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Autore: _Lethe    10/07/2012    4 recensioni
Grazie India, per accogliere i miei pensieri errabondi. Grazie rossi cieli di Bombay, per essere la patria da cui parto tutte le sere. Grazie verde delle dolci colline di Niyamgiri per essere il letto che avvolge il mio sguardo quando sono troppo stanca. Grazie profondo azzurro dell'oceano, che accarezza il cielo e la sabbia bianca che sfioro con le dita, accarezzandola. Grazie risciacquo leggero del rigagnolo che lambisce una capanna vicino ad Agra, che apre la sua porta a me, che non sono altro che una vagabonda, libera di tutto, ricca di nulla.
Genere: Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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fiumi

FIUMI CARICHI DI TE

Grazie India, per accogliere i miei pensieri errabondi. Grazie rossi cieli di Bombay, per essere la patria da cui parto tutte le sere. Grazie verde delle dolci colline di Niyamgiri per essere il letto che avvolge il mio sguardo quando sono troppo stanca. Grazie profondo azzurro dell'oceano, che accarezza il cielo e la sabbia bianca che sfioro con le dita, accarezzandola. Grazie risciacquo leggero del rigagnolo che lambisce una capanna vicino ad Agra, che apre la sua porta a me, che non sono altro che una vagabonda, libera di tutto, ricca di nulla. Portando, racchiudendo dentro di me tutti questi ricordi, tutte queste sensazioni, forse mai provate ma così vive, camminavo ancora per le strade bianche del sud, cercando di confondermi tra la folla che si spostava traballante e insicura, urtandomi e non vedendomi. Note sottili, profumi perduti nell'aria, sapori che non sfioreranno mai più il mio palato: ecco tutto quello che mi lascio alle spalle, senza voltarmi. Cammino senza una meta, verso il porto forse, forse mi lascio semplicemente trascinare e sballottare, affidandomi completamente a questa folla di sconosciuti che mi conosce intimamente. Loro, al contrario di me, sanno dove portarmi. E lo fanno senza indugi, lasciandomi sulla porta rossa di casa sua. La porta per cui ero partita anni e anni or sono, quando presi quell'aereo, con solo uno zaino in spalla e una lettera bruciata in mano. Sono passati vent'anni, eppure la porta è ancora qui, esattamente come me l'aveva mostrata tanto tempo fa, sorridendo con orgoglio per la sua eredità. Mi aveva chiesto di seguirlo e io l'ho fatto. Solo qualche anno dopo.

Mi hanno rapito.

Ogni singolo chicco di riso, ogni singolo filo d'erba, ogni singola porzione di cielo che vedevo diversa ogni notte, mi ha portato via con sé, nascondendomi in giardini e palazzi, perdendomi nella giungla, abbandonandomi tra le spire di un paese che ho sentito subito mio. Nulla del grigiore di Milano rimpiangevo, nulla del bianco asettico della mia vecchia casa ancora ricordavo, sommersa dall'infinità dei colori che sono l'anima di questa gente, di cui faccio parte anche io. Perfino la mia pelle bianca si è subito uniformata, prendendo una sfumatura indiana. Anche lei deve aver sentito l'aria di casa.
Ma ora tutti questi pensieri sono inutili, sono arrivata alla mia meta, nulla potrà distrarmi. Busso leggermente, mentre abbasso la maniglia. Il silenzio che vive dentro di me non è nulla in confronto a quello che vige in questa casa buia. Perfino la città trattiene il respiro, mentre apro completamente la porta, trovando solo il buio e la polvere.
Non mi ha aspettato.
Spossata, come se tutta la fatica accumulata in questi anni si fosse liberata sulle mie spalle, cado a terra, facendo correre via i minuscoli granelli di polvere. Ecco, ora sento di nuovo i rumori, gli elefanti che camminano tra le biciclette, le macchine che strombazzano, il mio cuore che si spezza.
A fatica mi alzo, solo dopo aver permesso alle mie iridi spente di adeguarsi a quel buio spezzato. Riesco a camminare, appoggiandomi ai mobili di legno scuro, toccando quelle superfici che le sue dita stanche chissà quante volte hanno accarezzato. Le lascio scivolare, finché non incontro l'argento scurito dall'aria sottile che incornicia una fotografia. I miei occhi cercando disperati un raggio di quel sole che mi ha bruciato la pelle, mentre le mie dita afferrano l'oggetto, con forza. La delicatezza l'ho dimenticata ormai, da troppo tempo.
Eccoti, che sorridi all'obiettivo, abbracciato ad una donna
che non sono io.

Ho aspettato troppo.

La fotografia mi scivola via dalle mani, mentre mi immergo in pensieri che mai erano cresciuti nella mia mente, che ora mi sembra piena di edera sanguinante.
Le mie guance sono piene di lacrime che riflettono il tramonto che avvolge Bangalore, lasciandomi sola in un momento, con però il ricordo di quel rosso cupo, forte, unico. Cammino leggera, lasciando cadere lo zaino a terra, spogliandomi velocemente di tutti questi anni passati a ricordarlo fugacemente, senza mai fare troppo peso alla sua ultima frase
“Non sono bravo a lasciar scorrere la sabbia”. L'aveva lasciata scorrere fin troppo, la clessidra era rotta da un pezzo.

E allora mi lascio tutto alle spalle, come avevo sempre fatto, mi lascio alle spalle anche il ricordo di come si respira, persa nell'osservazione di quel cielo che mi parla e mi sussurra parole all'orecchio.. “Sei libera ora, davvero”. Forse sì, sono davvero libera. Non un pensiero, non un'immagine, non un sussurro, non un profumo, non un sapore, nulla e tutto.

Finalmente l'avevo raggiunto, il nulla che tanto speravo di trovare, sperduto chissà dove in qualche capanna abbandonata, in mezzo a colline e giungla, forse in bocca ad una tigre, forse dentro un tempio, forse in un tempo abbandonato.
Pagine ingiallite di libri che mi ero ripromessa di leggere volano nell'aria, spargendo le parole assieme ai petali dei fiori e alle foglie di tè scappate dalle mani delle raccoglitrici. Parole ormai inutili, che forse è meglio perdere. Lascio cadere nell'acqua rossa del Gange tutte quelle sensazioni che mi erano scappate dalle mani, tutte quelle note che non mi ero mai decisa ad ascoltare, tutti quei suoni che mi ero rifiutata di accogliere, non penso più costantemente a cosa ho perso. Che senso avrebbe?
È meglio scivolare, affogare lentamente, perdersi ancora e ancora. Tornare non è più una scelta o una prospettiva, non è più nulla. Ora che ho trovato ciò che intimamente cercavo, perché dovrei vagare ancora negli aeroporti, volare sulle montagne, cercarlo con lo sguardo tra tutti quei volti che animano Delhi?
No, non ora che posso dimenticare.
Ha ragione il vento, sono libera, libera da lui.
Grazie India, per avermi donato la libertà, per avermene fatto prendere a mani piene, sollevandola ed avvicinandola al viso, assuefacendomi dell'odore di spezie che emana. Dell'odore delle piantagioni di tè nero, dell'odore dei colori usati per dipingere gli elefanti, dell'odore del latte delle mucche sacre, dell'odore dell'acqua che scarseggia, dell'odore della polvere arancione che staziona sulle strade.
Dell'odore di te, che
non ci sei più.



* * *

Pubblico ora un pezzo che mi sta molto a cuore, all'inizio è stato pensato come parte di una storia più lunga (che avevo anche iniziato a pubblicare ma poi cancellata vista la mia incapacità a portarla a termine) poi rivisto e completato. Un piccolo assaggio di un viaggio, dei colori e dei sapori di una terra lontana e viva. Della perdita e del tempo che fugge..

Spero davvero che vi piaccia, c'è molto di me in questo scritto, dei miei sogni e delle mie paure..  Fatemi sapere cosa ne pensate, se condividete gli stessi sentimenti o se la pensate diversamente.. insomma, fatevi vivi che siete sempre ben accetti ^^
Alla prossima

Lethe

  
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