhisky Gran Riserva di cui, prima o poi, suo padre avrebbe notato la scomparsa dalla cantina della loro casa nel Somerset.
Nel suo regno, la saletta del Club dei Duellanti, sereno e a suo agio, con la cravatta allentata e il colletto sbottonato, rivolse un sorriso indulgente alle Blue Ladies. I suoi occhi bruni, così profondi nella penombra del fuoco, si fermarono su Tess Steeval con un’espressione di dolcezza quasi dolorosa.
Spostandosi verso la parte opposta della saletta, lo sguardo del Caposcuola di Ravenclaw incontrò quello di Malfoy e il suo sogghigno canzonatorio, così abbozzò con un lieve scrollare di spalle e ricambiò il sorriso.
Malfoy guardò, di nuovo, interessato, quel gruppetto di Ravenclaw, svampite fino a chiedersi se avessero ingurgitato una tonnellata di Lunaria dopo aver subito un Incantesimo di Memoria riuscito male e magari fatto una nuotatina in una piscina di Firewhisky.
Infine si domandò se davvero Celestina Warbeck lavorasse per la Causa.
Un sospiro turbò l’aria che stava respirando, costringendolo a dimenticare ogni altro pensiero per seguirne il suono fino a lei.
Labbra pallide accese dalla stretta nervosa di denti candidi.
Denti gentili, di cui ricordava il morso sulla spalla nuda, subito lenito dal tocco di un respiro dolce e affannoso.
La sensazione di tenerla tra le braccia, di sentire sotto le labbra le sue palpebre serrate e le ciglia, la sua bocca socchiusa e poi bere il suo grido sommesso, le mani nelle sue e su di lui.
Immagini che non dimoravano più tra l’incubo e l’immaginazione, ma erano il ricordo di quanto era successo la notte precedente, e quella prima ancora.
Ricordo e anticipazione.

Icicle dreams are the memories gone by
Have you ever seen a lullaby on fire

Darling Violetta, Beautiful

Ciglia scure che, per un istante, si alzarono per incrociare il suo sguardo, poi si riabbassarono sulle fiamme del camino, le guance che si imporporavano per un calore che non era soltanto quello del fuoco.
Ricordo.
Lui osservò affascinato quel rossore, la mano che gli correva alla spalla per tracciare idealmente il marchio delle sue labbra; il graffio che le sue unghie gli avevano disegnato sulla schiena palpitava piano, un dolore dolce che si alzava e abbassava al ritmo delle fiamme nel camino, gonfiandosi e poi piegandosi in un’onda ardente.
Che bruciava, lenta, costante, intensa.
Anticipazione.
Lasciò ricadere bruscamente la mano con cui aveva preso a massaggiarsi, inconsapevole, la spalla, e distolse lo sguardo da lei, spezzando quel contatto di respiri e pensieri; e all’improvviso, fu come se intorno a lui qualcuno avesse alzato bruscamente il volume: tutti parlavano ad alta voce, contemporaneamente, con l’applicazione di chi cerca di coprire un rumore di fondo fin troppo nitido.
Fingendo di guardare, a caso, verso il tavolo da gioco, incrociò gli occhi blu di Tess Steeval, che gli restituì uno sguardo sagace e poi sbirciò, con intenzione, verso Hermione Granger.
Malfoy la guardò male e quella, per tutta risposta, ammiccò, per niente disturbata dalla sua irritazione.
- Tipo la storia della pianta carnivora nella serra numero sette? – stava dicendo Terry Steeval – Quella che ha ingoiato uno studente di Hufflepuff che poi è spuntato in primavera dentro un baccello gigante? -
- Non esiste una serra numero sette – disse Ginny Weasley, piegandosi verso Jalice per farsi accendere una sigaretta, un gradevole odore di menta e cioccolato si diffuse come una nuvola intorno alla sua figurina snella – A meno che non sia la famosa serra che compare solo nelle notti di novilunio –
- Esatto – rispose Terry, ridendo – Altra leggenda di Hogwarts –
- Beh – intervenne King Weasley – C’è anche quella del ragazzo che è entrato a bere qualcosa alla Testa di Porco e dopo ha un vuoto mentale completo. Ricorda solo di essersi svegliato in una vasca da bagno piena di ghiaccio e che stava malissimo: lo portano di corsa al San Mungo e lì scoprono che gli avevano fatto Evanescere un rene –
- Se invece del rene si fosse trattato del cervello, avrei giurato che eri tu il protagonista della storia – intervenne una voce scocciata e fredda, proveniente dalla parte opposta del camino rispetto a quella dove si erano asserragliate le Tre Grazie del Gryffindor.
- Ma come sei gentile – replicò Ron Weasley, contrariato.
Nell’ombra, un piede, calzato di pelle di drago verniciata, oscillava con un movimento che tradiva una certa impazienza, l’altro piede piantava saldamente un tacco nella trama lisa di un tappeto raffigurante un gruppo di unicorni; le caviglie snelle, appena scoperte dall’orlo di un paio di costosi pantaloni neri, continuavano in un paio di gambe flessuose della cui proprietaria, seduta sul bracciolo di una poltrona, si poteva intuire solo un’aureola di capelli biondi che balenava nell’ombra non raggiunta dai bagliori del camino.
Un sottile profumo selvatico e raffinato, rose canine e bruma, si allargava come una rete intorno a lei.
Impigliata in quella rete, una mano grande e abbronzata, gemelli d’oro che chiudevano un polsino perfettamente inamidato, si mosse, tamburellando le dita sulla spalliera della poltrona, come percorsa da un fremito nervoso.
- Daphne, - intervenne una voce profonda, distaccata, accanto a lei – stai riempiendomi la camicia di cenere -
Il volto del giovane rimaneva celato nell’identica ombra che nascondeva quello della ragazza; nella luce scarsa, che le fiamme del camino aggiungevano a quelle di due candele su uno scaffale, si delineavano spalle larghe e capelli neri sul bianco immacolato di una camicia dal taglio magnifico.
- Ne hai un altro centinaio, di camicie – rispose quella, pungente – Se la cosa non ti sta bene, spostati –
- Sempre una nobildonna – la canzonò l’altro.
La voce aveva accordi profondi, di rara armonia, e un’eco amara che, anche nell’inflessione salottiera, non riusciva a dissolversi completamente.
Con un gesto distratto della bacchetta, il giovane chiamò a sé un posacenere di vetro. Lo porse alla ragazza, che lo prese senza una parola di ringraziamento, sfiorandogli appena la mano, per caso, con la naturalezza indifferente e familiare delle battute aspre che si erano scambiati un istante prima.
- Non c’è di che – mormorò lui, in tono amabile.
Daphne Greengrass emise uno sbuffo di fumo alle rose selvatiche, che in parte voleva essere un verso di scherno, e si tese in avanti dal bracciolo della poltrona dov’era appollaiata alla destra di Blaise Zabini, gli occhi verdi erano sarcastici come la sua voce.
- Va bene, - disse – Adesso ascoltate questa -
***

Il castello che ospitava la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts era un intero mondo: superfici che si estendevano per piani e piani, mansarde inesplorate, sotterranei che sprofondavano nella terra e poi corridoi labirintici che si dipanavano per miglia e miglia; senza contare gli ambienti segreti, quelli itineranti e quelli che comparivano e scomparivano a seconda delle condizioni atmosferiche, dei bisogni di chi li cercava, dell’avvicendarsi dei giorni o dei mesi…
Hogwarts era anche un immenso magazzino: stanze e stanze in disuso, stipate di vecchio mobilio e oggetti perduti e mai rivendicati o, semplicemente, di cui negli anni si era persa memoria della funzione e del proprietario. Soffitte e ripostigli, cantine e armadi, nascondigli collegati da passaggi segreti o vegliati da quadri e statue dotate di ingegno e volontà, gallerie interne e montacarichi che correvano all’interno delle mura massicce.
Era naturale, nel caso qualcuno lo decidesse, avere la concreta possibilità di nascondersi al suo interno.
(Era innaturale e disumano, obiettava qualcuno, a mezza voce, che vista la quantità di spazio a disposizione, gli allievi fossero barbaramente costretti a stipare i loro effetti personali in un unico baule quattrostagioni).
Tra l’altro era perfettamente inutile che qualcuno cominciasse a obiettare che la scuola era perfettamente protetta da intrusioni.
(Grasse risate nella zona Slytherin della platea, mugugni di protesta da parte dei Gryffindor, qualche occhiataccia che rimbalzava da un lato all’altro del camino).
A memoria di studente, infatti, risultava che chiunque, a cui fosse venuto il capriccio di scorrazzare per il Castello, ci fosse riuscito senza incorrere in eccessive difficoltà.
Questa considerazione poteva essere foriera di parecchi brontolii di malcontento dalla curva Gryffindor; ma, sinceramente, non erano nemmeno da prendere in considerazione le obiezioni di un branco di storditi che se ne erano andati in giro per giorni, tronfi di orgoglio, perché un Mangiamorte sotto mentite spoglie aveva caldamente raccomandato loro di diventare Auror e, a posteriori, non si erano nemmeno sentiti presi per il …
(Qualcuno tossicchiò con discrezione).
…Per il deretano.
Senza, ovviamente, fare menzione della piccola svista in cui tutti erano incorsi il primo anno non accorgendosi che lo stesso Signore Oscuro aveva goduto dell’ospitalità del Castello, dell’eccellente sangue degli unicorni della sua riserva e della piacevole compagnia dei suoi nemici giurati; lasciando da parte vecchie pazze inquietanti (e vivamente rimpiante dagli Slytherin) - libere di torturare gli allievi, senza considerare che c’era gente che era stata segnalata a Gufo Azzurro ed era finita in galera per molto meno - tra i delinquenti che avevano piantato felicemente le tende in quel di Hogwarts, si registrava una sensibile percentuale di gente scappata da Azkaban, insieme a quella che ovviamente sembrava scappata dal Reparto Psichiatrico del San Mungo.
Morale della favola: Hogwarts era impenetrabile meno di quanto Azkaban fosse a prova di evasione, con la buona pace dei Presidi che erano i Più Grandi Maghi dell’Universo Creato e delle prigioni sulle isole sperdute nel mare che magari avevano anche l’arsenico nella carta da parati.
Tant’era che quando Sirius Black aveva deciso di entrare nel dormitorio di Gryffindor non aveva certo trovato gli Squadroni della Morte a fermarlo, ma un cortese bigliettino di benvenuto con tutte le parole d’ordine; inoltre, quando dopo la Coppa del Mondo di Quidditch, qualcuno aveva avuto il sospetto che il Lato Oscuro si trovasse in vago fermento e non si era trovato di meglio da fare che assumere un Mangiamorte che insegnasse agli allievi a difendersi dai Mangiamorte, tutti avevano perso all’istante il diritto di proferire verbo sull’argomento sistemi di sicurezza.
Tutto ciò premesso e ritenuto, tempo prima, era successo che, nei dintorni del Castello, all’interno dei ripostigli dello stesso e nei pressi della Foresta Proibita - vale a dire ovunque si trovassero fratte, in senso reale o figurato, conformi a ospitare i momenti di intimità delle coppiette – era iniziata a circolare una voce abbastanza allarmante: dalle frequenze di Radio Strega Network e di Radio Strega Rock era giunta la notizia che un pazzo maniaco era scappato da Azkaban e si aggirava nei dintorni di Hogsmeade.
Poco male, avevano pensato tutti, ricominciando a tubare in piccionaia coi rispettivi, non che ci fosse da preoccuparsi in maniera eccessiva: tanto, quando un pazzo maniaco evadeva da Azkaban, di solito lo faceva per accoppare Potter e non per nuocere ai privati cittadini.
La considerazione che, però, negli anni, si era registrato un sensibile numero di vittime collaterali, aveva presto raffreddato gli entusiasmi provocando un crollo verticale dei desideri.
In effetti, a pensarci bene, sempre più spesso, c’era qualcuno che ci rimetteva le penne o che, per lo meno, veniva acchiappato per i capelli prima di farlo. Tanti raggiungevano la Terra dei Più (in altre parole Azkaban), altri, tra un inciampo nei pressi di qualche Velo, per colpa, poniamo, della zietta di qualcuno, e un incidente in un cimitero, lasciavano inesorabilmente questa valle di lacrime.
Come dimenticare, per esempio, la buonanima di Cedric Diggory?
Su quello che era successo nel cimitero di Little Hangleton tutti avevano qualcosa da dire e da commentare. Certo, chi aveva visto Mastro Gazza portare fuori carriole di detriti dalla Camera dei Segreti, aveva rivolto un pensiero di sincera partecipazione a quelli che, il giorno dopo il fattaccio, erano andati al cimitero per mettere fiori sulla tomba dei cari defunti e, vedendo il disastro, avevano ricevuto un colpo tale da rischiare di defungere a loro volta.
(Tra l’altro, ingiustamente vilipesi e accusati di omertà, gli Slytherin avevano, al solito, viste ignorate le loro opinioni in merito. Che sciocchezza, avevano tuonato dai sotterranei: non si trattava affatto del ritorno del Signore Oscuro, ma di un delitto passionale! Insomma, nessuno aveva notato che la benedett’anima era stato avversario al Tremaghi nonché rivale in amore di Potter?).
Insomma, fatte tutte queste considerazioni, le coppiette non si erano più sentite tanto al sicuro e avevano cominciato a dare segni di agitazione; avevano abbandonato il ripostiglio coniugale o l’aula nuziale, e avevano fatto ritorno nei dormitori a tremare in santa pace ognuno sotto il proprio baldacchino.
A quanto si diceva, il pazzo maniaco in questione aveva anche un aspetto particolarmente raccapricciante e un uncino al posto della mano.
Una di queste coppiette, che aveva trovato la giusta privacy in uno stanzino delle scope presso il terzo piano, a un certo punto della notte aveva sentito dei rumori strani provenienti dal corridoio.
All’inizio non ci avevano badato. Probabilmente lui, che era un autentico porco, era occupato a fare tutt’altro che preoccuparsi di una cosa trascurabile come la possibilità di finire sbudellati.
Lei invece, con ogni probabilità, era angosciata all’idea di morire di una morte infinitamente peggiore.
***

- Fermati. E’ la seconda volta che sento un rumore. Forse c’è qualcuno fuori della porta -
Un respiro impaziente aveva fatto eco alle sue parole, poi labbra tenere si erano posate di nuovo sulla sua spalla per un breve bacio.
- Sarà quel guardone di Potter – aveva risposto lui, in tono leggero – Sei preoccupata per la tua reputazione, mia sfacciata Caposcuola? Tranquillizzati: dubito che, anche se dovesse continuare a spiarci, riuscirebbe a capire cosa stiamo facendo -
- Idiota – il pugno di lei sulla spalla nuda gli aveva strappato una risatina – Non mi sento tranquilla -
- Hai paura che sia il maniaco pronto a levarci le budella? –
- Peggio: – aveva proferito lei in tono lugubre - la Professoressa McGranitt pronta a espellerci

I know what you want
And I'll give you everything
In twilight morning while all the world sleeps
Cinnamon sins are all safe here with me

Darling Violetta, Say you love me

La risata sommessa che aveva fatto eco alle sue parole si era spenta contro il suo seno. Lei aveva mosso una mano per immergerla trai suoi capelli, seta di luna sotto le dita, ed era rimasta assorta nella sensazione di averlo tra le braccia, la sua guancia sul petto e il respiro che le solleticava la pelle, mentre lui rideva ancora, piano.
Era passato così poco tempo, ancora, e amarsi era sempre un po’ essere ai ferri corti.
Una lotta silenziosa tra parole eluse e sospiri trattenuti e poi abbandonarsi, non senza avere combattuto, quando tutto diventava semplicemente troppo.
Lui le risalì con le dita lungo il fianco e girò il volto per imprimerle sulla carne un bacio gentile, l’ennesimo marchio invisibile che lei, la mattina dopo, avrebbe cercato nello specchio e nei propri occhi.
Gli passò l’altro braccio intorno alle spalle, con la mano ridiscese, assorta, a godersi la linea della sua nuca e della schiena. Sotto le sue dita i muscoli del dorso si mossero, mentre lui le passava un braccio attorno alla vita.
- A cosa stai pensando, mia piccola Mezzosangue? -
Rispose da solo alla propria domanda, puntellandosi sui gomiti e scivolando su di lei fino a che i loro visi si toccarono. Posò la fronte contro la sua, poi abbassò il capo per baciarle il collo, i suoi capelli morbidi e sottili le accarezzarono il viso e la gola.
A cosa stai pensando?
Lei rilasciò le gambe in modo che si separassero naturalmente, chiuse gli occhi, assorbita solo dalla sensazione di avere addosso il suo peso.
Cosa sogni quando dormi e quando sei sveglia.
Solo te, solo di te.
Prometti che sarà sempre così.
Te lo prometto.
Qualcuno, fuori dalla porta, produsse un suono simile a un grattare contro il legno…

Your eyes speak so silently
They tell me what you want from me
There is no more I can do
I’ll always be inside of you

Darling Violetta, Beautiful
***

La testa le ciondolò sul petto un attimo e lei la rialzò automaticamente, svegliandosi di colpo. In preda al vago vuoto di stomaco e al disorientamento conseguente al brusco risveglio. Si guardò intorno, fino a che non mise a fuoco un paio d’occhi grigi fissi su di lei.
Appena sveglia, lo cercava come avrebbe cercato una qualsiasi luce.
Si era assopita per qualche minuto e Daphne Greengrass era quasi giunta al termine del suo racconto.
Allarmata dai rumori, la ragazza del ripostiglio, aveva puntato la bacchetta contro la porta e aveva scagliato l’Incantesimo di Disarmo.
Per precauzione, i due avevano usato un passaggio segreto, per abbandonare il ripostiglio, invece della porta sul corridoio: la mattina dopo, andando in perlustrazione, avevano trovato, appeso alla maniglia della porta del loro ripostiglio, un uncino di ferro…
Hermione rabbrividì, battendo le palpebre per scacciare le ultime tracce di sopore.
- Quel maniaco, povero infelice – sospirò Blaise Zabini, – Era sicuramente qualche complesso irrisolto a spingerlo a comportarsi così -
Parecchi sguardi si spostarono si di lui, alcuni incuriositi, altri decisamente meravigliati per quello sfoggio di fine criminologia.
Daphne Greengrass e Draco Malfoy invece lo guardavano come se gli fossero spuntati improvvisamente una certa quantità di tentacoli dalle orecchie.
- Voglio dire, - Zabini scosse il capo – un uncino al posto della mano: era naturale che soffrisse. Con ogni probabilità non poteva indossare un vestito senza strapparlo -
L’intera Club House piombò nel silenzio più assoluto, spezzato solo dal sospiro partecipe di Tess Steeval.
- Oh Blaise, sei sempre così sensibile -
***
Tra le leggende che giravano a Hogwarts, naturalmente, non potevamo mancare quelle sugli insegnati.
- Io ne so una favolosa su Piton -
- Che è un Mangiamorte? –
Insinuazione a mezza voce di Weasel, occhiata da parte degli Slytherin. Non si capiva bene se volesse significare che i Gryffindor cominciavano a diventare monotoni o sincera incredulità perché ci avevano messo anni ad afferrare il concetto – in ogni modo, si guardarono malissimo, poi Ginny Weasley continuò a raccontare.
Uno studente di Gryffindor, un giorno era stato interrogato da Piton. Si trattava di un ragazzo che notoriamente in Pozioni andava molto male ed era cliente affezionato dei commercianti di calderoni; ma l’interrogazione non giungeva inattesa, così lo studente era preparatissimo.
Arrivare alla cattedra era già stata un’impresa di grande coraggio, visto che lo studente era letteralmente terrorizzato da Piton. Trattandosi però di un Gryffindor, faceva parte del suo destino sopportare simili sfide alla sorte.
Dapprima balbettando poi, facendosi pian piano quasi sicuro, aveva risposto brillantemente a un fuoco di fila di domande, tanto che Piton era addirittura livido
A un certo punto il professore aveva tentato l’ultima domanda: lo studente avrebbe dovuto illustragli la preparazione della Pozione Antilupo, i modi e i tempi in cui andava assunta.
Lo studente aveva risposto perfettamente e anche Piton alla fine era stato costretto ad abbozzare, dichiarandosi tacitamente sconfitto.
Improvvisamente tutto gentile, il professore di Pozioni aveva detto allo studente che si complimentava con lui e con un colpo di bacchetta aveva fatto apparire sulla cattedra una grossa confezione di zollette di zucchero colorate.
Le aveva offerte allo studente, pregandolo di accettarle in segno di stima per addolcire le sue Pozioni Antilupo.
Lo studente aveva accettato, tutto trionfante…
Hermione Granger sbuffò in segno di dissenso, scuotendo il capo – Io non lo avrei fatto –
…e Piton aveva sorriso.
Già vedere Piton sorridere era uno spettacolo tale che la gente di solito ricorreva a ogni sorta di scongiuri conosciuti; vederlo sorridere a un Gryffindor, naturalmente, non poteva preludere che a qualcosa di estremamente piacevole.
Per gli Slytherin tutti.
- Lo zucchero annulla completamente gli effetti della Pozione Antilupo. A posto: insufficiente -
Malfoy che aveva cominciato a sogghignare non appena aveva sentito parlare di zucchero, scoppiò in una risata e considerò la Weasley con aria di sufficienza.
- Anche io ne conosco una simile – intervenne, la voce fredda, lo sguardo che si fissava su un punto a caso della stanza, per non dare nemmeno l’apparenza di rispondere a una persona che considerava così in basso - Però l’insegnante in questione è la McGranitt -
- Sentiamo –
Anthony Goldstein si protese in avanti, gli avambracci sulle ginocchia, la camicia bianca che creava un contrasto piacevole con la carnagione olivastra – Par condicio – aggiunse, con un sorriso, rivolto ai Gryffindor che si erano rabbuiati – Slytherin ha diritto di replica – Dietro l’intonazione affabile si avvertiva una certa ilarità. I Ravenclaw erano del tutto immuni al senso di rivalità che correva tra le due Case: di volta in volta divertiti o irritati per i risvolti esasperati della situazione, consideravano i loro spazi neutrali, nei quali si era i benvenuti, ma si doveva fare di tutto per non turbarne l’armonia.
Era la forza della personalità di Anthony che permetteva a tre Gryffindor di guardare in cagnesco tre Slytherin da un lato all’altro di in caminetto senza che si saltassero più o meno metaforicamente alla gola.
Malfoy e Potter si ignoravano accuratamente, con una tale, perfetta, padronanza che solo gettare un Mantello dell’Invisibilità addosso a uno dei due avrebbe permesso di raggiungere un effetto migliore.
Tutto ciò in onore del quarto Gryffindor, quello che spostava ansiosamente lo sguardo dall’uno all’altro ragazzo, senza riuscire a rilassarsi veramente per un solo momento.
Tranne cadere addormentata per qualche istante e fare un sogno che le sembrava chiunque le potesse leggere negli occhi, nel momento in cui aveva incontrato quelli di lui.
Hermione abbassò gli occhi sul ricamo d’ombra che il parafuoco di ferro battuto disegnava sul tappeto, poi li spostò sui gemelli Steeval, poco distanti da lei. Due teste bionde chine l’una verso l’altra in una confidenza affettuosa che lei aveva sempre immaginato potesse esistere tra fratelli. Terry, seduto su una sedia al contrario, le braccia incrociate sulla spalliera e il maglione della divisa annodato al collo per le maniche, si piegava all’indietro per farsi accendere una sigaretta dalla sua gemella, mentre un gradevole odore di brezze marine si diffondeva per la stanza.
Tess, seduta sul tavolo verde, intercettò lo sguardo di Hermione e le sorrise.
Era un sorriso di generico incoraggiamento, comprensivo e allegro. La piccola Blue Lady le soffiò un bacio sulla punta delle dita insieme a un nuvola di fumo al gelsomino e articolò una frase affettuosa, in silenzio.
Ti voglio bene, Capogranger.
Poi si piegò in avanti per accostare il viso a quello di Anthony, sulla poltrona accanto a Terry, includendo idealmente anche lui in quel cerchio di calda vicinanza.
***

La storia raccontata da Malfoy suonava più o meno così: una triste mattina, un povero, incompreso, ingiustamente disprezzato Slytherin – situazione, la sua, tristemente consueta, in quella scuola dittatoriale, dove una stupida cicatrice contava più di intere generazioni di sangue purissimo e di un padre Consigliere – si era recato alla cattedra a ritirare il compito di Trasfigurazione.
La Professoressa – siccome erano tra persone corrette non si facevano nomi: si poteva solo dire che trattavasi del braccio destro del peggiore Preside che Hogwarts avesse mai avuto, donna di estrema parzialità, sempre pronta ad avere un occhio di riguardo verso la sua Casa, non come quell’icona di assoluta equità che era il Professor Piton – aveva squadrato il ragazzo in questione, dalla cima dei capelli biondi fino alla punta delle scarpe in pelle di drago acquistata a peso d’oro da onesti e laboriosi bracconieri, infine aveva proferito, gelida:
– Signor Malfoy, quando ti ho chiesto di documentare un caso pratico di Trasfigurazione Umana a Semispecie Animale non volevo certo invitarti a fornire il signor Paciock di un paio di orecchie da coniglio -
Ferito nel suo orgoglio di studioso dedito con abnegazione alla ricerca, lo studente Slytherin si era limitato a proferire una contegnosa protesta – mi premurerò di informare mia madre, forse ha dimenticato chi è mio padre, lei-non-sa-chi-sono-io - prima di chiudersi in un dignitoso silenzio.
Forse considerando tutti i galeoni che i Malfoy avevano sborsato per fornire la scuola di attrezzature nuove di zecca per le aule di Pozioni e delle munifiche donazioni per rimpolpare, con grande lungimiranza e spirito educativo, la Sezione Proibita della Biblioteca, la Professoressa si era lasciata indurre a osservare con attenzione lo studente incompreso.
- Va bene – aveva decretato infine – che cosa preferisci? Un Accettabile qui oppure un Oltre Ogni Previsione in giardino? -
Ovviamente il senso di giustizia del giovane Slytherin aveva preteso solo quello che gli spettava di diritto – Un Oltre Ogni Previsione in giardino –
Sul bordo del suo compito era subito comparsa la sigla in lettere violette OOP e poi…
- Relascio -
Con un preciso incantesimo di Esilio, la Vecchiaccia aveva spedito il compito della povera vittima Slytherin fuori dalla finestra dritto dritto in cortile.
Per la verità la storia non era nulla di particolare. Alla fine però, tutti gli Slytherin esibivano dei sogghigni molto soddisfatti a fronte dei cipigli scuri dei Gryffindor.
- Non sarebbe da lei comportarsi così! -
La voce irata di Harry Potter gli valse uno sguardo gelido da parte di Malfoy, profondamente seccato per essere stato interrotto in una delle sue fantasie narcisistiche preferite.
Potter non aveva inteso rivolgersi a lui direttamente e, naturalmente, lui non avrebbe mai messo da parte la sua dignità per rispondergli, così si limitò a squadrarlo con astio per poi distogliere subito lo sguardo e fissare le fiamme del camino.
Daphne Greengrass, invece, era quel tipo di persona che, quando riteneva qualcuno un idiota non riusciva a esimersi dal renderlo partecipe della cosa, così lasciò esplodere una risatina sgradevole.
– Taci, Potter, nessuno ha inalberato dignità ferite quando avete dipinto Piton come un maniaco che distribuisce zucchero ai ragazzini –
Lo sguardo che in quel momento stava rivolgendo a Harry Potter aveva una dotazione di disprezzo sufficiente da aspergersi con generosità anche sui due Weasley che, al solito, non abbandonavano il fianco del Fanciullo Che Li Avrebbe Seppelliti Tutti.
Blaise Zabini non avrebbe abdicato alla sua dignità nemmeno per l’attimo occorrente a prendere atto della presenza di gente come Potter e i Weasley, così finse di non notare quei tafferugli mascherati da sguardi, erigere e smontare barricate ai lati di un camino, sotto l’attenzione sempre meno paziente dei Ravenclaw.
Draco Malfoy esibiva un sorriso di una dolcezza scivolosa e infida come marmo bagnato, pronto a ospitare passi falsi e venature scure sul candore apparente. La soddisfazione celata solo da una pudicizia di facciata, da zitella che si segna la croce sul petto davanti al nudo di una statua antica, sogguardò una burla silenziosa, all’indirizzo di Potter.
Hermione Granger, accorgendosene, gli rivolse un’occhiata di irritazione esasperata e lui sentì il proprio sorriso incrinarsi. Tuttavia resistette, uno sforzo di muscoli facciali e di occhi sempre più freddi di muto rimprovero.
Senso dell’humor Gryffindor: rigorosamente eterodiretto, si disse, con rabbia, alzandosi di scatto per raggiungere un tavolino apparecchiato con un vassoio in argento e bicchieri di cristallo pesante e, cosa più importante, la bottiglia di Hogden Gran Riserva del signor Goldstein padre.
Un tossire garbato sfumò la nube di tensione al grado di nebbia leggera – Io ne conosco una molto interessante! – disse Tess Steeval, scambiando un’occhiata con Reese Hewitt e poi con Jalice Love che sembrarono capire al volo.
- Quella della compagna di stanza? – domandò Jalice – No, ti prego, mi terrorizza -
- Oh, è cruenta – commentò Reese, rabbrividendo delicatamente.
Malfoy pensò che al momento non poteva essere più cruenta di certe sue fantasie. Il suo sguardo saettò su Potter e poi su Weasley, prima di tornare al bicchiere che stringeva nella destra, sfaccettature di cristallo, pesanti sporgenze intagliate dove la luce si confondeva col riverbero alcolico di un abbandono contraffatto. Ambra liquida avverso bagliore di fuoco che giungeva dal camino bagnandogli la mano e tenendo il resto nell’ombra.
Dove gli spettava restare.
Ingoiare un sorso, insieme al liquido salato che qualche anno addietro gli avrebbe bagnato le guance, prima che il senso dell’ingiustizia inflitta ad altri medicasse di sano disincanto gli occhi con cui guardava il mondo, era segnare un punto fermo nella parabola discendente di quella serata.
Con l’anima nello stomaco, ustionato dall’acido che gli scendeva per la gola, fece un gesto distratto della bacchetta e attirò a sé un portasigarette d’argento, il cui proprietario si limitò a lanciargli un’occhiata simile a sartiame teso a sostenere un sussulto di orgoglio rabbioso, di quelli che non fanno prigionieri nemmeno nelle proprie file.
Blaise Zabini rilassò la schiena contro l’imbottitura pesta della poltrona, un sorriso malinconico e saputo, eluso nel doveroso tributo di ilarità alla storiella che stava raccontando Tess Steeval. Accanto a lui Daphne Greengrass fumava in silenzio, secchi gesti della mano che avvicinavano alle labbra la sigaretta consumata e una smorfia sempre più evidente: lo sguardo tempestoso di Weasley che si rifiutava di incontrare il suo e lei che, al solito, tirava dritto davanti a quella freddezza.
Nature morte di rapporti intorno a un fuoco, fiori secchi non abbastanza lontani dalle fiamme.
- E’ una storia vera – stava dicendo Tess.
- Siamo pronti a scommetterci – Terry scosse il capo con un sorriso mentre Reese Hewitt annuiva con aria saggia – No, Terry, Tessie ha ragione: ce lo ha raccontato un amico di Roger Davies che aveva un cugino in secondo grado che frequentava Hogwarts quando è successo –
Terry si allentò il nodo della cravatta e accettò il bicchiere che Ginny Weasley gli porgeva. La studiata cortesia di Terry, allo stesso modo della vivacità di Tess, riuscivano dove nessun silenzio avrebbe potuto. Da quando lui e Ginny si erano lasciati, il ragazzo sfoggiava un imperscrutabile buonumore, come un vestito di eleganza trascurata, non abbastanza formale da necessitare di giustificazioni, ma così gradevole da non sollecitare troppe indagini.
- E’ successo a un settimo anno Ravenclaw – la voce limpida di Tess era un refolo di aria pura nel fumo vagamente opprimente della saletta – Una delle ragazze, che occupava la stanza dove stiamo noi adesso, aveva l’abitudine di portarsi in camera i ragazzi, la notte. Le altre sopportavano, un po’ per solidarietà femminile e un po’ per fastidio -
- Il chiasso era parecchio – specificò la bruna Jalice suscitando un coro di risatine grate per averle dato l’occasione di riempire quel silenzio ancora teso.
- Così le ragazze presero l’abitudine di chiudere i baldacchini e Imperturbarli – continuò Tess – anche perché la situazione andava pian piano facendosi letteralmente insostenibile. Così successe che una sera, durante le vacanze di Natale, quando le altre del settimo erano partite, una delle ragazze torna in camera per mettersi a letto e, al solito sente dei rumori provenire nel buio, dal letto della compagna –
Hermione cincischiò, distratta, un orlo della gonna e ne lisciò le pieghe sulle ginocchia prima di azzardare un’occhiata furtiva verso la zona oltre le spalle di Zabini dove, nella semioscurità vicino agli scaffali, il cerchio di una candela solitaria arrivava appena a illuminare dita bianche e nervose dalle quali si alzava una spirale di fumo profumato al bergamotto. Il volto restava in ombra tanto da lasciare solo all’intuito la linea impassibile delle labbra e il distacco degli occhi, il profilo affilato del viso che le avrebbe nascosto fino all’ultima briciola dei suoi pensieri se anche fosse riuscita a intravederlo.

We'll laugh as we die
And we'll celebrate the end of things
With cheap champagne

My Chemical Romance, Drowning Lessons

La ragazza, continuò a raccontare Tess, si era spogliata al buio, senza nemmeno accendere una candela oppure illuminare la bacchetta. Aveva chiuso le tende del baldacchino e le aveva Imperturbate, poi si era addormentata.
Il mattino dopo si era svegliata e subito, un’enorme scritta sulla parete, in rosso che sembrava sangue sbavato, aveva attirato la sua attenzione: Sei contenta di non aver acceso la bacchetta stanotte?
Sul suo letto, tra le cortine impudicamente aperte, la sua compagna di stanza giaceva sgozzata e col sangue che colava dai polsi…
- Che schifo – commentò la Greengrass guardando Weasley.
Jalice afferrò la mano di Reese, in cerca di conforto – Stanotte non dormirò – si lamentò – se c’è qualcosa che mi terrorizza è l’idea di trovarmi davanti un pazzo –
Gli altri la guardarono, inespressivi. Qualcuno si stava sicuramente domandando, con queste premesse, come riuscisse a ovviare quando si guardava allo specchio.
- Anche io sono letteralmente terrorizzata ogni volta che sento questa storia – gemette Reese – Poi passo giorni e giorni a immaginarmi che ci sia qualche squilibrato nella mia stanza –
Altra tornata di occhiate accuratamente neutre che si spostarono, discrete, da lei, a Jalice, a Tess.
- Poi guardo bene e ci siete solo voi – sospirò, con un sorriso affettuoso tutto per le amiche.
Appunto.
- Non è veramente possibile che sia successo – intervenne Ginny Weasley – Voglio dire: come sarebbe stato possibile evitare che la notizia si diffondesse? –
- Ma si è diffusa – disse Terry – tramite l’amico del cugino di secondo grado di Roger Davies, no? -
Ginny gli fece una smorfia, mentre Anthony Goldstein scoppiava a ridere – Una volta l’ha raccontata quando ero anche io presente, c’era anche Cho Chang se non ricordo male –
- Fammi indovinare – replicò Ginny, serafica – vi siete ritrovati con la sala comune allagata di lacrime? -
***

Vista l’ora tarda era piuttosto normale che i racconti scivolassero verso l’intimo coinvolgimento della paura. Quel delizioso solletico da gustare al sicuro tra le mura di una stanza riparata e della compagnia di altre persone.
Il testimone era passato a Terry Steeval che, col consueto garbo, cercava di riunire tra le dita le fila dell’attenzione, intrecciandoli in una parvenza di armonia.
Tre ragazzini del primo anno, stava dicendo, si erano persi nella Foresta Proibita e non sapevano come uscirne…
- Sicuramente non si trattava di Piccoli Gryffindor – mormorò Draco Malfoy chinandosi verso l’orecchio di Blaise Zabini – Tant’è che la Foresta Proibita esiste ancora -
Harry Potter trasalì e gettò un’occhiata in tralice verso Hermione. Vedendo che anche lei si irrigidiva masticò un’imprecazione e fissò, rabbioso, le fiamme del camino.
Era uno di quei momenti, che si succedevano con triste cadenza, nell’ultima settimana, in cui la spiava, ansioso di vedere confermato quel timore superstizioso che lo accompagnava dal famoso giorno in cui lei gli aveva rivelato tutto.
Che cosa aspetti di vedere? Ron rideva, ai suoi timori, forse esorcizzando i propri. Forse capelli biondi spuntarle in testa?
No, ma forse l’ombra argentea e fredda di uno sguardo alieno emergere di riflesso nel calore dei suoi occhi?
Harry, devo parlarti.
La rabbia e l’impotenza, vedere sbriciolarsi tra le dita anni trascorsi insieme.
Lei gli aveva mentito.
Se ne era innamorata, anche se non glielo aveva ancora detto.
Proprio di lui, la lezione d’odio.
Lui che aveva vinto la più disperata delle battaglie semplicemente rendendo le armi.
E adesso a lui, Harry, toccava restare fermo davanti a una verità che non aveva nessuna intenzione di digerire.
Il fumo negli occhi e il calore delle fiamme non gli piacevano. Arrivavano troppo spesso a ricordargli lunghi minuti di sopore tormentoso in cui gli occhi gli bruciavano di immagini che non avrebbe voluto vedere, il sudore che si asciugava sgradevolmente sotto la maglietta; la cicatrice che prudeva in maniera fastidiosa, piaga che suppurava di pensieri suoi e altrui, moti di un animo che era il complementare del suo. L’altro lato della moneta con cui avrebbe pagato il pedaggio per la strada che aveva scelto di percorrere.
Ascoltava con una parte della mente le parole di Terry Steeval, chiedendosi, anche a quel riguardo, se fosse solo un’eco della sua rabbia o semplice amarezza, quella che provava.
Per una sola volta, durante il corso di quella serata assurda, aveva incrociato lo sguardo di Terry e aveva compreso che gli era anche stata negata la banalità di una rivalità amorosa. In quel blu limpido non aveva visto traccia di odio o di rivalsa, solo la rispettosa compassione di chi abbandona, con un colpo di remo, le rive di un’isola distrutta.
E Ginny era sempre lì, a fumare, tranquilla. Con quella derisoria calma che era un colpo calcolato a quanto cercasse di opporle del suo orgoglio. Lei che aveva siglato col suo nome la clausola secondo la quale riservava solo a se stessa il privilegio di ferirlo.
A quel bacio silenzioso nel parco, quando lei lo aveva messo con le spalle al muro per costringerlo ad affrontare quello che stava succedendo tra Hermione e Malfoy, era seguito un silenzio ancora più pesante.
Generale di strategie sanguinarie, esasperante temporeggiatrice, lei si era ritirata nelle retrovie; aveva scavato trincee in cui lui inciampava in continuazione.

I miss you,
I miss you so far
And the collision of your kiss that made it so hard

My Chemical Romance, Cemetery Drive

L’infelicità sul viso di Hermione era una patina in cui specchiare la propria, il suo silenzio intrappolato la misura di uno dei tanti suoi fallimenti.
Il calore del camino era opprimente e lui così intorpidito da non essere nemmeno capace di raccogliere abbastanza energie per spostarsi. Respirare l’aria consumata di braci lo stordiva e gli dava un leggero e costante dolore di testa.
Rimandava di istante in istante la gravosa operazione di spostare una gamba o sgranchirsi la schiena, piegata sotto il peso di un torpore che gli riempiva la testa di ovatta e la mente di frammenti luminosi che scomparivano all’orizzonte di un tunnel troppo lungo e buio.
I tre bambini nella Foresta Proibita avevano tredici anni d’età e l’esperienza per muoversi con spavalderia nel buio delle notti di Hogwarts, ma non abbastanza per dominare l’inquietudine, rumore di fondo che accompagnava i loro passi.
Harry pensò che avrebbe voluto fermarli e avvertirli.
Non sapeva che cosa avrebbe detto loro, forse si sarebbe limitato a guardarli senza riuscire a spiccicare una parola che potesse illustrare la paura e l’amarezza, il dolore e la speranza, la disperata certezza di dover correre incontro a una fine, una qualsiasi, purché fine fosse.
In ogni caso, si disse, avrebbe dovuto avvertirli.
***

Little child
Be not afraid
The wind makes creatures of our trees
And the branches to hands
They're not real, understand
And I am here tonight

Vienna Teng, Lullabye for a Stormy Night

La nebbia livida, bassa trai tronchi degli alberi, creava un rimando di finto chiarore laddove il tetto fitto di fronde lasciava filtrare un raggio di luna. Sotto i loro piedi lo scricchiolio delle foglie secche e dei rametti morti era la protesta sommessa di quel cimitero vegetale che chiedeva soltanto di essere abbandonato a se stesso nella sua notte infinita.
I tronchi degli alberi, così larghi che non sarebbero bastate le braccia di un adulto per circondarle, si innalzavano come colonne leggendarie a sorreggere un cielo fitto di foglie buie, in cui si annidavano nuvole di nebbia abitate da creature che di angelico non avevano nulla.
Se le frecce dei centauri, scagliate per superare quella cortina di rami, intrecciati ad accogliere il fondo dell’inferno, potevano giungere a toccare il cielo, i loro sguardi spauriti non potevano. Si limitavano a velarsi di spavalderia non appena incrociavano quello degli amici, correndo poi ad assicurarsi che la luce sulla bacchetta fosse ancora abbastanza viva, lucciola nella notte, da consolare in segreto il loro cuore.
- Secondo me dobbiamo tornare indietro -
La voce della ragazzina aveva quella nota perentoria che, avevano imparato bene, andava assecondata oppure poteva tradursi nel preludio di qualche solenne baruffa.
- Hermione, non so nemmeno come si fa a tornare indietro -
Ron alzò gli occhi al cielo o meglio, alle foglie – Stiamo girando in tondo – disse – Forse ci conviene trovare un modo per chiamare aiuto –
- La Professoressa McGranitt ci espellerà – sbottò Hermione con aria tragica.
Un attimo prima la prospettiva, per esempio, di finire divorata da un ragno gigantesco, non l’aveva turbata in quel modo.
- Sbagliato – disse Harry – Prima ci ucciderà -
Hermione soppesò attentamente le sue parole, con l’aria di chi decisamente preferisce la morte biologica a quella civile.
- Che ore saranno? – domandò Ron e con un gesto carico di ribrezzo si allontanò dal filo argenteo teso trai rami di un arbusto basso – Ragni, dannazione -
- Non lo so – ripose Hermione, esasperata – Guardando la posizione delle stelle potrei arrivare a capirlo, ma le stelle non si vedono. Qui non si vede un bel niente –
Non aveva nemmeno finito di parlare che un braccio la tirò bruscamente di lato; un corpo magro e alto si frappose tra lei e una pioggia di foglie che si riversavano verso di loro.
Era sempre stato così: proteggersi a vicenda, e dietro la sua forza lei aveva delle fragilità inaspettate, tenere.
- Harry! -
Anche adesso, mentre dava le spalle a lei e la faccia a una minaccia sconosciuta, c’era una goccia di serenità che cadeva nel lago oscuro del pericolo, allargando cerchi sempre più ampi intorno a sé.
Uno scoppio di risa allegre indusse sia lui che Ron ad abbassare le bacchette, stupiti, mentre Hermione si faceva largo tra loro due, varcando la soglia immaginaria della prima linea.
- Vi siete persi? -
Un altro, allegro, scoppio di risa seguì quella domanda retorica.
- Che razza di domande, certo che si sono persi -
- Pivelli –
Erano in tre, e chi aveva proferito quel commento oltraggioso era un ragazzo alto e snello, sui diciassette anni, coi capelli bruni e gli occhiali sghembi, un sorriso bianco e accattivante che si fermò subito sull’unica ragazza presente, Hermione, accentuandosi. Il ragazzo sollevò una mano, con un gesto che sembrava dettato da una lunga consuetudine, e si arruffò i capelli – Possiamo riportarvi noi, al Castello – il tono di voce si era abbassato e aveva assunto una sfumatura decisamente affascinante.
Questo gli volse un’occhiata torva da parte di Ron e l’ammorbidirsi del cipiglio di Hermione che, tuttavia, non abbassò la bacchetta di un millimetro. Negli altri due ragazzi invece scatenò un’ondata clamorosa di ilarità. Quello dai lisci capelli neri si appoggiò con un gomito al tronco di un albero e crollò il capo in avanti scosso dalle risate. Quando sollevò la testa, i capelli oscillarono intorno ai lineamenti del viso che sembravano scolpiti col cesello, e gli occhi catturarono ogni essenza d’argento che danzasse nell’aria: la seta umida e lucente delle ragnatele, i raggi di luna, il bagliore perlato della nebbia, la stessa freschezza del vento.
- Ramoso, stai attento prima di andare a pascolare nei giardini altrui – la sua voce era dolce e pastosa, l’accento elegante aveva la stessa armonia del gesto seducente con cui si scostò una ciocca dalla fronte.
Il terzo ragazzo nascose, con garbo, un sorriso dietro il dorso della mano. Aveva capelli castani e un maglione troppo largo per lui, sdrucito sui gomiti ossuti; vivaci occhi scuri velati di dolcezza e malinconia, appena dissipata dalla scintilla della gaiezza; un’aura ineffabile di forza tranquilla si irradiava da lui simile alla vibrazione di una nenia gentile, nel buio.
- Lunastorta, che cosa ne dici? – il ragazzo con gli occhiali gettò la testa all’indietro e si unì al coro di risate – Questo screanzato mi ha dato del farfallone. Per tua norma, Felpato, io sono un tipo fedele! -
- Non c’è da stupirsi che i suoi vecchi lo abbiano buttato fuori di casa, coi modi che si ritrova - commentò Lunastorta staccando le spalle dal tronco dove era appoggiato, per affiancarsi all’amico con gli occhiali.
- Screanzato? Farfallone? – il ragazzo dai capelli bruni e lisci inarcò un sopraciglio, una pennellata di nero sulla pelle vellutata – Ti sei controllato per riguardo alle signore? –
- Davvero, Felpato, dovremmo mostrare la strada ai pivelli, prima che il vecchio Argus decida di appenderli per i pollici a qualche trave… -
Si scambiarono sguardi di identica complicità e poi esplosero in una nuova risata, di cuore, per qualcosa che, era evidente, conoscevano loro soltanto.
La faccia di Ron era sempre più contrariata, mentre squadrava con evidente diffidenza quei tre ragazzi che erano apparsi da nulla.
Tuttavia i suoi timori, come quelli di Hermione, erano del tutto infondati. Quei ragazzi erano studenti di Hogwarts e lui sapeva benissimo che facevano parte del Gryffindor, anche se non riusciva a collocarli esattamente in nessun momento vissuto a scuola.
Indossavano la divisa, in vari gradi di domestica trascuratezza che assumeva un aspetto di volta in volta disinvolto, nel ragazzo con gli occhiali che portava il maglione sulla camicia fuori dai pantaloni e la cravatta allentata; un po’ gualcito e fuori moda nel ragazzo dai capelli castani che gli altri avevano chiamato Lunastorta; e, infine, di negligente eleganza nel ragazzo dagli occhi grigi.
Quest’ultimo portava i baveri della camicia candida rialzati a sfiorargli il tratto deciso e delicato della mandibola, come se l’avessero sorpreso un istante prima di mettersi la cravatta, semivestito e non per questo meno attraente.
Accorgendosi che lo guardavano sorrise, con una grazia irresistibile che parve convogliare ogni barlume di luce disciolto nella notte.
- Andiamo – disse – Raccogliamo questi ragazzini e riportiamoli alla base. Comincia a essere tardi e la Foresta è un posto pericoloso -
Gli altri si dichiararono d’accordo e voltarono appena loro le spalle, incamminandosi e invitandoli tacitamente a seguirli.
Harry tese una mano con un nodo di pianto e di gioia nella gola dei quali non riusciva a comprendere il motivo. Sapeva soltanto che voleva seguire quei ragazzi con tutte le sue forze; che si sarebbe accontentato di osservare da lontano e di sorridere alla loro spensieratezza nello sforzo di custodirla dentro di sé a ogni costo.
Il suo sguardo scivolava sul sorriso del ragazzo chiamato Lunastorta, con affetto, per poi soffermarsi su Felpato, e allora una morsa gli stritolava il petto e lui non riusciva a spiegarsi il perché. I suoi occhi però erano sempre, irresistibilmente attratti dall’altro ragazzo, Ramoso.
Lo seguivano nelle sue evoluzioni disinvolte quando, insieme agli altri amici, intesseva il tragitto nella Foresta con le sue burle e l’eco della sua voce piena e allegra sembrava diffondersi nel buio disperdendo all’istante i fruscii che prima lo avevano spaventato, proteggendolo dagli occhi malevoli che lo avevano spiato.
Insieme agli amici giocava a nascondersi tra i tronchi poderosi, velati dalla nebbia spessa e viscida della notte; nulla sembrava spaventarlo, come se fosse realmente invulnerabile, lui e gli altri, alle minacce nascoste nel folto della Foresta. A un certo punto sparì alla vista ma, prima che Harry sentisse le ginocchia mancargli e l’angoscia farsi troppo forte per poterlo sopportare, sbucò da dietro un cespuglio dritto sulla schiena di Lunastorta che fece un salto e cacciò un urlo poco virile.
- Non è divertente James, non è affatto divertente! -
James.
- Sì che lo è! Terribilmente divertente – l’altro rise – Che cosa credevi fosse, Moony? Un licantropo forse? -
Questa battuta gli valse una risata da parte di Felpato e un’occhiata esasperata da parte di Lunastorta che però fu svelto a lasciarsi rabbonire, quando James gli diede un’amichevole stretta al collo.
Harry sentiva Ron e Hermione vicini, che camminavano accanto a lui, ma non si voltò verso di loro, non voleva che lo vedessero così, a sorridere come un idiota battendo le palpebre per disperdere le lacrime.
Gli altri tre ragazzi cominciarono a cantare una versione stonatissima dell’inno di Hogwarts, decorandola con gemiti agghiaccianti, strofe in falsetto e versacci buffi, mentre continuavano a rincorrersi tra gli stracci di nebbia che si impigliavano, strappandosi, trai rami bassi dei cespugli, alla luce della luna che andava facendosi sempre più forte a mano a mano che uscivano dal folto del bosco.
La sagoma del Castello emergeva dalle brume del lago, le mura poderose ingentilite dalle luci delle finestre.
I tre ragazzi li salutarono con la mano, sembravano terribilmente lontani, adesso.
- La prossima volta state attenti, pivelli, si possono fare brutti incontri nel bosco! – urlò Felpato.
- Per esempio dei lupi mannari – gli fece eco Ramoso.
Papà, aspetta.
- E falla finita! – Lunastorta diede un pugno scherzoso sul braccio di James.
- Ramoso, perdonami a battuta ovvia e trita, ma forse sarebbe il caso di andare a controllare cosa sta facendo la tua ragazza … -
Non andartene, è troppo presto e io non sono ancora pronto.
I tre ragazzi esplosero in una risata che sembrò soffiare insieme al vento, intrecciandosi alle foglie tenere e mosse i fili argentei a cui erano appese campanelle invisibili che continuarono il loro rintocco struggente, anche quando il vento ne portò l’eco lontano da loro.
***

- Harry! -
La mano aggrappata al braccio con cui si puntellava il mento provocò una frana del volto, occhiali, frammenti di espressione, tutto.
Terry Steeval aveva concluso il suo racconto e Anthony Goldstein stava facendo un’osservazione, la voce calda e riposante come sempre – Ci sono parecchie varianti di questa storia. Di solito però si conclude con un ritorno tranquillo e chi riporta indietro i dispersi è un gruppo di sconosciuti che poi si scopre essere gli spiriti di altri ragazzi che invece non sono mai più tornati a casa -
Mai più tornati a casa.
- Oppure è una singola persona che lascia indietro un oggetto suo, utilizzato per risalire alla sua identità, scoprendo immancabilmente che si tratta di una persona morta nei luoghi o nelle circostanze in cui si è manifestata o magari una persona collegata in qualche modo a quella a cui è apparsa -
- Molto più rassicurante di quella del tizio che si appende alla coda delle scope e poi abbatte il pilota a colpi d’ascia – disse Terry con un gran sorriso – Almeno questo tipo di storia contiene un messaggio positivo –
Incurante della conversazione, Hermione continuò a fissare Harry, toccandolo appena, in un gesto inconsapevole e rassicurante.
- Harry, tutto bene? -
Il ragazzo riscosse girando automaticamente il viso verso una spalla, un istintivo gesto di protezione, mentre il braccio correva sugli occhi.
- Mi ero addormentato, scusa Hermione -
La lana ruvida del maglione strofinata contro le palpebre era un ottimo alibi per il rossore degli occhi, il sonno la scusa adatta per potersene finalmente andare.
Il sorriso che rivolse all’amica si sgretolò, veloce, gli occhi si abbassarono sulla mano che ancora indugiava sopra il suo braccio.
Un tenue sorriso segnò la riconciliazione per un litigio mai avvenuto, intorno al quale giravano, timorosi, da qualche giorno a quella parte.
Harry, ti devo parlare.
Il colore livido del cielo, all’interno della stanza del settimo Gryffindor e l’unica parola che lo aveva soffocato come un boccone avvelenato, prima di sputarla addosso a lei.
Vattene.
- Va tutto bene? – le domandò lei, sommessa.
Hermione sollevò una mano per posargliela, di nuovo, sul braccio, ma l’indecisione tradita da quel gesto incontrò la condanna ferita di un paio di occhi grigi che la trafissero prima di ritornare nel buio da cui erano usciti.
Quella domanda non si riferiva soltanto agli alle palpebre arrossate e all’espressione smarrita che sapeva di portare stampata in viso. Harry lo comprese e, istintivamente, posò una mano su quella di lei.
- Sai, - disse, in un tono che avrebbe voluto scherzoso – credo di averti sognata -
L’impulso successivo fu sollevare lo sguardo per scandagliare le ombre dall’altro lato della saletta.
Sapeva di trovarlo come l’altro sapeva benissimo che l’avrebbe cercato.
Lei era l’unica cosa che potevano avere in comune due nemici: un campo su cui massacrarsi.

You're running after something
That you'll never kill
If this is what you want
Then fire at will

My Chemical Romance, Thank you for venom

Adesso Draco Malfoy lo stava osservando, il volto parzialmente mascherato dalle ombre, dove la luce della candela non arrivava a toccargli il viso.
Nonostante questo, nella rigidità delle spalle, nel tamburellare delle dita sul ripiano del tavolo, nella linea delle labbra, poteva leggere ogni carattere dell’ultimatum che gli aveva porto qualche giorno prima, in quel parco invaso da un sole autunnale che creava l’illusione di una primavera risvegliata per sbaglio dal suo sonno segreto.
Lentamente, il giovane si piegò in avanti, appoggiando entrambi gli avambracci sul tavolo. La studiata pigrizia di quel gesto non dissimulava la tensione che emanava dalla sua persona, né il deliberato chinarsi del volto, per gettargli uno sguardo, da sotto in su, che era l’aperto invito ad arretrare oltre la linea di confine, nella zona di sua competenza, quella, per intendersi, più lontana possibile dalla sua ragazza
Harry Potter aveva sempre saputo che al tavolo delle trattative ci sarebbe stato qualche intoppo.
Le delegazioni erano più occupate ad sgomberare le ambasciate che a preoccuparsi dei protocolli, i generali affilavano le spade.
Sì, si disse Harry, prima o poi qualcuno sarebbe stato sorpreso in clandestinità oltre la frontiera e giustiziato a vista, senza processo.
***


If you weren’t ever coming back
Why didn’t you just tell me that
Dressed in sex and stardust lies
Subconscious dreams are so unkind
Sometimes I hear your voice

Darling Violetta, Beautiful

- Draco, vecchio mio, hai trovato qualcosa di interessante sul fondo del bicchiere? -
Una breve risata, gaia e priva di spensieratezza.
- No, infatti adesso sto cercando sul fondo della bottiglia -
Era evidente che Blaise Zabini, da buon amico, aveva deciso di aiutarlo nelle ricerche, perché si versò una razione generosa di liquore nel bicchiere, poi lo sollevò in un brindisi generico e nemmeno troppo ironico, alla riuscita di quella serata.
Hermione osservò lo sguardo silenzioso che si lanciarono poi attese, paziente, che Draco ammettesse, tacitamente, di aver notato la sua presenza.
Si era alzata - turbando appena il filo delle chiacchiere tranquille dei ragazzi Ravenclaw, la quiete argentina delle voci femminili, il fermo calore di quelle maschili, parasoli di seta cinese in un uragano - e lo aveva raggiunto sospinta dall’irritazione e da quella strana nostalgia che la coglieva ogni qual volta c’erano pause di distacco tra loro.
Blaise Zabini non girò nemmeno lo sguardo nella sua direzione, ma, impassibile come una scultura, abbandonò il campo, lasciandolo nelle sue mani, come se lei avesse saputo esattamente cosa farsene.
In silenzio appoggiò entrambe le mani sul ripiano del tavolo, lucido e profumato di cera, studiando le graffiature e le macchie lasciate sulla sua superficie dagli anni. Draco le girò intorno, un movimento in apparenza distratto, con cui si avvicinò al vassoio d’argento con la bottiglia di cristallo e i bicchieri che si trovava alla sua destra.
Cincischiò col tappo sfaccettato della bottiglia, lasciò cadere qualche goccia nel bicchiere ancora pieno per metà, le gettò, da sotto le ciglia, uno sguardo che avrebbe liquefatto anche il granito.
Lei sollevò il mento e sostenne i suoi occhi, le mani premute con forza sul tavolo; forse, si disse lei, per impedirle di mettergliele intorno al collo e non per delle carezze; e forse, ammise con una parte infinitesimale dei suoi pensieri, per evitare che tremassero.
Era passato troppo poco tempo, lui le faceva ancora quell’effetto.
Sogguardandolo spostarsi di nuovo intorno a lei, lento, senza toglierle di dosso quegli occhi freddi, sfiorandola con deliberata casualità, si domandò se mai si sarebbe abituata completamente alla sua presenza.
Era una trazione sottile, una vibrazione dei sensori della pelle che avvertivano la sua vicinanza e poi qualcosa di più primitivo, mentre le girava intorno con l’ipnotica regolarità della fiera che aspetta solo il momento perfetto per attaccare.
- Sembri nervosa -
La dolcezza ironica della sua voce bassa, intima, racchiudeva appieno mille corollari ai suoi pensieri che lui aveva intuito con una sicurezza istintiva.
- Non mi stai rendendo le cose facili - sussurrò.
- Non ho mai detto che lo avrei fatto –
Limpida e di gola, la sua voce era una lusinga impalpabile, era la certezza di qualcosa di tenero e oscuro che avrebbe consumato insieme a lei da lì a poco.
Dietro quella calma apparente, era contrariato e non si dava nemmeno la pena di nasconderglielo, semplicemente il suo autocontrollo era l’abito che avrebbe smesso solo se provocato oltre misura.
La guardò ancora, nuda riprovazione questa volta.
- Che dolce, - disse con una tenerezza ineffabile che le fece risuonare dentro una sinfonia di campanelli d’allarme – ti ha sognata -
Il disprezzo era tangibile al punto che avrebbe potuto tagliarlo con un coltello o forse, era esso stesso un coltello.
- Allora ci senti, Malfoy – gli rispose, calma – quando decidi di farlo -
La tensione adesso era talmente forte che lei fantasticava, con timore e anticipazione, sul momento in cui l’avrebbe sentita addosso.
Anche i momenti in cui lo odiava erano confuse vampate di calore e collera incandescente in cui le carezze e gli schiaffi si sarebbero confusi fino a rivelare quel nucleo di violenza che risiede in ogni passione.
- Abbastanza da farmi recedere dalla decisione di ammazzarlo – spiegò lui in tono discorsivo – Sai, non vorrei che il suo sonno eterno fosse allietato da sogni che possono irritarmi –
- Ti rendi conto da solo dell’assurdità dei tuoi argomenti o preferisci che sia io a sottolinearla? –
Se la sua lingua poteva essere più rapida e velenosa di quella di qualsiasi serpente, non poteva certo credere di poterla tacitare con così poco.
- Credo di averti già detto che devo avere un motivo valido per discutere con te. Non ritengo tale l’oggetto di questa conversazione -
- Allora perché l’hai cominciata? –
- Attenta –
- Sono attenta –
Si studiarono per un lungo momento, in silenzio. Le chiacchiere di sottofondo erano una nenia monotona, la calma relegata in un punto lontano dalla loro tregua armata. La luce del camino illuminava il cerchio di persone tenendo, per contrasto, loro due in un’alcova d’ombra. Intimità soltanto apparente, Hermione poteva immaginare che molti degli altri avessero un orecchio rivolto alle chiacchiere salottiere e l’altro a captare le loro parole.
- Che cosa vuoi farne di questo momento, Malfoy? – gli domandò, con semplicità – Trasformarlo in un litigio? -
Lui spalancò leggermente gli occhi, facendole capire di averlo preso in contropiede, tuttavia piegò la testa di lato come se volesse soppesare attentamente le sue parole prima di risponderle, così i capelli scivolarono a sfiorargli la guancia, soffici, biondi come miele chiaro. Lei tese una mano, nel gesto amato e consueto, ravviandoglieli dietro l’orecchio, seta soffice e pelle calda e delicata sotto le sue dita. Lui non si mosse, tranne il reclinarsi impercettibile della testa per assecondare il suo movimento e accentuare il contatto con la sua mano. Gli occhi grigi rimasero inchiodati ai suoi, nuvole chiaroscure li attraversavano, velandone la limpidezza di una miriade di pensieri. - Stai cercando di manipolarmi? -
Gentilezza quasi priva di sottintesi nel suo tono, adesso. Lei comprese di poter prolungare quella carezza e gli lasciò scivolare la mano verso la nuca, posando il palmo sul suo collo.
- Dei due, non sono io a chiamarmi Draco Malfoy -
Vide la scintilla di una risata incendiargli lo sguardo prima di raggiungere le labbra. Spostò la mano dal suo collo alla spalla dove le labbra di lui la raggiunsero per un rapido bacio.
Che cosa vuoi farne di questo momento?
Dopodichè lasciò ricadere la mano mente lui indietreggiava di un passo. Le tenne discosta una sedia, formale ed educato, per invitarla tacitamente a sedersi, poi prese posto accanto a lei. Subito accolse l’invito della mano che lei lasciò tra le loro sedie, nascosta dal tavolo, e le sue dita, fredde come ogni volta che si innervosiva, strinsero quelle di lei, lasciandosi scaldare.
Il contraccolpo di emozione al cuore era previsto, ma non per questo fu meno violento. Hermione si portò la sua mano in grembo e la coprì anche con l’altra, crogiolandosi nella sensazione di essere libera di riempirla di carezze.
Lui, con un sospiro, si sollevò quel tanto che bastava per unire la sedia alla sua.
***

And I feel like I'm being eaten
by a thousand million shivering furry holes
and I know that in the morning
I will wake up
in the shivering cold
and the spiderman
is always
hungry …

The Cure, Lullaby


Qualcuno aveva tirato fuori un cesto di noci e castagne e adesso si stavano divertendo ad aprirle a colpi di bacchetta e a gettare i gusci nel fuoco.
Nemmeno un minuto prima, Daphne aveva praticamente fatto esplodere il guscio di una noce i cui frammenti avevano accidentalmente raggiunto la faccia di Ronald Weasley.
Poco male, pensò Blaise, eventuali cicatrici si sarebbero potute confondere comodamente con quella marea di ineleganti lentiggini, inoltre per suo sommo giubilo il Migliore Amico avrebbe avuto qualcos’altro di sgradevole in comune con Potter, a parte l’idiozia, ovvio. Zabini scosse il capo, perplesso: da che esisteva il mondo, una cicatrice era più o meno una tragedia. Bene inteso, non che il Ragazzo Sopravvissuto avesse chissà quali lineamenti perfetti da preservare, ma al suo posto lui sarebbe corso dal miglior Guaritore di Magia Estetica in circolazione per rimediare al disastro, non se ne sarebbe andato in giro tranquillo e orgoglioso con quello sfregio a sfigurargli la fronte (la sua era liscia e marmorea anche senza ricorrere alla Fattura del Botulino).
Anzi, a pensarci bene, visto che aveva l’aria di una deturpazione irreparabile, nei suoi panni, avrebbe preferito che il famoso Avada Kedavra fosse andato a buon fine. Ma quelle, del resto, erano scelte personali e non poteva pretendere che tutti possedessero il coraggio di affrontare la morte in nome di un nobile ideale.
Spostò di nuovo lo sguardo da Harry Potter, che sembrava abbacchiato e aveva, se possibile, l’aria ancora meno intelligente del solito, a Ronald Weasley, soffermandosi su di lui con una blanda curiosità accademica che era più o meno l’unico motivo che poteva spingerlo a notare l’esistenza di quel bipede a pelo rosso.
A proposito di creature inferiori, il Re stava osservando, da un pezzo, con palese diffidenza, i ciocchi di legno ammucchiati in una cesta vicino al camino. Blaise estrasse dal taschino della giacca il portasigarette d’argento e si infilò una sigaretta tra le labbra; prevedibile come un’armata di Gryffindor nel luogo giusto al momento sbagliato, Daphne gli sventolò la mano impaziente sotto il naso e lui vi depose il portasigarette che, un attimo dopo, gli veniva ributtato in grembo senza garbo né ringraziamento.
- Di nulla – mormorò nascondendo un sorriso che ebbe in risposta solo uno sbuffo irritato.
La cesta, per quanto lo riguardava, conteneva normalissimi ciocchi di legno, a meno che tutti non si fossero sbagliati di grosso e non fossero in realtà Mangiamorte che, per cause di servizio, avevano corretto con la segatura la loro Pozione Polisucco.
Sui normalissimi ciocchi, però, brulicava una certa quantità di ragnetti scuri che zampettavano alacremente forse sospettando che, se non si fossero affrettati a sgomberare il campo, molto presto sarebbero finiti arrosto.
Colto da improvvisa ispirazione, Blaise, mascherando abilmente il movimento della bacchetta con quello, banale, per accendere la sigaretta, mormorò – Relascio
Uno o due ragnetti volarono dalla cesta al bordo del tappeto, quasi sul piede di Ronald Weasley. Il Re impallidì e si tirò precipitosamente indietro nemmeno avesse avuto davanti la McGranitt in sottoveste e di umore particolarmente romantico.
Terry Steeval aveva raccontato una sfilza di storielle abbastanza raccapriccianti, da quella della vecchietta che per asciugare il cane aveva puntato la bacchetta e detto Incendio; a quella della studentessa di Hogwarts che riceveva gufi anonimi in continuazione e aveva scoperto che provenivano dalla guferia della scuola solo tre minuti prima di essere sgozzata. Ginny Weasley aveva rincarato la dose con quella della tizia che, per scommessa, era andata di notte nel cimitero di Hogsmeade ed era rimasta impigliata con l’orlo del mantello al bordo di una pietra tombale, così, credendo che fosse una mano sbucata dalla tomba, ci era rimasta d’infarto a causa dello spavento.
Seguendo l’estro del momento, Blaise richiamò l’attenzione generale con un gesto leggiadro della mano.
- Ho sentito una storia abbastanza verosimile -
Soddisfatto, si accorse di essere riuscito a dare alla propria, splendida voce, l’intonazione desiderata, a metà tra la confidenza e una certa, pudica, reticenza, che poteva soltanto stimolare la curiosità.
Le Blue Ladies lo guardavano con occhi amorevoli, che rilucevano di tutta la loro predilezione per lui.
Daphne sbuffò.
- Verosimile – ripeté, con evidente scherno.
- Non sto scherzando – replicò lui, serio – Tempo fa l’ho sentita raccontare dal nostro chiarissimo docente di Cura delle Creature Magiche alla nostra illustrissima insegnante di Trasfigurazione. Vi dirò, sembrava anche molto preoccupato -
- C’era stata una moria di Vermicoli Venefici? – intervenne una voce fredda e strascicata alle sue spalle.
Sussulti di Gryffindor indignati, nella loro trincea dall’altro lato del camino, una voce dolce di donna, con parole indistinte di rimprovero, sedava quel guizzo di Umorismo Malfoy.
Blaise si schiarì, con discrezione, la voce, e attese, paziente, che si facesse silenzio, poi continuò – Una situazione simile si era verificata anni or sono e aveva creato non pochi problemi alla scuola. Purtroppo, sembra che ci siano fondati motivi per ritenere che la storia si stia ripetendo
Teste che annuivano da parte dei Ravenclaw, pieni di sincera curiosità; sguardi giustamente allarmati da parte dei Gryffindor che, di solito, quando la storia si ripeteva, finivano immancabilmente per ritrovarsi pietrificati in Infermeria, a sgozzare galletti o con una sorella che sgozza galletti, a un rendez-vous con un Basilisco, in mezzo a uno zoo di Animagi e mannari e Piton incavolato come una bestia, oppure legati a un lapide con una fetta di braccio in meno e, di sicuro, con il numero dei parenti vivi in forte calo.
- C’era una specie di creature maligne – disse Zabini, in tono accuratamente vago, dosando bene e parole – che vivevano nel castello. Molto pericolose, a quanto pare -
- Oh! – i fatati occhi blu di Tess Steeval erano sgomenti – Parli degli alligatori che vivono nelle fogne di Hogwarts? –
Molte paia d’occhi si spostarono da Zabini a lei e Jalice Love mormorò a bassa voce – E’ vero, questo fatto degli alligatori, me lo ha raccontato l’amico di un cugino del fratellastro della cognata di Warrington –
- Allora sarà sicuramente vero – esalò Reese in tono ancora più sommesso – il cugino del fratellastro della cognata di The War è una fonte attendibile -
Blaise attese nuovamente che si creasse la giusta aspettativa e lasciò cadere lì, con studiata gravità – Non si tratta di alligatori, ma di una rarissima specie di ragni velenosi –
Ebbe la soddisfazione di vedere Weasley che impallidiva nemmeno avesse avuto davanti la McGranitt in sottoveste e di umore particolarmente romantico che inoltre lo invitava a una cosa a tre con Piton.
- Dannato inferno – imprecò il Re – Non è vero -
- Pare che questo tipo di ragni ami nidificare nelle travi delle Torri – continuò Zabini ignorando l’obiezione e suscitando un’ulteriore deflusso di sangue dal viso di Weasley.
- Il nostro professore emerito di Cura delle Creature Magiche stava per l’appunto raccontando all’eccellentissima professoressa di Trasfigurazione, che anni fa un ragazzo era stato punto nel sonno, in testa, da quello che sembrava un innocuo ragnetto. Si era svegliato, ma naturalmente non aveva dato importanza alla cosa. Qualche giorno dopo lo avevano portato d’urgenza in infermeria a causa di dolori atroci alla testa e di allucinazioni terribili –
In breve, era stato necessario trasferire il ragazzo al San Mungo dove, avevano presto scoperto una realtà molto sgradevole: quando il ragno aveva punto il ragazzo, aveva deposto delle uova che si erano schiuse nella sua testa…
Il volto di Ronald Weasley aveva assunto una gradevole sfumatura tra il verde e il grigio che, pensava Zabini, si accordava molto male col colore chiassoso dei suoi capelli.
- Io credo che andrò a dormire – Ronald Weasley si alzò, precipitoso, fissando la porta con un desiderio che lo proiettava già a miglia di distanza da lì.
- Non è una cattiva idea – Harry Potter si alzò a sua volta.
Ginny Weasley si attardò per dare la buona notte alle Blue Ladies e ai ragazzi Ravenclaw, Ron Weasley guardava di sottecchi in direzione di Daphne che, fissava il pavimento, in attesa.
Le chiacchiere delle Blue Ladies e gli accenti più profondi di Steeval e Goldstein, che salutavano i ragazzi Gryffindor non riuscivano a distendere quel momento così teso che tutti, in un modo o nell’altro, non potevano fare a meno di avvertire. Infine Daphne parve decidersi e, con riluttanza, fece per avvicinarsi a Weasley.
Blaise Zabini abbandonò il braccio sinistro lungo la sponda della poltrona e mosse la bacchetta in silenzio – Aracnis – esalò, appena con un filo di voce.
- Ma che roba è? – esclamò Daphne, sorpresa, per nulla spaventata. Con un gesto infastidito, ma tranquillo, spazzò via dal braccio un paio di ragnetti che zampettavano tranquilli sul suo maglione bianco aderente.
Ronald Weasley invece la guardò, inorridito, e fece un salto indietro, Daphne lo fissò a bocca aperta, lasciando ricadere lungo il fianco la mano ancora tesa verso di lui.
- Weasley, - proferì, la voce molto simile al suono prodotto dall’attrito tra due faglie di ghiaccio – che razza di comportamento è mai questo. Non puoi controllarti? -
Con le orecchie rosse per l’imbarazzo, Ronald Weasley, forse per dimostrare di essere ancora all’altezza del suo soprannome, si diresse regalmente verso la porta seguito dal lampo freddo di un paio di occhi verdi che si soffermarono su di lui, duri come sassi nelle mani di un teppista.
- Daphne – disse lui, con una mano sulla maniglia, – Vieni via? -
Lei non rispose, ma non prima di aver atteso, con ostinata pazienza, che lui si voltasse a guardarla.
- Sì, ma non con te –
***

Don't you forget I get what I want
All I want is you
Red rubies, daffodils
Gentle breezes and windowsills
Starlight silver radiation

Darling Violetta, Spoiled and Rotten

Il parafuoco proveniva dalla sala comune di Slytherin. Un cimelio dell’anteguerra, non si sa quale. Serpenti di ferro battuto che si intrecciavano intorno a tralci di spine, proiettando ombre contorte sul tappeto.
Sulla sua mano, tatuaggi di impressioni volatili, destinate a perdersi nel fumo che saliva verso il buio del cielo.
- Hai finito di giocare alle ombre cinesi? -
Brusca, la voce di Daphne Greengrass non conteneva traccia di quelle incrinature acute, accuratamente femminili, che denunciavano la raggiunta frontiera di una gracile tolleranza.
Ma lei, in fondo, creatura cantata nei miti, corpo di dea e cuore di serpente, portava nelle mani una capacità di sopportazione così imprevedibile da essere un’arma troppo infida anche per essere usata in una guerra.
Rischiava di esplodere nelle mani sbagliate.
Seduta al suo fianco, a respirare fumo di legna e di rose selvatiche, bruma nel buio, indurita da un’ira silenziosa, si piegava appena, ma solo come un nerbo pronto a scattare in tutta la sua brutalità.
- Sì, ho finito, di giocare -
Le sfumature si aprivano, delicate corolle di fiori mortali, intorno all’essenza della sua voce, nettare dorato e veleno.
Centellinò le parole come la feccia di un calice, un attimo prima di rovesciarlo per sacrificare le ultime gocce; come la conta dei secondi prima di scagliare una maledizione, quei tre istanti scanditi solo per indicare, sadici, la spada di Damocle che cala e troppo brevi per evitare la sua lama.
Lei infatti vibrò del gesto con cui si volse di scatto a guardarlo, fredda e tempestosa – Hai intenzione di stare zitto? –
Quel sibilo di taglio aveva smesso di scalfirlo da tempo perchè riconosceva le implicazioni della vicinanza; essere il primo bersaglio significava, in ultima analisi, essere il bersaglio più prossimo. Bersaglio e scudo, poi la freccia avvelenata della provocazione.
- E tu hai intenzione di lasciarti ancora umiliare così? -
Daphne si alzò, la grazia innata che non celava del tutto l’impeto d’ira che aveva dettato quel movimento, e si diresse verso il tavolo e le bottiglie di Firewhisky.
Anthony Goldstein continuò a raccontare, indisturbato, la gustosa storiella della ragazza scoperta accidentalmente dal futuro sposo mentre intratteneva il di lui testimone in quello che sarebbe dovuto essere il nido futuro d’amore.
- …Lui però esce di casa senza farsi notare e non dice nulla. Il giorno dopo si presenta lo stesso sull’altare e alla domanda di rito: vuoi tu prendere come tua legittima eccetera eccetera, risponde tranquillamente un bel no; poi dice ad alta voce, al testimone, “Magari puoi sposartela tu questa Donna Scarlatta, così continuate quello che stavate facendo ieri notte nel mio letto”; infine si gira verso gli invitati e conclude “Andate pure alla cena nuziale, tanto pagano i genitori della Donna Scarlatta” -
- Lodevole – disse Blaise, distrattamente – Un’uscita in grande stile –
- Ma questa non è una leggenda metropolitana – disse Jalice Love – E’ successo davvero a un amico di un mio amico –
- L’ho sentita anche io questa storia – intervenne Reese Hewitt – Me l’ha raccontata un cugino del Northumberland di Susan Bones, che lo aveva saputo da un amico di un altro cugino alla lontana, però forse ho capito male perché doveva parlare a bassa voce: eravamo al funerale di Diggory … -
- Ma dai… -
- Stai scherzando -
- Giura –
Reese guardò le amiche, perplessa, forse un po’ dispiaciuta perché la sua parola era stata messa in dubbio – Non sto scherzando: giuro che eravamo al funerale di Diggory -
Anthony Goldstein spostava lo sguardo dall’una all’altra, seguendo quel surreale scambio di battute stile palleggio dei pazzi, del tutto impotente, non riuscendo a capacitarsi di aver scoperchiato un tale vaso di Pandora.
- Non ci riferivamo a quello, cara. Lo sappiamo che eri a quel funerale: ci sei venuta con noi – disse Tess, in tono affettuoso – In ogni caso, chi era lei? La sposa, intendo -
- La sorella maggiore di Josie Macnair – rispose Reese, immediatamente - Non mi ricordo mai come si chiama … -
- Stella – intervenne Jalice.
- Giusto, Stella. E’ successo a lei –
- Noooo …e com’è finita? –
- Beh – Reese scrollò le spalle – Tu avresti dato della Donna Scarlatta alla figlia di un boia per ben due volte di seguito? –
***

Justin Finch Fletchley, segretario del Club dei Duellanti, fece capolino dalla porta della saletta, denominata, forse con un po’ troppo ottimismo “Club House”, che era quasi mezzanotte.
L’esodo dei Gryffindor verso la loro Torre e l’inoltrarsi della notte, avevano causato un ulteriore slittamento verso la fase di relax. I ragazzi, che per quasi tutto il pomeriggio erano stati occupati a tenere lezioni al Club dei Duellanti per dimostrare ai professori che consideravano il duello una disciplina sportiva e non un metodo per il regolamento dei conti, erano a dir poco estenuati; la lunga serata di racconti a lume di camino non era stata riposante se non in parte, così, dopo che anche le Blue Ladies si erano ritirate – Tess si era sbracciata dalla soglia stile sposa di guerra che penzola dal parapetto del Queen Mary in partenza per l’Europa, dichiarando che andavano a mettere a punto due cosine per La Festa – gli ultimi rimasti si godevano chiacchiere a bassa voce, su argomenti poco impegnativi.
Terry Steeval si era quasi addormentato e Daphe Greengrass continuava a fumare chiusa in un silenzio cupo; anche Hermione si assopiva a tratti, sprofondando nei cuscini pesti di una poltrona accanto al fuoco, svegliandosi quando sentiva la voce di Draco intrecciarsi a quelle di Anthony Goldstein e di Blaise Zabini.
Draco si era seduto per terra, la schiena appoggiata alla sua poltrona, le lunghe gambe incrociate sul tappeto. Schiacciava noci tra le dita e gettava i gusci nel camino, il bicchiere al suo fianco, adesso, conteneva solo succo di zucca, e l’espressione del suo viso aveva riacquistato una serenità che lei amava osservare in tutte le sue sfumature, dal gesto disattento con cui avvicinava le mani bianche al parafiamma per scaldarsele, a quello, rilassato, con cui sciolse il nodo della cravatta che lasciò a penzolare intorno al collo.
Lei aveva una mano abbandonata sulla pelle consumata del bracciolo e per sfiorare i suoi capelli le sarebbe bastato spostarla di poco, ma al momento si stava godendo la semplice consapevolezza di averne la facoltà, di poter semplicemente protendersi per poterlo toccare a piacimento. Lui non si sarebbe opposto, ma avrebbe socchiuso gli occhi nell’espressione che ben conosceva, un felino soddisfatto, un serpente che raccoglieva le spire, permettendole di scaldare la sua pelle morbida e fredda.
Come se avesse colto il filo dei suoi pensieri, Draco si voltò sollevando il viso per guardarla.
Lei aveva una mano trai suoi capelli e poi sulla sua spalla ancora prima di rendersene conto.
Draco la coprì con la propria e lei fu grata di non aver partecipato alla conversazione, perché in quel momento sentiva una stretta alla gola che le soffocava la voce.
Quella di lui era velata, mentre rispondeva al saluto generico di Justin Finch Fletchley che entrava nella stanza.
Malfoy si schiarì la voce, senza lasciarle la mano, e accolse il suo segretario con un sogghigno.
- Torni sul luogo del misfatto? Le tue fidanzate sono appena andate via -
Justin fece una smorfia, ma, naturalmente, una rimostranza così blanda e garbata non poteva avere ragione di quella faccia di bronzo, così Malfoy scoppiò apertamente a ridere e gli rivolse un’occhiata apertamente canzonatoria. Anthony Goldstein si unì alla sua risata.
- Anthony, anche tu? -
Justin era il tipo di ragazzo che avrebbe reso furiosa d’orgoglio la metà delle madri e indotto l’altra metà a cercare di accalappiarlo per la propria figliola.
Il suo inglese colto e i suoi modi aristocratici facevano venire in mente battute di caccia e cognomi con un paio di secoli cadauno e contea d’ordinanza; energiche nonne nobildonne, in ghette e cappello di paglia, che si coltivavano da sole i piselli odorosi, mentre stuoli di cameriere lucidavano tiare e corone ducali.
Alle ore trascorse a snocciolare declinazioni latine e alle conferenze in frac all’ombra di Horace Warpole e Percy Bysshe Shelley, Justin aveva preferito respirare i fumi di un calderone e mandare a memoria formule magiche; ritratti che parlavano a quelli lugubri dei suoi antenati, incidenti che mai avrebbe potuto raccontare alla nonna col parasole e alle debuttanti che presto avrebbero cominciato a piazzargli sotto il naso.
Ogni tanto Hermione lo sorprendeva soppesare camicie splendenti di alcuni compagni e scarpe di disarmante lucore, confrontandole con le proprie giacche, vecchie e di splendida fattura e con le proprie valigie ereditate dal padre; poi scuoteva impercettibilmente la testa, nell’unico atteggiamento blasè che si concedeva, probabilmente chiedendosi quale fosse il concetto di “nuovi ricchi” nel Mondo dei Maghi.
Era il classico tipo che ci si sarebbe immaginato, imbacuccato in un vecchio giaccone di Burberry, a portare a spasso un paio di cagnoni affettuosi in una tenuta di campagna, mentre mamma organizzava il tè delle cinque.
Era il tipo che, da qualche giorno, mezza Hogwarts, compresa la povera, tragicamente incredula, professoressa Sprite, si immaginava coinvolto in un torrido convegno amoroso con Jalice Love e Reese Hewitt, contemporaneamente, proprio all’interno del Club dei Duellanti.
- Malfoy, – protestò Justin – avrei dovuto lasciare che ti rispedissero nel Wiltshire -
- Invece di essermi grato per essere diventato l’eroe di Paciok -
Hermione sospirò rumorosamente per manifestare la sua disapprovazione, Malfoy si limitò a farle una carezza furtiva sulla mano. Lei gli affondò un’unghia aguzza nel palmo e lui sobbalzò, rivolgendole un’occhiata di rimprovero.
- In ogni caso, credo che per stasera tu abbia finito di battere la fiacca, Malfoy – riprese Justin, in tono decisamente soddisfatto – Sta succedendo qualcosa di strano e sembrano tutti molto preoccupati. Stanno chiamando a raccolta i Caposcuola e Pansy non si trova, credo ti toccherà intervenire -
L’espressione di Malfoy si era rabbuiata, quella di Justin, invece, era alquanto compiaciuta.
Desolante.
Malfoy riusciva a instillare insani propositi di vendetta anche nel Piccolo Lord.
- Accidenti – Malfoy si passò una mano sul collo – Dove sarà Pansy? -
- E’ nelle cucine – rispose Blaise, pronto.
- E a fare cosa? –
- Sta stirando le mie camicie –
Tre paia d’occhi perplessi si spostarono automaticamente su di lui, i restanti due paia erano rivolti al soffitto in un atteggiamento di muta esasperazione.
- Deve fare esercizio – Blaise scrollò le spalle – E’ letteralmente un disastro -
- Ovunque sia – Justin sembrava particolarmente contento di rincarare la dose – Ti conviene andare a recuperarla, Malfoy. Piton vi sta cercando e anche la McGranitt, nessuno dei due sembra particolarmente contento di non avervi ancora trovato –
- Accidenti –
Justin non fece in tempo a godersi la sua contrarietà, che Padma Patil entrò a precipizio nella stanza. Era vestita in modo approssimativo, la camicetta sotto il maglione della divisa sembrava sbottonata e i capelli neri erano fissati sulla nuca da un semplice spillone di legno.
- Anthony – i suoi occhi neri si fermarono sull’altro Caposcuola di Ravenclaw – Abbiamo un problema -


***************************************************


L’ispirazione di questa storia immagino sia abbastanza chiara: in parte Urban Legend e in generale le leggende metropolitane che si raccontano in giro, alcune riadattate allo scopo.
Per prima cosa volevo ringraziare moltissimo tutti quelli che hanno recensito Purify: è stata una sorpresa grandissima trovare tante persone dopo tutto quel tempo che non pubblicavo nulla. Grazie davvero a tutti, è stato bellissimo ritrovare, insieme a nomi nuovi, anche nomi di persone che leggevo tra le recensioni quando pubblicavo tempo fa ^____^

Questa storia è sempre dedicata alle persone che mi si sciroppano e che si sciroppani i paragrafetti parziali nel periodo di stesura con annessi e connessi di dubbi, lamentele e insulti ai Fondatori.
A Opalix soprattutto, che era con me quando è nata l’idea di questa fanfic e dopo averglielo comunicato si è astenuta dall’accoltellarmi nel sonno. Ha invece diviso con me, con enorme disinvoltura, l’imbarazzante momento dell’affitto di DVD non propriamente da Festival di Cannes, ricambiando lo sguardo sornione del tizio dietro il bancone e sollevando il Malfoyesco sopraciglio come a dire “Vabbuò, siamo quasi a The Skulls …e allora?”
A Euridice che mi ha controllato la timeline (ergo se ho sbagliato qualcosa è colpa sua :DD) e che ha detto arf e sniff con grande partecipazione e che quando le abbiamo riferito, tutte orgogliose, di aver visto un film che iniziava con un ululato a schermo nero ha detto, con aria di enorme sufficienza: “Dilettanti”
A Chiara che ha dei gusti più raffinati, ma che non disdegna di scendere di tanto in tanto (precipitare, meglio) al nostro livello.

Wherena, se ripassi ...grazie!! Non sono ancora brava con questo programma per l'HTML, quindi scusatemi!


Questa fic ha una seconda parte che è già pronta, devo solo correggerla, quindi per la pubblicazione non impiegherò una vita.
Grazie ancora a tutti ^_^
   
 
Leggi le 63 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Savannah