Film > Edward mani di forbice
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Autore: Sylphs    11/07/2012    7 recensioni
Come può una creatura candida come la neve amare un uomo a metà? Qualcuno che distrugge tutto quello che tocca e che è nato per un mero sbaglio? Volevo rendere omaggio al fantastico personaggio di Edward con questa one shot, mi farebbe piacere conoscere il vostro parere!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Neanche una carezza

 
 
 
 
 
 
 
Affondo in profondità le forbici che ho al posto delle mani nelle tendine del salone, mentre tu, leggera come una farfalla, corri a raggiungere il tuo biondo fidanzato, che ti aspetta a braccia aperte al di là del cortile. Non ho mai provato rabbia, Kim, non per davvero, ma adesso mi sembra di capire cosa significhi, e quanto consumi l’animo questo fuoco rovente che mi scorre nelle vene e mi avvelena il cuore, questo fiele amarissimo che nasce e si alimenta nella vista del tuo corpo candido e perfetto pronto a stringersi a qualcuno che non sono io.
Io sarei pronto a fare qualsiasi cosa per te, Kim, se tu solo me lo chiedessi. Ho rubato in casa del tuo Jim sapendo dal principio che era sbagliato, ma non me ne importava nulla. Ti eri appellata a me, avevi bisogno di questo favore, e non contava altro. Ho perso per sempre la stima e l’affetto dei nostri vicini, sempre che li abbia mai posseduti e che non si sia trattato solo di eccitazione per la novità che rappresentavo, mi hanno chiamato ladro, pazzo, mi hanno guardato con disgusto. Ma lo rifarei, Kim, per te. Sarei pronto a morire pur di vedermi rivolgere uno di quei sorrisi solari di cui tanto spesso omaggi Jim, lui che non ne comprende la vera preziosità, lui che non ti conosce davvero, che non ti ama quanto ti amo io. Io non parlo molto, Kim, e spesso non capisco affatto tutte le cose strane e complicate del mondo, tutti gli stati d’animo di voi esseri umani, ma nel silenzio osservo tutto, e ricordo tutto.
Amo ogni cosa di te. I tuoi morbidi capelli dorati che di solito tieni sciolti sulle spalle, i tuoi grandi occhi nocciola così attenti e curiosi, la tua camminata decisa, un po’ mascolina, il gesto abituale con cui ti gratti l’attaccatura del naso, la tua fresca risata. Ti ho guardata per la prima volta mentre sorridevi, intrappolata in una fotografia incorniciata d’argento, e mi sei scivolata nell’anima come un liquido, mi hai riscaldato di un calore che non avevo mai avvertito prima, nella gelida solitudine del maniero, e che è stato mio compagno per tante notti trascorse senza riuscire a dormire, in balia dei ricordi, dei rimpianti, dell’immagine del mio creatore, morto prima di rendermi del tutto un uomo.
Tu non sai, Kim, cosa voglia dire non essere pienamente umano, percepire in ogni momento quello che mi manca, la parte che voi avete e che io non avrò mai, l’orrenda perversione della natura che mi ha privato della cosa più preziosa e utile al mondo, le mani con cui toccare, carezzare, stringere, tenersi saldi ad un’ancora nel mare dell’angoscia. Per un crudele scherzo del fato, per una morte avvenuta troppo presto, io protendo invece delle affilatissime lame, delle armi letali capaci solamente di ferire, lacerare, tagliare. Io non sono niente, Kim, senza le mani, io sono soltanto un fantoccio di metallo al quale è stata data la vita in nome di un progetto che non capirò mai, che è stato trasformato nella ridicola parodia di un ragazzo, e che è stato abbandonato infine in quelle sale silenziose e sporche che tuttora mi terrorizzano senza neanche la soddisfazione d’essere completo.
E come potrei mai pretendere che tu provi amore per un uomo a metà? Per un individuo che distrugge tutto quello che sfiora, e che ti ferirebbe a sangue se solo provasse ad accarezzarti la pelle morbida e bianca? A volte, quando ti guardo da lontano ridere con i tuoi amici, vivere la vita serena e spensierata di un’adolescente normale, provo a immaginare come sarebbe poterti abbracciare forte, stringerti al mio petto per tenerti al sicuro dal mondo e dai suoi tranelli, fin quasi a toglierti il respiro, affondare le dita di cui sono privo nei tuoi soffici capelli e, per la prima volta, sentirti davvero vicina, trasmetterti con il tocco, dal momento che non sono mai stato bravo con le parole, l’amore che provo per te, che in fondo al cuore mi ha reso umano, che è riuscito nell’impresa lasciata incompiuta dal mio creatore. Ma nulla di tutto questo si realizzerà, non potrò mai scoprire quanto è delicata la tua pelle, o quanto morbidi sono i tuoi fianchi cinti dalle mie braccia disperatamente sole.
Perché io, Kim, a differenza del tuo amato ragazzo, di quel giovanotto arrogante che ti ha costretta ad un’azione riprovevole e illegale, non potrei mai farti del male. Non potrei mai graffiare, né rovinare la tua pelle, né arrossare di sangue il tuo candido incarnato. Preferirei morire, straziarmi con le mie stesse “mani”, anziché ferirti.
Non saprai mai cosa significa voler stringere disperatamente qualcuno e non poterlo fare. E forse è meglio così. Nessuno vorrebbe essere un mostro, uno scherzo della natura, un fenomeno da baraccone. Nessuno vorrebbe vivere come ho vissuto io, nella più nera e torbida solitudine, appassendo lentamente, perdendo pian piano il contatto con la realtà, vedendo crollare al suolo, morto, l’unico uomo amato e idolatrato con la fedeltà di un figlio devoto, nutrendosi solo di oscurità e di silenzio, sfigurandosi costantemente il viso con quelle orride e luccicanti forbici che sempre mi ricorderanno cosa sono davvero, e cosa si cela dietro al mio aspetto falsamente umano. In quel maniero sperduto sopra la collina io non ho perduto soltanto mio padre e la possibilità di essere normale, Kim, in quel maniero io ho perduto me stesso, e quando tua madre venne a portarmi via, quando mi aprì le porte per il suo mondo colorato e vivace, la seguii senza rendermene conto appieno, in uno stato di istupidito torpore, troppo abbrutito dall’abbandono a cui ero stato soggetto per tanto tempo per interagire pienamente con gli altri.
Ma tu, Kim, mi hai restituito un cuore, tu hai raccolto i brandelli di me e li hai rimessi insieme, ed io vivo per amarti, nella speranza che tu compaia ridendo all’orizzonte, e che mi permetta di vegliare su di te, anche imperfetto e incompleto come sono. Non funzionerò mai bene, Kim, non sarò mai come il tuo Jim, e tu hai ragione ad evitarmi, ad aborrirmi, a diffidare di me.
Vorrei strapparmi dal petto la gelosia e la rabbia che mi distruggono, allontanare i sentimenti che mi hai acceso dentro e che per troppi anni non ho provato, dimenticare questo mostruoso supplizio. Incido la carta da parati del bagno con le mie lame, lasciandovi segni su segni, e guardo il mio viso ricoperto di tagli riflesso nello specchio, la mia nuvola di capelli arruffati, le lacrime che colano sulla pelle innaturalmente pallida. E sussurro il tuo nome, lo invoco, consapevole che non verrai mai, che non ti merito, che non sarai mai con me: “Kim, Kim, Kim”.
Ma nonostante il dolore, nonostante lo strazio di non poterti sfiorare, sono contento di amarti, Kim. Sono contento di aver capito com’è essere veramente un uomo, grazie al tuo sorriso, alla tua voce, ai tuoi occhi dentro ai miei. E dubito, lo dubito molto, che Jim, o i vicini, o chiunque altro si sia mai realmente accorto di cos’è l’umanità…sono loro, i mostri? Loro, che prima mi hanno elevato dal marciume in cui avevo sguazzato prima, incuriositi dalla mia diversità, e che con rapidità sconcertante mi ci hanno ricacciato dentro, trasformandomi in una minaccia, in un pericolo, in un incubo?
A cosa serve pensarlo, in fondo?
Se solo tu potessi toccare con le tue piccole mani la carne offesa del mio viso, e guardarmi con la benevolenza che si riserva ad un proprio simile, ad una presenza amica e desiderata. Ma non sarà mai così. Tu sei come la neve, Kim, candida e innocente, e non voglio insozzarti con la mia imperfezione, non voglio squarciare la tua purezza con le mie orride forbici e guastare il tuo sorriso.
Se bastasse l’amore a far felici gli uomini e le donne…se fosse concessa perfino a me, un mezzo umano, la possibilità di salire su per quella scala stellata che conduce alla felicità…allora, Kim, forse non avrei più così paura del mondo e dei suoi abitanti, e riuscirei, guardandoti negli occhi, a dire quello che non posso ammettere, e a sognare un piccolo angolo di mondo in cui vivere al tuo fianco, senza differenze, senza lame, senza dolore.
Ma le mie forbici continuano a straziare i muri, stridendo orribilmente contro l’intonaco a pezzi, e quello che vedo nello specchio è uno spettro, un pallido fantasma che non è mai esistito, né qui, né nel maniero sulla collina.
Va lontano, mia dolce Kim. Corri via. Non far sì che la neve cada sul fango e sul sangue. Vola in un luogo dove la mia ombra non possa oscurarti mai. 

  
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