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Autore: lonely_heart    13/07/2012    2 recensioni
Un ragazzo. Un funerale. E il ricordo della violenza che affiora.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi alzo in piedi, il corpo ormai scosso da un pianto incontrollabile. Tutti fissano gli occhi su di me. Non vi faccio caso. Non m’importa più di niente e di nessuno ormai. Attraverso il corridoio quasi di corsa. Non incrocio nessuno sguardo, e se lo facessi vi troverei solo lacrime e dolore. Mi faccio largo tra le persone che non sono riuscite a trovare un posto a sedere. Non chiedo permesso. Ho la vista appannata per via del pianto. Raggiungo il portone e lo spalanco. Non ce la faccio, non posso stare in questa chiesa un minuto di più. Non posso credere – non voglio credere – che questo è il suo funerale.
Piove. Tantissimo. Anche il cielo piange oggi. Non credevo sarebbe venuta tanta gente. Sono tutti qui per lei, per dirle addio un’ultima volta.
Riprendo a spingere. Mi faccio largo tra questi temerari che, nonostante il freddo e il brutto tempo, armati di ombrelli, hanno voluto esserci, per far sentire la loro vicinanza a noi che le volevamo bene, per dirle addio l’ultima volta.
Finalmente raggiungo il parcheggio ci fronte alla chiesa. La folla con gli ombrelli è a qualche metro da me. Dagli altoparlanti il parroco continua imperterrito il suo sermone.
Senza fiato, con le lacrime agli occhi e un dolore lacerante al petto, perdo qualsiasi forza. Cado in ginocchio, di peso, sui sassi, appoggio i gomiti a terra e piango, piango forte, come non ha mai fatto in vita mia. La pioggia mi bagna da capo a piedi, ma non m’importa dell’acqua, del freddo o del fatto che rischio di prendermi una polmonite. La realtà dei fatti mi travolge e la sento viva in me come non mai finora.
La mia ragazza è morta.
Questa è l’unica cosa che il mio cervello ha registrato, l’unica di cui gli importi veramente. E un sacco di domande mi affiorano nella mente. Perché? Perché proprio lei? E perché non io al suo posto? Sono domande a cui non troverò mai risposta.
Con le ultime forze che mi rimangono in corpo mi alzo in piedi e grido, grido forte con la testa rivolta al cielo. Grido la mia rabbia e il mio dolore. Soprattutto il mio dolore.
PERCHE’ ME L’HAI PORTATA VIA?!
Poi cado di nuovo a terra, senza forze. Continuo a piangere senza controllo, stringendo le braccia al petto, la fronte premuta a terra, contro i sassi duri e freddi. Nessuno si avvicina. Nessuno ha il coraggio di andare a consolare un povero disgraziato distrutto dal dolore. Mi lasciano da solo con il mio strazio e la mia rabbia per le cose orribili di cui è capace questo mondo malato.
Continuo a piangere per un tempo che mi pare infinito, poi una mano mi tocca la spalla.
“Andrea piove”. La sua voce è calma e controllata. Sembra così normale, così… Mi fa veramente arrabbiare.
“Non mi frega un cazzo se piove! Lei non c’è più, capisci? Non c’è più! L’HANNO AMMAZZATA! L’hanno ammazzata davanti ai miei occhi! E io non ho fatto niente! Non ho fatto…” La voce mi si spegne del tutto. Ricomincio a piangere e lascio che il mio migliore amico si inginocchi accanto a me e mi abbracci forte. In un attimo anche lui è tutto bagnato, ma non se ne va. Rimane con me. Mi stringe e mi lascia piangere sulla sua spalla.
“Lorenzo” lo chiamo, per essere sicuro che ci sia ancora. Per controllare se mi sto immaginando tutto.
“Sono qui” mi risponde. Allora c’è, non sto impazzendo.
Piango ancora un po’, meno forte di prima, poi fisso gli occhi sui miei pantaloni sporchi di terra.
“Eravamo insieme io e lei quel giorno, lo sai no?” Come potrebbe non saperlo? Tutti lo sanno. E’ stata la cosa più difficile, doverlo raccontare ai poliziotti ancora e ancora. Dover rivivere quei momenti in eterno, tra l’indifferenza di tutti quegli uomini in divisa. E adesso lo sto raccontando a lui. Non so perché lo faccio, ma ne ho bisogno.
“Stavamo camminando e lei… indossava la maglietta gialla, sai, quella che mi piaceva tanto”. Lui mi guarda impietrito. Ai poliziotti non ho raccontato esattamente i particolari.
“Poi…” mi fermo un secondo, deglutisco e continuo. “Erano quattro”.
Davanti agli mi scorrono le immagino di quel giorno, come in una vecchia pellicola. Il sole era quasi sceso, e ci stavamo tenendo per mano. Poi quei quattro sono sbucati dal nulla.
“Me le hanno date di brutto” continuo, “e uno la teneva ferma. Sono rimasto per terra, mi faceva male la testa. Non riuscivo neanche a muovermi” aggiungo a mo’ di scusa, come se fosse stata colpa mia. “E lei… tu non sai quanto ha urlato”.
Lorenzo è impallidito e le lacrime gli scendono ai lati del viso, mischiate alla pioggia. Io invece ho smesso di piangere e continuo imperterrito.
“Non ho potuto fare niente. Mi si spezzava l’anima ogni volta che urlava, che implorava pietà. E loro erano quattro”. Prendo respiro e qualche altra lacrima mi inumidisce gli occhi.
“La minacciavano con un coltello. Io volevo salvarla, te lo giuro, volevo salvarla. Urlavo con lei, ma ogni volta che aprivo bocca me le davano”.
Chiudo gli occhi e ricordo il dolore fisico, atroce e straziante, che adesso è niente paragonato a quello che sento dentro. Faccio vedere a Lorenzo il braccio ancora fasciato, per non parlare dei segni che porto sul viso e dei lividi su tutto il resto del corpo.
“Andrea… non devi raccontarmi queste cose per forza”.
Alzo la testa e guardo in faccia il mio migliore amico. E’ bianco come il latte, i capelli scuri sono incolati al viso. Le lacrime agli occhi, mischiate alla pioggia, invisibili. Ma non mi fermo. Continuo a raccontare, perché ormai non posso più smettere.
“Lei urlava, ha urlato tantissimo. Non so come mai nessuno l’ha sentita, non me lo spiego. Erano in quattro… quattro”. La mia voce si affievolisce un poco, e ricomincio a piangere, ma non smetto di parlare. “L’hanno… l’hanno… Loro… come si fa ad alzare le mani su di una ragazza?! Dimmi! Con quale coraggio riesci a fare una cosa del genere?! Con quale coraggio poi ti guardi allo specchio ogni mattina?!  Lei… era solo una bambina… avrei dovuto proteggerla. Poi non so cos’è successo. Uno di loro teneva in mano il coltello. Ho sentito urlare forte, tutti quanti, e poi lei era lì a terra”. La sua immagine mi pasa davanti agli occhi come in un film di pessimo gusto. Sento quasi la nausea.
“Mi sono avvicinato a lei, avevo male dappertutto, non so come ho fatto a muovermi. Sulla sua pancia c’era una macchia rosso scuro, che con la sua maglietta gialla non c’entrava proprio niente, e si allargava in maniera impressionante”. Mi fermo di nuovo, per respirare, per calmarmi. “Le ho detto che andava tutto bene, che l’avrei salvata, che saremo stati ancora insieme. Invece non era vero, sapevo che non avrei potuto fare niente. E questa, Lorenzo, questa è la cosa che mi fa più male. Sapevo fin da subito che tutti i miei sforzi non sarebbero serviti a niente. E lei diventava sempre più bianca e fredda”. Chiudo gli occhi e mi sembra di sentire ancora il suo sangue, caldo e appiccicosa, scorrermi tra le dita. “E’ morta tra le mie braccia…” L’ultima parola mi rimane impigliata in gola, credo. Un nodo mi stringe forte lo stomaco e riprendo a piangere forte. Lorenzo mi abbraccia ed io mi aggrappo a lui. Lo sento piangere accanto a me. Anche loro erano amici.
“Lo sai che non è colpa tua” mi dice tra i singhiozzi.
Per tutta risposta piango – se possibile – ancora più forte. Certo che è colpa mia – come potrebbe non esserlo? Avrei dovuto proteggerla, lei si fidava di me.
E ora non c’è più.
Se n’è andata per sempre. Mi ha lasciato a cavarmela da solo in questo mondo di violenza e disperazione, questo mondo malato dove non è rimasto nemmeno un briciolo di compassione, di dignità.
Sono stato lasciato nel modo peggiore che esista.
Mi aveva promesso – lo aveva promesso – che saremo stati insieme per sempre. Avevamo fatto una specie di giuramento, io e lei, così, per gioco.
“Finché morte non ci separi” aveva detto.
 

  
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