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Autore: marthiachan    08/07/2012    5 recensioni
Piccola shot sulla depressione dovuta al fatto di sentirsi abbandonati.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Piccola shot sulla depressione dovuta al fatto di sentirsi abbandonati.

Anche qui i protagonisti non hanno nome, non era necessario.

Buona lettura.




Senza lei.


Aprì gli occhi maledicendosi. Il sole filtrava dalle tende e, nonostante fosse appena percepibile, per lui era devastante. Sentiva la testa pesante pulsare dolorosamente. Non sapeva che ora fosse, ma aveva ancora troppo alcol in corpo per riuscire ad alzarsi dal letto.

Infilò la testa sotto il cuscino per proteggersi dalla luce, ma il dolore alle tempie non diminuì, anzi, se possibile peggiorò. Capì che non sarebbe riuscito a riprendere sonno. Lentamente e controvoglia, si alzò a sedere sul bordo del letto. Con le mani si massaggiò la faccia e le tempie, tentando invano di allontanare l'annebbiamento dell'alcol che lo opprimeva.

Guardò la sua stanza. Come lui, era un disastro, sporca e in disordine. Ogni centimetro del pavimento era coperto da abiti sporchi. Sospirò prima di guardare l'orologio. Erano le due del pomeriggio. Aveva dormito circa otto ore eppure si sentiva uno straccio. Era ovviamente colpa di quanto aveva bevuto la notte prima. Si era scolato un bicchiere dopo l'altro sino all'alba. E così era stato la notte prima, e quella prima ancora. Aveva perso il conto delle notti passate a bere sino a diventare incosciente. Chiunque, pur non conoscendolo, avrebbe capito che soffriva. Non ci si autodistrugge così per niente.

Barcollando, senza minimamente preoccuparsi della sua nudità, si diresse in bagno e si gettò sotto la doccia. Il getto d'acqua calda spazzò via parte delle nubi che gli avvolgevano il cervello. Doveva smetterla di bere così tanto. Non era più un ragazzo e il suo fisico non reggeva più quanto prima. Se lo ripeteva ogni mattina quando si rendeva conto dello stato pietoso in cui si era ridotto, ma poi ogni sera ripiombava in qualche locale a dar fondo ai suoi miseri risparmi per ubriacarsi.

Per smettere di pensare.

Per dimenticare.

Per non soffrire.

Per cancellare il viso di lei dalla sua mente.


Tutto era iniziato circa un mese prima, quando lei era andata via. Doveva essere una vacanza di una settimana. Un viaggio a New York. Sebbene riluttante, lui l'aveva accompagnata all'aeroporto e le aveva augurato buon viaggio e di divertirsi. Non immaginava allora quanto se ne sarebbe pentito.

Una settimana dopo, quando stava per recarsi all'aeroporto per riportarla a casa, arrivò una telefonata che cambiò tutta la sua vita. Era lei.

“Dovresti essere già in volo. Che è successo?”

“Io... Io resto qui. Non torno.” aveva detto lei con tono triste ma risoluto.

Avrebbe voluto urlare per il dolore causato da quelle parole, ma si disse che forse era giunto il momento di dirle addio, come avrebbe dovuto fare anni prima. Sapeva che prima o poi lei si sarebbe stancata di lui e della vita orribile che le faceva fare, ma era stato troppo egoista per lasciarla andare.

“Come mai?” chiese cercando di sembrare calmo e controllato.

“Qui è tutto diverso. Sto bene, sono felice. Posso rifarmi una vita.”

Sapeva cosa intendeva. Avrebbe potuto rifarsi una vita senza di lui.

“Capisco. Sapevamo entrambi che prima o poi sarebbe successo. Anche io mi rifarò una vita. Ti auguro di essere felice.” concluse lui chiudendo la conversazione prima che lei potesse ribattere.

Accasciandosi sul divano si chiese cosa ne sarebbe stato ora di lui. Erano anni che lei gli stava accanto, occupandosi di lui, rendendolo felice. Cosa avrebbe fatto ora? Come avrebbe potuto alzarsi dal letto ogni mattina sapendo che non avrebbe visto il suo viso, il suo sorriso, udito la sua voce?

Era colpa sua se era andata via.

L'aveva legata a sé senza darle un motivo.

Senza dirle quanto l'amava.

Facendola soffrire ogni giorno.

Era stato solo un fottuto egoista.


Da quella sera aveva avuto un appuntamento fisso con la bottiglia. Ogni singola maledetta sera. Mangiava a mala pena. Dormiva male. Tutto intorno a lui cadeva nella decadenza più assoluta. La casa in cui viveva, i suoi abiti, lui stesso. Tutto era sporco e puzzolente.


Era ancora sotto la doccia, a ripensare alle ultime settimane, a come si stava suicidando lentamente. Si sentiva come se non fosse più in grado di vivere e di badare a se stesso. Avrebbe voluto non alzarsi più dal proprio letto e morire di inedia. Forse da morto avrebbe trovato la pace che agognava. La pace che aveva perso quando lei si era portata via il suo cuore e un pezzo importante della sua anima.

Da egoista e vigliacco qual era, non era neanche in grado di porre fine alle proprie sofferenze con un proiettile. Come si era ridotto! Era l'equivalente umano di un relitto. Non era più utile a nessuno, né sarebbe mancato a qualcuno se fosse morto. Tanto meno a lei.


Uscito dalla doccia si guardò allo specchio. Nell'ultimo mese era invecchiato. Profonde occhiaie circondavano i suoi occhi e piccole rughe facevano capolino. La sua pelle aveva un colorito giallastro e malaticcio. La sua barba, lunga ormai di due giorni, cominciava a imbiancarsi. Non aveva mai fatto caso agli anni che si portava addosso, ma ora si rese conto che sembrava averne preso venti in più nell'arco dell'ultimo mese.

Si sbarbò e si vestì con i primi abiti che trovò, senza preoccuparsi se fossero puliti o sporchi. Cominciavano a stargli larghi. Era dimagrito. Doveva sembrare uno spaventapasseri.

Uscì per strada e camminò senza meta mentre i suoi pensieri vorticavano senza sosta.

Lei gli mancava, immensamente. Si sentiva perso. Era dolorante, come se non riuscisse a respirare. Come se al posto del suo cuore ci fosse un mattone, troppo pesante per restare nel suo petto e che gli impediva di camminare normalmente. Si trascinava.

Quando le sue gambe lo riportarono a casa era quasi il tramonto. Decise che quella sera non sarebbe andato in un locale. Sarebbe rimasto a casa, nel suo letto, ad attendere la morte.

Lo sguardo gli cadde per un attimo nella cassetta delle lettere che straripava. Sbuffò. Dovevano essere le solite bollette che non aveva intenzione di pagare. Prese il malloppo di fogli intenzionato a buttarle in un cassonetto, ma poi notò qualcosa. Una busta diversa. Una calligrafia a lui ben nota.

Senza attendere la aprì immediatamente. Era una lettera. Di lei. La lesse tutta d'un fiato, ma era confuso e pensò di non averla capita.

Entrò immediatamente in casa e cercò una caffettiera. Doveva riprendere lucidità per poter capire al meglio ciò che lei gli scriveva. Non doveva perdere nessun dettaglio.

Bevette il caffè forte e bollente, senza preoccuparsi delle ustioni che provocava al suo palato e alla sua lingua. Dopodichè si sedette e rilesse la lettera.


Mio caro,

queste settimane sono state molto movimentate per me. Ho trovato un lavoro e un appartamento.

Mi piace questa città, ho conosciuto persone splendide. C'è solo una cosa che mi manca per essere completamente felice. Tu. Non riesco a smettere di pensare a te, a noi. So che non eravamo una coppia, ma starti vicino per me era la più grande gioia mai provata.

Mi sento un mostro per averti abbandonato. Razionalmente mi dico che ho fatto bene. Entrambi avevamo bisogno di andare ognuno per la sua strada. Il cuore, però, dice ben altro. Ogni notte mi addormento in lacrime sperando di svegliarmi ancora nella nostra casa, a litigare con te.

Probabilmente riderai di me, pensando che sono sempre la solita sciocca, ma tu sai che ti ho sempre amato. Tu hai sempre finto di ignorarlo, ma io ho sempre saputo che sapevi.

Ora starai recuperando il tempo perso con tutte le tue amichette. Sono certa che non pensi a me. Se lo fai è solo con un sospiro di sollievo. Niente più lavate di capo, niente più seccature.

Abbiamo condiviso la nostra vita per anni, aiutandoci l'un l'altro, quindi mi chiedo se senti un pochino la mia mancanza. Sarò egoista, ma io spero di sì. So che chiedo troppo ma, ti prego, rispondi a questa lettera. Anche solo per dirmi di lasciarti in pace. Ho bisogno di avere qualcosa di tuo, fossero anche i tuoi insulti.

Mi manchi.


Lei pensava a lui. Sentiva la sua mancanza. Lo amava ancora.

Si rigirò il foglio fra le mani, osservando la sua calligrafia precisa e delicata. Non l'aveva firmata, non era necessario.

Voleva che rispondesse alla sua lettera. Cosa avrebbe mai potuto risponderle? C'era così tanto da dire, eppure nella sua testa le parole non riuscivano a formare delle frasi di senso compiuto. Prese la busta e osservò l'indirizzo del mittente. Non doveva scriverle. Doveva andare da lei. Subito.

Dopo una rapida verifica dei suoi averi, era giunto alla conclusione che non poteva permettersi il biglietto aereo. Aveva solo una chance. Chiedere un prestito.

Fece un giro di telefonate e, alla fine, grazie al contributo dei suoi migliori amici, riuscì a mettere insieme la somma per un biglietto di sola andata. Sicuramente non in prima classe, ma non gli importava. E non gli importava nemmeno il fatto di dover affrontare una delle sue peggiori paure per un viaggio così lungo. Doveva raggiungerla. Al più presto.


Il volo fu straziante. Una parte di sé odiava il fatto di essere salito su quello stupido aereo. Un'altra parte invece pensava “Perchè ho aspettato tanto?”

Le sue peggiori paure lo dilaniavano: perdere per sempre l'unica donna che avesse mai amato o morire prima di averla raggiunta e averle detto quello che provava. A ogni perturbazione l'aereo ballava e lui sussultava sulla sua poltrona come un bambino impaurito. Era così che si sentiva, dopotutto. Indifeso come un bambino. Questo però non lo avrebbe fermato. Non aveva più nulla da perdere, tranne la sua vita.


Grazie al fuso orario, era arrivato di sera. Aveva suonato più volte al citofono ma lei non era ancora rincasata. Rassegnato, si era seduto su una panchina poco distante, aspettando e osservando.

Il quartiere era carino, anche se non particolarmente elegante. C'era un piccolo parco poco distante. Si divertì a immaginarla in quel parco, seduta sotto un albero a leggere.

Erano passati molti anni dalla sua ultima visita negli Stati Uniti, e ancora di più dall'ultima volta che era stato a New York. Era molto cambiata da allora, ma aveva ancora lo stesso fascino indiscusso.

Non fece fatica a credere che lei vi si trovasse così bene.

Vide un taxi arrivare e fermarsi proprio di fronte al portone. Vi scesero due persone, un uomo e una donna. Era lei. Ma chi era quell'uomo? Cosa facevano insieme?

Rimase a guardarli pietrificato pregando che lei non lo invitasse a entrare in casa. Le sue preghiere furono accolte perchè, dopo un saluto e un casto bacio sulla guancia, l'uomo risalì sul taxi e andò via. Dopo un sospiro di sollievo si avvicinò al portone mentre lei inseriva le chiavi nella serratura.

Il suo cuore batteva sempre più forte a ogni passo che lo avvicinava a lei. Stava per dire qualcosa quando lei si voltò puntandogli qualcosa contro.

“Chi sei? Cosa vuoi?” urlò lei sulla difensiva.

Fece ancora un passo nella sua direzione in modo che il suo viso venisse illuminato da un lampione.

“Ciao.” disse semplicemente mentre cercava delle parole più sensate da dire.

“Oh, sei tu.” replicò lei abbassando l'oggetto che aveva in mano, sembrava uno spray.

Entrambi fecero un passo trovandosi così ad appena un metro di distanza l'uno dall'altro.

“Cosa fai qui? Sei venuto per me?” domandò lei con la sua voce delicata e con un tono che faceva percepire la sua speranza.

“Certo, non prendo un aereo per New York solo per fare una passeggiata a Central Park.” replicò lui ironico.

Lei rise e arrossì. Senza dire altro gli fece strada aprendo il portone del palazzo. Fecero a piedi quattro piani di scale. Per tutto il tempo entrambi rimasero in silenzio. Lui la osservava con interesse e per un attimo ebbe il dubbio di aver fatto una colossale stronzata. Perchè era andato da lei? Nella sua lettera, lei aveva detto di amarlo ma aveva anche detto che era giusto separarsi. Forse lei cercava di dimenticarlo e invece lui glielo stava impedendo. Egoista come sempre.

Arrivarono all'ultimo piano e lei aprì la porta. Abitava in una piccola mansarda arredata con mobili da poco. C'era così poco di lei in quell'ambiente. Era tutto così freddo e sterile.

“Abiti qui da molto?” domandò pensando che probabilmente non aveva ancora avuto il tempo di rendere più vivibile quel piccolo appartamento.

“Due settimane.” replicò lei versando a entrambi un bicchiere d'acqua.

Si sedettero nel piccolo divano e bevettero lentamente, decisamente imbarazzati. Quando il bicchiere fu vuoto, si voltò a guardarla.

Era sempre lei, ma era cambiata. Sembrava più serena, pacata, fredda. Dov'era la ragazza impulsiva e dolce che lui amava? Anche lei lo guardava con curiosità, probabilmente notando le differenze che erano in lui dall'ultima volta che si erano visti.

“Sei dimagrito e sei pallido.” esclamò lei confermando i suoi sospetti.

“Sì, non sono stato molto bene ultimamente.”

“Perchè?”

“Perchè non c'eri tu.”

Il silenzio calò fra loro mentre i loro sguardi sembravano voler compensare il vuoto che si era creato fra loro.

“Mi dispiace che tu sia stato male.”

Lui si voltò verso di lei, in modo che i loro visi fossero a poca distanza l'uno dall'altro. Abbassò lo sguardo in cerca delle sue mani e le prese fra le proprie. Poteva sentire quanto cercasse di contenere il tremore che la pervadeva.

“Mi sei mancata.” dichiarò alzando nuovamente lo sguardo per incontrare nuovamente il suo viso.

“Anche tu mi sei mancato.” replicò lei mentre i suoi occhi si velavano di lacrime.

Senza aggiungere altro, si chinò su di lei e la baciò. Senza fretta, senza violenza. Fu un incontro di labbra e di anime che si ritrovavano dopo tanto tempo. Fu dolce e devastante insieme. Come il fuoco e il ghiaccio.

Rimasero così, abbracciati, mentre la fronte di lui si posava su quella di lei, in silenzio e con gli occhi chiusi. L'unico rumore era il loro respiro. Tutto ciò che sentiva era il dolce profumo di lei.

“Ti amo.” sussurrò infine al suo orecchio, come se avesse paura di essere udito da qualcun altro.

Aprì gli occhi in tempo per vedere una lacrima rigare il suo bel viso. La asciugò con un bacio e poi la abbracciò, cullandola fra le sue braccia e giurandole che non l'avrebbe lasciata andare mai più.

   
 
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