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Autore: Kag87    29/01/2007    4 recensioni
“Da oggi allora saremo alleati, riuscirai a sopportarmi per tutto il tempo?” Constatò lei leggermente nevrotica nel timbro. Non le piaceva affatto l’idea di condividere tre giorni con quell’essere. Chi si credeva d’essere? Un dio? Figuriamoci. Lo sorpassò, snobbandolo categoricamente. “No, non credo…tu riuscirai a sopportarmi?” lui sorrise. Le squadrava ogni movimento con gli occhi, malizioso e sarcastico. La portiera della macchina s’aprì in modo automatico. Lex non era una macchina come le altre, pareva avere vita propria. “Prego signorina” proferì con la voce meccanica. Kagome passò la mano sulla portiera dell’auto sportiva. “Lei si che è gentile…” fulminò con lo sguardo il detective che aveva, nel frattempo, risposto alla sua domanda questionandone un’altra “Sicuramente no” rispose lei tra un sorrisetto ironico ed un’occhiata smaliziata…
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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“Da oggi allora saremo alleati, riuscirai a sopportarmi per tutto il tempo

Le notti di Las Vegas

 

Eccomi con la mia seconda fic, aggiornerò questa e ‘Nata per errore’ assieme, così da mandarle avanti con la stessa perizia.

Non preoccupatevi, non sono tipa da lasciare fanfic incompiute, quindi state tranquilli.

Spero mi seguiate in tanti.

Kag87

 

 

“Da oggi allora saremo alleati, riuscirai a sopportarmi per tutto il tempo?”

Constatò lei leggermente nevrotica nel timbro. Non le piaceva affatto l’idea di

condividere tre giorni con quell’essere.

Chi si credeva d’essere? Un dio? Figuriamoci. Lo sorpassò, snobbandolo

categoricamente.

“No, non credo…tu riuscirai a sopportarmi?” lui sorrise. Le squadrava ogni

movimento con gli occhi, malizioso e sarcastico.

La portiera della macchina s’aprì in modo automatico. Lex non era una macchina

come le altre, pareva avere vita propria.

“Prego signorina” proferì con la voce meccanica.

Kagome passò la mano sulla portiera dell’auto sportiva. “Lei si che è gentile…”

fulminò con lo sguardo il detective che aveva, nel frattempo, risposto alla sua

domanda questionandone un’altra “Sicuramente no” rispose lei tra un sorrisetto

ironico ed un’occhiata smaliziata…

 

 

 

Capitolo Primo

 

 

Higurashi Nomura era un uomo sui quarantacinque anni, non molto alto, seppur di bell’aspetto.

Seppur anche per lui il tempo passasse, tentava di mantenersi in forma tra sport e circoli.

Era famoso per esser proprietario d’uno dei Casinò più caldi di Las Vegas.

Luxor. Era tra i locali più in voga giacchè si trovava in un punto strategico qual era Las Vegas Boulevard South dove sorgevano Grand Hotels e Casinò di fama mondiale.

Ricco, famoso e impegnato.

E lei…lei era nata in quel mondo colorato, pieno di fish e roulette, stracolmo di gente famosa che vinceva, strapagava o perdeva.

Osservò da lassù il suo bel mondo, quello di cui lei era la regina, e come tale vedeva di rimanere ad una buona distanza dai suoi ‘sudditi’.

Agli occhi balzavano i colori distinti, il rosso, il verde,l’arancio. Fatiscenti scritte, lampioncini rossi e blu.Tutto intermittente e brillante.

Poggiò le braccia sulla ringhiera del terrazzo. Ormai quell’hotel era divenuta la sua casa, non si lamentava certo.

Avere una suite al Royal Resort, avrebbe fatto gola a chiunque. Spaziosa, era composta d’un piccolo soggiorno, imbiancato dai mobiletti in noce e dalle trapunte a frangia che scendevano a cascata sul pavimento.

Percorrendo il corridoio che sostava tra stanza e stanza si potevano scorgere gli spiragli di luce filtrare dalle piccole finestre, aperta la porta della camera si rimaneva assuefatti da una luce azzurrina accompagnata in armonia perfetta all’ambiente disegnato in style moderno.

Si ritrasse dalla balconata. Non che non fosse felice della sua sistemazione, della sua vita.

Suo padre. Lui non c’era mai.

Questo la rendeva triste. Aveva bisogno di qualcuno accanto a se, un uomo che le riempisse

La mancanza del padre.

Tanti ne aveva avuti, nessuno era durato più di uno o due mesi. Era frivola, capricciosa e viziata.

Sin da bambina tutto quello che voleva l’aveva sempre ottenuto, bastava unvoglio’, così era anche

per gli uomini.

Percorse il corridoio che portava ad una delle camere correlate alla suite. Solamente un minuto tacchettìo accompagnava i suoi passi.

Vestiva come una gran dama, vestiti firmati e delle migliori stoffe. Mentre camminava, lisciò un paio di volte il tailleur albicocca che costringeva al suo interno la sua femminilità.

Partiva dal seno, in una leggera scollatura, la camicetta al di sotto tratteneva i lembi del colletto leggermente rialzati, sopra la giacca si richiudeva con un doppiopetto, lasciando che il decolletè giocasse col vedo e non vedo dei pizzi.

La gonna arrivava poco sopra il ginocchio, mostrando le gambe diritte e ben curate. Lanciò un’occhiata ad un quadro poco distante. Sua madre.

Non l’aveva conosciuta giacchè era morta dandola alla luce, però la immaginava come un angelo meraviglioso che possedeva i suoi occhi.

Sorrise malinconica, avviandosi verso la camera da letto. Sedette dinanzi allo specchio, sul tavolinetto dinanzi erano posti cosmetici d’ogni genere.

Sciolse la chioma corvina che discese lungo le spalle morbida. Afferrò la spazzola che giaceva alla sua destra, cominciando a percorrere i capelli in tutta la loro lunghezza.

Osservò la sua immagine riflessa. Era una donna oramai. Ventiquattro anni compiuti, bella, col viso ovale e delicato reso sbarazzino dalla frangetta che le bagnava la fronte ribelle.

Aveva sempre creduto alla storia che la sua governante le raccontava da bambina, d’essere la principessa delle favole, se avesse pettinato i suoi capelli ogni sera, il principe sarebbe presto arrivato per portarla via, con se, sul suo cavallo bianco.

Era una bambina, quella era la verità. Dov’erano finite le favole? Ora c’era solo il sesso, l’amore era scomparso.

Vide gli occhi farsi lucidi, quelle iridi d’un profondo bruno che contenevano il nero e l’oro al loro interno, già, aveva sempre notato quelle particolari pagliuzze dorate che rendevano l’espressione del suo volto più dolce. Questo le diceva suo padre.

I pensieri della donna vennero interrotti dal bussare quasi incessante alla porta della suite. Chi poteva essere?

Quasi seccata dell’essere stata interrotta, si alzò dalla sua posizione, poggiando la spazzola sul comò.

“Arrivo…” proferì pacata, celando il suo malumore.

Quando aprì la porta, un uomo grassottello, sui sessant’anni con la barba ispida, le si fece incontro trafelato.

Dal vestiario doveva trattarsi del proprietario dell’Hotel.

“Signorina Higurashimormorò con la voce roca spezzata dall’ansimare continuo, la fronte rugosa era imperlata di sudore, doveva aver corso.

Cosa c’è?” domandò lei leggermente incuriosita, cosa ci faceva il proprietario alle due di notte in camera sua?

Rimase ad osservare quei piccoli occhietti cerulei, tondi che si socchiudevano appena.

“Suo padre…” si fermò per riprendere fiato, abbassando lo sguardo da quello della donna. Lei sobbalzò, cos’era accaduto? Cosa c’entrava suo padre?

“E’ morto…” concluse il vecchio volgendo il capo di lato. Kagome rimase immobile, non una parola, un lamento, una lacrima.

Continuò ad osservare l’ometto come se dovesse ancora immagazzinare l’informazione ricevuta.

Lasciò ricadere entrambe le braccia lungo i fianchi.

“Papà…”

  
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