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Autore: Lady Hime    11/07/2012    3 recensioni
[Post-Reichenbach]
Sherlock.
Trattenne il respiro, alzando il busto di scatto. Dopo nemmeno venti secondi ricascò sullo schienale, stanco. Allucinazioni uditive, certo. Goditela l’illusione, gli sembrò dire il cervello quando il suo nome risuonò per la stanza una seconda volta.
[...]
Ma l’illusione faceva male, troppo.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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People would have spoken

 

John aveva un conto aperto con le giornate piovose, fin da quando era bambino. Per esempio, era stato in un piovigginoso giorno d’autunno che suo padre aveva deciso di andarsene per sempre e di far cadere sua madre in depressione.
In guerra poi, i rari acquazzoni erano sempre stati una spina nel fianco, a partire dalle cartucce che s’inceppavano nei momenti meno opportuni.
Nell’ennesimo giorno uggioso, era andato di nuovo dalla sua terapeuta dopo diciotto mesi di puro sollievo; quell’odore fastidioso di bagnato aveva segnato la sua ennesima rovina.

« C’è qualcosa che avrebbe voluto dirgli, Dr. Watson? »

La voce era uscita ferma nel rispondere, ma la mano sinistra aveva iniziato a tremagli impercettibilmente.
Che domande stupide.

Era stato dopo quell’episodio che aveva capito che una normale vita cittadina a Londra gli sarebbe stata stretta, aveva bisogno di nuovo ossigeno. Adrenalina, come Mycroft Holmes l’aveva definita il giorno in cui l’aveva incontrato per la prima volta. E probabilmente, c’era un'unica possibilità.  

« E’ un suicidio » gli aveva detto Mycroft mentre firmava i fogli per il reintegro nell’esercito; lui si era limitato ad un cenno di ringraziamento.
Non aveva detto una parola quel giorno.
Ci voleva tornare, in quella merda di Afghanistan.
Aveva fissato ossessivamente la mano di Mycroft, così diversa da quella di Sherlock, più grossa e sgraziata, mentre pigramente scriveva ciò che l’avrebbe riportato in quell’inferno. Un inferno più confortevole di quello attuale, aveva pensato mentre ritirava con mano tremante i documenti, un inferno che non gli avrebbe fatto pensare a Sherlock.

« Cerchi di non farsi ammazzare dottore, non credo me lo perdonerebbe mai ».


Aveva retto due anni, poi c’era stata quella stramaledettissima bomba.
Gli uomini che avevano gridato di scappare quando ormai era troppo tardi, il fragore dell’esplosione, le bestemmie generali, si ricordava tutto, eppure, prima di addormentarsi, ciò che lo accompagnava nei suoi incubi era ancora la voce di Sherlock.

Aveva perso la vista quel giorno, il colpo era stato troppo forte; poche possibilità di riacquisizione gli avevano detto, ma lui non aveva tradito alcuna emozione.
Era un medico, non si era specializzato in oculistica, ma sapeva esattamente che cosa conseguiva ad un parziale distacco della retina.
Era dovuto rientrare in Inghilterra, lontano dalle brandine puzzanti di piscio e dalla disperazione. Non si era sentito sollevato neanche un po’.

Ritornare a Londra senza la sua vista era stata quasi una…benedizione. Aveva potuto concentrarsi per tutto il viaggio su ciò che avrebbe dovuto dire ad Harriet, invece che perdersi in ricordi troppo dolorosi. Aveva riflettuto angosciato a che parole usare quando sua sorella lo avrebbe abbracciato arrabbiata, ma felice. “Va tutto bene” gli era sembrata la frase meno consona da pronunciare, eppure quando Harry lo aveva stretto quelle parole di circostanza erano scivolate fuori dalla sua bocca.

« No John, non c’è niente che vada fottutamente bene ».

Ed ora eccolo lì, dopo quattro mesi di definitivo congedo, sulla poltrona preferita di sua sorella, a fissare, o così si fa’ per dire, la canna che aveva trovato sulla mensola più alta della libreria.
Aveva già preso in considerazione il fatto che Harry fosse passata a cose più pesanti dopo il divorzio e, sinceramente, non si sentiva in grado di affrontare una discussione. Chi era lui per biasimarla, lui che era scappato in guerra solo per dimenticare e continuare a vivere. Due dipendenze diverse, stesso movente.
Entrambi colpevoli.

Se l’accese in fretta.
Quell’odore gli impregnò subito i vestiti. Marijuana, da che ricordava faceva il suo effetto dopo mezz’ora appena, per una durata complessiva di tre ore, se era abbastanza. La cenere cadeva sul bel tappeto che Clara aveva comprato per scusarsi con Harry di uno dei tanti tradimenti. Una bella mossa, considerando la passione assurda di Harriet per i tappeti orientali; sarebbe stato meglio se Clara, su suddetto tappetto, non si fosse fatta trovare con l’amante.
Prese una seconda boccata. Sentiva ancora il rumore della pioggia, i suoi sensi non accennavo ad arrendersi. Voleva la beatitudine, voleva una confusione tale da non ricordare che lui, nel mezzo dell’appartamento di Baker Street, che suonava il violino; voleva ricordarlo senza piangere in silenzio come un bambino.

« John».

Ciò che rimaneva di quello spinello, ormai quasi al limite, gli cadde dalle mani.
Sherlock.

Trattenne il respiro, alzando il busto di scatto. Dopo nemmeno venti secondi ricascò sullo schienale, stanco. Allucinazioni uditive, certo.  Goditela l’illusione, gli sembrò dire il cervello quando il suo nome risuonò per la stanza una seconda volta.

« Tu sei morto» disse semplicemente.
Ma l'illusione faceva male, troppo.
« E tu sei cieco»
«  Non è da te ribadire l’ovvio ».
«   Che importa, sono morto ».

Sentì le molle della vecchia poltrona di sua madre piegarsi sotto il peso di qualcuno, e sorrise; la sua mente, stimolata da un po’ di erba, sapeva meticolosamente arredare un dettagliatissimo scenario per frantumargli il cuore.
Se lo immaginava quasi, nel suo solito cappotto scuro, coi riccioli bagnati dalla pioggia, con le gambe stese sul tavolino.
Ma Sherlock Holmes era morto, morto e sepolto per sempre. Cazzo.  
« Quindi? Che sei venuto a fare?» aveva la bocca impastata, il tono suonò sfinito perfino a lui «Una partita a Cluedo? »

Non ci fu alcuna risposta. Tutto già finito? Probabile.
Ma poi un sospiro, un familiare sospiro, interruppe quel silenzio.

«Non ci credi che io sia davvero qui ». Le molle avevano rifatto quel fastidioso rumore.

Dio, che inconscio sadico.

«  Ovviamente non ci credi ». Quando quella voce si era avvicinata?
« “Non può avvicinarsi visto che è solo nella mia testa” » lo scimmiottò “Sherlock”.
«I morti non tornano in vita ».
«  Dimmi qualcosa che non so John »
«   …mi manchi da morire »

Uscite dalla sua bocca senza controllo, quelle parole, pronunciate con un’esasperazione al limite, fecero ricadere la stanza nel silenzio. Era un incubo, un assurdo martirio alla sua sanità mentale, ma gli piaceva, Dio se gli piaceva, risentire la sua voce che pronunciava qualcosa di diverso da “Addio John”.  Sembrava tutto così…reale.
« Ho detto qualcosa che non so ».
« Che la luna è un satellite…? ».

Gli sembrò quasi di udire un “Vaffanculo”, ma era così lontano che forse se l’era solo immaginato.Aveva un gran sonno, e dire che non riusciva a dormire decentemente da più di due anni. Avrebbe dovuto provarla prima, quella roba.

« E’ stato bello risentirti Sherlock ».  Si stupì nel constatare che non era una bugia, che era stato davvero piacevole dialogare con il fantasma di quello che era il suo più grande rimpianto.

Chiuse gli occhi. Tutto, in fondo, è destinato a finire.

Fine un cazzo. Avvertì, un attimo dopo aver abbassato le palpebre, delle dita sulle sua labbra. Così calde, così lisce, così sue.
Spalancò gli occhi, e si sorprese dell’intima speranza che aveva nutrito nel poter incontrare le sue iridi azzurre ancora una volta. Tutto però, rimase immerso nel buio.

« Questi occhi non guariranno se non t’impegni seriamente nelle cure John».

E la rabbia arrancò disperata dentro il suo cuore.
Come poteva lui, proprio lui che l’aveva abbandonato portandosi nella tomba parte della sua vita, dirgli quelle parole? Come osava?
Avrebbe iniziato ad insultarlo di brutta maniera se a quelle dita non si fossero sostituite delle labbra.
Asciutte, dolci labbra. Le sue labbra.
Il nero si tinse di migliaia di colori.

“Carpe diem” diceva Orazio.
Altro che “cogliere”, John voleva bloccarlo quell’attimo, per sempre.
Non era stato nulla di irruento o disperato, ma c’era esigenza nel modo in cui Sherlock premeva le sue labbra.
Perfetto.

«La gente ne avrebbe parlato» sussurrò con un mezzo sorriso « Avrebbe parlato per giorni».

Ma Sherlock era morto. E lui non poteva far altro che conviverci, in qualche modo.

«La gente parlerà per anni di noi John, del nostro ritorno».

Fu lo sbattere della porta d’ingresso a svegliarlo. Harriet, ovviamente. Trattenne il fiato, alzandosi di colpo, consapevole. Non aveva riordinato nulla dopo...quello, la canna probabilmente doveva trovarsi ancora ai suoi piedi, con l’accendino.
Complimenti John.
Si sedette di nuovo, rassegnato. Sperò davvero che sua sorella soprassedesse, ma conoscendola era più possibile che la terra si fermasse ed il sole cominciasse a girarci attorno.
Harriet però, parve proprio non accorgersene; nonostante stesse davanti a lui, i passi erano sembrati così decisi che sua sorella doveva essere sobria, dalla sua bocca non era uscito quel respiro scocciato che gli riservava quando faceva qualcosa che non approvava.

« Lei hai messe le gocce per gli occhi John? ».

Non rispose, si limitò a calpestare assorto, con una disinvoltura che resantava il ridicolo, il tappeto. Nulla, sembrava tutto sparito, perfino l’aria, finalmente si era deciso a fare un bel respiro profondo, era salubre. I suoi vestiti però, quell’odore soffocante lo avevano ancora.
« John, sei sicuro di stare bene? ».

No, probabilmente era impazzito. Scoprì che non gliene importava assolutamente niente.


Era tornato dalla sua terapeuta tre giorni dopo, nell’ennesima piovosa giornata.
Non sapeva nemmeno perché c’era andato, non aveva la minima intenzione di condividere le sue follie con quella donna.
Fu lei a spezzare il silenzio che si era creato dopo i rispettivi saluti.

« Ho visto che ha aggiornato il blog »

John aveva annuito, rivolgendo uno sguardo alla finestra. Se gli avesse chiesto cosa rappresentava per lui quell’unica frase sarebbe scoppiato a ridere come un pazzo. Perché lo era ormai, vero?
Un pazzo che aveva ricominciato a respirare.

“Una volta eliminato l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, 
deve essere la verità”.



 

 

Angolino di Hime

Non mi sono mai fatta così tante turbe mentali per una fanfiction dai tempi di Umineko. E’ stato un parto durato quattro giorni, gemellare probabilmente, però finalmente sono soddisfatta, nei limiti che la mia autostima mi permette.
E’ che sono così…perfetti insieme, non so se li ho resi abbastanza.
Bene, passiamo ai ringraziamenti ~ In primis a Bea che mi ha fatto conoscere Sherlock (siamo chiari, dopo che una persona ti passa per mesi immagini di tumblr su di loro, per sfinimento sei tenuta a guardarlo----Ciao Bea ♥). Poi a Swig che, all’una di notte, in preda alla disperazione, mi ha fatto una lezione di oculistica in piena regola.
Poi…non so, a mia madre probabilmente, che mi vedeva isterica al pc e non ha detto nulla-
Bene, spero vi piaccia, almeno un po’.  

   
 
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