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Autore: Hoshi no Destiny    09/07/2012    1 recensioni
Una prestigiosa scuola inglese, i suoi prestigiosi insegnanti e ancor più prestigiosi alunni. Un amore proibito fra studente e professore, un ambiente ricco di misteri.
Potrebbe essere la love-story del secolo, se non fosse che qualcuno sembra divertirsi un po' troppo. Il povero Ciel finisce in balia della personalità più eccentrica della scuola, riuscirà a uscirne?
[Beware: Fanservice. Non prendetela troppo seriamente, è meglio per tutti.]
Genere: Parodia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Principe Soma Asman Gadal, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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school monster
School Monster


– Buongiorno Ciel! – trillò una voce. – Come stai?
Un ragazzo con i capelli neri si voltò, indossava la divisa del prestigioso istituto St. Patrick, una delle scuole superiori più rinomate dell’intera Inghilterra. Dietro di lui c’era una ragazza bionda che gli stava correndo incontro.
– Buongiorno a te, Elizabeth. – rispose con aria noncurante. – Io sto bene, tu, piuttosto?
La bionda si mise le mani sui fianchi e si sporse leggermente in avanti. – Ciel, insomma! Quante volte ti ho detto che non devi essere così formale con me? Sono la tua fidanzata!
L’altro sbuffò, sapeva bene che lei odiava essere chiamata con il suo nome completo, ma non poteva farci niente, era più forte di lui.
– Hai ragione, scusa… - biascicò leggermente infastidito. – Vogliamo andare ora, Lizzy? Rischiamo di fare tardi.
Lei gli rivolse un radioso sorriso e lo prese per mano; insieme si incamminarono verso l’entrata della scuola.
Era un edificio imponente, di tre piani, costruito con uno stile che richiamava quello dei templi greci e romani. Lo frequentavano studenti provenienti da tutta l’Inghilterra, prevalentemente nobili o figli di ricchi imprenditori. Tutti i membri della famiglia Phantomhive erano sempre stati iscritti a quell’istituto, era considerata quasi una sorta di tradizione e né Ciel, né la sua promessa sposa Elizabeth facevano eccezione.
In tutta sincerità, al ragazzo non era mai importato molto che scuola dovesse frequentare: che fosse quella o un’altra, non gli faceva differenza. Tutte le sue scelte erano dominate da un’unica cosa: tenere alto il buon nome dei Phantomhive.
Varcarono la soglia dell’istituto; al suo interno c’erano già molti studenti, alcuni erano fermi in corridoio a chiacchierare, mentre altri si affrettavano a raggiungere le proprie classi.
– Buongiorno signorino Phantomhive, signorina Middleford. – li salutò un uomo completamente vestito di nero, con i capelli del medesimo colore e gli occhi rosso rubino.
Lizzy si staccò da Ciel e si avvicinò a lui. – Professor Michaelis! – esclamò. Il ragazzo si limitò a rispondere al saluto con un cenno del capo.
Lo superarono e si fermarono poco lontano, accanto ad un ragazzo che si stava sbracciando per attirare la loro attenzione. Aveva i capelli viola, lunghi fino alle spalle e gli occhi dorati; si chiamava Soma Asman Kadar, era uno studente straniero venuto a studiare in Inghilterra quell’anno ed era uno dei tanti figli di un nobile altolocato dell’India, tanto che arrivava a farsi chiamare “principe”.
Corse loro incontro, salutò la ragazza con un affettuoso abbraccio e cercò di fare lo stesso anche con Ciel, che si era prontamente ritratto.
– Sei già qui, Soma? Di solito arrivi molto più tardi. – già, perché era sempre in ritardo, entrava sempre quando la campanella di inizio lezioni era suonata da un pezzo e, nonostante i professori glielo facessero notare ogni volta, non cambiava mai. Il principe straniero era più palese dimostrazione che certe abitudini fossero dure a morire.
O forse era semplicemente molto tonto.
Il giovane si sporse in avanti, le mani sui fianchi e un’espressione beffarda sul volto.
– Mio caro Ciel, – iniziò con tono solenne. – se sono già qui è per un motivo che voi non potreste mai comprendere.
Il conte inarcò un sopracciglio, mentre la ragazza lo guardava estasiata.
– Ovvero? – poteva già intuire che, qualsiasi cosa avesse in mente, non gli sarebbe piaciuta.
– Ah! – Soma si batté un pugno sul petto. – Sono qui per indagare sul fantasma che infesta la scuola!
Il nobile inarcò un sopracciglio, mentre Elizabeth lanciava un urletto fin troppo acuto per i suoi gusti. Scosse la testa e li superò senza dire nulla. L’amico si girò di scatto e lo afferrò per un braccio, costringendolo a ritornare indietro.
– Non puoi dire sul serio. – sibilò il conte.
– Certo, invece! – ribatté l’altro. – Mi stupisco di te! Non mi dirai che non hai mai sentito parlare di questa leggenda, tutti a scuola la conoscono!
Ciel alzò gli occhi al cielo. – Sì, me l’hanno raccontata fino alla nausea. Ma è proprio ciò che dici tu: una leggenda. Una stupida storiella per spaventare i novellini.
Si liberò dalla stretta dell’amico e si sistemò la cravatta, avrebbe dovuto immaginare che, prima o poi, il principe avrebbe sentito quel racconto e gli sarebbe venuta voglia di giocare agli acchiappa-fantasmi.
– È tutto vero invece.
Il gruppetto si voltò a guardare chi aveva parlato. Di fronte a loro c’era un ragazzo della loro stessa età, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Aveva un’espressione beffarda in volto e li guardava con aria di sfida.
– Che c’è, non ci credi, Phantomhive? – continuò.
– Per niente. Mi stupisco lo faccia tu. – ribatté l’altro acido.
Il primo si concesse una risatina. Si avvicinò ai tre e si sporse leggermente in avanti. – Io l’ho visto, sapete? – sussurrò. Soma ed Elizabeth sgranarono gli occhi, mentre Ciel rimase impassibile.
– È davvero brutto: sembra un cadavere, tutto vestito di nero con i capelli bianchi e delle unghie spaventose. Dicono che sia l’anima di un uomo murato vivo in una delle stanze dell’edificio quando lo avevano appena costruito.
– Santo Cielo! È davvero terribile! – squittì Lizzy.
Alois annuì e si avvicinò ulteriormente alla ragazza. – Lo avevano imprigionato nell’ala est e ora, se rimani nei laboratori quando non c’è nessuno, puoi incontrarlo.
Il principe batté le mani, estasiato. – È deciso! Stasera andremo in perlustrazione!
Proprio in quel momento suonò la campanella, Ciel non era mai stato così felice di sentirla. Tirò un sospiro di sollievo e si incamminò lungo il corridoio.
– Ciel, aspettami! – strillò Elizabeth, e lo seguì di corsa. – Andiamo in classe insieme!

La prima lezione in programma per quel giorno era chimica. Una buffa coincidenza, pensò il conte, dopo i discorsi fatti quella mattina. Ovviamente la storiella del fantasma era una mera invenzione: in quattro anni passati in quella scuola, con innumerevoli lezioni in quel laboratorio, non l’aveva mai visto, così come quasi tutti gli studenti, tranne quelli che mettevano in giro certe dicerie.
Aprì il blocco degli appunti e iniziò a scrivere, svogliato; non gli era mai piaciuta quella materia e la spiegazione sulla scala del pH si preannunciava davvero poco interessante.
Per sua fortuna, l’ora finì in fretta; recuperò le sue cose e si avviò con Elizabeth e i suoi compagni di classe verso la loro aula.
Le lezioni successive volarono ancor più velocemente e, quasi senza che il giovane conte se ne accorgesse, era iniziato l’intervallo.
Era ancora seduto al suo posto, mente Lizzy si era alzata per raggiungerlo. Teneva le mani appoggiate sulla superficie del banco e gli sorrideva allegra, come suo solito.
– Senti, Ciel, posso chiederti un favore? – disse la ragazza.
L’altro alzò appena gli occhi verso di lei. – Certamente. Di cosa hai bisogno?
– Mi potresti prestare i tuoi appunti di chimica? Non ho capito bene la lezione di oggi…
Il conte annuì e si chinò a cercare il libretto nella sua borsa, ma non trovò nulla. Storse il naso, doveva averlo dimenticato nel laboratorio.
– C’è qualcosa che non va? – si preoccupò l’altra. Lui scosse la testa e si alzò in piedi.
– No, ho lasciato di là il taccuino, ora vado a prenderlo. – fece un cenno con una mano e uscì dall’aula.
Attraversò a passo spedito l’ala ovest, dove si trovava la sua classe, e tornò dove aveva trascorso la prima ora. A differenza del resto della scuola, il corridoio dei laboratori era vuoto, ma non c’era da stupirsene: gli addetti alla sicurezza insistevano perché gli studenti non trascorressero lì l’intervallo, rischiavano di sporcare e danneggiare le attrezzature.
Bussò alla porta e, non sentendo alcuna risposta, entrò. Si guardò intorno, la stanza era totalmente immersa nelle tenebre, tanto che riusciva a malapena a vedere dove metteva i piedi. Allungò un braccio alla ricerca dell’interruttore, ma qualcuno lo precedette: le luci si accesero all’improvviso, rivelando una figura seduta su uno dei banconi.
Il conte spalancò le labbra e lo squadrò da capo a piedi: aveva dei capelli lunghi, argentei, che gli nascondevano gli occhi; il corpo era coperto da un mantello nero, da cui uscivano solo le mani, appoggiate sul tavolo.
– Uh, uh, uh… ma guarda chi abbiamo qui! – rise. La sua voce gracchiante riecheggiava nella stanza.
Ciel si irrigidì e indietreggiò. – Chi diavolo sei tu? – ruggì, puntandogli un dito contro.
L’altro si piegò in avanti, tenendosi l’addome, e iniziò a sghignazzare ancor più forte. Il ragazzo strinse i pugni e lo guardò con odio, mentre quello cercava di tornare serio.
– Come, non lo sai? Sono il fantasma del laboratorio! – sul suo viso si aprì un ghigno sarcastico.
– Oh, sì, certamente. Smettila di farmi perdere tempo. – sibilò il giovane.
Lo spettro infilò una mano nel suo mantello e ne tirò fuori un libretto giallo. Il conte sgranò gli occhi appena lo vide, non poteva crederci: era il suo quaderno.
– Immagino stessi cercando questo. – inclinò la testa di lato. – Te lo ridarò, ma solo se mi aiuterai a fare una cosuccia…
Tirò fuori dal nulla una bottiglia di vetro contenente un liquido di colore rosa acceso, quasi magenta. Ciel inarcò un sopracciglio e si ritrasse istintivamente, qualunque cosa fosse, non prometteva nulla di buono; doveva andarsene il prima possibile.
Fece per abbassare la maniglia della porta, ma il fantasma era già saltato giù dal bancone. Lo bloccò, spingendolo addosso al muro. Lo sovrastava, una mano appoggiata alla parete e l’atra stretta sul collo del recipiente.
– Allora, che ne dici?
– Lasciami andare immediatamente! – ruggì il ragazzo.
L’altro si abbandonò ad una risata ancor più fragorosa delle precedenti. – Non ti devi preoccupare, solo un istante e potrai uscire da qui.
Stappò la bottiglia e versò il suo contenuto sulla testa del conte, fece un balzo indietro e svanì nel nulla. Ciel si strofinò gli occhi e si passò una mano sulla fronte, era asciutta. Non era possibile. Aveva sognato tutto?
Scosse la testa e ritornò nella sua aula. Doveva per forza essersi immaginato tutto, i fantasmi non esistevano di certo.

Il giovane Phantomhive camminava svogliato per il corridoio della scuola, il quadernino stretto in una mano. Forse aveva bisogno di una vacanza, in effetti, negli ultimi tempi non aveva fatto altro che studiare e dormiva poco. Doveva essere stato il sonno arretrato a fargli venire le traveggole. Incrociò le braccia sulla nuca e alzò la testa. Non vedeva l’ora di potersene tornare a casa.
Attorno a lui era pieno di studenti e il loro chiacchiericcio gli trapanava i timpani; quella non era davvero giornata, gli stava anche venendo mal di testa.
Rallentò il passo e si fermò per appoggiarsi al muro. Abbassò il viso e affondò le mani fra i capelli. Gli sarebbe servito davvero un po’ di riposo: oltre allo studio doveva anche pensare all’azienda di famiglia e, come se non bastasse, era circondato da scocciatori. Non che non volesse bene a Elizabeth, ma era asfissiante! Non gli lasciava mai un attimo di tregua! Per non parlare di Soma, poi. Gli si era attaccato addosso e non accennava a lasciarlo stare.
Si abbandonò ad un lungo sospiro e fece per andarsene, ma una voce alle sue spalle richiamò la sua attenzione.
– Qualcosa non va, signorino Phantomhive?
Si voltò, trovandosi faccia a faccia con il professor Michaelis; abbassò appena il capo in cenno di saluto.
– Nulla di che. Sono solo un po’ stanco.
– Capisco. – sul viso dell’uomo si aprì un sorriso. – Forse posso aiutarti…
Senza che Ciel avesse il tempo di reagire, l’insegnante si sporse in avanti e lo bloccò al muro, sovrastandolo con tutta la sua altezza. Il ragazzo deglutì e alzò lo sguardo verso l’altro.
– Potrei accompagnarti in infermeria. Se passi la prossima ora lì a riposarti, forse dopo ti sentirai meglio.
Si staccò da lui e gli tese una mano per invitarlo a seguirlo. Il conte si lasciò cadere sulla parete, per un attimo aveva temuto il peggio; tirò un sospiro di sollievo e iniziò a camminare appena dietro di lui.
In breve arrivarono in una stanzetta abbastanza isolata dalle aule; al suo interno c’erano un mobile e una scrivania addossati ad una delle pareti e un paio di lettini. Ciel vi entrò titubante e, subito dopo, l’insegnante fece lo stesso. Il ragazzo si guardò intorno e vide che non c’era nessuno oltre a loro.
– Dov’è la signorina Pimpel?
– Oh, oggi non c’è. È il suo giorno di riposo.
Sentì la porta chiudersi dietro a lui e inorridì. Solo in quel momento capì di essersi messo nei guai fino al collo. Si voltò e vide il professore, appoggiato allo stipite, che lo squadrava con aria beffarda.
Con una falcata lo raggiunse e gli appoggiò una mano sul petto. Lo spinse indietro fino a farlo sbattere contro uno dei lettini.
– Avanti, Ciel. Perché non ti stendi un po’? – la sua voce aveva il solito tono calmo e pacato, ma c’era qualcosa di strano nel suo atteggiamento.
Il giovane si morse un labbro. – No, grazie. Preferisco tornare in classe.
Fece per andarsene, ma bastò una leggera pressione delle dita dell’uomo per farlo cadere.
– Che ragazzo difficile… - mormorò. Si portò una mano alla bocca e la usò per togliersi uno dei guanti che indossava, mentre con l’altra bloccava il conte sul materasso.
Salì a cavalcioni su di lui e gli passò una mano fra i capelli. Ciel cercò di ritrarsi, ma era impossibile da quella posizione; provò a spingerlo via, ma l’uomo non si mosse di un millimetro, anzi, lo arrestò fra il materasso e il proprio corpo, impedendogli qualsiasi movimento.
– Lasciami andare, dannazione! – gridò.
Sebastian gli tappò la bocca con una mano, mentre si portava un dito alle labbra.
– Silenzio. Non ti farò del male.
Gli sollevò il maglione e la camicia dell’uniforme fino quasi alle scapole e gli avvicinò il viso, fino a sfiorare la sua pelle con il naso. Ciel sentì un brivido corrergli lungo la schiena, si irrigidì e questo non sfuggì all’altro; questi sorrise e gli diede un bacio sul petto.
– Non credevo fossi così timido, sai? – rise.
Scese fino ad accarezzargli i fianchi e gli slacciò i pantaloni, abbassò il viso verso l’inguine del ragazzo e appoggiò una mano sulla sua coscia.
Ciel ne approfittò per rizzare il busto e dargli una ginocchiata sul mento. L’insegnante si allontanò, stupito e dolorante, così il giovane poté scappare fuori dalla stanza.

Si sistemò i pantaloni alla ben e meglio e si infilò nella prima stanza che trovò, temendo che l’altro lo stesse seguendo. Sbarrò la porta e vi si appoggiò contro, lasciandosi cadere a terra.
Affondò le mani fra i capelli e sbuffò sonoramente. Che diavolo era preso a quel tizio? Quasi non riusciva a credere che il professor Michaelis avesse fatto una cosa del genere…
– C’è qualche problema?
Ciel alzò lo sguardo, davanti a lui c’era il suo insegnante di matematica, Claude Faustus. Sentì le guance avvampare, scattò in piedi e si schermì il viso con le mani.
– No! Assolutamente niente! – si affrettò a precisare, quasi urlando.
L’uomo inarcò un sopracciglio, dubbioso. Si avvicinò a lui, quando fu a pochi passi di distanza, un lampo gli attraversò lo sguardo: sgranò gli occhi e si scagliò contro l’alunno. Il conte cadde a terra, l’uomo a carponi sopra di lui, con un’espressione inquietante in viso. Cercò di toglierselo di dosso, ma fu del tutto inutile.
Si lasciò andare, alzando gli occhi al cielo, con le braccia lungo i fianchi. Aveva come una sensazione di deja-vu…
Claude si avvicinò a lui e appoggiò la fronte nel suo incavo della spalla.
– Non so cosa mi sia preso, è la prima volta che provo una sensazione del genere… - iniziò il professore, le sue mani sfioravano appena il corpo del giovane. – Come ho fatto a non accorgermene per tutto questo tempo?
Gli sfiorò appena il collo con le labbra, e questo bastò a far salire un brivido di disgusto lungo la schiena di Ciel. Quando l’uomo si spostò sul suo viso e provò a baciarlo, il conte gli tirò una ginocchiata all’inguine e scappò via.

Corse a perdifiato, ignorando bellamente i bidelli che gli urlavano di fermarsi, finché non raggiunse la sua classe; vi entrò e si gettò sul suo banco, col fiatone. Che diavolo avevano tutti, quel giorno? Gli sembrava di stare in un manicomio.
Si massaggiò le meningi e sbatté la fronte sul tavolo con una sonora sbuffata. Voleva solo tornarsene a casa e andare a dormire; quella giornata stava prendendo una piega davvero troppo strana per i suoi gusti.
Sì, era decisamente bizzarro: non c’era mai stato tutto quel silenzio nella sua classe durante la ricreazione.
Alzò la testa e si guardò intorno: non c’era nessuno oltre a lui. Prima era entrato talmente in fretta da non averci neppure prestato attenzione.
– Ehi, Ciel, dove sono andati tutti? – una voce fin troppo familiare lo distolse dai suoi pensieri, si voltò e diede un’occhiata a Soma, appoggiato allo stipite della porta con aria spaesata.
– Speravo lo sapessi tu. – ribatté bruscamente.
Il principe mise il broncio e incrociò le braccia al petto. – Che antipatico! – brontolò e andò a sedersi vicino all’amico che scosse la testa, rassegnato.
Soma appoggiò il mento al palmo della mano e prese a guardare l’altro di sottecchi; questi rabbrividì al ricordo di quanto successo poco prima, poi si tranquillizzò nel vedere lo sguardo annoiato e privo di malizia del compagno. Accennò un sorriso e scosse la testa per scacciare quel pensiero. L’indiano dovette notarlo, si drizzò sulla sedia e subito si sporse verso di lui.
– C’è qualcosa che non va? – chiese.
Il conte socchiuse gli occhi. – No, niente. – sospirò.
L’altro inarcò un sopracciglio, dubbioso.
– Sei sicuro? Eppure è da prima che non fai che correre per tutta la scuola…
Il giovane Phantomhive si irrigidì e distolse lo sguardo.
– Avevo dimenticato una cosa in laboratorio e sono andato a prenderla, tutto qui…
Soma sbatté le mani sul banco e si sporse verso l’amico, fino a quasi andargli addosso.
– Tu non me la racconti giusta! Mi stai nascondendo qualcosa, me lo sento! – strillò.
Spalancò gli occhi e salì sul tavolo, si avvicinò al viso del compagno e lo baciò. Ciel sarebbe caduto all’indietro per la sorpresa, se le mani del principe non lo avessero prontamente afferrato.
Non poteva crederci, stava succedendo di nuovo!
Cercò di sfuggirgli, ma finì per perdere l’equilibrio e far cadere la sedia che occupava, ritrovandosi a terra con il principino sopra di sé.
Sbuffò, aveva cantato vittoria troppo presto. Che stava succedendo in quella scuola? Sembrava che tutti fossero improvvisamente impazziti! Già un’iniziativa del genere era impensabile da parte di Soma, ma, addirittura due professori? E dire che, prima di quel giorno, nessuno lo aveva mai notato in quel senso…
Il principe gli baciava avidamente il collo, emettendo ogni tanto gemiti quasi animaleschi. Salì fino al mento, per poi avventarsi sulla bocca del ragazzo. A Ciel si ghiacciò il sangue nelle vene quando sentì la lingua dell’altro cercare di raggiungere la sua; ne aveva avuto abbastanza: alzò di scatto un ginocchio a colpire l’inguine dell’altro. Questi cadde di lato con un lamento di dolore, le mani strette sulla parte lesa.
Il conte Phantomhive ne approfittò per scappare, corse fuori dall’aula, il più lontano possibile da tutti, ma… c’era un posto del genere in quella scuola?
Certamente! Cambiò bruscamente direzione e corse giù per le scale, al pian terreno; lo attraversò tutto e si fiondò in un ripostiglio che quasi nessuno usava più.
Sbarrò la porta con una scopa e iniziò a camminare in circolo nel poco spazio disponibile. Non capiva più niente! Sembrava che tutti fossero improvvisamente usciti di senno. Che cos’era, una congiura contro di lui?
Quasi lo sperava: se fosse tutto uno scherzo, per quanto di cattivo gusto, almeno sarebbe riuscito a spiegarsi quel cambio di atteggiamento nei suoi confronti da un’ora all’altra.
Si bloccò di colpo. La ricreazione. Durante la ricreazione era andato nel laboratorio di chimica e aveva incontrato il fantomatico spettro che gli aveva versato addosso una strana sostanza.
La colpa era sua! Come aveva fatto a non pensarci prima?
Spalancò la soglia dello stanzino con un calcio e cominciò a correre più velocemente di quanto avesse mai fatto.

– Dove diavolo sei? Avanti, fatti vedere! – urlò il giovane, furente.
La stanza era come quando vi era entrato poco prima: completamente vuota e al buio. Fece qualche passo al suo interno e si guardò attorno, non vide nulla oltre ad alambicchi impolverati e altri strumenti. La porta si chiuse alle sue spalle con un sinistro cigolio, si voltò di scatto e il suo sguardo incontrò quello di una figura che rideva sorniona.
– C’è qualche problema, conte Phantomhive? – un grosso sorriso si allargò dal volto del fantasma.
– E lo chiedi pure? – ruggì. Scattò verso di lui e cercò di bloccarlo al muro, ma questi lo schivò con facilità e saltò su di un bancone.
Si portò una mano alla bocca e iniziò a sghignazzare, cosa che fece innervosire ancora di più il ragazzo. Questi strinse i pugni e afferrò una scatola appoggiata poco lontano, la scagliò contro lo spettro, che la evitò.
– Quella pozione funziona meglio di quanto pensassi, uh… – si massaggiò il mento con il pollice e scese, per andare a sedersi su uno dei tanti sgabelli. – ti devo ringraziare: senza di te non sarei mai riuscito a sperimentarlo!
Ciel sentiva il sangue ribollirgli nelle vene. Si stava prendendo gioco di lui, e non poteva tollerarlo; doveva trovare un modo per far svanire l’effetto di quell’intruglio e fargliela pagare.
– Oh, ma perché sei così di cattivo umore, conte? Credevo che ti avrebbe fatto piacere…
Voleva strozzarlo.
Abbassò la testa e si abbandonò a un grugnito, non poteva farlo: doveva convincerlo a liberarlo da quella sottospecie di maledizione il prima possibile.
Lo spettro avvertì la rabbia del giovane e se ne compiacque, non aveva molte occasioni per farsi due risate, non avrebbe sprecato quella per nulla al mondo. Incrociò le gambe e iniziò a frugare fra le tasche del mantello che indossava; ne tirò fuori una boccettina sferica non più grande di un pollice e la tese verso il conte.
– Credo che abbia già intuito che cos’è… – richiuse la mano e si abbandonò in una fragorosa risata nel vedere il ragazzo diventare rosso di rabbia.
Non era difficile capire di cosa si trattasse: era l’antidoto per la pozione.
– Dammelo. – Sibilò Phantomhive, ma non ebbe alcun effetto sullo spettro, anzi: questi si alzò in piedi e lanciò in aria l’ampolla, che rimase sospesa nel vuoto.
– Perché non vai a prenderlo, visto che lo desideri tanto? – sghignazzò.
Non era possibile. Perché proprio a lui doveva capitare una cosa del genere? Ciel digrignò i denti e cercò di trattenere gli insulti di cui voleva ricoprirlo. Si massaggiò le tempie, che cosa poteva fare ora?
Sbatté le mani sul bancone e si sporse verso la figura del fantasma; spalancò la bocca, pronto a intimarlo di consegnargli quella boccetta – sarebbe anche passato alle mani se necessario – ma un tonfo sordo lo fece ammutolire.
La porta era stata spalancata con un calcio, i due si voltarono a vedere cosa stava succedendo e si ritrovarono davanti Soma trafelato.
– Ciel! Si può sapere perché sei scappato via in quel modo? – strillò. Avanzò verso il conte e fece per afferrarlo, ma questi si scostò appena in tempo e saltò sul bancone.
Perché anche quello? Non era abbastanza nei guai senza bisogno di quell’idiota? Lo maledì mentalmente e indietreggiò.  – Che diavolo ti salta in mente? – ribatté. – Non dovevi seguirmi!
Il principe si appoggiò con le braccia al ripiano e vi si issò sopra. – Tu te ne sei andato senza dire niente!
– Mi sei saltato addosso! – esclamò Ciel. – Che cos’altro avrei dovuto fare?
Soma si bloccò e lo guardò in silenzio, un brivido corse lungo la schiena di Phantomhive quando intuì cosa avesse pensato.
– T-tu sei pazzo! Come hai potuto anche solo immaginare che io… sì, insomma… – il viso del ragazzo divenne rosso come un pomodoro e l’imbarazzo gli impedì di concludere la frase.
L’altro prese a torturarsi il labbro con i denti, senza sapere cosa rispondere. Il conte poté finalmente abbandonarsi ad un sospiro di sollievo; si passò una mano fra i capelli e fece per andarsene, ma il suo amico gli si parò davanti, impedendoglielo. Ciel inarcò un sopracciglio, credeva che avesse desistito ma, a quanto pareva, si era sbagliato.
– Che cosa c’è ancora? – sbuffò scocciato.
Il principe lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e strinse i pugni. – Non è giusto! Mi tratti sempre male, cerchi sempre di evitarmi!
Phantomhive inclinò la testa di lato, non riusciva a capire dove volesse andare a parare. Cercò di scostarlo e superarlo, ma questi gli afferrò un polso e lo costrinse a fermarsi; gli sfiorò il viso con una mano e si avvicinò a lui, fin quasi a lambire il suo naso con il proprio.
 – Ciel, Ciel… – sussurrò; alzò una mano ad accarezzargli la guancia e fece per baciarlo. Il ragazzo si levò di scatto, facendo così cadere l’altro in avanti; riuscì a liberarsi dalla presa dell’amico, ma così finì dritto fra le grinfie dello spettro. Questi strinse le braccia attorno alla sua vita in modo da immobilizzarlo, il giovane Phantomhive dovette trattenersi dall’imprecare; vide l’altro rialzarsi e venire verso di lui.
Iniziò a dimenarsi, fino a rendere impossibile allo spettro il trattenerlo, sgusciò via dalla sua morsa, aggirò Soma e lo spinse verso il primo. Questi gli cadde addosso ed entrambi precipitarono sul pavimento. Insieme a quella caduta si spezzò l’incantesimo che faceva galleggiare in aria la boccetta; il conte corse a prenderla prima che cadesse al suolo e corse via. Appena uscì dalla stanza, chiuse la porta e la sbarrò con una scopa abbandonata lì accanto da un bidello.
Aprì l’ampolla e se ne rovesciò in testa il contenuto, come aveva fatto il fantasma poco prima. Non sentì nulla di strano. Era come se si fosse gettato addosso dell’acqua… e la cosa lo preoccupava. Che avrebbe fatto se non avesse funzionato?
Scosse il capo, non ci voleva neppure pensare.
Rallentò il passo, attirare l’attenzione era l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento. Si guardò attorno, ora che era uscito dal corridoio dei laboratori, c’era molta più gente: poteva vedere ragazzi chiacchierare allegramente, appoggiati ai muri, altri che si affrettavano a rientrare in classe e anche qualche professore. Poco dopo si trovò faccia a faccia con Sebastian Michaelis; il sangue gli si raggelò nelle vene. Si irrigidì, abbassò il volto e cercò di superarlo il più velocemente possibile.
L’insegnante inarcò un sopracciglio e lo squadrò da capo a piedi. – C’è qualcosa che non va, Phantomhive?
Il ragazzo sentì tremare le ginocchia, scosse con violenza la testa e biascicò un no. L’altro inclinò il capo, poco convinto, ma decise di lasciare perdere e passare oltre. Doveva andare a tenere la sua prossima lezione, non aveva tempo da perdere.
Ciel si sentì sollevato da quel trattamento: gli effetti della pozione erano finalmente spariti e lui poté concedersi un sospiro di sollievo.
– Ciel! Cieeeeeeeel! – la voce di Elizabeth rimbombò per il corridoio e costrinse il giovane a rimangiarsi le ultime parole. – Si può sapere dov’eri finito? Mi stavo preoccupando!
Senza dargli il tempo di rispondere, la ragazza lo afferrò per un braccio e lo trascinò con sé all’interno dell’aula.
Aveva cantato vittoria troppo presto. Ora nessuno sarebbe più riuscito a fare qualcosa per aiutarlo!



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The writer's rant
Ebbene, dopo secoli ecco che torno sui caldi lidi di EFP.
No, a differenza di quanto potevate pensare, non ho ancora appeso la penna al chiodo, ma continuo il mio lavoro nel mio scrittoio là, in un angolino.
Questa fic è una specie di esperimento, non prendetela seriamente. Ho voluto vedere che cosa sarei stata in grado di combinare stravolgendo parte dei caratteri dei personaggi (per un buon motivo) e usando i peggiori cliché del fandom.
Ad essere sinceri, non ne sono molto felice, ma vorrei sapere che ne pensate voi!
Alla prossima!


  
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