We've all been Lost
for most of this
life.
#Prologo.
Day One.
Aprire gli occhi per Kurt non fu mai tanto difficile.
Il tempo che impiegò a riprendere coscienza di sé e della sua sensibilità
sembrò infinito, la prima cosa che sentì fu un insolito e doloroso formicolio
lungo tutto il corpo, e la testa che pulsava. Pulsava forte e senza sosta, era
l’unica cosa che riusciva a sentire, il feroce alzarsi e abbassarsi delle sue
tempie e lo scorrere violento del sangue nelle sue orecchie. Si sentiva come in
una grande bolla di sapone, e quando iniziò ad avvertire diversi punti del suo
corpo bruciare e dolere, lottò per aprire gli occhi.
Appena fu di nuovo cosciente di sé, sentì lo sferzante bisogno di
sapere.
La sua mente era spenta, appannata, non ricordava niente, ma
stava male e doveva capire il perché. Tentò più e più volte di tirare su le
palpebre, pesanti come massi, e per farlo prese due profondi respiri. A quel
punto del fumo gli solleticò il naso, e l’odore del pericolo gli fece
spalancare gli occhi di colpo.
La prima cosa che vide, fu delle fronde sopra di lui, sullo
sfondo di un cielo macchiato di nuvole, un cielo mai visto. L’aria era umida e
calda, le piante intorno a lui di un verde accecante, e nonostante si sentisse
indolenzito dappertutto, si aggrappò con una mano al tronco di un albero al suo
fianco e fece forza su quello per tirarsi su. Quando però tirò su le ginocchia
e notò che la sua mano era completamente insanguinata, la sua testa cominciò a
girare vorticosamente e un secondo dopo era di nuovo a terra, steso sulla
schiena con le braccia aperte in una posa arrendevole, di nuovo faccia a faccia
con quel cielo sconosciuto. Non cedette all’istinto di socchiudere di nuovo gli
occhi e si girò su un fianco, strisciando con i gomiti finché non arrivò
abbastanza vicino ad un’altra fronda da poter afferrare. Questa volta tenne lo sguardò fisso in alto e afferrò il fusto con entrambe le
mani, arrampicandosi fino a trovarsi in piedi, le gambe deboli ed intorpidite,
la vista un po’ annebbiata, e le orecchie ovattate. Aspettò qualche attimo,
forse dei minuti interi, aspettò finché non cominciò a sentire la nebbia
dipanarsi piano piano, e udì qualcosa.
Delle urla.
Urla sconvolte, provenire da non molto lontano, e l’odore di
bruciato che si faceva sempre più acre.
Fu tutto quello che bastò a Kurt perché il suo cervello si
rimettesse lentamente in moto e facesse scattare dentro di lui un unico
campanello dall’allarme.
L’aereo.
A quel pensiero Kurt fece un vero e proprio bagno nella paura.
Nella sua mente iniziarono a susseguirsi flash spaventosi, le prime scosse sul
suo aereo, il grande sobbalzo, le mascherine che venivano giù e la picchiata
senza sosta.
Il suo aereo era precipitato.
E con quella consapevolezza un’unica cosa gli balzò in testa:
Rachel, Finn e Chandler.
Dov’erano? Perché non erano lì con lui?
Il dolore passò totalmente in secondo piano, e Kurt cominciò a
correre fuori dalla vegetazione, arrivando a mettere piede sulla sabbia ed
avere una panoramica completa della spiaggia su cui era finito.
Doveva essere un’isola.
Un’isola su cui si era appena schiantato un aereo, o meglio, la metà di un
aereo che ora giaceva lungo il bagnoasciuga, con
un’elica ancora funzionante che continuava a girare senza sosta e detriti di
lamiera ovunque, alcuni anche in fiamme. La carcassa spezzata inquinava il
panorama idilliaco creato da quell’acqua cristallina e dalla sabbia bianca, un
paradiso tropicale sporcato di disastro.
La cosa che fece più impressione a Kurt però furono le persone, tutte sporche e
la maggior parte sanguinanti, che correvano dappertutto, piangevano, fissavano
il vuoto, non avevano idea di quello che stava succedendo e non sapevano che
fare. Sulla spiaggia regnava il caos, e lui si guardò intorno girando su sé
stesso più di qualche volta per cercare con lo sguardo i suoi migliori amici e
suo fratello. Si avvicinò all’aereo, passando accanto ad una ragazza con i
vestiti rosa macchiati e un po’ bruciati che urlava a squarciagola dalla paura,
tenendosi stretta le braccia al petto mentre le lacrime le rigavano il viso
sconvolto. Kurt avrebbe davvero voluto fermarsi per tranquillizzarla, ma nella
sua mente continuavano a risuonare i nomi di Rachel, Finn
e Chandler e le sue gambe non sembravano collegate al cervello. Continuò a
correre, per perlustrare la spiaggia, cercando di urlare, ma aveva la gola
secca e dolorante, e per sbaglio urtò una ragazza bionda con i capelli a
caschetto tutti scompigliati e il viso sporco di fuliggine, che chiamava con
tutto il fiato che aveva in gola “Beth”. Non si
scompose neanche di una virgola né tanto meno si fermò quando Kurt le finì
addosso, troppo presa dalla sua ricerca. Quest’ultimo la osservò mentre
riprendeva la sua corsa e si fermò per un attimo a guardare le persone riverse
per la spiaggia. La sua attenzione venne catturata da un ragazzo con la cresta
che si teneva il ginocchio sanguinante, il viso contratto in un’espressione
sofferente mentre un ragazzo biondo gli lavava la larga ferita con l’acqua di
una borraccia e tentava di tamponarla, ripetendogli come un mantra che sarebbe
andato tutto bene. Spostò lo sguardo da quella scena sugli altri passeggeri:
alcuni erano ben vigili, pochi stavano seriamente aiutando chiunque trovassero
e organizzando la situazione per evitare che il panico si dilagasse e facesse
ancora più danni, altri erano riversi per terra, feriti o semplicemente sconvolti…e poi, c’erano i cadaveri. Alcuni evidenti dalla
pelle completamente pallida e bluastra, altri dalle profonde ferite e
mutilazioni.
Era una scena agghiacciante.
“KURT!”
Quando il ragazzo sentì la familiare voce del suo migliore amico
sbraitare il suo nome, si voltò di scatto, tanto velocemente da rischiare uno
stiramento al collo, e quando vide Chandler a pochi metri da lui, un po’
malconcio, con i vestiti strappati e qualche graffio, ma comunque illeso e in
piedi, si sarebbe voluto mettere a piangere. Gli corse incontro senza
esitazione, raggiungendolo a metà strada e stringendolo in un abbraccio quasi
disperato.
“Chandler” mugugnò Kurt per poi staccarsi e far scorrere
accuratamente lo sguardo su tutta la figura del suo migliore amico, per
controllare che stesse davvero bene.
“Come stai? Ti fa male qualcosa? Sanguini?” chiese tutto d’un
fiato mentre Chandler faceva teatralmente una giravolta su sé stesso.
“KURT E’ UNA TRAGEDIA!” sbottò portandosi le mani ai capelli
polverosi, e osservando l’altro con i suoi grandi occhioni
blu spalancati in un’espressione sconvolta. Le mani gli tremavano leggermente, e
aveva delle piccole macchie di sangue sulla camicia che fecero allarmare
all’istante Kurt, il quale si allungò subito per afferrargli il torace e
controllare che non avesse ferite.
“Cos’hai qui?!” domandò preoccupato facendo passare le dita sulle
sue costole.
“HO UN OUTIFIT DA MILLE DOLLARI ROVINATO PER SEMPRE, ECCO COS’HO
QUI!” esclamò isterico Chandler sussultando e nascondendo la testa fra le
braccia, scoppiando a piangere.
“HO ANCHE PERSO LA MIA SPILLA A FORMA DI
GIRAFFA! E IL MIO CAPPELLINO DI FENDI! E’ UN
DISASTRO!” continuò con la voce rotta dai singulti, mentre alzava gli occhi arrosati su Kurt e gli lanciava un’occhiata
compassionevole.
“Guardati, anche tu!” disse portando una mano ad aggiustare il
colletto della giacca del suo migliore amico, il quale sgranò gli occhi
sconcertato e afferrò con violenza le spalle di Chandler.
“IL NOSTRO AEREO E’ PRECIPITATO! Non m’importa niente del tuo
cappellino di Fendi, m’importa solo che il mio dannato migliore amico sia vivo
e vegeto e stia bene!” sbottò Kurt strattonando l’altro con veemenza,
sbigottito.
“Come posso stare bene senza il mio cappellino di Fendi?!”
squittì Chandler in tutta risposta, per poi sospirare e guardare a sua volta il
suo migliore amico, controllando che non avesse nulla fuori posto.
“Dov’eri finito Kurt? Ti ho cercato dappertutto!” continuò
buttandosi di nuovo fra le sue braccia, e l’altro si lasciò andare ad un
sospiro e gli cinse la schiena.
“Ero là fra gli alberi. Non so come ci sono arrivato, so solo che…mi sono ripreso e non c’era nessuno…tu
dov’eri?” chiese Kurt staccandosi dal biondino e passandogli affettuosamente
una mano fra i capelli per levargli un po’ di polvere.
“Steso sulla spiaggia, appena fuori dall’aereo, devo essere
caduto dal mio sedile…” rispose Chandler mentre si massaggiava
una spalla dolorante. Quelle parole fecero accendere la lampadina nel cervello
di Kurt, infatti sobbalzò violentemente e ricominciò a volteggiare per
guardarsi intorno ovunque.
“Rachel! Dov’è Rachel?! Non era accanto a te?” domandò Kurt
allarmato, mentre Chandler stringeva le labbra e abbassava il capo.
“No, non era con me…”
A quella risposta il cuore di Kurt sembrò fermarsi, mentre il
sangue diventava freddo nelle sue vene e il terrore lo invadeva del tutto.
Rimase un istante pietrificato, mentre nella sua testa scorrevano tutte le
possibilità più spaventose che lo fecero tremare d’orrore, poi di punto in
bianco riprese a correre per tutta la spiaggia, urlando con quanto fiato aveva
in gola il nome della sua migliore amica. Mentre cercava di avvistare ovunque
la chioma mora di Rachel, sentì inevitabilmente il panico montargli nel petto e
le lacrime che gli pungevano gli occhi.
Era accanto a loro, per tutto il volo Rachel era stata proprio al suo fianco,
doveva essere lì, e doveva essere viva, come era vivo lui e com’era vivo
Chandler.
Non poteva essere…
Non riusciva nemmeno a pensarlo.
Non voleva pensarlo, perché non poteva essere vero.
Riprese a correre più forte, più disperato, sentendo Chandler
dietro di lui che chiamava il nome di Rachel con il fiatone, coprendogli le
spalle mentre Kurt rastrellava velocemente tutti i volti che incontrava alla
disperata ricerca di quello della sua migliore amica, che sembrava sparita,
dissolta nel niente.
Fece il giro di tutta la carcassa dell’aereo, facendo slalom tra
i corpi riversi per terra, finché non inciampò e finì sdraiato sulla sabbia,
viso a terra e mani schiacciate sotto il petto, mentre Chandler tirava un urletto spaventato e si accucciava di fianco a lui.
“Kurt! KURT! Stai bene?” gli domandò strattonandogli la spalla
mentre questo tentava stancamente di voltarsi e mettersi a sedere. Si passò una
mano sugli occhi, strofinandoli lentamente per cercare di ripulirli dalla
sabbia e dalle lacrime, e quando li riaprì erano gonfi e spenti.
Chandler incrociò le gambe e si sedette accanto a lui,
cingendogli un fianco e osservandolo apprensivo, mentre Kurt con gli occhi
continuava a cercare.
“Non è possibile Chan, non è possibile, Rachel era con noi, è
sempre stata con noi, se io e te siamo vivi deve esserlo anche lei! DEVE essere
qui!” sussurrò il ragazzo stringendo i pugni, mentre Chandler annuiva con il
capo.
“Lo è Kurt, ne sono certo…però pensaci,
tu sei finito lì fra gli alberi no? Magari c’è finita anche lei…e
starà tornando verso la spiaggia” rispose il suo migliore amico accarezzandogli
la schiena per tranquillizzarlo, mentre l’altro spostava lo sguardo per terra,
giusto in tempo per veder passare al suo fianco un cagnolino, apparentemente
tranquillo, che trotterellava saltellando fra i detriti e dirigendosi verso la
ragazza vestita di rosa che continuava a singhiozzare disperata.
“E’ vero…dobbiamo cercarla anche lì”
rispose Kurt con una rinnovata determinazione, tirandosi su velocemente e
tendendo una mano a Chandler per aiutarlo. Una volta in piedi, si diressero a
grandi passi verso gli alberi da cui lui stesso era appena uscito, ma non
dovettero fare molta strada, perché dalle rocce vicino alle fronde spuntò
Rachel.
Aveva il vestitino a pois blu strappato e lacerato su una
spallina, le braccia sporche di sabbia e fumo, e i capelli che gli sfuggivano
scomposti dalla coda, ma nonostante questo quando Kurt la vide i suoi occhi
s’illuminarono e il suo cuore riprese a battere. O almeno, finché la ragazza
non sollevò a sua volta lo sguardo, e Kurt poté scorgere nelle sue iridi
l’orrore più nitido che avesse mai visto.
Affrettò il passo per raggiungerla, e quando fu solo a poche
spanne da lei, Rachel alzò il capo per incrociare i suoi occhi e lo fissò per
dei lunghissimi istanti con espressione vuota, finché le sue labbra tremarono e
con voce rotta pronunciò tre semplici terrificanti parole.
~ ~ ~
Blaine non riusciva a ricordare di essersi addormentato.
Solitamente
non dormiva mai quando viaggiava, ma passava il tempo rileggendo gli appunti
presi durante l’ultima lezione, oppure guardava vecchi telefilm sul portatile.
Eppure, in quel momento, si sentiva
indolenzito esattamente come dopo essersi svegliato dopo un lungo e scomodo
pisolino.
Seduto, al
suo posto sull’aereo.
Solo, era
eccessivamente indolenzito e quelle fitte che sentiva al collo e alla fronte
non presagivano nulla di buono. Senza
contare che si sentiva spingere verso destra da chissà quale forza innaturale e
incomprensibile. Poi c’era quella strana corrente calda che lo schiaffeggiava
in pieno viso e che, a rigor di logica, non sarebbe dovuta esserci in un luogo
chiuso. Decisamente non era l’aria condizionata eccessivamente alta, adottata
da quasi tutte le compagnie aeree.
Cerco di
aprire gli occhi, ma una forte luce lo investì facendolo gemere sofferente,
sempre a causa del dolore improvviso alla testa. Così, a tentoni, si liberò
delle cinture di sicurezza sganciandole.
E cadde di
lato.
Solo quando
sbatté contro alla fila di sedili accanto si accorse che essi erano
improvvisamente sotto. L’aereo
appoggiava su un fianco, tutto sulla destra, e lui era appena caduto addosso a
qualcuno. Doveva ancora realizzare a pieno tutto quanto quando tentò di alzare
lo sguardo su quella persona e realizzò che
non aveva la testa.
Decapitato.
Si spalmò
con la schiena contro quello che prima era il suo sedile e fissò orripilato la scena, riscuotendosi dal torpore nel quale
era caduto. Spostando poi gli occhi lungo il corridoio dell’aereo realizzò che
esso non esisteva più ma che tutto si riduceva ad una carcassa senza ne capo ne
coda, riversa Dio solo sa dove…..
… E che
tutte quelle persone non stavano semplicemente dormendo. …
Arrancò
quasi disperato verso l’uscita, irradiata di luce, con il capo svuotato di
qualsiasi pensiero razionale.
Cadde in
avanti sulle ginocchia, mentre i suoi occhi tentavano disperatamente di
adattarsi a quel cambio improvviso e drammatico di luce e strinse tra le mani
il terreno, sotto di sé.
No, non
terreno. Sabbia.
Sbatté più e
più volte gli occhi, sollevando il pugno pieno e lasciandone cadere lentamente
il contenuto a terra.
Nell’esatto
istante in cui riuscì vagamente a realizzare quello che poteva essere successo,
attorno a lui esplose il caos. I suoi
non erano più ovattati, ma forti al punto tale da ferirgli le orecchie. Si alzò
in piedi a stento, appoggiandosi alla fusoliera e si guardò attorno
terrorizzato, stordito dalle urla e dalla scena che gli si parò davanti.
La spiaggia
candida e l’acqua trasparente dell’oceano davanti a lui rendevano la visione
stupenda di quel paradiso terreste quasi effimera, se paragonata alle persone
che correvano e urlavano attorno, o semplicemente restavano riverse al suolo,
tra i rottami in fiamme. Per un istante avvertì le ginocchia cedere, al punto
che dovette farsi più forza sulle braccia.
Avanzò di
qualche passo appena si sentì un poco più sicuro, portando una mano alla fronte
che ancora gli doleva e ritraendola con una smorfia sul viso. I polpastrelli
erano sporchi di sangue.
I suoi occhi
si spostarono su un ragazzino, giovane al punto da sembrargli un liceale, e
iniziò a realizzare che non era solo su quell’aereo. Si avvicinò zoppicando
appena e sentendo male non solo al collo ma anche a tutta la schiena.
“Hey! Hey tu!” urlò
inginocchiandosi accanto a lui e scuotendolo appena “Riesci a sentirmi?” Questi
si riscosse appena e Blaine tirò un lieve sospiro di
sollievo. Era vivo, anche se malconcio almeno quanto lui. Lo sentì mormorare
qualcosa, così lo aiutò a sedersi attendendo che aprisse gli occhi e lo
guardasse.
Solo quando
lo fece, Blaine si sentì quasi morire.
Aveva gli
occhi azzurri, molto chiari.
Simili a
quelli di suo fratello.
Cooper.
Dove cazzo
era Cooper!?
“Mi riesci a
sentire?” chiese con voce tremolante al ragazzo, che lo fissò disorientato per
qualche istante prima di annuire “Il tuo nome?”
“Rory” biascicò questi con uno strano accento straniero che,
sul momento, Blaine non si preoccupò di identificare
“Rory Flanagan.”
“Io devo cercare
mio fratello.” Disse Blaine stringendo le mani sulle
sue spalle “Tu hai qualcuno?”
“No, tornavo
a casa da un anno di studi all’estero, signore” rispose Rory,
alzandosi molto lentamente con l’aiuto dell’altro “Penso sia meglio se vi
recate alla ricerca del fratello vostro scomparso! Io saprò cavarmela!”
La botta in
testa doveva aver fatto più danni del previsto, ma Blaine
riuscì ugualmente a capire che poteva andare a cercare Cooper.
Non avrebbe
comunque aspettato oltre.
Doveva
trovarlo.
Iniziò a guardarsi
attorno, cercando con gli occhi quelli del fratello maggiore che però non
sembrava essere lì con lui.
Poco
distante notò un ragazzo giovane e alto, in ginocchio a terra accanto a una
ragazza dai tratti asiatici. Le stava facendo il massaggio cardiaco . Accanto,
un altro ragazzo cinese le stringeva la mano.
Ovunque
c’erano persone che cercavano i loro cari, che urlavano e si disperavano o
semplicemente si guardavano attorno disorientate, ma Cooper non si vedeva da
nessuna parte.
Si portò le
mani tra i capelli, scombinati nonostante gli strati di gel che era solito
applicarvi, e per un istante chiuse gli occhi cercando di ridurre tutto quel
caos a nulla più che un sussurro tremulo, al fine di riuscire a ragionare a
mente lucida.
Capì presto
che era impossibile.
Quando si
sentì strattonare per il braccio si illuse, per un istante, che fosse suo
fratello. Peccato che non fosse Cooper, bensì il ragazzo che aveva visto prima,
chino sulla giovane asiatica, e lo stava guardando con irritazione e insistenza.
“Allora?!
Hai capito cosa cazzo ti sto dicendo?!” gli sbraitò addosso, strattonandolo più
forte “Mi serve che tu mi dia una mano o quella donna morirà!”
Blaine annuì anche se a dirla tutta aveva capito poco o niente, volendo
però dare una mano in qualche modo. Seguì quello strano individuo e lo guardò
raccattare al volo un altro paio di uomini, uno molto giovane e con gli
occhiali e l’altro di mezza età, con uno strano gilet color terra bruciata e
una testa piena di scombinatissimi capelli ricci.
Li condusse
fino al centro di quella confusione dove, da una grande lamiera di metallo, si
potevano intravedere delle gambe. Esse si muovevano debolmente, segno che
quella persona, lì sotto, era ancora viva.
“Dobbiamo
spostare questo pezzo di ala” Spiegò il ragazzo, indicando a Blaine e agli altri due dove posizionarsi.
Poi fecero
forza sulle braccia e provarono a spostare l’ala. Non fu facile, per niente, ma
dopo un paio di tentativi riuscirono a farla cadere di lato. Sotto di essa
c’era una donna di colore, apparentemente
priva di conoscenza e con una profonda ferita al ventre che perdeva copiosi
rivoli di sangue.
“Cazzo…” Blaine guardò come il
ragazzo che lo aveva chiamato ad aiutare si era subito precipitato si di lei,
sollevando la maglietta, prima di rivolgersi a uno di loro guardandolo con
urgenza negli occhi chiari “Tu, come ti chiami?”
“A-Artie…” rispose questo, dondolando da un piede all’altro
e fissando la ferita della ragazza con espressione sconcertata.
“Sentimi
bene, Artie. Devi trovare qualcosa, qualsiasi cosa
con cui posso tamponare questa ferita. Pezze di stoffa, vestiti, qualsiasi
cosa. Chiaro?” notando che non lo stava per nulla ascoltando gli lanciò un urlo
che fece trasalire Artie “Ascoltami bene! Io sono un
medico, ma non posso fare tutto da solo! Quindi fa qualcosa o questa donna è
spacciata, cazzo!!”
“O-ok!” si riscosse, facendo per avviarsi, ma poi tornò a
rivolgersi al dottore con espressione persa “Qual è il tuo nome?”
L’altro
sbuffò visibilmente, levandosi la cintura e provando a passarla sotto al seno
della donna per fermare l’emorragia, ma era eccessivamente corta “Sebastian.
Sebastian Smythe, ventiquattro anni, specializzando
in chirurgia alla facoltà di Princeton, single e ben disposto anche verso chi
ha gusti particolare in campo sessuale. Ora, ti darei anche il numero del
passaporto, l’indirizzo e il numero di previdenza sociale ma se non te ne fossi
accorto, c’è una donna che sta morendo dissanguata!”
Artie partì di
corsa, scivolando nella sabbia e raddrizzandosi poco dopo e sparendo oltre la
parete della fusoliera. Blaine si sfilò la camicia,
rimanendo con addosso solo una maglietta macchiata del suo stesso sangue, e
passando l’altro indumento al medico affinché la usasse per tamponare il
sangue.
Sebastian
gli fece un cenno di ringraziamento, prima di provare a spostare seppur di poco
la donna. Sembrava ridotta malissimo e Blaine non
poteva far altro.
Senza
contare che Cooper ancora non si trovava.
Una
consapevolezza piuttosto violenta lo investì con la stessa intensità di un
treno merci in corsa: il suo aereo era caduto, chissà dove, e suo fratello era
come sparito nel nulla. Poteva essere ovunque, anche tra i cadaveri dentro alla
fusoliera per quel che ne sapeva.
In un modo
di disperazione tornò correndo verso di essa, chiamandolo con tutto il fiato
che aveva, fino a che la gola non iniziò a bruciare e fargli male.
“Cooper!
Cooper!”
Si scontrò
con una ragazza ispanica molto bella, che sorreggeva un’altra forse più giovane
di lei, biondina e visibilmente provata.
Si scusò
appena notò l’occhiata assassina che la donna gli aveva rivolto, aiutandola a
far sedere l’altra su una roccia. Le riconobbe entrambe dalla divisa, erano le
due Hostess che avevano assistito la classe turistica per tutto il volo prima che….
Boom!
Immagini
sbiadite presero subito forma nella sua mente e in un istante si ritrovò a
riviverle come se le avesse viste in un film. L’aereo che tremava, un botto
forte, un paio di scossoni fortissimi e poi le mascherine che venivano calate
davanti a lui mentre perdevano a via a via sempre più quota e poi….
Nero.
Tutto nero,
tutto spento e un silenzio ovattato che lo aveva stordito.
Poi più niente….
Si voltò
verso la grande distesa blu dell’Oceano molto lentamente, muovendosi in un modo
del tutto inconscio verso di essa e lasciandosi cadere a terra, sulle
ginocchia. Una singola lacrima salata gli percorse il viso sporco prima che
egli potesse alzare le mani per coprirlo. Sentiva ancora le urla dietro di sé,
l’odore forte dell’aereo e delle carne di quelle persone che bruciava, attenuato
eppure ancora forte.
Rialzò lo
sguardo davanti a sé sperando di intravedere i soccorsi arrivare verso di lui,
ma ciò che vide fu addirittura migliore.
Qualcuno, un
uomo sulla trentina per la precisione, stava uscendo dall’acqua passandosi una
mano tra i capelli e guardandosi attorno. Si scambiarono uno sguardo,
riconoscendosi all’istante.
“COOPER!”
Blaine arrancò nella sabbia nel disperato tentativo di alzarsi e
iniziare a correre verso il fratello nello stesso momento.
Questo
sorrise anche troppo tranquillamente, abbracciandolo quando il più piccolo si
buttò contro di lui, entrando a sua volta nell’acqua “Hey
fratellino, credo di essere caduto nell’Oceano” disse indicando col pollice
dietro di sé. Squadrò Blaine con attenzione, prima di
passare un dito sulla ferita aperta che gli attraversava la fronte, lì dove
aveva impattato col sedile davanti a loro.
A quel tocco
Blaine rabbrividì per il dolore e gli bloccò il polso
“Stai bene?” chiese poi, ansioso “Io non riuscivo a trovarti e…”
“Sto bene,
ma prima devo farti una domanda fondamentale, fratellino…”
disse serio, afferrando con entrambe le mani le spalle dell’altro che attese in
silenzio. “Il mio viso…. Per caso mi sono ferito?”
Blaine lo fissò un silenzio un istante, constatando che sì quello era davvero
Cooper “Ma sei per caso imbecille??” chiese scrollandoselo di dosso.
“Voglio solo
sapere se possono rimanere delle cicatrici!” si difese subito l’altro.
“Il nostro
cazzo di aereo è precipitato e tu ti preoccupi della tua faccia?!”
“Io con
questa faccia ci lavoro!” sbottò il maggiore dei due, indicandosi il viso con
veemenza, prima di sospirare e passarsi di nuovo la mano tra le ciocche bagnate
dei capelli, guardando verso la spiaggia dove si stavano radunando pian piano a
gruppetti, tutti i superstiti “Certo che è un gran casino, Blainers.”
Sussurrò poi, in modo quasi impercettibile, portando un braccio attorno alle
spalle del fratellino. Trovandosi di fronte a quella realtà scioccante si sentì
davvero rincuorato.
Blaine lo aveva trovato, erano ancora insieme, poteva andare tutto male
ma loro erano ancora uniti.
Questo
pensiero attraversò anche la mente del più piccolo, che con un cenno del capo
molto flebile gli fece segno di avviarsi verso gli altri.
Cosa ne
sarebbe stato di loro? Quando sarebbero arrivati i soccorsi?
Non ne aveva
idea, ma l’importante era non perdere più suo fratello.
To be
continued. …
Jalexa is Lost.
Salve a
tutti!
Ecco qui il
nostro primo parto mentale a quattro mani!
(Doveva
succedere questa cosa prima o poi XD)
Iniziamo col sottolineare l’ovvio: si, le
contaminazione del telefilm Lost che sono tra l’altro
evidenti hanno dato il via a questa FF.
… Alexa non ha mai visto il telefilm tra l’altro, è stata Jessy che ha aperto gli orizzonti su questo nuovo fronte xD (E lei tra l’altro ha già in mente tutti i posti in cui
far scopare il Klaine, ma questo era LOGICO).
Si prevede
ANGST, Smut, di tutto e di più per i prossimi
capitoli che ci impegneremo a postare tutti i martedì sempre verso quest’ora.
Speriamo di
aver solleticato la vostra curiosità, sappiate che abbiamo in mente GRANDI cosa
per il futuro.
Ci
ringraziamo tra noi due visto che ci siamo betate avvicendevolmente (siamo a sedere una accanto all’altra sul
letto e non ci caghiamo per scrivere, il colmo).
Detto questo,
se volete lasciarci un parere è sempre ben accetto se no a martedì prossimo!
Un bacio e
un abbraccio.
La vostra Jalexa.