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Autore: serelily    07/07/2012    11 recensioni
I ricordi riaffiorano inclementi, mentre un ragazzo fuma la sua sigaretta prima di un esame...
Questa storia fa parte della Challenge "Dal nome alla storia" di Nonnapapera!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Questa storia fa parte della Challenge Dal nome alla storia  di Nonnapapera! Questa è la prima che scrivo: il protagonista è Leo, che significa leone.
Vi lascio una sua immagine: 
Leo









 

 IL TEMPO DI UNA SIGARETTA 

 


E’ caldo oggi!
Non mi abituerò mai al dannato caldo di questa città, soprattutto a giugno. Per fortuna, una volta dato quest’ultimo esame, me ne andrò da questa maledetto posto che è così pieno di ricordi da farmi male.
Non fraintendetemi, amo Bologna. Non è la mia città natale, visto che vengo da uno sperduto paesino di montagna dove anche ad Agosto la sera serve una giacca, ma ormai è come se lo fosse.
Ma sto divagando.
Amo Bologna, amo ogni dannata strada, ogni dannata pietra di questa città meravigliosa che per me è diventata una seconda casa.
O perlomeno, lo era fino a poco tempo fa.
Sto fumando l’ennesima sigaretta, anche se mi ero ripromesso di smettere. Di nuovo.
Ma non posso farne a meno, visto che è una delle poche cose che mi impedisce di farmi prendere dall’ansia.
Sto aspettando che arrivi la professoressa per l’esame di Storia Medievale. L’appello è alle dieci, ma sono ancora le nove e io mi sono concesso questa sigaretta appoggiato al pozzo nel mezzo del chiostro della Facoltà di Storia. Mi ricordo ancora la prima volta che sono entrato qui, e sono rimasto letteralmente affascinato da questo ex monastero che ora è la sede della nostra facoltà.
Mi sembrava di essere immerso in un’altra epoca, e per un medievista come me, è tutto perfetto.
Ricordo anche la prima volta che lo vidi.
Era fermo, con le spalle appoggiate al muro, mentre giocava con gli occhiali da sole. Se li toglieva e se li rimetteva.
Ricordo che mi era piaciuto subito. Mi sono innamorato in quello stesso istante.
Non ho mai creduto nel colpo di fulmine, ma non ho saputo resistere ai suoi boccoli morbidi color cioccolato, ai suoi occhi che brillavano come due lapislazzuli e al suo corpo che mi ricordava quello di una statua greca.
Io ero soltanto una matricola, a quel tempo, e mi vergognavo da matti ad avvicinarmi e fare amicizia.
Non conoscevo nessuno, visto che vivevo in uno studentato con una camera singola tutta per me.
Eppure avrei dato tutto l’oro del mondo per conoscerlo.
Poi, inaspettatamente, me lo sono trovato di fianco a lezione di Storia Greca. Non potevo credere alla mia fortuna.
Tra una battuta e l’altra, finalmente l’ho conosciuto. Leo, questo il suo nome.
Non potevo credere di essere stato così fortunato da attirare la sua attenzione. Ma quel giorno, quando mi aveva chiesto gli appunti dell’ultima lezione, la mia mente cominciò a volare al pensiero che avesse scelto proprio me.
Da lì a conoscerci e frequentarci, il passo fu veramente breve. Scoprì che era al terzo anno, che era uno studente modello e che si stava per laureare. Gli mancavano pochi esami, ormai.
Quando mi disse di essere gay, penso che sia stato il giorno più bello della mia vita, anche se ancora non credevo di essere alla sua altezza.
Era molto corteggiato, e non solo per la sua incredibile bellezza, ma anche per la sua spiccata intelligenza.
I professori lo adoravano, i compagni lo ammiravano, e io, misero studentello di provincia, che mai potevo sperare di ottenere.
Eppure accadde. La ricordo come fosse ieri, la sera del nostro primo bacio.
Eravamo in Piazza Maggiore, davanti alla Fontana di Nettuno, a fare gli scemi. All’improvviso ci siamo ritrovati abbracciati l’uno all’altro, a cullarci con il rumore dell’acqua che scorreva.
È stato tutto così naturale, così giusto. Le nostre labbra si sono toccate, e non sono più riuscite a lasciarsi.
E poco importava che le nostre famiglie non approvassero, che le persone ci indicassero per strada.
Noi ci amavamo, e tanto bastava.
Il giorno della sua laurea, naturalmente ottenne il massimo, ma la sua famiglia non era lì per sostenerlo. Nessuno era venuto, dopo che aveva fatto coming out. L’avevano abbandonato.
Io c’ero però, e quella notte finalmente facemmo l’amore. Fu la cosa più dolce di questa terra.
Le cose cominciarono a cambiare quando lui si iscrisse alla Laurea Specialistica, scegliendo il corso di Antropologia.
Diceva sempre che il suo sogno era quello di studiare i popoli dell’Africa, di andare a vivere lì.
Scherzando, mi diceva che il significato del suo nome era proprio Leone, e che non potevi tenere un leone lontano dall’Africa.
Leo era fatto così!
Durante il secondo anno, ebbe l’occasione che tanto aspettava. Un mese in Africa con un gruppo di studenti e il suo professore.
Non so perché, ma dentro di me sentivo che non sarebbe dovuto andare.
Leo ci scherzava su e diceva che ero solo geloso del suo prof, che non volevo lasciarlo andare perché mi sarebbe mancato. Era vero, ma c’era una sorta di angoscia di fondo a cui non sapevo dare un nome, che non sapevo come spiegare.
Litigammo parecchie volte, a causa di quel viaggio.
Il giorno prima che partisse, facemmo l’amore in maniera selvaggia e disperata. Io sentivo che sarebbe successo qualcosa, e volevo disperatamente convincerlo a restare.
Lui, invece, pensava solo che io volessi tarpargli in qualche modo le ali. Avevo capito che sarebbe stato impossibile convincerlo, così feci finta che sarebbe andato tutto bene.
Lui si rilassò e mi permise di accompagnarlo all’aeroporto. Mi salutò dicendomi che mi amava e che non dovevo avere troppa ansia, visto che appena atterrati ci saremo sentiti tramite skype.
Fu l’ultima volta in cui potei toccarlo.
Non passarono nemmeno pochi giorni, quando mi arrivò la telefonata di suo cugino. Non ci approvava, ma voleva bene a Leo e voleva farmelo sapere, per giustizia verso di lui.
Ma io lo sentivo quello che stava per dirmi, lo sentivo sottopelle.
Mi disse che il suo gruppo, in viaggio da una città all’altra su enormi jeep, si era scontrato con un gruppo di bracconieri che portavano via decine di animali nelle gabbie.
Non potevano lasciarli andare, non potevano e basta. Erano testimoni scomodi.
Li uccisero tutti.
Non andai al funerale di Leo, non ce la feci. Preferivo fare finta che fosse ancora vivo da qualche parte, che magari avesse trovato la sua strada altrove.
A volte, mi immaginavo che fosse fuggito con il suo professore, che si fosse innamorato di lui e che non avesse il coraggio di lasciarmi.
Tutto, purché lui fosse ancora vivo.
Non è servito a molto, visto che sono ancora qui, a fumarmi una sigaretta dopo l’altra senza poterlo dimenticare, senza poter lenire il dolore profondo che ha lasciato dentro di me.
Spengo la sigaretta, il momento dei ricordi ormai è passato, e mi preparo a salire le scale e mettermi in coda per l’esame, come le milioni di volte che le ho salite insieme a lui.
Entrare qui ormai, è diventata una stilettata al cuore.
 

   
 
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