Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Ransie88219    14/07/2012    3 recensioni
"Note autrice": Chi mi segue si è certamente chiesto come mai fossi scomparsa per quasi due anni da efp. La spiegazione è il testo qui sotto, scritto lo scorso 16/8/2011 per una persona speciale. Mio Padre.
La dedico a lui, il “mio mito”. L’unico uomo che ho amato, amo e amerò per sempre di amore vero e puro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note Autrice: Chi mi segue si è certamente chiesto come mai fossi scomparsa per quasi due anni da efp. La spiegazione è il testo qui sotto, scritto lo scorso 16/8/2011 per una persona speciale. Mio Padre.

 

La dedico a lui, il “mio mito”. L’unico uomo che ho amato, amo e amerò per sempre di amore vero e puro.

 

Un sogno lungo un estate

 

 

Verde bosco.

E’ il colore più particolare della gamma dei verdi. Con una tempera è così difficile riprodurlo. Con le matite quasi impossibile. Di pennarelli ce ne sono pochi esemplari.

Si, di quel verde bosco che amo da diciannove anni, ce ne è uno solo.

Gli occhi di mio padre.

Bellissimi e pieni di vita.

Lo sono stati sempre, anche quando la morte me lo ha portato via.

 

Fa caldo.

Io adoro l’estate. C’è il sole,e  fa tanta afa, soprattutto in questo periodo, ad agosto.

Per una che tollera più facilmente del buon sudore “caldo” al freddo perenne dell’inverno, ci troviamo per me nella stagione migliore dell’anno.

L’estate potrebbe finire tra qualche settimana e iniziare tranquillamente la scuola. Il famoso rientro.

Una vera barba, per una che studia a capofitto tutto l’anno per mantenere alto l’orgoglio della propria madre, e beh, anche il proprio!

Ma ora non mi sfiora nemmeno l’idea. L’unico mio passatempo da “rincorsa” per finire tutti i compiti estivi, è la lettura dei “Vicerè” di De Roberto, o almeno lo dovrebbe essere in teoria, ma da ormai quasi sei mesi ho altro per il capo.

No, non il mare e la sabbia bollente sotto il sole, come l’anno passato. Nemmeno il lavoro estivo.

Mai. Forse mai più.

 

Quando arriva la fine, quella vera, tutto non conta più niente.

Non parlo della fine del mondo, no.

Parlo della “fine” che ad ogni essere umano tocca prima o poi nella vita. Quella che non la si accetta mai, sia che tocchi a noi o a qualcun altro.

Mai.

Che tristi parole.

Ho sempre creduto che la più brutta parola al mondo fosse “morte”, e che fosse sufficiente a racchiudere un dolore e una mancanza così vasta. Baggianate.

La vita ti corre dietro, ti fa lo sgambetto e ti insegna a non credere alla forma delle cose. Alla semplicità, ma a guardare oltre l’aspetto umile e semplificato, e vederci molto altro.

Per me “morte”, è di pari passo con “mai ”e “fine”.

“Mai” poiché la fine al tormento non avverrà, né nel modo in cui si spera arrivi. E’ un giorno senza data.

 

<< I polmoni stanno cedendo, come il fegato… >>.

Un attimo di silenzio, mentre lacrime calde, si uniscono al sudore.

L’ospedale è ventilato abbastanza da salvare le due donne, dalla calura del primo pomeriggio di fine luglio.

<< Ti vuoi arrendere? Io mai. Non mi arrenderò mai! Capito?! >>.

La voce della ragazza ha un suono stridulo, ma insolitamente basso. Non riesce a respirare per l’attacco d’ansia che la sta sconvolgendo, a causa della cruda realtà.

L’altra, la madre tace, trattenendo le lacrime e molto di più.

<< Sta peggiorando ma a me non importa. Non mi importa se il cancro e la terapia non funziona. Ora ci concentreremo sull’intervento per evitare nuovamente che i polmoni si riempiano di acqua continuamente, poi penseremo al recupero della gamba bloccata e infine al tumore ai polmoni e al sistema linfatico…chiaro? >>. Due occhi color nocciola, languidi e pieni di incipienti lacrime si trattengono. E i pensieri della ragazza corrono lontano. All’incredulità della situazione., come faceva ormai da sei mesi. E ripensa a quella stessa drammatica situazione vista mille volte in televisione col padre.

“Impossibile. Non può accadere ancora una volta a noi. Non mi arrenderò mai ”.

La madre tace ancora perdendosi certamente in qualche macabro pensiero, sull’uomo che ama da impazzire da ben vent’anni.

Il respiro della ragazza viene fintamente controllato, per l’apparenza da mostrare alla madre.

Il trucco è la freddezza e l’impassibilità di fronte a lei. Il fingere. Non mostrare che si soffre è la sua carta migliore. Con lei e il padre l’ha sempre fatto.

Gli occhi della figlia poi scattano alla ricerca di quelli più scuri della madre.

<< Andiamo >> e la spinge verso la porta della stanza dal letto del padre.

<< Non ci arrenderemo mai, e poi mai! >>.

 

E poi si conclude come sempre nella parola “fine”. Quando capisci che l’esserti messa in gioco fino alla fine. L’aver passato una vita a cercare di fare sempre la cosa giusta e ben voluta dagli altri non è servita a nulla. Anche preoccuparsi per gli altri e pagarne sempre le conseguenze non è servito a nulla. E pensi che poi arrivi la rabbia, ma invece no. Tutt’altro…

Ti immagini mille e mille volte il momento in cui perderai la persona che più ami al modo, quella che ti capisce con uno sguardo, quella uguale a te. Quella che chiami “padre”, ma che è molto di più, perché sai che nessuno al mondo potrà mai capire il legame che vi univa e averne uno della stessa intensità. No, non sono una sciocca vanitosa. Semplicemente ogni persona instaura un proprio e privato rapporto con le persone che ha vicino, e mai nessuno ne ha uno uguale, nemmeno dall’altra parte del mondo.

 

E così tutto finì.

La pagina bianca che pensavi non si fosse più scritta sulla vita di tuo padre, cambiò.

Non rimase vuota per la perdita. No.

Si riempì degli urli di tua madre e di tua nonna, e del silenzio composto del proprio dolore.

 

<< Scusi, sto cercando *M*, stanza 305 B,ma non c’è. Sa dirmi dove sia? >>.

Chiedo tranquilla, e ansiosa allo stesso tempo. Non sopporto di separarmi da lui, e poi ho deciso pure di passare tutta la serata con lui lavorando al mio pc per il nuovo concorso di scrittura che tra pochi giorni scadrà. Ha sempre creduto in me, e beh, mi sono fatta finalmente coraggio e voglio condividere con lui le mie emozioni. Voglio mostrargli la mia timidezza.

<< Si è arrivato >> Mi risponde la dottoressa, con quelle labbra stirate in una strana espressione rilassata e tesa allo stesso tempo. << Mi dispiace, è morto…>>.

L’urlo di mia madre, dietro di me mi spezza in due. Per un secondo sento uno strano gelo che mi fa mancare un attimo, ma resto in piedi. Le gambe sembrano voler cedere, mentre mia madre continua a strillare; corre dentro alla stanza da dove sono uscite due infermiere, con facce gravi.

Io rimango tranquilla.

<< Ne è sicura? Parla di *M*,quarantanove anni, malato di cancro ai polmoni e al sistema linfatico, con una gamba paralizzata, trasportato dall’ospedale di *C* con la croce azzurra? >> chiedo non credendoci, sto forse cercando una speranza, mentre già il mio sguardo punta la porta aperta, da dove intravedo i piedi distesi di mio padre sul letto, mentre il resto mi è oscurato da una tendina.

Ingoio e mi faccio avanti.

“Devo chiamare tutti i parenti io” penso mentre sento le grida disperate di mia madre, che riecheggiano per tutto il piano dell’ospedale.

Faccio un respiro, forse timorosa di vedere mio padre morto, volendolo ricordare vivo.

Ma non è neppure un vero e proprio pensiero o paura. Entro tranquilla, chiedo scusa delle grida all’altro in stanza con mio padre.

E lo vedo.

E’ indescrivibile.

Mia madre che bacia mio padre, lo accarezza e gli parla.

Mi avvicino, prendo una delle sue grandi manone che ho sempre adorato e fisso il suo volto.

E mi fisso ad osservargli i suoi bellissimi occhi verde bosco, come in diciotto anni, mai a nessuno avevo visto. Poi il suo corpo immobile. Appoggio l’orecchio sul suo petto.

Silenzio.

Non mi era mia capitato di appoggiare la testa sul suo petto e non sentire nulla, ma solo il suo cuore battere. L’ho sempre adorato quel rumore.

Quando rientrano le infermiere ricordandomi che devono fare l’elettrocardiogramma, le chiedo cortesemente di aspettare e chiedo degli ultimi istanti di mio padre. Non appena vanno via faccio la cosa più stupida che si possa fare ad un morto.

Il massaggio cardiaco.

Mia madre non mi ferma, tanto è scossa.

Giro attorno al letto, e lo faccio.

Lui rimane lì, fermo e immobile ha guardare tranquillo l’armadio davanti a sé, quello che gli spettava.

 Poi abbasso le braccia, quando capisco che è inutile, esco di stanza e telefono ai miei padrini, ma non rispondono.

Ho bisogno di loro.

Sono calma, non piango, non strillo, né mi lamento.

Solo voglio loro, e basta. La mia famiglia.

Poi provo a chiamare gli altri parenti, ma mi blocco.

Chiamo *G*, il mio fratellone, quell’amico speciale che tutti nella vita capita di avere, ed affezionarci. Lui corre subito da me. Poi chiamo tutti gli altri.

Il primo ad arrivare è lui. Entra in stanza, mi guarda, mi prende la mano, mentre l’altra va a mia madre. Si stacca da me e va ad abbracciare anche lei. Poi torna da me. Lasciandola al suo isolato dolore. Lo guardo in negli occhi, cercando di trarne forza e umanità.

Ma io rimango lì. Priva di lacrime e dolore da gridare.

La mia umanità non vuole uscire, e lì mi chiedo, guardando quegli occhi che ho sempre tanto desiderato di averli uguali a mio padre, come sarà tra un anno. E di vedermi, io, il 16 agosto del 2011, ad affrontare e vivere la morte di mio padre, dopo un anno.

La speranza di un qualcosa di diverso dalle urla di mia madre, lo spero di sicuro. Quelle grida che non dimenticherò mai…

 

Ed eccomi qua, un anno dopo.

Nulla è cambiato.

Lo cerco ogni istante. Tra la folla, nel mio mondo.

Nei sogni lo cerco ossessionata.

Sembra sia passato un attimo. Che sia morto ora, e invece sono passati 365 giorni di pianti, paure, litigi, cazzate, ma lui non è più con noi. Non corporalmente.

Distruttivo. Tutto ciò è distruttivo e lacerante.
Ricordare dovrebbe essere proibito, invece è la migliore droga, dove oscuri e poco nitidi ricordi diventando un film, luminoso in 3D.

E la testa diventa quel luogo speciale dove più lo custodisci per il cuore è rotto, fermo. Come il suo.

Non ti rassegni mai.

L’unico sogno che accetti la notte, è quello in cui i medici lo salvano, ma nemmeno quelli ti mentono, preferiscono mostrarti la realtà che vivi ogni giorno. Crudeli anche loro.

L’unica cosa coscienziosa che posso fare è cambiare il futuro di mia madre, provare qualcosa, e non stare lì ad aspettare per sempre. Occuparmi di lei e del suo dolore, dare a mio fratello un futuro tranquillo e spensierato nella mancanza di un “padre” grande, che una sola parola non basta per descriverlo.

Ora sono pronta, a donare tutta me stessa per mia madre e mio fratello. Nessuno più mi impedirà di provare a salvare almeno lei dal dolore della solitudine.

Mai.

Ho fallito con mia nonna. Chiusa a riccio nel dolore per la perdita del suo unico figlio, avuto tra mille proibizioni e problemi.

Logorata dalla malattia e dal dolore di non aver potuto far qualcosa per il figlio, che si è ricongiunto troppo presto col proprio padre. Occhi vuoti ed egoisti, che non voglio vedere nel volto di mia madre.

Mai. Ripugno una possibile aridità.

L’unica consolazione è che so che non sono sola in tutto questo, perché mio padre è sempre con me.

Nel cuore, nella mente e di fianco a me, immateriale come la mia fede mi dice di credere.

E lo faccio. Altrimenti tutto non avrebbe più senso nè speranza per poter andare avanti con il rimasto delle persone care che mi sono rimaste al fianco…

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Ransie88219