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Autore: beesp    11/07/2012    1 recensioni
Ci sono due anziani signori, al centro del quartiere, che vivono assieme da quella che sembra un’eternità. Hanno due corde tese su cui ci sono mollette di legno un po’ consumate, ma nessun abito; a volte dei lampi di luce colorata illuminano le finestre della loro dimora. Sono gentili, parlano spesso di un certo Harry, un uomo simpatico che spesso li viene a trovare e porta con sé videocassette e DVD, e di Teddy e di James Sirius e di quella che è senz’ombra di dubbio una famiglia numerosa. Fino a una decina di anni fa, usavano vestirsi con lunghi mantelli la domenica per raggiungere la villa del loro figlioccio – il famoso Harry. Raccontano di quella casa con ammirazione e ormai un pizzico di nostalgia, non gli è più possibile raggiungerla abitualmente.
I loro nomi sono Sirius Black e Remus Lupin, una coppia inusuale, con il bell’aspetto e il profumo di dopobarba dell’uno, le cicatrici e la passione per i libri dell’altro. Passeggiano nel parco a pochi isolati dal centro della città, zoppicando, camminando sempre più lentamente giorno dopo giorno, con sorrisi tranquilli che uno definirebbe ’illuminati’.

Partecipante al "R/S Remix".
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Remus/Sirius
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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[Harry Potter] And maybe then we’ll remember to slow down to all of our favorite parts
Questa fanfiction ha partecipato al "R/S Remix"  sul forum wolfstar_ita. La fanfiction remixata è "Ordinary Day" di ai_sellie.
Sono descritti sintomi e percorso del Morbo di Alzheimer secondo la mia personale esperienza della malattia, quindi potrebbero esserci imprecisioni.
Un utente di lj, in un commento, mi ha fatto notare che durante la malattia, i malati sono molto meno coscienti. Il fatto è che non ho descritto la fase finale della malattia, e quindi ho voluto parlare in questi termini dell'esperienza di Remus.
Niente, spero vi piaccia.
Il titolo della storia è preso da "All I Wanted" dei Paramore, che si consiglia d'ascoltare durante la lettura. Alla prossima.





And maybe then we’ll remember to slow down to all of our favorite parts




Ci sono due anziani signori, al centro del quartiere, che vivono assieme da quella che sembra un’eternità. Hanno due corde tese su cui ci sono mollette di legno un po’ consumate, ma nessun abito; a volte dei lampi di luce colorata illuminano le finestre della loro dimora. Sono gentili, parlano spesso di un certo Harry, un uomo simpatico che spesso li viene a trovare e porta con sé videocassette e DVD, e di Teddy e di James Sirius e di quella che è senz’ombra di dubbio una famiglia numerosa. Fino a una decina di anni fa, usavano vestirsi con lunghi mantelli la domenica per raggiungere la villa del loro figlioccio – il famoso Harry. Raccontano di quella casa con ammirazione e ormai un pizzico di nostalgia, non gli è più possibile raggiungerla abitualmente.
I loro nomi sono Sirius Black e Remus Lupin, una coppia inusuale, con il bell’aspetto e il profumo di dopobarba dell’uno, le cicatrici e la passione per i libri dell’altro. Passeggiano nel parco a pochi isolati dal centro della città, zoppicando, camminando sempre più lentamente giorno dopo giorno, con sorrisi tranquilli che uno definirebbe ’illuminati’.
Di notte, quando la pioggia cade forte e il vento dà vita ai rami degli alberi che frusciano in un ululato spettrale, tra le mura di cemento il signor Remus urla. I vicini pensano sia pazzo, abbia subito un qualche trauma; così dev’essere stato per il signor Sirius, che non sopporta il solo nominare le parole ’topo’ o ’roditore’. Qualcuno crede non dureranno ancora a lungo, « sono persone che hanno vissuto intensamente » ipotizzano. Suppongono abbiano addirittura combattuto una qualche guerra, magari con se stessi. Lo strilla uno strano sguardo che s’impossessa di Sirius quando le stagioni cambiano: rivolge la testa verso il cielo, odora a pieni polmoni l’aria – sono gli unici attimi in cui si prenda sul serio, giurerebbero – e sorride, mesto. È la stessa espressione di Remus, la sera, al sorgere della luna.
Ad Halloween festeggiano sempre in grande stile, decorano le stanze di gigli e di strane forme, ’boccini’ li chiamano, nessuno sa perché, e preparano quantità eccezionali di mele caramellate; Sirius, con il bastone di Remus che tanto odia, si traveste da gobbo e regala dolciumi assieme a risate spettrali. All’una in punto, i due si struccano e indossano abiti eleganti, raccolgono tutti i gigli e i boccini e spariscono nell’oscurità, sempre con quell’andare calmo, che non è chiaro se sia di chi ha capito tutto della vita o di chi non abbia alcun contatto con la realtà.
***
Sirius ama il Natale. L’intero vicinato ne è a conoscenza; non può trattenersi dal bisogno impellente di rendere tutto verde e rosso, di poggiare lampadine e festoni su ogni superficie adatta sgombra. Per questo Natale aveva comprato delle renne di plastica a grandezza naturale, le aveva anche fatte sistemare in giardino da un sedicenne lentigginoso che gli ricordava Ronald Weasley; ma poi, il giorno della Vigilia, lo ha richiamato per fargli smontare tutto.
« Cos’è successo? » gli chiede il ragazzo, dispiaciuto.
« Non ho una gran voglia di festeggiare, Remus non è nelle condizioni di alzarsi » aveva ammesso – più a se stesso che a Cole.
Trascorre il ventiquattro dicembre al capezzale del loro letto matrimoniale, al fianco di Remus, a tenergli compagnia mentre i vicini passano a salutarli, riempiendoli di budini, brodini, pudding, tacchini, ricette di famiglia.
« Sono sicuro che si rimetterà presto, signor Remus ». Assomiglia più a un augurio, in realtà. Il modo in cui gli si dedicano fa sentire in colpa Remus che, semplicemente, annuisce e aggiunge: « Andrà tutto bene ».
Sirius si aggrappa a quel tipo di conversazioni: è sempre Remus a tirarlo fuori dai baratri, dai buchi neri, dalla disperazione. Anche in questa nuova, ignota, terrificante avventura.
Remus è bello anche quando la malattia fa sembrare il suo sguardo quello di un bambino; è bello con la lampada fioca sul comodino che rende le rughe ciò che davvero sono: nient’altro che fenditure nello spazio, “basterebbe che ci nascondessimo dentro, Remus, e torneremmo indietro a rivivere tutto da capo, ad essere di nuovo giovani, e faremmo tutto per bene, questa volta, lo faremmo come si deve, senza ferite; questa volta vivono tutti, Remus, te lo giuro[1]”. È il solito, ingenuo Sirius a pregare nella sua testa. Vorrebbe zittirsi, la speranza gli urta in modo così gioioso il cuore: non riesce a spegnerla. Quasi esistano ancora Giratempo, quasi conosca un modo per esistere di nuovo, per trascorrere l’eternità con Remus. Non ci sono sempre i finali felici, Sirius si aspettava di riceverlo come premio dopo tutto l’orrore e la paura e il dolore, ma a quanto pare non spetta né a lui, né a Remus.
Remus si addormenta, sono appena le diciassette di una giornata che gli appare infinita; ci vuole un certo sforzo per trovare il coraggio di lasciare solo il suo compagno: sembra tutto a posto, comunque, e cammina con cautela verso la soffitta – qualsiasi cambiamento potrebbe modificare radicalmente il suo presente, la sente addosso quest’ansia del tempo crudele che scorre; l’incedere senza pietà dei minuti.
Dalle scale cadono masse di granelli di polvere, li osserva mentre sbuca tra i pezzi che gli ricordano tutto lo spreco di anni trascorsi separato da Remus. Sono oggetti, lì dentro, che sanno di Remus e che sanno di Sirius, ma non di entrambi. E poi ci sono i pezzi di quell’età che fa parte di due persone che non sono più loro: gli smaliziati, persi nella guerra, Sirius e Remus; al loro fianco c’erano persone che ormai sono morte, il cui solo pensiero risveglia troppo male.
Non è un vecchio per bene Sirius Black, se lo ripete sempre, ha un bagaglio di pentimenti; non è il classico eroe, il cavaliere senza macchia e senza paura. L’oscurità è dentro di lui, e in parte è anche colpa della sua famiglia d’origine, anche quella sepolta.
Si dirige con sicurezza verso una scatola di album di fotografie, la prende tra le braccia, soffia sul coperchio e, determinato, ritorna da Remus.
All’ora di cena Remus si sveglia senza riconoscere il luogo dove si trova.
Sirius gli accarezza i capelli – è l’unico che non scorda mai, lui e il suo nome e la stella di Sirio che brilla nel cielo, come se gli facesse da guida nella notte incalzante della sua vecchiaia – e gli poggia sulle gambe un vassoio con roast-beef riscaldato, dei toast imburrati, del puré di patate. Mangia a piccoli bocconi, Sirius immagina che forse presto sarà lui a doverlo imboccare.
« Ti ho portato un regalo » gli poggia vicino alle gambe gli album, spolverati accuratamente poco prima. « Credo ti piacerà ».
Probabilmente allo stadio terminale di questo stupido – e babbano – Morbo di Alzheimer sarà talmente perso nell’oblio che delle foto non basteranno.
La neve comincia a cadere poco dopo le venti; Remus è silenzioso quanto il mondo imbiancato là fuori, mentre, scorto il movimento con la coda dell’occhio, alza lo sguardo verso il vetro della finestra. È un Remus risoluto che Sirius non vede da un po’, si sente rattrappito e inutile e tremendamente incapace di raggiungere il suo vecchio amante. Remus, dopo alcuni minuti, gli sorride – è malandrino, durerà poco, ma è di nuovo risalito dal fondo del pozzo, è di nuovo lì, presente, vivo – e ritorna a sfogliare le pagine del loro passato.
Remus gli indica gli scatti più belli; dietro le patine trasparenti i giovani Remus e Sirius si muovono tra gli amici e la famiglia Weasley e i figli di Harry e di Ginny, e le immagini dell’infanzia e dell’adolescenza di Ted e una in cui, seduto alla scrivania, è identico a Remus. Ci sono le dediche del giorno del loro matrimonio, trent’anni prima, e un bacio rubato, rabbioso, triste, dietro le tende cupe di Grammauld Place, quella volta in cui Arthur Weasley era finito al San Mungo per il morso di Nagini.
Remus accarezza i volti di James e di Lily con il suo bisogno di starsene rannicchiato a riflettere che si legge sul viso: sono abbracciati sotto una coperta patchwork nella sala comune di Grifondoro, la zazzera bionda di Peter sbuca dietro di loro, oltre il divano.
« Un giorno troveranno un modo per aggiustare quelle Giratempo » sospira all’improvviso Remus.
Sirius rimbocca le coperte a Remus: si è addormentato con una foto tra le mani – è quella dell’Ordine della Fenice.
Quando Sirius fa per posarla, scivola un foglietto ripiegato. Sa che non dovrebbe leggerla, perché Remus è ammalato ma ha ancora diritto alla privacy che tanto richiede sin da quando era ad Hogwarts e che Sirius, insicuro com’è in realtà, non è mai riuscito a dargli completamente. Non ne può fare a meno, però, perché è indirizzata a Lily Evans.
« Cara Lily,
tu, James ed Harry mi mancate molto.
Il tempo trascorre velocemente. Sirius ed io siamo felici insieme. Siamo tranquilli.
Non so ancora quando ti vedrò e, per quanto sia orribile e grottesco, ti scrivo questa lettera perché voglio che tu sappia.
Sto per morire, non credo mi rimanga ancora a lungo. Due anni, al massimo. Mi è stata diagnosticata una malattia babbana, probabilmente la conosci: il Morbo di Alzheimer. Prendo dei farmaci che ne rallentano il processo, ma non lo fermano.
Sirius non può credere che dopo tutto ciò che abbiamo affrontato e superato sia proprio una parte del mondo che lui non conosce, non concepisce, a portarmi via.
Io sono tranquillo. Ho vissuto tutto quello che c’era da vivere. L’amore, l’odio, la delusione, la sofferenza, il male, il bene, l’amicizia, la paternità, il matrimonio. Ho vissuto, nonostante quando seppi cosa comportasse essere un licantropo, mi convinsi di aver perso la mia umanità.
Sono qui dalla mia stanza. Nevica. È un bel Natale, c’è pace. Ted ha promesso che verrà a trovarci assieme a James Sirius ed i gemelli[2]. Non è riuscito a convincere Dora[3], ha deciso di rimanere ad Hogwarts per le ferie. Crediamo c’entri un ragazzo.
Cosa potrei desiderare di più?
La vita mi ha donato tutto ciò che avevo chiesto. La licantropia è stata la mia maledizione, ma mi ha reso la persona che sono; combattere il mostro ch’è dentro di me mi ha reso forte. Con il senno di poi, ormai, posso dire che sarebbe potuta andare peggio. Sirius sarebbe potuto morire, voi sareste potuti morire. Sono arrivato a un punto in cui gli affanni e le gioie non mi sembrano altro che parte di un grande disegno armonioso ch’è la vita guidata da se stessa, da una concatenazione di casualità che muovono gli uomini in un modo perfetto. Nell’insieme siamo perfetti. Lo lessi in ’Siddharta’ e non lo capii. L’ho vissuto: adesso lo so. Sono commosso d’amore per questa esistenza, è la sensazione migliore che abbia mai provato. Non credere che questo significhi che Sirius non mi mancherà o che non mi strazi il cuore l’idea di lasciarlo solo. Non c’è modo di opporsi. Io sono felice ».
Sirius sistema la lettera dove l’ha trovata e spegne il lume. Il buio denso, soltanto per un secondo, gli sembra pregno delle urla dei prigionieri di Azkaban. Appare dietro le sue palpebre un lampo verde – un Avada Kedavra. Si stringe a Remus, il battito del cuore si placa. Nel dormiveglia i ricordi gli scorrono impietosi incontro: sono tutti vuoti della presenza di Remus. È tutta colpa di Remus. Lo sta abbandonando senza alcuna pietà. Si addormenta con la consapevolezza di non potercela fare, con la disperazione di non aver dimenticato la morte di Lily Evans.
Il profumo di Remus lo culla in un sonno senza incubi.








[1] “Everybody lives this time, Rose Tyler!”: è una frase che pronuncia il Dottore in “Doctor Who” (S01E10).
[2] James Sirius e Teddy Jr. stanno assieme e hanno tre figli: i ’gemelli’ e Dora.
[3] Nella storia di Ai_sellie non era menzionato come fosse nato Ted. Qui ho immaginato, semplicemente, che Nymphadora sia diventata molto amica di Remus dopo essere stata rifiutata da lui, tanto da diventare una parte fondamentale della sua vita e di quella di Sirius e, in seguito, di quella di Ted (tanto che Ted chiama sua figlia Dora).

   
 
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