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Autore: Nazghul    07/07/2012    1 recensioni
Ciao, questa è la prima Fan Fiction che pubblico, quindi ho deciso di cimentarmi in un One Shot. Ho cercato di rappresentare i momenti successivi alla creazione di Greed Island e il nascente rapporto di Ging con il suo figlio appena nato. Vi chiedo gentilmente di lasciare una recensione al fine di potermi migliorare, buona lettura!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jin Freecss
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non posso credere di averlo fatto.”

“Sì lo so, suona strano persino a me. Ma vederlo con i miei occhi in questo momento… Vederlo completo… Mi rende veramente orgoglioso, capisci?”

“D’altronde l’hai inventato tu…”

“Sì è vero, ma senza di te e gli altri non sarei mai riuscito in un’impresa simile. Il problema in questo momento è un altro, semmai.”

Ging si allontanò dal bordo del crinale dal quale aveva osservato il frutto del loro lavoro. Razor rimase ancora per un po’ seduto con le gambe a penzoloni nel vuoto, attento a ogni minima variazione nella luce del sole ormai morente, ascoltando il canto argentino degli stormi di fringuelli mentre tornavano ai loro nidi, dove i loro piccoli attendevano speranzosi la cena. Era stato un lavoro molto lungo, ma alla fine l’obiettivo suo e di Ging era andato in porto: la creazione di Greed Island era giunta al termine. Non era stato per niente facile all’inizio, poiché il problema più insormontabile, la creazione materiale dell’isola, non poteva essere oggettivamente raggiungibile, neanche per il più grande esperto di Concretizzazione mai esistito. Il problema aveva quindi assunto l’aspetto di una ricerca: trovare in tutto il mondo un luogo sconosciuto alle autorità dei grandi continenti, nel quale creare il mondo di gioco più coinvolgente mai pensato. C’era voluto parecchio tempo, ma alla fine erano stati premiati: dopo tanto peregrinare, il team formato da lui, List, Dwun e  Ging era approdato in un luogo, non segnato sulle mappe, a molti kilometri a Est del continente Yorbiano che appariva la scelta perfetta per creare il gioco. Dopo aver stabilito un accampamento, avevano cominciato a esplorare l’isola in lungo e in largo, prendendo nota di ogni cosa, a partire da clima, fauna, flora, e compiendo studi topografici e geografici, per poi passare alla ricerca di laghi e fiumi che rendessero abitabile, oltre che praticabile con spostamenti via fiume, il luogo. A quel punto era stata la volta degli insediamenti, ma invece di puntare direttamente a creare grandi centri abitativi, il gruppo risolse semplicemente di lasciare ai futuri giocatori ogni decisione al riguardo, seguendo comunque una linea stabilita dai game masters sulla disposizione degli edifici. Finito il grosso del lavoro, che aveva impegnato tutti gli undici membri del gruppo, l’isola era stata circondata da un alone di Nen, al fine di captare eventuali intrusioni da parte di persone non espressamente invitate a giocare. Una improvvisa imprecazione di Ging destò Razor dal suo torpore: la giornata era stata molto lunga e faticosa e, sebbene fosse uno dei membri del gruppo dal fisico più allenato e resistente, anche lui cominciava a sentire la stanchezza. Persino Ging, con la sua apparentemente inesauribile vitalità, ora sembrava desiderare solamente un buon letto. Ma Razor, che conosceva più di chiunque altro il proprio compagno, e vedeva ancora nei suoi occhi quella scintilla di vita che lo aveva fin da subito colpito e che non aveva mai perso, sapeva che si trattava di una cosa temporanea.

“Sono sicuro” continuò Razor “che in questo momento starai pensando a qualche altra impresa impossibile da compiere a scapito della tua stessa pellaccia”.

“Non ti si può proprio nascondere nulla, eh?”

“Ging, sto parlando sul serio. Io ti conosco, e so che quando qualcosa comincia a ronzarti in testa sono guai. Io non voglio dirti cosa fare o sembrare apprensivo, ma se continui così un giorno finirai davvero per rimetterci la vita.”

“Ma se è da quando sono nato che non faccio altro.”

“Non pensi mai ai problemi che potresti causare a chi ti sta intorno? Non pensi mai a come si sentano le persone a te vicine?”

“Razor, amico mio, penso che se avessi potuto avere uno Zeni per ogni persona che abbia mai sentito la mia mancanza, sarei sempre stato sul lastrico.”

“E Mito? Pensi lo stesso anche di lei?”

Ging si voltò di scatto all’udire quel nome, gli occhi ridotti a due fessure, la voce trasformata in un sussurro minaccioso.

“Lascia stare Mito, lei non c’entra nulla in tutto questo.”

“Forse no, ma non puoi continuare a evitare le persone a questo modo.”

“Non le devo nulla. Il fatto di essere la sorella di mia… Moglie, non la rende nulla di particolare. Non rinuncerò alla mia vita per i capricci di nessuno.”

“Non vuoi farlo nemmeno per lui?”

Razor indicò un piccolo fagotto di stracci vicino all’entrata della tenda da campo, nascosto dal risvolto di un telo. Ging prese il fagotto e in un unico gesto morbido scoprì il viso di un piccolo neonato. Il piccolo sembrava dormire in un sonno senza fine, le mani minuscole strette assieme a ridosso della piccola bocca rosea. Osservando l’espressione del piccolo, Ging si sentì trasportare dalla malinconia e dall’orgoglio allo stesso tempo.

“So che ti sembrerà crudele, ma no, non voglio farlo nemmeno per lui. Non lo faccio perché sono un maledetto egoista o perché non voglio averlo tra i piedi, ma perché so che crescerà meglio senza di me. E se mai un giorno vorrà cercarmi… Allora farà bene ad impegnarsi come non mai.”

“Vuoi che diventi un Hunter?”

“Io non voglio nulla. Se non vorrà mai più avere a che fare con me perché mi giudicherà come a un padre immorale capace di abbandonare il proprio figlio appena nato, allora quella sarà la sua scelta. Ma se vorrà incontrarmi almeno una volta… Allora dovrà necessariamente intraprendere la carriera di Hunter.”

“Cosa diavolo è, una sfida?”

“Mettila pure così se vuoi. Se vorrà essere degno di suo padre, dovrà almeno riuscire a raggiungerlo.”

“Accidenti, non ti facevo così megalomane.”

L’espressione di Ging si rilassò e entrambi scoppiarono a ridere sguaiatamente, come non succedeva da molto tempo fino a quel momento. Quando si furono ripresi un minimo, la tensione che si era accumulata nell’aria qualche minuto prima sembrò svanire magicamente e i due continuarono a discutere fino a notte fonda, da buoni amici quali erano. Dopo essersi scolati un paio di bottiglie di birra rossa, a un certo punto il piccolo neonato si svegliò, disturbato dai discorsi dei due uomini, e cominciò a piangere disperatamente, con sommo dispiacere di Ging, che passò la successiva mezz’ora a tentare di calmarlo. Una volta tranquillizzato il bebè, i due spenserò il falò improvvisato e si sdraiarono sull’erba, ammirando l’innumerevole moltitudine delle stelle appartenenti alla Via Lattea.

“Ging, allora a chi hai intenzione di affidare il piccolo ora che… Cioè…”

“Ora che sua madre non c’è più? Immagino all’unica persona capace di poterlo crescere…”

“Intendi Mito?

“Sì. Credo che l’Isola Balena sia il luogo migliore per lui.”

“Non credo che Mito la prenderà molto bene quando dirai che le stai affidando tuo figlio per non tornare mai più.”

“Confido che sua madre la farà ragionare, in fondo è sempre riuscita a tranquillizzarla.”

“Già. A proposito, hai già scelto un nome per il piccolo?”

“Sì. O meglio, sua madre me lo ha confidato un attimo prima di morire dopo il parto.”

“E quindi? Come si chiamerà il figlio del grande Ging Freecs, scopritore di tesori e antiche civiltà, uno dei più grandi combattenti di tutto il mondo nonché Hunter professionista a due stelle?”

Ging si voltò verso il piccolo, il viso illuminato dal chiarore delle stelle. Come preso da un sogno, con voce ferma e orgogliosa disse: “Gon. Gon Freecs.”

FINE
  
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