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Autore: Selene Silver    11/07/2012    5 recensioni
(Post Avengers) Pioveva come piove ad Asgard, dove la pioggia diventa oro e la tempesta non è temuta perché è la benedizione di un dio, mentre i due fratelli si ritrovavano, come due bambini che si stringono dopo un incubo ormai finito, che non tornerà più.
Che inevitabilmente, tornerà la notte dopo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Loki, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lullaby for a stormy night.
(x)

 

little child, be not afraid
though rain pounds harshly against the glass
like an unwanted stranger, there is no danger
I am here tonight

Loki ricordava bene la grande stagione delle piogge di quand'era bambino.
Gli avevano detto tante volte che un principe asgardiano non deve avere paura della pioggia. “Segui l'esempio di tuo fratello. Lui un giorno diventerà il dio della tempesta. Non temere la pioggia, principe Loki.” C'era sempre un sottile tono sarcastico, in quelle parole, che aveva imparato ad associare con quell'idea che poi era diventata il suo tormento. Non sei degno di tuo fratello. Non sei abbastanza. Devi diventare come lui. Diventa come lui, principe Loki.
Come spiegare che non era la pioggia, a spaventarlo? Loki non ricordava di aver mai avuto paura di qualcosa, da bambino, se non di se stesso, di quel non essere abbastanza. Era solo un'inquietudine sottile, che gli strisciava nelle ossa, come un serpente avvolto attorno al suo scheletro; avvoltolato lungo la sua spina dorsale, infilava la testa nel suo cervello, lo accarezzava con una velenosa lingua dardeggiante, sussurrando strane parole. Era come lo spiffero che arrivava da una porta chiusa male nel buio.
E quando la tempesta infuriava su Asgard, quando i tuoni ed i lampi squarciavano il cielo, e la pioggia martellava sul tetto della roccaforte di Odino, quando il vento entrava attraverso le ampie finestre come una carezza umida e gelata, lui riusciva a capire i sibili del serpente. Erano parole di grandezza e follia, e lui tentava di non ascoltarle, con la testa fra le ginocchia.
Erano parole così affascinanti, come miele e veleno, come la gioia di sentire Thor venir lodato da loro padre e poi vedersi rivolgere quello sguardo, non sei abbastanza non sei abbastanza non sei abbastanza e non lo sarai mai, quella condiscendenza che era tagliente come una lama. E finiva che ascoltava, guardando la schiena di suo fratello stagliarsi contro la finestra aperta, le spalle dritte e ferme contro la tempesta, le sue grida e le sue risate che echeggiavano i tuoni, i capelli d'oro e le placche d'argento sui suoi abiti che risplendevano ai lampi. 
«Vieni, fratello!»
Gli si avvicinava, si metteva al suo fianco, un centimetro dietro di lui, dov'era sempre stato, dov'era il suo posto. Ma lui non riusciva a ridere e farsi beffe della tempesta, a fondersi con essa. L'umidità della pioggia, il suo freddo, si facevano strada dentro di lui come tante lame di ghiaccio.
Ghiaccio
Era una delle parole preferite del serpente, dentro la sua testa.
Loki ricordava bene la grande stagione delle piogge di quand'era solo un bambino, perché era tutto cominciato allora. Non il marcio dentro di lui. Quello c'era sempre stato. No, era stato allora che era nata l'idea. Quell'idea che lentamente l'aveva corrotto, che aveva reso le parole del serpente comprensibili. Potrei essere abbastanza. Certo che potrei.
Se non ci fosse lui.

little child, be not afraid
though thunder explodes and lightning flash
illuminates your tear-stained face
I am here tonight

Piovve il giorno in cui Thor venne esiliato da Asgard, come se il cielo stesse piangendo la scomparsa del suo principe, del suo dio. Pioveva e la pioggia sembrava d'oro come i capelli di Thor mentre rotolava giù per le guglie del palazzo dei Re e poi sui bracciali del suo abito, sulle sue mani, come fosse stata sangue. La pioggia somigliava alle lacrime di Frigga, a quelle che lui sentiva di dover versare. C'era una morsa, come gli artigli di una bestia a serrargli le viscere, una voce che sussurrava che il dolore che provava non era abbastanza, neanche quello.
Indegno fratello, non lo amavi più di chiunque altro?
Ma, le sue mani. Le sue mani ora bagnate di pioggia, e forse erano lacrime, le sue mani ora del colore di cui erano sempre state.
Il freddo. Il ghiaccio.
Ghiaccio.
Posso essere abbastanza. Lui non c'è più.

little child, be not afraid
though storm clouds mask your beloved moon
and its candlelight beams, still keep pleasant dreams
I am here tonight

Forse pioveva anche dopo che Thor aveva distrutto il Bifrost, e che lui si era lasciato cadere nel vuoto, scomparendo per sempre, morendo. Forse pioveva, su Asgard, con la pioggia che diventava d'oro, come la corona che non poteva più portare, come i capelli di suo – no – di colui che aveva creduto suo fratello. Frigga aveva pianto, questo lo sapeva; aveva pianto anche Thor, e la pioggia si era mischiata con le lacrime, e forse aveva creduto che fosse sangue, anche lui?
Pioveva nel suo esilio, scaraventato su mondi distrutti da lui stesso, per un piano, per un dispetto. Pioveva sui suoi abiti a brandelli, un tempo così ricchi, pioveva sulle illusioni che non poteva più mostrare a nessuno, né come quelle che i midgardiani chiamavano ombre cinesi per divertire un bambino con gli occhi azzurri, né come arma di manipolazione contro quello stesso bambino, ora cresciuto. Le sue illusioni erano inutili, come Mijolnir senza il suo legittimo proprietario, senza nessuno a cui mostrarle. Anche lui si stava trasformando in un'illusione, un'ombra, che poteva sparire da un momento all'altro. Avrebbe voluto sparire per davvero, dissolversi in quella pioggia incessante.
I sussurri del serpente nella sua testa erano cambiati, ora. Erano beffardi, adesso, un ritornello incessante di non abbastanza e sbagliato e fratello e perché.
Se si fosse dissolto, anche quella cosa nella sua testa sarebbe sparita, no?
«Ti sei arreso, principe di Asgard?»
«Avrei dovuto essere re, e adesso non sono più niente.»
«Vuoi tornare ad essere ciò che eri? Vuoi vendetta? Io ti darò un nuovo scopo, principe di Asgard, che soddisferà anche quelli poveri ed infantili che hai adesso.»
E lui aveva detto, .

little child, be not afraid
though wind makes creatures of our trees
and their branches to hands, they're not real, understand
and I am here tonight

Pioveva e la pioggia entrava nella cella dov'era rinchiuso, al suo ritorno ad Asgard, come perdente e come prigioniero. 
Incatenato ai muri, stava sdraiato sulla panca, con la pioggia che formava una pozza per terra a pochi centimetri dalla sua testa, passando attraverso una piccola finestra. Avrebbero dovuto chiuderlo nel ghiaccio, come avevano fatto agli altri Giganti, ma era stato principe di Asgard, re, addirittura, e dovevano giudicarlo. Aveva poche ore per mostrare un'ultima volta i suoi trucchi, chiuso lì dentro.
Poteva tornare, per un momento, ad essere un re, con il suo elmo e le sue vesti. Poteva tornare ad essere il bambino che aveva amato suo fratello più di ogni altra cosa.
Ma invece rimaneva sdraiato, incatenato, a rigirarsi l'idea in mente, come una fantasia troppo bella per compararla con la realtà. Era meglio pensare a ciò che avrebbe potuto diventare, invece che a ciò che era. Era meglio che pensare al mostro che lì fuori lo cercava per punirlo per il suo fallimento, e al fallimento in sé, a quel momento di vittoria che aveva assaporato, prima del dolore, prima di quella fine indegna.
Ma aveva sempre saputo di non essere abbastanza, e si era illuso solo per un attimo di poter vincere, anche se aveva continuato a dire che l'avrebbe fatto. C'era stato un momento in cui ci aveva creduto.
«Alzati, fratello.»
L'aveva sentito arrivare, ma non aveva voluto aprire gli occhi. Eppure, al suono della sua voce, le sue membra ubbidirono prima che la sua mente così fine, così tortuosa, potesse opporsi. La sua voce era cambiata, era diventata più gentile, più soffice, se n'era accorto anche mentre lo stava pregando di non lasciare la sua mano, di non cadere.
Thor se ne stava dall'altra parte delle sbarre, il mantello rosso gettato dietro le spalle, l'armatura che non gli copriva più le braccia. I suoi occhi azzurri sembravano riflettere la poca luce che arrivava dal corridoio.
Mentre si fronteggiavano, il suono tondo e umido della pioggia che formava una pozza per terra, dietro di lui, era l'unica alterazione di un silenzio altrimenti completo, non fosse stato per i loro respiri. 
«Sei venuto a riferirmi il verdetto? Pensavano forse che sarebbe stato come una grazia, se fosse venuto dalle sue labbra?» Anche la sua voce era cambiata, si rese conto, diventando più affilata, più amara. Erano cambiati entrambi, non è vero?
Il serpente dentro la sua testa continuava a sussurrare che Thor era diventato, se possibile, perfino migliore, e lui era diventato ancora più indegno.
«Nostro padre mi ha cacciato dall'assemblea per la mia irruenza. Mi ha detto che non sono cambiato.» Thor quasi sorrise, appoggiando una mano sulle sbarre. «Ed è vero, la mia idea di te non è cambiata.» Lo guardava come se fosse sicero.
Loki si avvicinò a sua volta alle sbarre, con uno sferragliare di catene, finché acciaio e aria non furono le uniche cose a separarli. E tutti i silenzi, e le menzogne, e tutte le domande negli occhi azzurri di suo – no – di colui che aveva creduto suo fratello, rimanevano sospesi anche loro, come ghiacciati. «Povero pazzo» disse, quasi con affetto. Ma non riuscì a capire, neanche lui, se fosse genuino o semplicemente una sfida.
Thor annuì. «Nostro padre, anche lui mi ha chiamato così.» Si fermò un attimo. «So che non è tuo desiderio che io continui a riferirmi a lui come anche tuo padre. Perdonami. Ma per me lo rimane.»
«Ho ucciso mio padre, l'unico che avevo. E per nessuno dei due sono mai stato un figlio.» Vide la mascella di Thor irrigidirsi e sorrise. «Devi accettarlo, fratello, che fra noi non c'è più niente, se non odio.»
«Non è vero. Per me non è così» gli rispose con un sussurro, eppure la sua voce era ferma, più forte di tutte le sue grida.
«Povero pazzo.»
Le dita di Thor s'infilarono fra le sbarre di acciaio e gli toccarono con delicatezza una guancia, i polpastrelli ruvidi sulla sua pelle morbida. Lo guardava come se non fosse cambiato nulla. Ed era stupido ed era così confortante, perché era cambiato tutto e lui rimaneva un povero pazzo che continuava a credere in lui dopo che l'aveva – fisicamente – pugnalato.
Poi lo vide abbassare la mano e aprire il chiavistello della sua cella. 
«Hai corrotto le guardie?»
«Hanno solo obbedito al mio ordine. Ho promesso loro che avrei vegliato su di te come avrebbero fatto loro, e hanno creduto in me.»
«E hai intenzione di farlo davvero?» Per un attimo quasi pensò che l'avrebbe lasciato andare.
Ma fu solo un attimo. «Sì.»
«Non temi che io scappi?» chiese, con un sorriso, facendo un passo indietro. Thor stava sulla soglia della cella, occupandola con le sue spalle larghe, e pensò che sarebbe stato così facile tirargli un brutto scherzo e uscire indisturbato. Sarebbe stato davvero troppo facile.
«No, non lo temo.» E stavolta Loki non replicò dicendo “povero pazzo”. «Perché sappiamo entrambi che ora sei più debole là fuori da solo, con qualcuno che ti cerca, che non qui, dove una sentenza potrebbe ucciderti quanto liberarti.»
Lui sbatté le palpebre. «Da quando sei diventato così intelligente?»
Thor rise. Era la sua risata piena, quella come oro liquido, calda, che lui conosceva così bene. «Mi sono ispirato a te.» I suoi occhi si addolcirono ulteriormente. «E poi, non penso tu voglia davvero andartene. Ti è mancata casa, fratello?»
E dire che quella non era casa sua non era come dire che Odino non era suo padre e Thor suo fratello. Dire che quella non era casa gli era impossibile, perché era stato l'unico posto in cui il serpente dentro la sua testa gli avesse mai dato tregua. Sentì qualcosa dentro di sé cedere, e d'improvviso diventò fragile, facile da dissolvere, come una sua illusione. E non era la stessa fragilità del suo esilio, sconfitta, bensì qualcosa che derivava dalla sicurezza.
Non rispose, ma Thor poté leggere la risposta nei suoi occhi, perché gli sorrise, chiudendo la porta, e si sedette sulla panca dove lui era stato sdraiato fino a pochi minuti prima. Loki lo guardò, guardò lo spazio che li separava ed il pavimento di pietra fra di loro come fosse una lastra di ghiaccio sottile su cui non si azzardava a camminare, anche se lui era ghiaccio. Ma infine gli occhi di Thor, la sua espressione gentile, di attesa, come non gliel'aveva mai vista –perché era sempre stato Loki ad aspettare lui – spezzarono qualcos'altro, qualcosa ancora più in profondità, e per la prima volta in vita sua il serpente nella sua testa tacque. Ci fu un silenzio così assoluto, dentro di lui, che a penetrarlo fu solo la pioggia, quel suono scrosciante fuori dalla finestra, quello continuo delle gocce che cadevano sul pavimento accanto a lui.

little child, be not afraid
though wind makes creatures of our trees
and their branches to hands, they're not real, understand
and I am here tonight

Pioveva mentre si sedeva accanto a quello che – no – era suo fratello, in catene, mentre l'altro era libero, e le loro figure si fondevano insieme, com'era stato quand'erano bambini e stavano l'uno accanto all'altro, Loki mezzo passo dietro. Ma adesso erano sullo stesso piano, pur essendo uno un traditore, l'altro un futuro re.
C'erano parole che non potevano esprimersi perché che non potevano darsi, e Loki sapeva, forse anche Thor sapeva, che comunque non sarebbe cambiato niente, che quello era solo l'occhio del ciclone, un momento di calma assoluta. Presto il vento li avrebbe di nuovo trascinati nella tempesta. Il serpente avrebbe ripreso a sussurrare nella sua testa.
Eppure adesso erano nell'occhio del ciclone e c'era silenzio dentro di loro e fuori, e Thor non avrebbe detto quelle sue idiozie da povero pazzo come il fatto che ancora credeva in lui, e Loki non avrebbe detto nessuna delle sue bugie, urlato nessuna delle sue recriminazioni.
Le loro figure erano allacciate come quand'erano bambini e Loki piangeva perché suo padre l'aveva sgridato e Thor lo abbracciava dicendogli che non importava, che lui era lì. Come se anche lui stesse ricordando la stessa cosa, Thor fece passare un braccio attorno alle sue spalle. Le catene ai polsi di Loki tintinnarono appena quando si avvicinò e voltò la testa in modo da poter nascondere il viso nel suo collo.
Pioveva come piove ad Asgard, dove la pioggia diventa oro e la tempesta non è temuta perché è la benedizione di un dio, mentre i due fratelli si ritrovavano, come due bambini che si stringono dopo un incubo ormai finito, che non tornerà più.
Che inevitabilmente, tornerà la notte dopo.

well now I am grown
and these years have shown
that rain's a part of how life goes
but it's dark and it's late
so I'll hold you and wait
'til your frightened eyes do close


Era da tanto che volevo scrivere una Thorki... anche se questa è la Thorki meno Thorki di 'sto mondo perché ho finito per concentrarmi sulla fratellanza piuttosto che l'innamoramento ma fanculo che è amore anche quello e comunque quei due si amano e sono così shippabili *ugly cry* Fra l'altro è bello vedere come ho scritto queste OS; prima Hawky e Tasha, poi Tony e Stevie-pie e infine i due norse homos, lol.
Volevo anche aggiungere qualcuna delle battute finali del film ma l'ho visto solo in inglese e non so bene come dicano in italiano, in più non è che si dicano molto sul finale tranne Thor che urla "AUKFGDJHCXEKUDHJFCDFSXZRRRRRGGGGH"
Ma boh, volevo davvero commentare qualcosa? o_O
  
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