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Autore: winterwind    13/07/2012    0 recensioni
Questa è la storia di Daphne, una ragazza inglese di 16 anni che, a causa del lavoro del padre, si trasferisce da una piccola città nel Devon alla grande e caotica Londra.
Daphne non sa che Londra le riserva un sacco di sorprese.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo uno: Cambiamenti.
Era una mattinata estiva come tutte le altre, a Tiverton. Erano le otto e mezza del mattino e gli uccellini cinguettavano come tutti i giorni, ma per me, Daphne Middleton, non era una normale mattinata.
Ero già sveglia, non avevo dormito tutta la notte, e non facevo che guardare l'orario, per far passare il tempo meno velocemente, perché volevo che la sveglia non suonasse mai. 
Alle otto e mezza in punto suonò e io, rassegnata, mi alzai. Rimasi a guardare la mia stanza, completamente vuota, con solo degli scatoloni e un letto. In quella stanza c'era tutto quello a cui tenevo, ci avevo passato sedici anni là dentro, e vederla completamente vuota mi rendeva molto triste. 
Mi avviai verso il bagno, mi feci una doccia e subito ritornai in camera, presi dei vestiti a caso da una valigia e mi vestì. Scesi in cucina per vedere se qualcun'altro era sveglio e vidi mia madre. Non volevo parlare del trasloco con lei, perché sapevo che la rendeva molto triste, ma il discorso sembrava impossibile da evitare, così le dissi: -Sei pronta, mamma?-
Lei mi guardò, abbassò un attimo la testa e poi mi disse: -Credo che non sarò ma pronta.-
Rimasi in silenzio per qualche secondo, poi dissi: -Non sei elettrizzata all'idea di andare a vivere a Londra? Insomma, è una grande metropoli, è molto meglio di Tiverton!- Neanche io credevo a quello che stavo dicendo, neanche io non volevo andare a Londra, le città grandi mi spaventavano allora, ma volevo tirar su un po' il morale a mamma.
-Sai come la penso, Daphne. A Tiverton ci sono nata, ci sei nata tu, c'è nato tuo padre e c'è nato anche Simon, ci siamo tutti cresciuti qui, abbiamo tutti i nostri amici, i nostri affetti, i nostri ricordi, c'è tutto qui! Credi sia facile per me abbandonare la mia vita di sempre di punto in bianco? Non sono per niente "elettrizzata", o come dici tu, di andare a Londra.-
Rimasi in silenzio. Poi dissi: -E allora perché ci andiamo? Insomma, nessuno di noi vuole andarci!-
-Una proposta di lavoro così non capiterà più a tuo padre! Ne abbiamo parlato a lungo e andare a Londra ci è sembrata la soluzione migliore, anche se la più dolorosa.- Fece una piccola pausa e poi continuò: -Ora va e inizia a portare le tue valige di sotto che fra poco partiamo, agli scatoloni ci penseranno Simon e tuo padre. E non voglio parlare di questo con tuo padre.-
-Va bene...- Dissi -Vado.-
Mentre salivo le scale vidi, dalla finestrella, arrivare il camion del trasloco. Cercai di non farci caso, presi le valige e le portai giù. Mentre ero seduta con mia madre nella panchina fuori vidi mio fratello e mio padre portare gli scatoloni nel camion, aiutati dal traslocatore. Vidi in mio fratello un'espressione molto triste, e cercavo di parlargli il meno possibile; anche mio padre era triste, però allo stesso tempo era elettrizzato di andare a lavorare a Londra. 
Quando finirono di portare gli scatoloni misero tutte le valige nel cofano della nostra macchina e, con una finta allegria, mio padre disse: -Su ragazze, si parte, destinazione: Londra!- 
-Aspetta un minuto papà, mi sono dimenticata una cosa!- Dissi.
Corsi dentro casa e chiusi la porta dentro di me. Guardai il salotto, ormai vuoto, la cucina, lo studio, la mia camera, e tutte le varie stanze della casa, con malinconia, ricordando tutte le persone e tutte le cose accadute nelle varie camere. Pensai a tutte le cene e i pranzi fatti nella cucina, ai film che guardavamo tutti insieme in salotto, alle chiacchiere davanti al camino, a tutto. Pensai anche alla mia migliore amica Quinn, che ormai conosceva casa mia meglio della sua, che ormai era di casa. Pensai a un sacco di cose che mi fecero sorridere, ma anche commuovere. Avrei potuto continuare a ricordare per tutto il giorno, ma venni interrotta dalle urla di mio padre: -Daphne, sbrigati! È ora di andare!-
Asciugai alcune lacrime che mi erano scese sulle guance, uscì e chiusi la porta, per l'ultima volta. Solo in quel momento realizzai che non sarei più potuta entrare in quella casa, nella mia casa, visto che l'avevamo venduta.
Salì in macchina e fissai la casa, la fissai fino a quando la macchina partì, uscì dal vialetto e si allontanò, sino a farla scomparire nell'orizzonte. Guardai mio fratello, anche lui era molto triste. Ci abbracciammo fortissimo e lui mi disse: -Ce la faremo, supereremo anche questa, tranquilla.-
Le parole di mio fratello mi tranquillizzarono. 
Nel tragitto vidi le case di tutti i miei parenti, dei miei amici e casa di Quinn. Pensai a tante cose; pensai se li avrei mai più visti, pensai se sarei mai più tornata a Tiverton... Non sapevo darmi una risposta, non sapevo cosa mi avrebbe riservato il futuro.
Uscimmo da Tiverton e, solo in quel momento, mi resi conto che non potevamo più tornare indietro.
Durante il viaggio, che durò quasi quattro ore, mi addormentai più volte, per cercare di recuperare il sonno perso la notte precedente. Fu un viaggio lunghissimo, ci fermammo solo una volta, a Bristol, per mangiare qualcosa e usare il bagno, e durante il viaggio il silenzio regnò. Solo quando mi svegliai per la terza volta mi resi conto di essere a Londra.
  
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