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Autore: nocciola_ama_i_cani    12/07/2012    3 recensioni
Alycia Porswelf si salva per miracolo da un incidente stradale nel quale muore tutta la sua famiglia. Decide, avendo 18 anni, di trasferirsi dalla sua migliore amica Marya. Non si sarebbe mai aspettata di andar incontro ad un'agonia psicologica fatta di paura e di ossessive visite notturne.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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 Era così alto il sole che si faceva fatica a trovarlo nel cielo. Il 23 agosto era previsto il matrimonio di Sandra Porswelf con lo scrittore Kaspar Timberland. La chiesa era la più bella di Washington, la festa si sarebbe svolta in riva al mare, tutti in costume da bagno. Sandra era la tipa più stravagante che il mondo abbia mai ospitato. Il suo eccesso di energia e vitalità poteva risultare addirittura troppo pesante da sopportare.
Quel giorno era pervaso dalla comune aria calda di luglio.  Si faceva fatica a respirare. Alycia era intenta nei suoi studi per l’esame. Biologia, facoltà che non si addiceva al carattere prettamente umanistico della diciottenne universitaria. I genitori, Alfred e Lucy Porswelf, non vollero ascoltare le ragioni della figlia e disegnarono per lei un quadro già pronto che Alycia non doveva far altro che ammirare in silenzio, senza contestare l’esagerata perfezione delle sue linee, senza pensare che non era il suo quadro.
  Per Sandra, sua sorella, ciò che diceva mamma era più che sacro e indiscutibile. Dopo essere stata fidanzata per nove anni con un personaggio di grande spessore e ricchezza come Kaspar Timberland e aver aspettato per tutto il tempo la richiesta di matrimonio, finalmente era felice di dire che si sarebbe sposata il mese seguente. Lei aveva 30 anni freschi freschi.  Non era bellissima, ma non meritava di morire.
Nell’incidente non ce la fecero neanche i genitori. Alycia era uscita con loro, lasciando il libro dell’esame sul tavolo del soggiorno. Si salvò soltanto lei, un miracolo. Le sarebbe così tanto piaciuto assistere alle prove del vestito.
Non se la sentì più di tornare a casa.
Chiamò Marya Underfoud, sua miglior confidente e amica sin dai tempi delle elementari.
Marya non era mai stata una tipa del tutto “lecita”, come usava definire Lucy Porswelf. Era certo una patita dell’abbigliamento anni ’80, portava capelli tinti di arancione fluorescente, parlava in modo strano, ma non sembrava una cattiva persona. Più che altro un trans.
Alycia le chiese asilo in casa sua. Marya accettò esultando, come se la morte della famiglia dell’amica l’arricchisse di qualcosa.
La studentessa non ci mise tanto a fare la valigia, non possedeva molto. I libri non le servivano più, l’università l’aveva appena lasciata.
Il volto di Alycia ricordava una musica lenta d’orchestra. Era distrutta, consumata, logorata. Approdò nella casa di Marya, un appartamento al secondo piano al centro di Washington. Era carino, piccino, colorato, pieno di disegni astratti sui muri. Tuttavia emanava qualche briciola di negatività, sarà stata l’influenza della padrona di casa, pensò la ragazza. In effetti non stimava molto la sua unica (e quindi migliore) amica, ma dato che non era molto socievole, faceva fatica a trovarne altre. Si accontentava, insomma.
L’ora di andare a dormire arrivò nella velocità di 10800 secondi, tre ore. Marya aveva solo un letto matrimoniale. Dormirono tranquille fino alle due e mezza. Alycia si alzò per un attacco di fame notturna, abitudine che aveva sin da quando aveva imparato a mangiare da sola. Si diresse verso il frigorifero dove prima aveva adocchiato un’intera torta di mele fatta il giorno prima.
Lo aprì.
Si chiusero le tende della cucina senza che nessuno le avesse minimamente sfiorate, si udì un urlo sovrumano che non era né quello di Alycia né quello di Marya, il frigorifero fucsia del giorno era di colpo diventato bianco, poi nero, poi azzurro, e ancora giallo, verde,  blu, viola, rosso per poi ritornare al fucsia e al nero, all’azzurro e al suo interno ossa e pezzi di mano grigia e la torta di mele era sparita e al suo posto c’era la testa insanguinata di Alfred Porswelf e sui vetri delle finestre era riflesso lo sguardo oscuro di sua figlia Sandra e dietro di lei comparve Lucy Porswelf come un velo trasparente.
Alycia gridava, gridava, piangeva, scappava, cadeva e si rialzava. Cercava di buttarsi alla porta di casa ma ancora compariva sua madre e ancora il corpo senza testa di suo padre e quello senza labbra di sua sorella vestita da sposa, e allora Alycia si graffiava le guance, si strappava i capelli, vomitava, cercava di arrampicarsi sui muri ma ogni singolo angolo era oscurato dal vestito di sua sorella, dal fantasma di sua madre, dal corpo di suo padre.
Tutto sparì.
Si accese di colpo la luce. Era Marya. Vide Alycia con il viso pieno di sangue per i graffi, tutta sudata e con i suoi capelli in mano. Intorno a lei il caos: sedie e tavolo per terra, finestre aperte, uscio spalancato.
“ L – L – La por – rt .. “ Alycia tremava, vedeva quella porta di casa che non è mai riuscita ad aprire schiusa del tutto, si voltò verso la cucina e vide la torta di mele mangiucchiata sul bancone.
Guardò fisso il pavimento, affannata, saltando per lo spavento ad ogni suo respiro, incredula al fatto di essere ancora viva.
“ Ma che è successo?! Vieni, lavati la faccia, prendo la scatola del pronto soccorso. ”
Appena la sfiorò, Alycia urlò come un’indemoniata, non si era ancora svegliata dall’incubo di quella notte.
“ Alycia! Alycia! Fermati! “
Alla vista della porta nuovamente chiusa, svenne.
Si svegliò in ospedale, la sera seguente. Tornò a casa di  Marya.
Iniziava un’altra notte.
  
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