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Autore: hibou    09/07/2012    3 recensioni
Prima classificata al contest "Accidentally in Love" indetto da Maracuja.
“Dende” lo richiamò avvicinandosi, leggermente stupita; “Che fai qui tutto solo?”
Il giovane deglutì, azzardandosi appena a fissarla in viso, mentre l’imbarazzo si impossessava del suo corpo e il cuore gli batteva in petto furiosamente.
“Bé, ecco...” farfugliò voltandosi di lato e sorridendo timidamente, “avevo bisogno di un po’ di aria fresca, tutto qui...”
Bulma sorrise e gli si avvicinò, sistemandosi al suo fianco e poggiando gli avambracci alla ringhiera.
“Resto a farti compagnia allora, ti va?” gli chiese strizzandogli l’occhiolino, e a quel gesto il suo stomaco fece una piroetta.

Storia corretta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Dende
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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923 parole. Pairing: Bulma\Dende


Prima classificata al contest "Accidentally in Love" indetto da Maracuja.
Ti ringrazio di cuore per il giudizio e per avermi fatto notare gli errori presenti nella storia, a tal proposito avviso di averla revisionata e corretta.
Grazie, grazie, grazie, grazie, a tutti.
Un saluto,
hibou.









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Such a Lonely God










Il tramonto sfumava di rosso il cielo caldo dell’estate e le cicale frinivano tra gli alberi accompagnando il filo dei suoi pensieri.
Affacciato alla grande terrazza, con i gomiti poggiati alla salda balaustra in ferro, contemplava il paesaggio della città all’imbrunire, mentre seguiva con lo sguardo il passo spedito e sostenuto dei pochi passanti che, velocemente, sfrecciavano davanti ai grandi cancelli della Capsule Corporation. Nessuna delle persone che erano apparse alla sua vista, si era accorto della sua presenza; sorrise al pensiero che, se avessero saputo chi lui fosse, probabilmente, avrebbero avuto una reazione del tutto differente.
Fu un pensiero fugace e di poco peso che non lo coinvolse molto; umile e solitario com’era, si sarebbe sentito a disagio e imbarazzato nel momento in cui anche solo una persona gli avesse rivolto delle particolari attenzioni.
Sospirò, socchiudendo gli occhi e immergendosi nella dolce brezza che gli solleticava il viso. Rimirò il ben curato giardino sotto di se, soffermandosi a lungo sull’altalena deserta che oscillava languidamente ai piedi di un grande albero. Spostò lo sguardo, torturandosi le mani, percependo il lieve disturbo che lo aveva accompagnato per tutta la giornata.
Sbuffò, voltando la schiena al panorama della città e abbassando lo sguardo, mentre con le mani giocherellava con l’orlo della lunga casacca. Percepì un lieve suono di passi e alzò appena la testa, imbattendosi nella padrona di casa, intenta a sistemare le tende della portafinestra.
Sussultò stringendo più forte l’abito quando, accortasi della sua presenza, lei gli rivolse un sorriso cordiale.
“Dende” lo richiamò avvicinandosi, leggermente stupita. “Che fai qui tutto solo?”.
Il giovane deglutì, azzardandosi appena a fissarla in viso, mentre l’imbarazzo si impossessava del suo corpo e il cuore gli batteva in petto furiosamente.
“Bé, ecco...” farfugliò voltandosi di lato e sorridendo timidamente, “avevo bisogno di un po’ di aria fresca, tutto qui...”
Bulma sorrise e gli si avvicinò, sistemandosi al suo fianco e poggiando gli avambracci alla ringhiera.
“Resto a farti compagnia allora, ti va?” gli chiese facendogli l’occhiolino, e a quel gesto il suo stomaco fece una piroetta.
Era il Supremo della Terra.
Dall’alto della sua reggia, vegliava su tutte le creature terrestri, assicurando loro protezione e la più totale armonia. Tutto il giorno, tutti i giorni, vedeva persone svegliarsi, fare colazione, andare al lavoro o a scuola e, infine, tornare a casa. Vedeva signore fare la spesa, bambini giocare a palla e uomini uscire con le proprie donne. Felici, tristi, chi in lutto e chi in guerra. Ogni giorno, dall’alto della sua reggia, vedeva la gioia e la disperazione delle persone susseguirsi con monotonia fiscale. E vedeva l’amore.
Che fosse giovane o vecchio, che fosse profondo o meno; lo vedeva manifestarsi davanti a lui.
Lui, che l’amore non lo poteva provare. Perché era un essere superiore, puro; abituato alla solitudine e alla riflessione, non gli era concesso provare sentimenti forti, in grado di scombussolare l’armonia e l’equilibrio che da lui dovevano trasparire.
Lui, Dio di un pianeta azzurro, che tutte vedeva e tutto sapeva, costretto a ripudiare e nascondere all’interno della sua anima ciò che lo accomunava ad un semplice terrestre: l’amore.
Non affetto, non amicizia, ma un sentimento forte e vero, che sgorgava da ogni poro del suo essere e che, impetuoso, assumeva nel suo cuore e nella sua mente le sembianze di una donna. Coraggiosa, intrepida, buona, altruista: una donna dalle potenzialità incredibili e dall’animo grande, in grado di accogliere nella propria dimora estranei e di fidarsi del prossimo senza giudicarlo dalle apparenze. Una donna unica, come non ne aveva mai viste; perché lui, realmente, di esemplari femmine ne aveva conosciute pochi. Nato e cresciuto in un mondo di pace e uomini, non conosceva la morbidezza di un abbraccio femminile e il profumo della vellutata pelle di una donna.
Lui che, bimbo timido e fragile, aveva dovuto prendersi carico di responsabilità troppo grandi e impegnative, infine si era dovuto precludere la possibilità di essere felice per rendere onore alla sua razza e al suo incarico.
La guardò di sottecchi, le gote arrossate dall’imbarazzo, mentre, deliziata, socchiudeva gli occhi e si rilassava sotto lo sguardo caldo del sole. Era bella, di una bellezza che lo faceva star male e impazzire.
Avrebbe voluto urlarle il suo amore, prenderla e scappare, rinunciare al suo ruolo per poter diventare, finalmente, un uomo libero di essere se stesso e di amare la propria donna.
Il volto di Popo e di Junior apparvero prepotentemente nella sua mente e lo costrinsero a serrare gli occhi e deglutire, pieno di vergogna.
“Sono molto felice” sussurrò Bulma; si voltò appena, mostrandogli parte del viso disteso e rilassato, gli occhi che brillavano emozionati. “Sono molto felice che sia tornata la pace”
E in quel momento Dende dovette mangiarsi le mani per non gridare, per non realizzare del sentimento che da lei sgorgava come un fiume e che si concentrava sull’immagine di un uomo che non era lui. Dovette controllarsi con tutte le proprie forze per non scoppiare, per non rivelarle ciò che da anni gli logorava l’anima.
Si sentì terribilmente a disagio e stupido, per quei pensieri, per quelle emozioni... Maledisse quella giornata di festa e desiderò ardentemente tornare a casa e rifugiarsi nel proprio palazzo, libero di mascherare la sua angoscia e di essere spettatore e non protagonista di un sentimento capace di arrecare solo dolore.
Sussurrò un flebile “Anche io” e si allontanò con un falso sorriso tra le labbra, pensando che, forse, era proprio quella la giusta punizione per un Dio che tutto poteva, e vedeva.


  
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