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Autore: j3nnif3r    07/07/2012    3 recensioni
“Come vorresti chiamarti?” le chiede un giorno suo padre.
(Una panoramica su Heather.)
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTO PRIMO – Frammenti

 

 

“Come vorresti chiamarti?” le chiede un giorno suo padre.
Il suo nome le piace, e vorrebbe continuare a chiamarsi così. Ha un suono dolce. Ma suo padre è stanco, e ha paura. Mentre gioca con le sue mani, con le sue dita che sembrano immense, ne ascolta il respiro.
C’è qualcosa che suo padre non può dirle.
“Heather.” dice, dopo averci pensato un po’. “Mi piacerebbe chiamarmi Heather.”
Non sa dove l’ha sentito, quel nome. Forse in tv. Le fa venire in mente una bella donna. Non può essere brutta, una che si chiama Heather. Vorrebbe continuare a chiamarsi come prima, ma suo padre è nervoso e vuole fargli piacere.
“Va bene. E’ un bel nome.”
Harry le stringe una mano per rassicurarla. La stretta le ricorda qualcosa di poco piacevole.

 

* * *

 

“Papà!”
Harry spalanca gli occhi nel buio. Si alza a sedere di scatto. Heather sta urlando. Corre nel corridoio, va a sbattere sul muro con un gemito.
“Heather!” Entra nella stanza. Heather è seduta fra le lenzuola, con le mani a coprire gli occhi. Piange. “Heather, cosa è successo? Stai bene?”
“C’è un mostro...”
“...un mostro?”
Heather indica lo specchio. “Sì, è lì dentro! E vuole mangiarmi...”
Harry sospira. Le si siede accanto, la accarezza. “Non ci sono mostri qui, Heather. Puoi stare tranquilla.”
“Ti prego, papà...” Lo guarda, le lacrime scendono sulle guance. “Puoi coprire lo specchio? Non mi piace per niente...”
“Non devi averne paura. E’ solo uno specchio.” Harry lo indica, la invita a guardarlo. “Ci sei tu, dentro. Vedi? Nessun mostro.”
“A volte...”
“Cosa?”
Heather si morde le labbra. E’ solo una bambina, ma sa bene che quella è una cosa strana. Una cosa sciocca, probabilmente. Se ne vergogna. “A volte penso di non essere io, quella. A volte quello che c’è nello specchio non fa le stesse cose che faccio io, papà.” Distoglie gli occhi dall’immagine riflessa.
“Non devi dire queste cose, piccola.”
Ma la sua voce è turbata.
Suo padre ha paura.
Heather ha imparato che Harry, a volte, ha paura di cose che lei non capisce. Ed ha imparato che è meglio non fare troppe domande. Ma quando gli sente quel tono nella voce, sa che qualcosa non va.
“Non ci sono mostri, papà?”
“No, non ci sono.”
“Promesso?”
“Promesso. Adesso torna a dormire.” Le accarezza i capelli, poi esce.
Heather rimane sola.
L’altra nello specchio la fissa.   

 

* * *

 

Da quando è diventata Heather, le sono cresciute le tette.
Non sono molto grandi, ma spera nel futuro. E in fondo non vuole che lo diventino. Vanno bene anche così, appena accennate, due piccole protuberanze sul suo petto. Ne osserva la forma, da sdraiata. Sono carine. Sta crescendo. Sta diventando una donna. Che assurdità.
Ha iniziato a sanguinare a quattordici anni. E’ passato del tempo. Harry si è mostrato imbarazzato e confuso come qualsiasi padre, e lei ne sapeva già abbastanza da non aver bisogno di consigli. Le ha fatto i complimenti, arrossendo, come se ci fosse qualcosa di cui essere fieri. Solo una scocciatura. Eppure qualcosa la rendeva felice, nel vedersi cresciuta. Aveva iniziato a chiedere più soldi per comprare dei vestiti. Aveva comprato delle gonne corte. Le sue gambe erano diventate più morbide.


“Voglio tingermi i capelli.” annuncia a pranzo. Dopo averlo detto continua a mangiare senza alzare lo sguardo. E’ ovvio che ha paura di un rifiuto.
Harry sorride. E’ una sensazione dolce, il conoscerla. L’avere quella donna in miniatura che gli vive accanto.
“Di che colore?”
Heather lo guarda, sorpresa. “Posso?”
“Certo. Sono i tuoi capelli, e ormai sei grande.”
Lei torna ad un’espressione composta, come per fingere che sì, è ovvio che può fare ciò che vuole dei suoi capelli. “Biondi. Li voglio biondi.”
“Proprio biondi?”
“Beh. Per cambiare.” Ingoia un altro boccone. “E’ bello cambiare, no? E poi mi starebbero bene.”
“Quanto ti serve?”
Lei gli sorride.

* * *


E’ stanco.
La bambina piange, da ore. Sembra non potersi fermare. Credeva che prima o poi avrebbe ceduto al sonno, invece continua. Quanta energia può contenere ancora, quel piccolo corpo?
E’ stanco.
Inizia a cantare. Con Cheryl funzionava sempre
(con quella vera, funzionava solo con la Cheryl vera)
e si addormentavano insieme, di solito. La stringeva fra le braccia e cantava. Questa bambina è diversa.

La osserva. La sua faccia è contratta, la bocca aperta, gli occhi stretti. E’ brutta.
La odia.
Ma non può odiarla, ovviamente. E’ solo una bambina. Non è colpa sua, se piange. Non è colpa sua se non dorme.
Non è colpa sua, se Cheryl...
“Dormi, ti prego...” le sussurra. “Ho davvero bisogno di riposare.”
Lei piange. Si blocca un istante, lo guarda. Gli sembra che la sua faccia cambi, ma dura troppo poco per esserne certi. Diventa seria. Diventa adulta. E lo fissa.
Forse è solo stanco.
La posa nella culla e va a sdraiarsi, cercando di ignorare le sue grida.
La odia.
La odia.
La odia.

Vorrebbe liberarsene, vorrebbe essere solo. Vorrebbe poter sentire la mancanza di Cheryl, senza che un’altra bambina gli venga imposta.
“Cazzo, è solo una bambina.” dice a se stesso. Lei non ha colpa.
Torna nell’altra stanza, la prende in braccio. Finalmente, lei si addormenta.

“Piangevo tanto, da piccola?” gli chiede Heather.
I suoi capelli sono di un altro colore, il suo corpo ha un’altra forma.
Harry ha paura.

 

* * *

 

Ha sempre cercato di stimolare in lei una certa autostima, convinto che l’avrebbe resa forte. Ha pure provato a farla iscrivere ad un corso di autodifesa, ma non le piaceva. Ha insistito per conoscere tutti i suoi amici, cercando di non essere troppo invadente.
Pensa di aver fatto un buon lavoro, in fondo.

“Dov’è la mia mamma?” gli chiede, a otto anni. Fa sempre domande improvvise e timide, dopo averci pensato chissà quanto. E’ bello che sia una bambina riflessiva.
“Come mai me lo chiedi?”
“Tutti i miei compagni hanno una mamma. Tutti i bambini ne hanno una.” Lei dondola sulle gambe. Sa che non è una domanda piacevole, lo sente. Ma è curiosa. “Dov’è finita la mia? Non mi vuole?”
“Vedi, Cheryl...” Harry le fa cenno di sedersi sulle sue gambe, e lei corre. Ha un odore piacevole. Un odore familiare. “E’ una faccenda complicata. Prima o poi te la spiegherò per bene. Ma, per ora... devi capire che non tutte le mamme sono uguali. Non tutte le famiglie sono uguali.”
In effetti, non sa cosa dire.
Mentre parla studia la faccia di Cheryl, che lo fissa interessata. Un piccolo essere che si nutre delle sue informazioni .
“La mia mamma non mi vuole? Se non mi vuole, dev’essere proprio una stupida.”
Harry ride. “Sì, è così, Cheryl.” La abbraccia, e lei ricambia. “Ma tu hai me, giusto? Io ti voglio, e tanto.”
“Io preferisco il mio papà a tutte le mamme del mondo!” dice lei con troppa enfasi.
E’ ovvio che è ferita.
E’ ovvio che ha paura di non essere abbastanza.

La sente gridare ancora. Si sveglia.
“Papà!”
Corre nella sua stanza. Un dito del piede si incastra nello stipite della porta. Si morde le labbra.
“Cosa c’è stavolta?”
“Papà...” Lei sta piangendo. Ne ha abbastanza delle sue lacrime. Vorrebbe solo tornare a dormire.
“Che succede?”
“Lo specchio...”
“Te l’ho detto mille volte, Cheryl. Non c’è niente nello specchio. Non ci sono mostri. Sei al sicuro.”
“Ma...”
“Devi dormire, adesso. Domani devi andare a scuola, non puoi rimanere sveglia a guardare specchi per tutta la notte. E io sono stanco.”
“C’era una bambina, nello specchio.”
“Certo. Sei tu, quella bambina.”
“No, non sono io...”
“Adesso basta.”
“Ha detto... di chiamarsi Alessa.”

 

Vuoi giocare con me?
Vuoi giocare con me?
Vuoi giocare con me?

 

 

ATTO SECONDO – Un arrivederci

 

 

Douglas le posa una mano sulla spalla. Lei si volta, annuisce.
E’ l’ora.


* * *

 

Le manca, suo padre.
Nonostante tutto, Heather ha condotto una vita serena. Non si è mai davvero scontrata con la morte. Certo, c’era il padre di una sua amica, morto di cancro a poco più di cinquant’anni. Si era sentita triste, allora, ma non sul serio. In fondo, si era più che altro sentita in colpa perché non era abbastanza triste. Era andata al funerale, aveva pronunciato parole banali. Si era sentita sperduta come tutti, in chiesa. Si era guardata intorno, e il soffitto alto e posticcio le aveva fatto girare la testa.
Adesso, però, riguarda lei.
Ne ha avuto abbastanza per dieci vite.

 

* * *

 

“Sai, Douglas...” dice, quando è tutto finito. Gli sta versando del caffè. “Non è passato molto tempo, ma già non ci credo più.” Lui annuisce, pensoso. “Insomma, se qualcuno me lo raccontasse lo prenderei per un idiota. Immagino sia normale... ma un po’ mi preoccupa. Non vorrei dimenticare.”
“Potresti scriverlo.”
Lo guarda.
In effetti non ha mai pensato che potrebbe farlo. Insomma, potrebbe essere un mestiere vero. Potrebbe diventare adulta. Una persona normale, non una freak che combatte contro orridi mostri mutanti e sanguinolenti. Potrebbe. L’editore di suo padre farebbe i salti di gioia, se glielo proponesse. Sarebbe un caso interessante. Lo scrittore famoso muore in modo strano, la figlia prosegue la sua opera. O qualcosa del genere.
Riprende a versare.
“E cosa dovrei scrivere? Io... non sono brava.”
“Non so, magari lo sei.” Douglas sorride. “Dovresti provare. Ti aiuterebbe a non dimenticare, a passare del tempo e a guadagnare qualche soldo.”
“Oh, come se papà guadagnasse poi tanto, scrivendo... Sai, il mestiere dello scrittore è decisamente sopravvalutato. Non si guadagna molto.”
“Ma è interessante, no?”
“Potrebbe.”
Douglas si alza, finendo di bere il caffè. “Beh, Heather...”
“Cheryl, ti prego.”
“Cheryl. Ti ringrazio per avermi fatto entrare, e per il caffè.”
“Grazie a te, per essere venuto al funerale.”
“Prendo il cappello.”
“Oh, lo prendo io.”
Corre all’ingresso. Accanto alla porta c’è uno specchio, non l’ha ancora coperto. Dentro lo specchio c’è lei. Si ferma un attimo a fissare quella ragazza con le occhiaie ed i capelli ordinati e stranamente brillanti. Si è anche truccata, per il funerale. Che ipocrisia. Che stupidità. Ma sta bene. E’ carina. Si sorride, si passa un dito sotto gli occhi per aggiustare la sbavatura della matita nera.
Quell’immagine non le fa più paura.

 

 

   
 
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