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Autore: Aya_Brea    11/07/2012    10 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Allora, pensi di saper distinguere 
il paradiso dall'inferno? 
I cieli azzurri dal dolore? 
Sai distinguere un campo verde 
da una fredda rotaia d'acciaio? 
Un sorriso da un pretesto? 
Pensi di saperli distinguere? 
Ti hanno portato a barattare i tuoi eroi per dei fantasmi? 
Ceneri calde con gli alberi? 
Aria calda con brezza fresca? 
Un freddo benessere con un cambiamento? 
e hai scambiato un ruolo di comparsa nella guerra 
con il ruolo da protagonista in una gabbia? 
Come vorrei, come vorrei che fossi qui 
Siamo solo due anime sperdute 
Che nuotano in una boccia di pesci 
Anno dopo anno 
Corriamo sullo stesso vecchio terreno 
E cosa abbiamo trovato? 
Le solite vecchie paure 
Vorrei che fossi qui 





Ran riaprì lentamente i suoi occhi, ma quel che avvertì immediatamente fu un incredibile sentore di sangue, di stantio, di chiuso; poi comprese di essere in un grande stanzone sotterraneo, a giudicare dalla piccola finestrella rettangolare posta in alto, sulla parete di fronte a lei. Là dentro c’era anche qualcun altro, sentiva un respiro irregolare provenire alle sue spalle. La ragazza non poté però rendersi conto di chi si trattasse, data la fitta oscurità che avvolgeva probabilmente entrambi. Il suo cuoricino palpitava forte, sospinto e sorretto da una tremolante fiammella di speranza. Shinichi. Ogni qualvolta le cose non andavano bene, ella si ritrovava sempre a riporre la sua intera fiducia in quel Detective. Eppure nel preciso istante in cui un brivido di freddo le corse lungo la colonna vertebrale, si rese conto che non avrebbe potuto contare su di lui per l’eternità. D’altronde l’aveva abbandonata per troppo tempo e aveva permesso che quei brutti ceffi dell’Organizzazione la malmenassero e la rapissero. Quei pensieri le strinsero la gola in un orribile nodo, insopprimibile e impossibile da inghiottire. La spiacevole sensazione si tradusse in una lacrima furtiva lungo la guancia secca.
Ran sedeva inerme con le spalle premute contro il muro ed inoltre aveva i polsi legati dietro alla schiena con una fune molto robusta. Non sarebbe mai riuscita a liberarsi. Non da sola, perlomeno. Forse avrebbe dovuto richiedere l’aiuto di colui che divideva la stanza con lei.
Ma non appena le sue labbra si dischiusero nel tentativo di articolare delle parole, la porta d’ingresso si aprì lentamente, lasciando dispiegare pian piano una sottile lingua di luce sulle piastrelle sudice. Ran strinse gli occhi in una fessura e riuscì a mettere a fuoco quella figura alta e scura delinearsi contro il riquadro di luce della porta. Finalmente una porzione di quella stanza venne illuminata; la ragazza distingueva chiaramente l’uomo che era appena entrato. Gin. Riconobbe quegli occhi, quelle movenze, l’odore di quella sigaretta e poi, quella voce. Strinse i denti più che poté.
“Salve Ran, hai già fatto conoscenza del tuo coinquilino?” Disse l’uomo, infilandosi una mano in tasca e avanzando di qualche passo.
“Gli avete messo un nastro argentato sulla bocca, come pretendi che possa parlare?” Sibilò la ragazza con tono seccato.
A quel punto Gin le si avvicinò, scagliandole un calcio nel fianco. Ella emise un lieve gemito e strinse i pugni; la fune le segava letteralmente i polsi. Si pietrificò nella posizione che aveva assunto dopo il colpo, piegata in avanti e col capo basso, i capelli le coprivano il volto.
“Sei molto simpatica, ma risparmiati questo sarcasmo per il tuo Detective. Inoltre sei in presenza di una personalità illustre, non vorresti fare brutta figura?”
Era calato un silenzio cinereo e in quei brevi istanti Gin scorse l’altro uomo appoggiato ad una colonna, costretto in una posizione innaturale dalle corde che lo imprigionavano. A giudicare dal suo volto ombroso, ne dedusse che quei giorni lo avevano segnato molto. Il biondo scosse il capo e sfilò dalla tasca il suo cellulare, poi compose un numero.
Un ghigno sottile si delineò sulle sue labbra. “Vediamo un po’ cosa dice il tuo caro Detective liceale.”
Non appena ebbe proferito quelle parole, il capo di Ran scattò verso di lui e si sollevò quasi per istinto. “Cosa? Che vuoi fare?”
“Una prova d’amore.” Borbottò con sarcasmo.  Fra uno squillo ed un altro fece un tiro di sigaretta e sbuffò il fumo verso l’alto.
“Shinichi Kudo.” Il tono di lui divenne improvvisamente posato, basso.
Pronunciato da Gin, quel nome faceva tutt’altro effetto, tanto che Ran fu sopraffatta da una tremarella nervosa. Aveva gli  occhi sgranati nel tentativo di scorgere in quelli di Gin, una risposta alle sue domande o a quel che stesse rispondendo Shinichi. Dio, era troppo curiosa e troppo preoccupata.
 
 
Shinichi rabbrividì nell’udire quella voce. Non era stato così idiota da chiamarlo senza inserire il “Numero privato”, eppure non faticò minimamente nel riconoscere l’inflessione gelida nel tono di Gin. Oramai era diventato un sentore inconfondibile per lui. Strinse i denti e d’improvviso, lo stradone affollato di Beika sembrò scomparire come per incanto: c’erano soltanto lui e quell’uomo, la cui presenza era tangibile nonostante fosse soltanto un cellulare a legarli l’un l’altro.
“Non vi azzardate a torcerle un capello.” Disse Shinichi fra i denti serrati. Sentì la rabbia gonfiargli le vene del collo, ulteriormente ravvivata dalla placida indifferenza mostrata dal suo interlocutore.
“Kudo, ho una proposta da farti. E nessuno si farà male.”
Difficilmente sarebbe sceso a patti con un criminale, eppure Ran era coinvolta in quella spiacevole storia. “Di che proposta si tratta?”
Gin si prese del tempo per potersi fare una lunga tirata. Lo rilassava.
“Sai, Shinichi, queste due personcine qui presenti mi aiuteranno molto, sono i nostri assi nella manica. I Jolly su cui si eleva la struttura del nostro piano.”
Il ragazzo non riuscì a reprimere un gesto di stizza.
“Non mi servono le tue chiacchiere, spara! Che hai in mente?”
“Quanta fretta.” Il biondo diede una rapida occhiata alla ragazza ai suoi piedi, tremolante come una foglia, poi dispiegò lo sguardo fra un paio di fredde colonne in calcestruzzo. “Si, forse hai le tue ragioni per avere fretta. Comunque ti spiegherò brevemente la situazione, Kudo. Oltre alla tua amata Ran, qui c’è il Presidente, come avrai ben capito. Vermouth ha avuto modo di lasciare degli indizi prima di morire, ma a quanto pare non ha avuto il tempo perché dessero i loro frutti. In definitiva ti propongo una situazione di stallo.”
“Che diavolo volete?!” Il tono di Shinichi si fece più torbido e ribollente di rabbia.
“Dal momento che sei l’unico a conoscere più approfonditamente l’organizzazione e l’FBI ne è al corrente, sarai tu il protagonista di questo Scacco Matto. Il Presidente sarà il loro obiettivo, tu convincerai i tuoi cari amichetti della Polizia a rilasciare i membri dell’Organizzazione che Vermouth ha fatto arrestare grazie alla sua soffiata e noi libereremo quest’idiota al Governo.”
Shinichi si leccò le labbra, incredibilmente secche, al pari della sua lingua. Aveva il respiro corto per via dell’ansia e dell’agitazione. “Perché rapire Ran?”
Gin rise sommessamente, poi ciccò la sigaretta a pochi passi da Ran e la spense sotto la suola della sua scarpa. “Ma come, Detective? Non ci arrivi da solo?” A quel punto, il killer portò un ginocchio contro il pavimento in modo da raggiungere la stessa altezza del viso di Ran: osservandolo, notò che esso era pallido, cinereo. Fra il pallore delle sue guance spiccavano due occhioni spalancati e pietrificati dalla paura. “Ran è la ciliegina sulla torta che mi da la certezza che tu non faccia qualche passo falso. Sei costretto a collaborare e la ragazza è un Surplus affinché questo avvenga senza problemi.” L’uomo sfiorò delicatamente il mento di Ran con la mano destra e poi le sorrise leggermente. “Ti sta aspettando con ansia, Shinichi. Non deluderla. Mi raccomando. Non vorrei sporcarle di sangue questo bel visetto.”
“Gin! Aspetta, Gin! Maledizione.” L’uomo in nero aveva tagliato la chiamata, rendendolo schiavo dell’unica decisione che avevano previsto. Gli sembrò di essere stato catapultato in un’unica strada da percorrere, senza scorciatoie o viottoli di sorta. Cosa doveva fare? Avrebbe dovuto piegarsi realmente ai voleri di quegli assassini? O c’era un’altra chance? A quel punto il bivio, gli sembrò l’unica scelta davvero realista, anche se rischiosa. Estremamente rischiosa.
 
 
 
 
 
Shiho si vestì in fretta: come di consueto al suo risveglio aveva trovato vuoto il posto al suo fianco e ipotizzò che Gin fosse uscito, diretto chissà dove. Quello, non le era dato saperlo. Erano passati oramai alcuni giorni e la storia si era ripetuta innumerevoli volte: la notte lui le si avvicinava, la sfiorava, la accarezzava; la mattina dopo la osservava come se fosse stata una sconosciuta in casa sua, con quegli occhi freddi e privi di qualsiasi calore, con quella stramaledetta sigaretta sempre accesa fra le labbra. Cominciava a sentirsi male al solo pensiero. Si sentiva un oggetto, un giocattolo con cui lui si sfogasse, ogni qualvolta ne avesse bisogno. Doveva porre fine a quello strazio, a quell’annullamento dal retrogusto auto-lesionistico.
Ai piedi del letto, la ragazza si infilò velocemente un paio di shorts di jeans e indossò una t-shirt nera, poi si sedette sul bordo per poter stringere bene i lacci degli anfibi: li aveva comprati giorni fa e le erano subito piaciuti: scarponi robusti, solidi, da guerrigliera rivoluzionaria. Tutto quel che avrebbe voluto essere e che inconsciamente le dava l’impressione di mostrarsi più forte e coraggiosa. Ma dentro si sentiva davvero troppo fragile ed ebbe la certezza che un ulteriore colpo basso l’avrebbe distrutta definitivamente come uno specchio frantumato in una miriade di microscopiche schegge taglienti.
Qualche minuto più tardi Shiho fu in strada e quel che successe fra le trafficate viottole di Beika le sembrò soltanto un breve intermezzo di un film girato da un regista alquanto sadico: incontrò Shinichi e apprese immediatamente la situazione venutasi a creare. A quel punto credette che la cosa giusta da fare fosse quella di guidare il Detective verso il cuore dell’Organizzazione: forse l’avrebbe condannato a morte contraendo la distanza che li separava, ma nel preciso istante in cui incrociò il suo sguardo preoccupato e premuroso non seppe negargli l’aiuto di cui aveva bisogno.
Entrambi entrarono nella stanza di Gin e Shinichi compì una giravolta su se stesso per poter dare una rapida occhiata all’ambiente circostante. Non trapelava alcunché da quei mobili squadrati e maledettamente banali ma non ne fu sorpreso.
“Eccoci qui, Kudo. Questa è la stanza dove è solito trascorrere la notte. In questi giorni l’ha usata soltanto per dormire, ma potrebbe esserci qualcosa di interessante per capire dove tengono Ran.” Shiho rimase ferma nei pressi della porta, mantenendo le braccia congiunte dietro la schiena: la sua visuale le permetteva di tenere sott’occhio l’intero monolocale e ciascun movimento del Detective, che nell’immediato, prese a farsi meticoloso.
“Come pensavo Gin non è il tipo che ama curare i suoi effetti personali, a giudicare dall’assenza di qualsiasi decorazione.” Era chino a frugare nei cassetti dell’armadio. Alcuni erano addirittura vuoti. “Sembra che i membri dell’Organizzazione siano quasi paragonabili a dei fantasmi. Non si sa nulla delle loro vite, né tantomeno dei loro trascorsi.”
Shiho trasse un sospiro che Shinichi interpretò come carico di ricordi e pensieri nostalgici. “E’ proprio così. E’ la prassi. Chi entra nell’Organizzazione non è nessuno su questa Terra, sparisce dalla faccia del Globo per l’eternità. Agisce nell’ombra.”
Shinichi si aggirava furtivo nella stanza, pareva essersi placato ed ora riusciva a ragionare in maniera molto più lucida e concisa. Arrivò alla scrivania e aprì i primi cassetti, poi si piegò in ginocchio per aprire l’ultimo. Sgranò gli occhi. “C’è un fazzoletto.”
La ragazza sollevò le sopracciglia e rimase incuriosita da quel ritrovamento. Il Detective lo prese e mentre lo svolgeva dalle sue piegature si alzò in piedi. Non appena il fazzoletto fu completamente aperto, Shiho ebbe un moto di sgomento. Santo Cielo. Ricordava quel fazzoletto.
Quando Shinichi si volse per osservare la ragazza fu sorpreso nel vederla così provata.
“Cosa c’è, qualcosa non va?”
“Quel fazzoletto era di Akemi.”
“Dici davvero? E perché lo ha lui? Sembra che lo abbia conservato per alcuni anni.”
Shiho si avvicinò e glielo sfilò dalle mani con delicatezza, come se stesse maneggiando una piccola scultura di cristallo. Sorrise dolcemente. “Era il suo preferito. Credo che Gin lo abbia raccolto dopo averla uccisa. Ma ad ogni modo presto avrò l’occasione per chiederglielo personalmente.”
Il ragazzo continuò ad ispezionare ogni singolo oggetto del monolocale, fin quando non sfilò fra le pagine di un giornale recente, un biglietto sul quale vi era annotato un indirizzo. “Dà un’occhiata a questo.”
La biondina conservò accuratamente il fazzoletto e si avvicinò nuovamente a lui. Dalla calligrafia elegante e precisa dedusse che era stato proprio Gin a scriversi quell’appunto. “E’ senza dubbio la sua scrittura. Ho trascorso più tempo con lui che con mia sorella. Roba da non crederci.”
Shinichi ridacchiò. “Non ci resta che tentare la fortuna e recarci qui.” Egli volse il capo verso la finestra: non si erano neanche accorti che il sole era calato da un pezzo. Era sera ormai, i lampioni della città cominciavano ad accendersi diffondendo la loro luce lungo le strade.
“Kudo, dobbiamo muoverci.”
“Vorrei chiederti una cosa prima.” Deglutì, poi le afferrò un polso con decisione. “Si può sapere da che parte stai, Shiho?”
Ella schiuse pian piano le labbra, scrutando gli occhi chiari e sinceri del Detective. Era la prima volta che le si rivolgeva chiamandola col suo vero nome.
“Credo di essere sempre stata dalla vostra parte, ma stanotte lo sarò fino in fondo. Voglio aiutarti, Shinichi. Non ho più nulla da perdere, ma se posso fare qualcosa per te, lo faccio volentieri. Potrò essere utile a qualcuno, almeno.” Nel suo tono c’era una punta di rammarico, in un misto fra la rassegnazione ed il rancore, fra i mille sensi di colpa che si portava nel cuore. Avrebbe voluto redimersi in qualche modo, espiare le sue colpe in maniera definitiva.
“E lo ami?” Chiese Shinichi, strinse i denti e cercò di trovare una risposta negli occhi di Shiho, ancor prima che l’avesse proferita. Ma ella sembrò temporeggiare, istintivamente tentò di sfilarsi dalla presa salda al suo polso. Poi, vedendo che lui era inamovibile come una statua di marmo, si fermò e abbassò il capo.
“Non so se si possa parlare di amore. So soltanto che avevo bisogno di qualcuno che mi stesse affianco, avevo bisogno di calore, di presenza viva. E alla fine è diventato tutto così ossessionante da essere indispensabile. Lo so, sono una stupida.”
“No, non lo sei. Ma sappi che finirà male, se non avrai il coraggio di mettere il punto a tutta questa storia.” Le abbandonò il polso e poi, inaspettatamente, la avvolse fra le braccia, tirandola contro il suo petto e stringendola forte. “Non so cosa ti è preso.” Borbottò mentre le scompigliava leggermente i capelli. “Ma a cose fatte credo che ti sia servita quest’esperienza. Non avrei potuto frenarti.”
Shiho sentì il suo cuore aumentare i battiti, così sollevò le mani e gli strinse la giacca. “La verità è che sei una frana nel comprendere i sentimenti delle persone. Lo sai che è tutta colpa tua, lo sai, vero?” A quel punto la sua voce era ridotta ad un mormorio debole ed intimo.
“Lo so, eccome se lo so.”
“Avresti dovuto usare un po’ più di tatto, Kudo.” Alla fine ella si riprese e finalmente sciolsero il loro abbraccio. “Ora basta, muoviamoci.”
Così dicendo, troncando quella conversazione, i due si richiusero la porta alle spalle, forse per sempre.
Shiho strinse la maniglia e per un breve istante tutti i flash di quella vita le inondarono la mente, ogni singola parola, ogni frase, ogni cosa le sembrava ormai sigillarsi per sempre in quella stanza. Avrebbe lasciato tutti quei ricordi alle sue spalle, anche se ciò faceva male, era un dolore indescrivibile, anche perché recidere quel legame, equivaleva a tagliare il sottile filo che la legava ancora ad Akemi e al suo passato.
Ma il passato, rimane pur sempre passato e tornare sui propri passi non è mai una cosa giusta, perché volgendosi indietro, non si riesce mai a scorgere quel che c’è davanti ai propri occhi. Per quanto meraviglioso esso sia.
 
 
 
 
 
Shinichi e Shiho raggiunsero il luogo indicato nell’indirizzo. Era buio ormai, tutta la città era stata inghiottita dalla fredda oscurità. Di fronte a loro si ergeva un grande palazzo, uno di quei grandi complessi costituiti da una ventina di piani, con le vetrate a specchio ed i finestroni a nastro, alla maniera della grande architettura moderna di Le Courbusier. Il grande torrione scuro era costellato disordinatamente da tante luci giallastre e ciò stava ad indicare che molti erano ancora svegli, in quella notte così apparentemente silenziosa e tranquilla.
Prima di entrare dal grande portone principale, Shiho sollevò lo sguardo al cielo e osservò la luna, stavolta non pallida e tenue, ma brillante e biancastra come una grande perla d’avorio.
“Ehi, Shinichi, ci pensi mai che la Luna ci mostra sempre la medesima faccia?” Esordì lei, con un sorriso che stentava a delinearsi perfettamente sulle sue labbra.
“E’ dovuto alla concordanza fra il periodo di rotazione e quello di rivoluzione.”
La ragazza spinse una mano contro la maniglia e il clangore metallico rivelò loro un atrio molto elegante e luminoso. “Già. Il lato oscuro della luna.” Rise.
Una volta richiusasi le ante alle loro spalle, i due sprofondarono nuovamente in un clima silenzioso, tanto che si sentiva persino lo sfrigolio delle luci al neon.
“Che si fa, Kudo?” Shiho si mise a braccia conserte, nell’attesa di sapere le coordinate per procedere. Come di consueto il Detective aveva le mani infilate nelle tasche e si guardava intorno, con l’aria del pensatore. D’un tratto però, i due udirono nuovamente il cigolio dei cardini. Il cuore di entrambi perse un battito: poteva trattarsi di qualcuno di sospetto, così Shiho preferì voltarsi verso l’ascensore e premere il tasto rosso sulla pulsantiera, cercando di dissimulare le loro intenzioni.
“Signorina, l’ascensore è rotto.” L’uomo che era appena entrato indossava un’uniforme nera e un paio di anfibi, ma il primo particolare che notarono i due ragazzi fu la fondina che gli avvolgeva la vita.
“Ah, davvero?” Shiho si schiarì la voce e trasse un sospiro. “Pazienza, vorrà dire che smaltiremo la cena di stasera.”
Shinichi cercò di assecondarla senza dare nell’occhio, eppure notò che stranamente quell’uniforme non apparteneva ad alcun tipo di corpo speciale. Era sospetto.
“D’accordo, allora buonanotte.” L’uomo si congedò e prese a salire alcuni gradini.
Ai due bastò una semplice occhiata d’intesa per poter comprendere i loro reciproci pensieri. Così, imitando colui che l’aveva preceduti, seguirono quell’uomo, fin quando non si fermò al settimo piano.
Shinichi si inginocchiò a terra poco prima che l’uomo stesse per raggiungere la sua destinazione e intimò Shiho di fare silenzio: in quel brevissimo istante, il Detective si slanciò verso di lui e lo tramortì con un colpo alla nuca.
“Ma che cavolo stai facendo?”
“Ho intenzione di fregargli i vestiti e di spacciarmi per questa guardia. Sono sicuro che c’entra l’organizzazione in tutto questo.” Detto ciò, Shinichi si chinò a raccogliere il corpo inerme dell’uomo e in un tempo altrettanto breve indossò i suoi indumenti. Frugando nelle ampie tasche dell’uniforme, egli si rese conto di essere entrato in possesso di una tessera magnetica.
“Bene, c’è un lettore di schede proprio qui, al fianco della porta. Entriamo entrambi, poi ci dividiamo.”
Shiho strinse le mani dietro alla schiena ed annuì con decisione. “D’accordo capitano. Rimaniamo in contatto tramite queste.” Gli mostrò le ricetrasmittenti dei Giovani Detective.
“Bene. Mi raccomando se ci sono problemi, non esitare a chiamarmi.”
“Speriamo di aver beccato il luogo esatto.”
L’ansia cominciò a salire vertiginosamente, nel preciso istante in cui la tessera scivolò nel lettore e si accese la spia verde. “In bocca al lupo, Kudo.” Proferì Shiho, venendo avvolta da un alone buio. Il corridoio di quella stanza era libero e non illuminato. Oramai le voci dei due erano diventate dei sussurri leggeri.
“Sicuramente si tratta di una delle tante sedi dell’Organizzazione, fa attenzione, ci saranno sicuramente delle guardie dislocate nelle varie stanze.” Sibilò la ragazza, poi compì un breve tratto e si inoltrò all’interno di un altro ambiente, separandosi definitivamente dal liceale.
 
 
 
 
 
Shiho mando giù la saliva e guardò dritta di fronte a sé, con la schiena incollata alla porta: di fronte ai suoi occhi vi era un grande tavolo a ferro di cavallo, mentre sulla parete in alto erano sospesi una decina di schermi che proiettavano varie immagini con un elevato grado di sfarfallio e di disturbo del segnale. La stanza era illuminata da una luce giallastra e fioca, tanto che la lampadina pendeva dal soffitto ondeggiando leggermente e rivelando la presenza di un uomo che se ne stava a sonnecchiare su di una grande poltrona nera.
La ragazza inspirò silenziosamente e col fiato sospeso avanzò verso di lui: la mossa fu rapida. Gli premette la mano contro la bocca e, afferratolo per i capelli, lo costrinse a battere violentemente la fronte contro il tavolo. Con suo grande rammarico, lo vide accasciarsi in terra. Un rivolo di sangue gli colava fra gli occhi. Le mani della ragazza presero a tremolare vistosamente: era la prima volta che compiva un gesto del genere, ma l’istinto di sopravvivenza aveva nuovamente prevalso sul raziocinio e sulla sua eticità.
“Buonanotte.” Sussurrò lei mentre si apprestava a scansare l’uomo dalla poltrona e a prendere il suo posto. Quando fu immersa nel morbido tessuto nero, premette il pulsante della ricetrasmittente.
“Kudo, sono nella sala di videosorveglianza. Ci sono dieci monitor di fronte a me, in uno c’è Ran e si scorge il presidente.”
“Dici davvero?!” Un moto di entusiasmo prevalse ugualmente, nonostante il ragazzo stesse mantenendo un tono piuttosto basso.
“Si. Ma non capisco dove si trovino. Ci sono delle colonne in calcestruzzo, Ran è viva, a giudicare dai loro movimenti stanno bene.”
“Colonne in calcestruzzo?” Ripeté quasi fra sé. “Che siano …”
“Forse nel garage sotterraneo.”
“Mi dirigo lì.” Stava per interrompere la chiamata, quando la voce di Shiho proruppe nelle orecchie di Shinichi, allarmata.
“Aspetta. Devi fare attenzione. C’è una bomba. Ad orologeria.”
Fu come se un coltello trafiggesse la trachea del ragazzo. Silenzio.
Shiho cominciò ad armeggiare fra la pulsantiera, le sue dita sottili si destreggiavano abilmente fra la miriade di tasti e levette. Sul monitor che inquadrava Ran comparvero numerosi riquadri. “Sto tentando di zoomare sul display dell’ordigno.”
Shinichi cercò di deglutire, senza però conseguire chissà quale successo. “E …?”
“Venti minuti Kudo. Mancano venti minuti allo scadere del timer.” Anche la ragazza sentì un fastidiosissimo nodo formatolesi presso la gola. “Datti una mossa.”
“Volo.” Fu la risposta di lui.
 
 
 
 
 
Shinichi aveva il cuore a mille, gli mancava il fiato: poteva percepire chiaramente l’adrenalina entrata ormai in circolo nel suo organismo. Scese le scale come un fulmine, per via del guasto all’ascensore, e in pochi minuti, oramai divenuti troppo preziosi per perderli, giunse al portello in ferro che lo separava dal garage sotterraneo.
Il soffitto era alto non più di due metri e mezzo, faceva incredibilmente caldo e oltretutto lo spazio non era neanche pieno. C’erano poche macchine, disseminate qua e là, per il resto, un grande ambiente si stagliava di fronte ai suoi occhi. La luce era bassa e nei pressi dell’entrata parecchi neon si accendevano e si spegnevano ad intervalli irregolari.
Doveva sbrigarsi a trovare Ran. Era una sfida fatta di secondi, di minuti, di istanti. E doveva vincere. Era assurdo che le vite di quei due individui fossero legati in maniera così indissolubile e salda, alle lancette di un orologio, a qualche semplice numero. A due, o nel peggiore dei casi, a una cifra.
‘Ran …’
Shinichi avanzò furtivo, fin quando non sentì un sibilò sfrecciare al suo fianco. Un proiettile gli aveva reciso un lembo del pantalone. Stringendo i denti si portò istintivamente una mano contro la ferita. Era un Detective, ma in quella situazione fu costretto a trasformarsi in un eroe da film americano. Con un movimento veloce estrasse l’arma dalla fondina e la osservò. Era fin troppo facile imitare i movimenti osservati nei movies, ma era così altrettanto difficile maneggiare realmente un’arma di quel calibro.
“Ehi tu, fermo là!” Una guardia comparve vicino al cofano di un automobile, a pochi metri da lui. Imbracciava un fucile d’assalto e a giudicare dal tono della sua voce non avrebbe esitato a sparare ancora.
A quel punto Shinichi raccolse tutto il coraggio di cui disponeva e sparò un colpo, facendo attenzione a non colpirlo in punti vitali. A seguito del roboante sparo, il Detective corse come un lampo in direzione della porta che lo separava da Ran: la sala macchine.
“Maledetto bastardo, ti faccio saltare il cranio, dannazione!” Le urla di quell’uomo e gli innumerevoli proiettili indirizzati verso di lui, lo costrinsero a compiere un balzo ulteriore; così, si riparò dietro ad un’automobile. Nel breve tempo di stasi in cui riusciva ad osservare i passi dell’uomo al di sotto del motore dell’auto, sentì il suo respiro accelerato, come quello di una bestia continuamente braccata dal suo predatore. Il sudore gli scivolava sulla tempia, , tanto che alcuni ciuffetti di capelli si erano appiccicati anche nei pressi della fronte. Man mano che la distanza fra lui e la guardia si contraeva, sentiva il suo cuore pulsare come un dannato. Non seppe spiegarsi il motivo, ma gli tornarono in mente i momenti in cui giocava a nascondino con i suoi amici da piccolo e sentiva chiaramente che qualcuno stava per urlare “Tana”, dopo averlo beccato. Ecco. Quella era la sensazione che provava Shinichi nell’essere quasi scoperto, seppur quintuplicata negli effetti che doveva sopportare il suo corpo.
Eppure il Detective non gli diede neanche il tempo per poter urlare “tana”, dal momento che con uno scatto schizzò fuori dal suo nascondiglio e comparve magicamente proprio alle spalle del suo inseguitore, scagliandogli un colpo violentissimo alla nuca col calcio della pistola.
Il brutto ceffo stramazzò al suolo con un tonfo e Shinichi tirò un gran sospiro di sollievo. Corse ancora contro la porta della sala macchine e diede un paio di pesanti colpi con il pugno stretto.
“RAN! Ran, rispondimi, sono io, Shinichi!” Fra il rumore metallico della porta e il silenzio ovattato di quel luogo, egli udì chiaramente la voce stremata e supplichevole di Ran invocare il nome del suo amico di infanzia. Ne era certa. Sapeva che sarebbe venuto a salvarla.
“Ran, aspetta ancora qualche secondo! Presidente, sta bene?!”
Ricevette un “Sì” di tutta risposta. Ma i guai non erano di certo finiti per loro tre. Di fianco alla porta d’acciaio vi era un ennesimo lettore di tessere magnetiche, ma in concomitanza con quel dispositivo ve n’era un altro, recante un pannello di numeri.
“Oh no. Ci vuole una password.” Azionò la ricetrasmittente, assicurandosi di essere ancora solo. Il tempo stringeva.
 
 
 
 
 
Shiho trasalì non appena udì la voce di Shinichi provenire dalla sua ricetrasmittente. Era in un’altra stanza e col passare del tempo ebbe la certezza che qualcuno sarebbe presto arrivato per controllare per quale motivo due guardie avevano interrotto i contatti. Fin ora infatti, era riuscita a metterne fuori uso soltanto due. Era troppo silenzioso. Non le rimaneva molto tempo.
“Shinichi. Dimmi. Hai raggiunto Ran?”
“No, dannazione, no! C’è una password da inserire per aprire la porta della sala comandi.”
Shiho si chinò a terra per frugare fra le mille scartoffie disseminate fra i cassetti di quella stanza. Ne sfilava a decine, rovistando nel contenuto di carte e cartellette. C’erano centinaia di informazioni in quell’ufficio e una marea di plichi in cui controllare. “Credo che dovrai aspettare. Il lavoro è ancora molto lungo.”
“Aspettare? Starai scherzando, vero? Non c’è tempo!” Shinichi divenne incalzante.
“Un attimo, Santo Cielo!” Era molto agitata, poi le metteva anche fretta. Sospirò, cercando di nascondere l’ansia che l’assaliva ad ogni movimento. Oramai era diventata frenetica, i suoi movimenti alla ricerca disperata erano convulsi e distratti. Alla fine cominciò a far volare via tutto quello che le capitava a tiro, fin quando un grande blocco di documenti non si riversò in terra. “Eccolo! Forse ci siamo.”
“Grande!”
La scienziata sorrise trionfante e si chinò in terra, scorgendo fra le tante scartoffie un biglietto con un numero scritto a penna. “E’ lui, è sicuramente lui!”
“Vai, proviamo.” Shinichi portò l’indice presso i pulsanti cerchiati di rosso e attese.
Ma inaspettatamente fra le due ricetrasmittenti si abbatté un silenzio agghiacciante. Shiho rimase immobile, con il biglietto stretto saldamente fra entrambe le mani.
Dei passi. Nel corridoio. Lenti. Estremamente lenti.
“Ai?”
Silenzio. Quell’incedere lento continuava imperterrito.
Shiho si sentì sprofondare, come se la terra sotto le sue gambe sottili, stesse improvvisamente franando. Le sue labbra si serrarono in un’espressione di rassegnazione e mentre il suo cuoricino aveva preso a martellare come un ossesso, gli occhi le si gonfiarono di lacrime. Aveva paura, era terrorizzata. Non riusciva a respirare.
“Ai, sei ancora lì?! Ai?”
Sembrava essere preda di un attacco di panico. Povera, piccola, creatura indifesa. Doveva farcela. Doveva vincere quel mostro che la divorava da dentro. Eppure non riusciva a parlare, non appena dischiuse le labbra per articolare i suoni, si sentì come se avesse perso la facoltà di interloquire. Quei passi. Maledetti passi. Deglutì.
“Due, zero …” Una lacrima le solcò il viso, poi sgranò gli occhi, osservando la maniglia della porta che si abbassava. “Cinque, otto. Zero.”
“Va! E’ andata! Funziona! Ai! Funziona!”
Shiho annuì, osservando la porta aprirsi piano. “Sono contenta, Kudo. Sono contenta.” Un sorriso amaro le fece scendere le lacrime lungo le guance. Lei invece, era spacciata.
 
 
 
 

Shinichi spalancò la porta e raggiunse immediatamente il Presidente, slegandogli abilmente i nodi che lo tenevano ancorato a quella colonna, impossibilitato a muoversi.
“Ragazzo mio, sei un eroe.”
“Ma quale eroe, sono un semplice Detective.” Borbottò lui, slacciando finalmente la fune che lo costringeva. Poi corse con altrettanta rapidità verso Ran. La ragazza non credeva ai suoi occhi.
“Shinichi, io …”
“Sta tranquilla Ran, è tutto finito.” Compì le stesse manovre per poter salvare anche Ran, i cui polsi sembravano essere recisi in più punti dalla fune. “Ora dovete correre fuori dall’edificio. C’è una bomba qui dentro. Ran, presto, chiama la polizia! Fa’ in fretta!”
A dirla tutta Ran si aspettava un salvataggio meno adrenalinico e più romantico, ma a quanto pare avrebbero dovuto posticipare i loro sentimenti. Prese per mano il Presidente, come se fosse stato un suo conoscente stretto e con il suo solito coraggio, con la sua grinta e determinazione, condusse fuori dall’edificio quell’importante personalità. In fin dei conti, quando si tratta di scegliere fra la vita e la morte, quel che conta è l’umanità, è la fratellanza fra gli uomini. Non ci sono soldi o fama che tengano. Perché le tragedie legano le persone.
 
 
 
 
Shinichi si piegò di fronte al dispositivo di collocamento della bomba e osservò il display nero: su di esso scorrevano lenti i secondi. Mancavano sei minuti allo scoppio delle cariche di dinamite. Con cautela ed estrema attenzione, il Detective osservò quei fili che fuoriuscivano da un quadrante grigio. Diamine, sembrava proprio di essere stati catapultati in un film. Peccato che non bastava osservare uno di quei fili e sperare di tagliare quello giusto. Perlomeno, nei film veniva reciso sempre quello corretto, a pochi secondi dallo scadere del timer. Ma la vita era assai dissimile dai film. E sei minuti erano veramente insufficienti perché potesse disinnescare quella bomba. La scelta saggia da fare era quella di chiamare la polizia e sgombrare al più presto l’edificio. Afferrò la ricetrasmittente e si catapultò fuori.
“Ai, devi uscire dall’edificio! Immediatamente! Non abbiamo tempo per disinnescare la bomba!”
La risposta arrivò soltanto pochi secondi più tardi. “Ehi, Shinichi. Io sono già fuori.”
“Per fortuna. Allora ci si vede lì.” Sentiva già le volanti della polizia a sirene spiegate. Che brutta storia, quella. Ma presto sarebbe finita.
 
 
 
 
 
Shiho aveva le mani salde intorno al calcio della pistola e la puntava contro il suo aguzzino tenendo tese entrambe le braccia. Abbassò il capo per potersi asciugare contro il braccio la guancia calda di lacrime. Quell’arma l’aveva recuperata dalla guardia che aveva steso con un colpo, un attimo prima che la scoprissero.
“Sherry, perché mi stai puntando quella pistola addosso?” Gin aveva la sua immancabile sigaretta fra le labbra e innumerevoli scie di fumo si sollevavano nell’aria, rarefatte.
“Non ti avvicinare. Non fare un passo o sparo!” La voce di Shiho era tremante, nervosa, a tratti quasi isterica. Era sull’orlo di una crisi di nervi.
Ma la risposta del biondo fu un sardonico sorriso, poi una lievissima risata. Celata. I ciuffi di platino gli coprivano parte del viso, ma come sempre, quei due occhi verdi erano vivi, piantati su di lei. Sulla Sua Sherry. “Andiamo, Sherry. Che idiozia. Non spareresti mai, e lo sai.”
“Stai zitto! Fermati, ho detto!” L’indice tremava, eppure si piazzò contro il grilletto. Un minimo spasmo e l’arma avrebbe fatto fuoco. Bang.
Improvvisamente Gin assunse un’aria seriosa e si sfilò la sigaretta dalle labbra, spegnendola a terra. “Ehi, cerca di ragionare.” Il suo tono era diventato quasi complice, quasi … dolce.
Shiho deglutì. “Non cercare di abbindolarmi!”
“Hai trovato il fazzoletto, vero?”
La ragazza tremò e come per istinto sfilò l’indice dal grilletto. Era davvero troppo pericoloso.
“Si, l’ho trovato. Perché lo avevi?”
Gin avanzava piano verso di lei. “Volevo ridartelo. E’ di Akemi.”
“Lo so bene.”
“Posa quell’arma. Non serve a nulla, ora.” Il suo volto non esprimeva alcuna emozione. Eppure la scienziata abbassò piano lo sguardo.
“Dai, Sherry.” Sussurrò. Sembrava che la stesse guidando per mano. “Lascia che mi avvicini.”
Shiho era confusa. Dannatamente confusa. Ma alla fine cedette. Lasciò che la pistola scivolasse in terra. Fra loro non c’era più alcuna barriera.
Voleva abbracciarlo? E lui?
Gin annuì piano. “Brava, dolcezza.” La raggiunse, poi sollevò il suo visino con la mano destra. “E così alla fine si è conclusa, questa brutta storia. L’eroe ha salvato la sua principessa, l’antagonista però è ancora vivo.”
“Piantala.”
“Aspetta aspetta. Aspetta un secondo.” Premette l’indice della mano destra contro le labbra di lei, umide. Avanzò di un passo. I loro corpi erano vicini. “In una storia come si deve c’è sempre anche l’oggetto che permette all’eroe di andare avanti nella trama, mi sbaglio?”
Shiho non riusciva a comprendere quei giri di parole. Le sembravano semplicemente assurdi. Sembravano quasi i deliri di un pazzo. Sembravano.
“Credo di non capire ancora bene. Comunque, si.”
Gin si prese del tempo per rispondere. Si leccò le labbra. “Ma a volte l’oggetto materiale veniva sostituito da una persona fisica. Una persona, in carne ed ossa.” Il suo tono divenne brusco. Secco. “Un aiutante.”
Shiho sgranò visibilmente i suoi occhi, le iridi tremarono fra il bianco.
“E in questa storia …” Proseguì Gin, afferrandole con forza il viso. “L’aiutante muore.” Canzonò. Un altro brivido, poi lo vide scostarsi un lembo dell’impermeabile.
Non capì bene, tutto sembrava che le girasse intorno vorticosamente. Sentì un colpo, poi uno sparo. Una pallottola le stava penetrando nella carne. Le aveva sparato all’addome.
Shiho arrancò, stringendo i lembi dell’impermeabile di Gin e osservando il suo viso con occhi tremanti, ma oramai spenti. Pian piano scivolava giù, il sangue le scolava giù per le gambe, poi sentì il suo sapore acre in bocca. “P-perché l’hai fatto?” Singhiozzò lei, la cui presa diveniva sempre più flebile.
“Hai tradito. Mi hai tradito.” Puntualizzò.
Shiho rise lievemente, poi tossì. “Sai, sono stata una stupida, Gin.” Sprofondò con la fronte contro il suo petto. “Credevo quasi di essermi … innamorata.”
“Tappati quella bocca o ti sparo un altro proiettile.”
La scienziata sentì la presa affievolirsi piano piano. Scivolò a terra, in ginocchio ai piedi del biondo. “E la cosa orribile è che credo ancora di esserlo.” Anche le lacrime faticavano ad uscire. Non poteva perdere più nulla. Le era stato tolto tutto. Tutto.
“Mi dispiace per te. Shiho Miyano.”
Shiho crollò a terra, inerme.
Silenzio. Era morta.
Gin osservò il piccolo corpicino di Sherry steso al suolo, immobile in una pozza di sangue. Trasse un sospiro, poi serrò le labbra. Gli tremavano le mani. Come aveva potuto premere il grilletto? Questi ed altri pensieri si facevano strada fra la sua mente. Mai prima d’allora aveva provato quei sentimenti così contrastanti. Dio. Gli faceva male. Un dolore insopportabile. Strinse i denti e si voltò, deciso più che mai a cancellare dal suo cuore quell’immagine di morte. Aveva quasi raggiunto la porta della stanza, quando sentì chiaramente dei rumori alle sue spalle. Si voltò e vide Shiho afferrare di colpo la pistola caduta in terra e sparare dritto contro di lui. Non avrebbe mai scordato quegli occhi. Gli occhi di una Sherry sconfitta, piena di astio e di vendetta.
“Ti sei portato via Akemi, ora sarò io a portarti via con me!” Un paio di colpi.
Gin crollò a terra allo stesso modo di Shiho e quando furono al suolo si scambiarono un ultimo sguardo. Era strano e persino un po’ buffo, che qualche grammo di piombo avesse abbattuto l’osso più duro e spietato dell’Organizzazione.
Ecco, come finiscono le storie fra bulli e pupe. Dove c’è sangue e morte, dove ci sono proiettili e sentimenti, non c’è mai redenzione.
 
 
 
 
 

Un anno dopo.

 
 
 
 
Era una calda giornata di primavera, il sole spuntava a tratti fra le fronde degli alberi ed i suoi raggi venivano filtrati in maniera insolita ed affascinante.
Gli arbusti erano oramai fioriti, il verde regnava incontrastato nel giardino di Beika ed era tutto un turbinio di colori, di odori, di suoni e di grida spensierate.
La primavera tornava a rivivere nel cuore di tutti. Gli uccellini cinguettavano melodiosi e quel quadretto da sogno si ripeteva più e più volte, come tutti gli anni, dall’alba dei tempi. Da quando l’uomo era approdato per la prima volta sulla Terra.
Su di una panchina sedevano due ragazzi, di ritorno da scuola. Quella, era la prima primavera che trascorrevano senza lei.
I bambini giocavano a pallone di fronte a loro, incuranti che il tempo stesse scorrendo così veloce, così rapido, così maledettamente crudele da portarsi via ogni istante ed ogni attimo, con la rapidità di un volo di gabbiano. Sembrava che di fronte ai loro occhi celesti come il mare, tutto stesse sbiadendo gradualmente, senza che potessero fare qualcosa per frenare quell’ incedere così repentino.
“Sai, spesso penso che è stata colpa mia.” Disse il ragazzo dai capelli castani, il cui sguardo era perso fra i molteplici rami degli alberi. Come se da essi volesse rubare dei ricordi, dei frammenti di quel passato che non poteva tornare.
La ragazza lo guardò, poi sorrise. “Dai, smettila Shinichi. Lo sai bene anche tu che non è colpa tua. Purtroppo è successo. Ha fatto la sua scelta. Ha salvato noi. Aveva un cuore grande.”
“Ha salvato noi. E’ vero. Mi chiedo se è mai stata felice in vita sua.” Lui sospirò con sentita amarezza. Ancora il suo sguardo scrutava fra i rami. Poi si sollevò in alto. Vedeva le nuvole offuscate da una patina di acqua salata.
“Sai Ran, vorrei tanto che lei fosse qui.” Non voleva piangere di fronte a lei.
La ragazza mora tirò un sospiro e abbassò il capo, notando che proprio di fronte a loro una foglia danzava sospesa dal vento, fluttuando elegantemente come mossa da fili invisibili. Afferrò d’istinto la mano di Shinichi e un ampio sorriso le illuminò il viso.
“Non la senti, Shinichi? Lei è qui. E ci sarà sempre. Ogni volta che lo vorrai.”




The End









Ok, eccoci giunti alla fine di questo lungo percorso. Che dire? Le conclusioni le rimando a voi, non voglio essere melodrammatica, ma ammetto che questa storia mi mancherà, mi mancherete voi con le vostre recensioni, mi mancheranno Shiho e Gin, mi mancherà davvero tutto. E spero di poter colmare questa mancanza con qualche altra storia, così da tenermi distratta... in fin dei conti questa storia mi accompagna da quasi metà anno, per tutta la durata del quinto non ho fatto altro che scrivere e pensare a questa storia, a voi, ai vostri complimenti e al vostro calore. E per questo vi ringrazio immensamente tutti quanti, tutti coloro che hanno letto, recensito.. TUTTI! *.* Siete stati importanti perché tutto questo potesse finalmente realizzarsi. Dedico la storia intera ad Iman, un'amica conosciuta per caso, ma che rimarrà per sempre nel mio cuore. Ora che sei lontana e la distanza si sente, non posso far altro che mandarti i miei abbracci e farti tanti auguri perchè tu possa correre incontro al tuo futuro. Io ti sosterrò sempre, sappilo. Ti voglio bene... Non piangere però :) Tanto ci sentiremo ugualmente, anche se siamo a troppi kilometri di distanza! 
Ringrazio davvero tutti... e vi lascio con una canzone che per me è diventata la colonna sonora di questa fanfiction, ovvero "Wish you were here" dei Pink Floyd ... ecco il link. Facciamo come se sono i Credits va :)  Special Thanks to:

http://www.youtube.com/watch?v=QCQTr8ZYdhg


Coloro che hanno la storia fra le preferite: 

A_M_B, chyo, Imangaka, ismile, I_Am_She, Lady Night, Queenala, Silver spring, trunks94_cs, Yume98, _Flami_; Xx_PansyRomance_xX; suici007, AlRye, IceBlue, Nikao, Sweetartist, 

E ancora coloro che la hanno fra le seguite!!! 

Anemone san, Bankotsu90, Caroline Granger, Chicc, Evelyn13, I_Am_She, Kuroshiro, Layla Serizawa, Nezu, Red Fox, Sherry Myano, sosia, tigre, trunks94_cs, Violetta_, _Flami_, Shinku Rozen Maiden, sarelf, Asami Chan


Vi saluto, 
Aya Brea!
Spero di rivedervi presto <3
  
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