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Autore: StephEnKing1985    09/07/2012    1 recensioni
- Marco? - chiamò Manuel. Marco era lì seduto sul panettone di cemento a piangere sconsolato.
Manuel gli andò vicino e s'inginocchiò di fronte a lui, incontrando i suoi grandi occhi color cioccolato, ora bagnati dalle calde lacrime- Ehi - gli disse - Ma perché piangi? Guardati intorno. C'è Torino di notte che è tutta per noi. E poi... Ci sono io con te. - Gli sorrise e gli porse la mano. Marco lo guardò. In quegli occhi azzurri c'era molta più sincerità di quanta non ne avesse mai vista in vita sua... Quegli occhi color cristallo gli sorridevano, e sembravano dire "Non abbandonarmi, amico mio. Se mi abbandoni, tutto sarà stato vano." Marco allora prese quella mano e Manuel dolcemente lo tirò su. - Andiamo - disse soltanto.
- Ti voglio bene, Manuel. - sussurrò Marco all'orecchio di Manuel, mentre sotto di loro il Po scorreva tranquillo...
- Ti voglio bene anch'io, Marco. - rispose Manuel, stringendolo ancora di più nell'abbraccio.
*****

Marco e Manuel. Un anno d'età di differenza, anni luce differenti per modi di pensare ed agire. Eppure così simili, così saldamente uniti da un legame fraterno che li farà incontrare e sperare di nuovo nella vita. Sostegno l'uno dell'altro contro le delusioni della vita, prime fra tutte quelle d'amore. Una meravigliosa storia di amicizia, che vede protagonisti Marco De Cristina e Manuel Chiaravalle, già presenti nelle fiction di Notrix "Finalmente... Laureati!" e "Troppo bello per essere vero". In questo nuovo romanzo, Notrix ci conduce per mano verso un grande ed inesplorato parco (la città di Torino, che ha dato i natali a Marco e Manuel), dove la falsità e l'opportunismo sono elementi del paesaggio, e dove due ragazzi, così differenti in tutto e per tutto, trovano nell'amicizia una sicurezza contro le avversità della vita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era stata una settimana bellissima. E sicuramente sarebbe continuata, dal momento che Marco, con una semplice telefonata si era congedato dal lavoro per tre settimane (beneficiando di un monte ore arretrate da almeno due anni) e lo stesso Manuel allo stesso modo e per lo stesso periodo di tempo. Ma a sconvolgere i piani di due persone, è sempre il destino. Il destino che t’incontra in un giorno qualunque, che ti porta via con gioia o addirittura ti cancella dal mondo.

Una volta, tanto tempo fa, un uomo aveva svuotato il solaio della sua casa, trovando un mucchio di cianfrusaglie, tra le quali spiccava un quadro. Esso era un quadro brutto, raffigurante la sommità di un monte dipinta in campo lungo, in una luce lunare che incupiva il cuore in una maniera orribile. Sicuramente era un quadro che poteva valere, a dire tanto, pochi euro… ma chi si sarebbe preso la briga di mettersi in casa un quadro del genere? Così il proprietario lo portò in un mercatino delle pulci. Il quadro restò in esposizione per anni, fino a che un giorno, arrivò un signore. Andò alla sezione quadri quasi per caso, spinto da una strana voglia di guardare dei dipinti… e si soffermò proprio su quel quadro che era stato portato là dall’uomo che aveva svuotato il suo solaio. Lui ovviamente non poteva saperlo, eppure quel quadro lo attraeva irresistibilmente. Lo comprò, e se lo portò a casa. Una volta lì, notò che sotto quella crosta, c’era qualcosa. Chiese il parere di alcuni esperti e si scoprì che sotto il quadro c’era un rarissimo dipinto del famoso pittore quattrocentesco Paolo Uccello. Quel quadro aspettava il suo padrone. Il destino ci aspetta sempre, e non sempre è un bel destino.

Ed anche quella sera il destino stava aspettando Manuel e Marco. Come il signore al mercatino delle pulci, loro erano totalmente ignari…

…ignari che quella sarebbe stata l’ultima serata che si sarebbero visti.

 

*****

 

- Cazzo, quanta gente… - mormorò Manuel mentre cercava un posto per parcheggiare. Fuori dall’abitacolo, si vedevano tanti ragazzi a piedi che camminavano nella direzione opposta alla loro. Quella discoteca era l’unica discoteca di settore in quasi tutto il Salento, quindi l’alta affluenza era totalmente giustificata.

Manuel avanzò ancora con l’auto, aggrottando le sopracciglia. – Qui ci stiamo allontanando… - disse.

- Fa niente – rispose Marco – Al massimo ci faremo due passi. –

 

*****

 

Trovato il posto per la lunga station wagon, Marco e Manuel si erano incamminati insieme ed erano giunti all’entrata. Erano entrambi molto eleganti, tanto che avevano attirato parecchi sguardi su di loro. Prima di andare lì, Manuel aveva anche fatto togliere gli occhiali a Marco, togliendogli più anni di quelli che aveva, e aggiungendogli molto più fascino.

Pagato il biglietto, entrarono. Marco era stranamente elettrizzato. Sensazione strana, anche se non era la prima volta che visitava una discoteca. Manuel era lì accanto a lui, che si guardava intorno, ma con una serenità mai provata prima d’ora. Era con Marco, il suo amico. E per la prima volta in tanti anni, si sentiva veramente felice. Intorno a loro, la discoteca era piena dei soliti ragazzi tutti in tiro, maschere di ipocrisia e falsità assortite, sottolineate da acconciature e look aggressivi. Ma Marco e Manuel quella sera non erano in loro. Erano da un’altra parte, in un posto conosciuto soltanto a loro. Un posto di pace.

Ballarono e ballarono per tutta la serata. Non parlarono con nessuno, nonostante molti avessero cercato di rivolger loro la parola. Per la prima volta si sentirono bastevoli a loro stessi, l’uno aveva l’altro. Se qualcuno avesse avuto l’occasione di chiedere a Marco e Manuel, quale fosse stato il momento più romantico, sicuramente entrambi avrebbero risposto: il momento del lento.

- Oh senti – disse Marco – stanno suonando un lento. –

- Già – rispose Manuel, sorridendo – Marco…? – lo chiamò, offrendogli le mani. 

- …Manuel. – rispose Marco, prendendo il braccio del ragazzo. E insieme iniziarono a ballare il delicato lento. Con la sua statura, Marco arrivava con il mento all’addome di Manuel, mentre questi gli cingeva le spalle con le lunghe braccia. Mentre la musica suonava, si staccarono un momento per guardarsi negli occhi. Fu uno scambio spirituale intensissimo: rividero loro stessi in tutte le scene della loro vita, anche quelle passate insieme. Provarono dolore e tenerezza per le vicissitudini che avevano avuto coi ragazzi e nei confronti della vita… ma poi provarono gioia, nell’essere lì in quel momento, nell’essere ancora vivi, ma soprattutto insieme. L’amore era una cosa meravigliosa, l’amore vero non finisce mai… poteva valere la stessa cosa per l’amicizia? Sì. E loro l’avevano appena scoperto.

- Manuel? – sussurrò Marco, ad un certo punto.

- Dimmi – rispose sussurrando Manuel.

- Io e te… resteremo amici per sempre? –

Senza battere ciglio, Manuel rispose – Sì, Marco. Per sempre. Te lo prometto. – Detto questo, gli baciò la fronte e Marco arrossì violentemente.

- Al diavolo i fidanzati – aggiunse poi Manuel – Io ho te. –

- Ed io te. – concluse Marco, sorridendo dolcemente.

A suggellare quella rinnovata intesa, si abbracciarono. Fu un abbraccio forte, caloroso, di profonda amicizia. Restarono lì abbracciati come in una fotografia. Se al posto della discoteca ci fosse stata una stazione, la fotografia avrebbe potuto intitolarsi Il lungo addio. Niente di più azzeccato, considerato ciò che sarebbe successo dopo.

 

*****

 

Come mai era capitato ad entrambi, bevvero parecchio. Marco bevve tre cocktail molto forti, e Manuel quattro. A fine serata, alle quattro del mattino, erano ubriachi come due alpini. Sulla strada del ritorno verso l’auto, si misero a cantare delle canzoni in dialetto piemontese. 

Maria Giuana l'era in s' l'üs
l'era in s' l'üs ca la filava, oh
l'era in s' l'üs ca la filava, oh
trumbalalà

A i pasa al so midighin
Cusa i föi Maria Giuana?

L'è tre dì chi stagh nen ben
mi l'hai sempre mal da testa

Si sorreggevano l’uno con l’altro, a braccio, barcollando verso l’auto. Gli altri ragazzi che passavano li guardarono con aria divertita, ridendo. Ma loro non li ascoltavano, troppo impegnati a cantare a squarciagola la Maria Giuana nel loro dialetto.

Si i bivisi nen tant vin
mal da testa ad passerìa

Si i bivisa nen tant vin
st'ura chi sarìa già morta

E adess chi möra mi
vöi ca i cantu sempre ciuca…

Buti stupi par cusin,
damigiani par candeila


E ch'al preivi ca vegna après mi
vöi ch'al sia ciuch ad barbera, oh
vöi ch'al canta la Viuleta, oh
trumbalalà
.

- Uè!!! – Concluse Manuel, ridendo a crepapelle.

- Ahahahah – rise Marco – Vista … la nostra… preparazione culturale, pensavo che avremmo recitato la Divina Commedia a squarciagola, non certo la Maria Giuana piemontese…! –

- Preparazione culturale… ahahah! – rispose Manuel – Ma come parli…? Sei ubriaco forse??? – e rise ancora una volta a squarciagola.

- Sì! E mi piace da morire! Uahahahah! –

- Anche io sono ubriaco e mi piace da morire! Ahahah! Ho solo una domanda… -

- Dica pure, Geometra! –

- Senta, ragioniere… adesso… ch… che siamo …. Ubriachi come due alpini…. Come…. Come facciamo a tornare a casa? –

- T… torniamo… a casa a piedi…! Ahahahah! – rispose Marco, e continuò a ridere. Risero ancora per un bel po’, spostandosi pericolosamente verso la strada. Non immaginavano nemmeno che il loro destino stava per compiersi.

Poco lontano da loro, si udirono degli squilli di clacson, alcuni prolungati e alcuni brevi, da due differenti auto. I motori erano alla massima potenza, lo si poteva udire chiaramente. Nella loro ubriachezza, Marco e Manuel videro che alcuni ragazzi avevano saltato il muretto di pietre che costeggiava la strada, rifugiandosi per paura di chissà cosa. Nessuno entrava nelle auto, dove forse si sarebbe potuti stare più al sicuro. Pochi istanti dopo, Marco e Manuel videro perché tanto trambusto.

Una Fiat Brava nera ed un’Alfa Romeo 156 correvano a tutta velocità sulla strada, suonando e inneggiando un “brutti froci”. Gli occupanti delle auto non avevano intenzioni più cattive di quelle che stavano estrinsecando, ovvero lanciando invettive e pompando sugli acceleratori delle loro auto, ma quella serata passarono comunque per assassini. Nell’abitacolo della Fiat Brava c’erano cinque ragazzi: Alla guida Giulio Cantalamessa, ventuno anni, figlio di un meccanico. La ragazza l’aveva lasciato cinque giorni fa; Enrico Corteggi, diciotto anni, studente presso un istituto tecnico di Lecce; Vincenzo Cantalamessa, fratello minore di Giulio; Giovanni Monteforte, vent’anni, elettricista di Nardò, e infine Fernando Scarlino, il più giovane di tutti, appena sedici anni e studente di liceo classico. Con la musica a tutto volume nell’abitacolo, si divertivano a lanciare invettive ai ragazzi che, diversamente da loro, non provavano desiderio sessuale nei confronti delle ragazze.

- Ahahahah! Vai, Vai, vai, Giulio! Vai! –

Giulio ingranò la quinta marcia e il motore diesel rombò più potente.

- Guarda come scappano, i froci… fate schifo! – urlò Monteforte dal finestrino.

Il più intimorito era forse lo Scarlino, che nei suoi sedici anni era la prima volta che usciva con la compagnia di Cantalamessa. Se ne stava lì, seduto in mezzo a Monteforte e l’altro Cantalamessa, a guardare la strada dritto di fronte a lui. Ogni tanto lanciava qualche occhiata a Giulio che guidava, e se mentre lo faceva provava paura, quando vide che si era distratto (per cercare una canzone che gli piaceva sul CD) e chi c’era sulla strada, diventò praticamente bianco dal terrore.

- Giulio!!! – urlò – Attento! Guarda la strada!!! –

Ma era ormai troppo tardi. Quando Giulio alzò lo sguardo vide solo due ragazzi illuminati dalla luce dei fari. Uno alto e l’altro più basso. Immediatamente pigiò il pedale del freno, ma ciò non servì ad evitare l’impatto. Le gomme stridettero sull’asfalto, e l’Alfa 156 che stava dietro alla Brava, tamponò violentemente quest’ultima, che fece un testacoda e andò a finire su un’altra auto parcheggiata là. La 156 si fermò, ma il muso era irrimediabilmente rovinato. L’autista inserì le quattro frecce, ma non osò scendere dall’auto. Nella Brava, intanto, gli occupanti tacevano. Il primo a parlare fu Scarlino.

- S… state … B… bene…? –

- Io sì, sto … bene. – rispose Vincenzo.

- Anch’io. – disse Monteleone.

- Io ho male alla clavicola… - questo era il Corteggi.

- Oh cazzo ragazzi – disse ad un certo punto Giulio. – Che ho fatto…. –

Ripeté quella frase mentre scendeva e si rendeva conto di quello che era successo. Dietro di loro c’era l’Alfa 156 e un mucchio di ragazzi. Un ragazzino dalla cresta bionda piangeva, e un altro armeggiava col cellulare, visibilmente scosso. Ad un certo punto, Giulio si rese conto che erano nei guai: Vide avanzare alcuni uomini barbuti vestiti con pantaloni e maglietta nera, con su scritto “STAFF” a lettere cubitali. Uno di questi corse verso Giulio e gli tirò una sonora sberla sulla guancia, talmente forte da farlo andare a terra.

- Pezzo di merda! – sbraitò l’uomo, picchiando ancora più forte Giulio – Vieni a vedere che hai fatto! – Lo prese per un braccio e lo trascinò fin dietro l’Alfa, dove un altro uomo stava picchiando i pugni sul finestrino per cercare di farne uscire gli occupanti. Con il naso sanguinante, Giulio vide ciò che aveva fatto: sull’asfalto c’erano i due ragazzi. Le ossa erano scomposte, e gli occhi erano aperti e macabramente fissi. Dalla bocca uno dei due sputò un fiotto di sangue, mentre l’altro era agonizzante, in un bagno di sangue…

A quella vista, Giulio si mise le mani nei capelli impiastricciati di gel e si mise a singhiozzare. Alcuni ragazzi iniziarono a chiamarlo “mostro”, “assassino”, “figlio di puttana”…

- Vieni con me, adesso. E non fare scherzi sennò ti ammazzo di botte. –

Disse l’uomo barbuto, trascinando il ragazzo verso la discoteca. I suoi amici furono fatti uscire una volta arrivati i carabinieri e l’ambulanza, che verso le sei del mattino avrebbero verbalizzato la morte di Manuel Chiaravalle, ventotto anni, nato a Torino il diciotto aprile 1984, e Marco De Cristina, ventisei, nato a Novara il quattordici febbraio 1985. Nessuno li aveva conosciuti là, nessuno aveva parlato con loro se non poche persone nel paesino di Santa Maria al Bagno. Non si sapeva cosa ci fossero venuti a fare là, né quando sarebbero tornati a Torino. Le due famiglie furono sconvolte, nell’apprendere della loro morte, così i rispettivi amici e conoscenti. Thomas si recò al suo funerale e restò in un composto silenzio con gli occhi coperti dagli occhiali scuri, mentre Alberto sprizzò una lacrimuccia per Manuel (ovviamente mentre Thomas non lo guardava). Ci furono anche Adelmo e Rocco (che per ironia della sorte si sedettero accanto al funerale), che piansero in silenzio per tutto il tempo.

 

*****

 

Le auto li avevano appena travolti. In un barlume di lucidità, raccattato chissà dove in mezzo al dolore lancinante al petto che lo stava lentamente uccidendo, Marco aprì la bocca e parlò.

“Manuel… c… che è succ…cesso?”

“Ci…. Hanno… uccisi…” rispose questi. Le lacrime gli scendevano copiose dagli occhi, così come il sangue gli sgorgava dalla bocca. Anche lui sentiva un dolore fortissimo al petto, e avrebbe voluto a tutti i costi spostarsi in un’altra posizione, visto che a pancia in giù sentiva troppo dolore. In bocca aveva il sapore sgradevole della polvere, ma ciò che lo inquietava di più era il fatto che le sue gambe non rispondessero più ai suoi comandi: era bloccato. E la vista gli si stava annebbiando.

Accanto a lui, Marco stava piangendo. Manuel lo notò, e gli fece una domanda.

“Perché piangi…?”

“Perché… ho paura…” rispose Marco.

“No… non averne” gli disse Manuel “Ormai il peggio è passato.”

“Manuel… Ma… stiamo morendo?”

“Non lo so, Marco. Non lo so… forse sì.”

“Voglio la mia mamma, Manuel… Voglio la mia mamma.”

Non potendolo accontentare, Manuel si limitò ad allungare la mano con le poche forze che gli restavano, e prendere quella di Marco. Le sue lunghe dita si intrecciarono con quelle piccole e tozze di Marco, che purtroppo non risposero. Se lui non riusciva a muovere le gambe, allora Marco doveva aver avuto la peggio. Tuttavia Marco vide che Manuel gli stava stringendo la mano e gli rivolse lo sguardo. Ancora una volta incontrò i suoi occhi di cristallo, ora sporchi di sangue che gli colava dalla fronte… E si sentì bene. Fece un sorriso stanco, poi aprì di nuovo la bocca.

- Ti… - un fiotto di sangue sgorgò dalle sue labbra – …Voglio… bene… f… fratellone. – disse Marco. Poi esalò l’ultimo respiro e lasciò per sempre questa terra.

Manuel incominciò a piangere, quindi strinse più forte la mano di Marco e chiuse gli occhi, lasciandosi andare sempre di più. Da lontano, sopraggiunse l’ambulanza a sirene spiegate, ma ormai non gl’importava più nulla. Era stato bello conoscere Marco, ma ormai senza di lui non avrebbe potuto più vivere. Lo sapeva.

“Signora …” disse, a bassa voce “La prego, prenda anche me. Non posso stare senza il mio amico Marco.”

Poco distante, c’era la Morte. Alla sua sinistra, c’era Marco. Gli si avvicinò, e lo aiutò ad alzarsi. Con una mano gli spolverò la camicia e gli fece un sorriso. Poi gli fece un cenno con il capo, indicando l’Oscura Signora. Se ne stava lì, con la falce in spalla, a guardarli senza dire nulla. Poi si voltò, e fece cenno loro di seguirli. Marco prese la mano di Manuel, e gliela strinse. In silenzio, si allontanarono dalla folla, volando sempre più in alto…

 

 

Nemmeno per noi è una passeggiata

   
 
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