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Autore: _helianthus    06/07/2012    1 recensioni
Fanfiction di "sfogo" scritta in risposta a delle domande che un giorno un insegnante mi fece.
Fanfiction per una volta senza accenni a coppia alcuna.
Fanfiction dedicata a tutte le persone che soffrono dal punto di vista psicologico, ma soprattutto fisico: una sofferenza fisica si trasporta sempre in un problema psicologico.
Fanfiction su Tsurugi Yuuichi e Amemiya Taiyou, personaggi di Inazuma Eleven GO, ma non intesi come coppia o come amici. A mio parere, potrebbero anche non essersi mai conosciuti per come sono presentati qua.
Che dire? Sfogo. Quindi, non ha troppo senso.
Spero piaccia.
~
Due tragedie, è vero, ma anche una commedia, che vale molto più di tutte le altre due messe assieme.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Taiyou Anemiya, Tsurugi Yuuichi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Metti caso che tu me lo voglia chiedere


Metti il caso che tu me lo voglia chiedere





Mi chiamo Yuuichi, e ho vent'anni. Sono chiuso in un ospedale da più di dieci anni, esattamente tredici. Sono vivo, ma non vivo. Inalo aria, ma non respiro. Mastico, ma non mangio. Vedo, ma non osservo. Sento, ma non ascolto.
Vivo, ma non vivo.

Mi chiamavo Yuuichi e amavo la mia vita. Avevo sette anni, e mi vedevi arrivare a scuola sorridendo con gioia, con la felicità di un bambino che cresce. Mi vedevi arrivare, la mattina, armato di un'insolita voglio di fare, di vivere, che forse non assoceresti a un bambino.

Mi chiamavo Yuuichi, amavo la mia vita, e avevo un fratello di nome Kyousuke. Gli volevo davvero bene. Per lui mi impegnavo sempre tantissimo, e passavo tutte le mie giornate a fargli compagnia. Avrei persino dato tutto quello che avevo, anche di me stesso, pur di farlo felice, di averlo al mio fianco.

Mi chiamavo Yuuichi, amavo la mia vita, avevo un fratello di nome Kyousuke, il pessimo vizio di dare tutto me stesso per gli altri e la sfiga di beccare la peggiore situazione con il miglior tempismo di sempre.

Yuuichi.
Nel giardino a scuola.
Con Kyousuke vicino.
Un pallone intrappolato tra i rami.
Il vizio di dare tutto me stesso.
E tutto finisce.
Puff, sparito, in un solo secondo.
Neanche il tempo di contarlo, questo secondo.

Kyousuke a terra, e grida. Pallone caduto a terra. E Yuuichi disteso, colpito da un peso comunque troppo pesante, in un colpo sordo, micidiale, irreversibile.

Mi chiamo Yuuichi, sì, e ho vent'anni, perché non posso fare altrimenti. Non ho potuto morire, ho potuto farlo solo a metà. Metà della tua vita tolta con la stessa semplicità con la quale ti era stata data. Metà vita, metà del mio corpo che non funziona più, che non può più funzionare. Non lo farà mai più.
Mi chiamo Yuuichi e ho vent'anni, e penso al fatto di non star vivendo bene la mia vita. L'avevo presa troppo sottogamba? Sì, ma avevo dato tutto. Anzi, metà.
E ora? Ora mi accorgo del senso che le ho dato, e di quello che avrei dovuto darle.

Per certi versi, la vita dovrebbe durare di meno. Per paradosso, avere poco tempo ti darebbe la forza e la voglia di viverla appieno, di usarla fino all'ultimo secondo e fino all'ultimo respiro. Invece, tutto questo tempo, tutti questi anni, ti portano a rimandare a domani tutto quello che potresti fare oggi. E non parlo dei nostri doveri, ma parlo dei nostri sogni, delle speranze, dei desideri, dei sorridi. Niente che potrebbe darti un'altra persona. Niente che si trova su internet o sui libri, o pensando fissando un soffitto bianco. Solo quello che con te stesso puoi fare. Solo quello che con la tua vita puoi fare.

Ed è allora, che uno potrebbe domandarsi: cosa vorrei fare prima di morire?

Mi chiamo Yuuichi, e ho vent'anni. Vivo in questo ospedale da tanto, tanto tempo, e ora mi guardo intorno, do un'occhiata alla stanza nella quale sono recluso. E chiudo gli occhi. Occhi, orecchie, naso, bocca. Non esiso più. Sono altrove. Dove nessuno mi sente o mi vede, dove i sogni diventano realtà, dove la realtà non è altro che sogni.
Mi chiamo Yuuichi, e voglio rimanere qui per sempre.

Le tragedie sono due, nella vita.
Non ottenere ciò che si desidera.
E.
Ottenere ciò che si desidera.

Com'è possibile, ci si chiede, se era proprio in fatto di non poterla ottenere a farti stare male.
Ma lascia che ti racconti una storiella, così, giusto perché tu capisca.


Metti il caso che io conosca un ragazzo di diciassette anni.
Metti il caso che questo si chiami Taiyou.
Metti il caso che io sia lui.
Metti il caso che io non vada a scuola, ma non per capriccio.
Metti il caso che io non vada a scuola perché costretto.
Metti il caso che io non vada a scuola perché non ho la forza per farlo.
Metti il caso che io non vada a scuola perché mi trovo in ospedale, con una flebo e una mascherina per l'ossigeno attaccata.
Metti il caso che io non vada a scuola perché sono malato ai polmoni, e io senza quella mascherina e quella flebo non vivo.
Metti il caso che io ora sia qui, in bilico tra la vita e la morte, a ripensare alla mia breve vita fino a questo momento.

Che cosa vorrei fare? Che cosa vorrei davvero fare? Con che cosa mi sentirei davvero appagato, davvero pronto a lasciare questo mondo?

Una corsa. Semplice, una corsa di quelle che si fanno con gli amici nel prato, nei tardi pomeriggi di fine estate. Cos'è, una corsa? Un atto normale, per persone normali. Ma per me, per Taiyou, non è un atto normale, per me che non sono una persona normale.
E mi manca, mi manca terribilmente. Mi manca la sensazione del vento tra i capelli, mi manca la gioia di aprire le braccia e di sentire i miei passi sbattere contro la terra secca o umida. Mi manca talmente tanto che la voglia di uscire, adesso, e di correre in qualsiasi posto, si sta trasformando in una tragedia. Una tragedia madornale. Lo voglio, lo voglio e basta. Ora. Tanto ormai è già tardi, tanto ormai la mia vita è già rovinata, tanto ormai sto per morire. Che mai potrebbe farmi una corsa in più?

Ed eccolo lì, il prato, magico, aureo, con il vento che scuote i fili d'erba, facendoli ondeggiare quasi ritmicamente. Qualcuno mi stacchi la mascherina e la flebo, mi dia un paio di scarpe, sandali, ciabatte, ma anche a piedi nudi, qualunque cosa. Purché io possa correre, fino all'ultimo respiro.

E finalmente ci sono, finalmente sazio il mio desiderio. I piedi sbattono a terra, mandandomi scariche elettriche lungo tutto il corpo, è un piacere talmente immenso che non riesco più a fermarmi. Corro, corro, corro. Le mie gambe sono veloci, seppur non le usi da tanto tempo. Fanno quel movimento così normale per persone normali, ma così unico per persone uniche. Ed ogni passo, ogni balzo, è una fitta di piacere, una gioia incredibile ed eterna. Tutto di annulla intorno a me, ci siamo solo io e il prato, solo io e la corsa. Non sento, non vedo, non parlo. Corro. E lo farei per sempre.

Ma non è così.

Perché ad un certo punto il fiato finisce. E il passo da un metro e mezzo diventa uno solo, che diventa mezzo, che diventa zero. E tutta quell'esplosione di emozioni termina. Fittizie, superficiali, materiali. Ciò che ho voluto ardentemente non esisteva davvero. Il mio desiderio espresso prima di morire mi ha lasciato prima che lo facessi io.
Ma qualcosa è rimasto.
Ed eccola lì, l'altra tragedia. Ho ottenuto quello che volevo, con il risultato di non aver risolto nulla, con il risultato di stare peggio di prima. Mi sento stupido, mi sento debole, mi sento malato, mi sento morire.
E me ne accorgo ora, disteso a terra sull'erba, con il fiato che c'è sempre meno, e il respiro che si affievolisce sempre più. Inalo aria, ma non respiro.

Forse non è il traguardo di per sé, a contare. Forse è il percorso e le emozioni che provi nel conseguirlo che valgono realmente.
Mentre correvo, lo giuro, mi sentivo da dio.
Allora forse è davvero così.
Due tragedie, è vero, ma anche una commedia, che vale molto più di tutte le altre due messe assieme.
Non serve l'inizio, né la fine. Ci serve lo svolgimento, la trama, il viaggio.

Metti il caso che io non mi chiami Yuuichi, che io non abbia vent'anni, e che la storia di me e di mio fratello non sia vera.
Metti il caso che io non sia all'ospedale, né tanto meno in un prato a correre.
Metti il caso che tu me lo voglia chiedere.
E metti il caso che tu lo faccia.
Chiedimi: cosa vorresti fare prima di morire?
E io ti rispondo: vivere.


_________________________________________________________________________________________________________________________________________

Angolino dell'autrice stravolta/sconvolta/rimastamorta.


Ebbene sì, alla fine ho pubblicato.
....
.........
................
..............................Perché l'ho fatto.
Seriamente, non lo so perché, ma forse è solo che ultimamente sto morendo pian piano e mi sto sotterrando facendo tutto da sola. Non ha senso, vero?  
Non ha semplicemente senso di esistere.
Come non ha senso questo angolino.
Nemmeno io ho senso.
...
Nulla ha senso in questa vita. D:
Le note d'autore sono in contraddizione con la fiction, se però dico così.
Quindi dico: spassatevela! Vivete finché potete! Andate in giro a gridare che siete vivi e che ne siete felici, perché sì, voi siete vivi e siete felicissimi di esserlo! Fatela in barba agli sfigati a cui manca qualcosa! Divertitevi! Quando morirete, nessuno sarà disposto a farvi correre su un prato! Quindi correte, voi che potete!
...Bene. Ho finito.
Oh, inutile dire che alla fine mettere questi due personaggi non aveva troppo senso. Potevo mettere chiunque, ma andiamo, lo sapete che questi due sono i miei due sfigati preferiti. :D Anche perché mi ritrovo molto in entrambi, dato che condivido i problemi motori di Yuuichi e lo spirito combattivo di Amemiya.
Dipende, ovviamente, dato che in questi ultimi giorni sono in depresso-mode (?), e che potrei morire di solitudine, insoddisfazione o qualsivoglia altra cretinata da un momento all'altro.
Potrei morire di morte.
Ne sarei capace.
(wtf)

- Kilauea, o Caty, o Cate anche se lo odio come soprannome, o Pomela, o Kya, o chiamatela come volete.
   
 
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