Nick:
o0°Lucetta_Streghetta°0o/ Elizabeth_Tempest
Genere:
Malinconico
Avvertimento: Missing moments,
One-shot
Rating: Giallo
Personaggi: Merope Gaunt, Tom O.
Riddle jr.
Prompt:
Letto, cuore
Introduzione: Tom Riddle jr.
è nato
in una notte fredda e lontana, figlio di una povera mendicante dal
cuore
infranto.
Numero di parole: 1589
NdA: il racconto è
ambientato la
notte del 31 dicembre 1926, la notte della nascita di Voldemort che,
secondo le
scarse informazioni disponibili, è stato partorito in un
orfanotrofio dalla
madre moribonda e malconcia, che è morta poco dopo.
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Senza Meta.
Con
tutto l’amore del suo cuore
Freddo.
È
l’unica cosa che riesci a sentire: un freddo feroce,
violento, che ti brucia
dentro.
Come
fa il freddo a bruciare? Non lo sai e forse nemmeno
t’interessa. L’unica cosa
di cui sei certa è il dolore lancinante che accompagna il
gelo.
Nevica
lentamente, c’è una tale pace
tutt’attorno da sembrare quasi immersi in un
sogno. Oppure già preda della morte.
Neve
bianca sui tetti, sui comignoli, sui davanzali e sulle soglie, sulle
passatoie
e sulla strada, che fitta cade e s’incolla ovunque.
Anche
tu sei bianca, i tuoi stracci sono coperti di neve, che si attacca, si
attacca
ovunque: ai capelli di stoppa nera e ingarbugliata, allo scialle scuro
e
bucherellato, al vestito troppo leggero e sudicio, alle calze di
cotonina
leggera, alle scarpe ormai sfondate.
S’incolla
ovunque, come se volesse soffocarti.
Ed
è così bianca, come il lenzuolo lindo e soffice
di un letto. E lo maledici,
quel letto, perché tanto l’hai desiderato e
bramato, che ti ha portata a
sfidare il tuo fato.
Sei
brutta, sei povera e sei sudicia, piccola Merope. Sei una ragazzetta
senza
allure, il viso dai tratti rozzi e gli occhi spenti, perché
hai desiderato il
Paradiso, quando nulla più che una sudicia stalla potevi
desiderare?
E
quando hai raggiunto quel letto niveo che hai macchiato di sangue,
quando anche
davanti alla legge quell’angelo ti ha fatta sua,
perché non l’hai capito? Hai
sfidato la sorte, hai commesso un peccato, perché non hai
compreso allora che
avresti pagato caro quel filtro? Che tu, disgraziata, dovevi
accontentarti
della tua vita?
Perché
Tom non ti amava? O forse eri tu a non amarlo abbastanza?
Magari
è solo spaventato, ha bisogno di tempo per riflettere,
perché s’è preso nel
letto una strega. E questa frase ti ha tenuto in piedi, ti ha fatto
macinare
tante miglia e tendere tante volte la mano per strada, il viso
macilento e gli
occhi supplicanti: dovevi mangiare almeno per il bambino,
perché doveva essere
sano e forte.
Il
vostro piccolo innocente, che hai amato subito, che hai consolato lungo
la
strada, a cui hai parlato così a lungo mentre dormivi sotto
qualche portico…
Ma
mai più magia! Ti ha portato via Tom, perché sai
che lui ti amava! La magia è
una maledizione, non un dono!
Stolto
è tuo padre che la considera un orgoglio, che ne fa un
vanto: ti ha portato via
l’amore, come può essere un dono?
Maledici
il sangue di tua madre e di tuo padre, e quello dei Peverell e quello
di
Salazar, che hanno reso tuo figlio orfano prima di nascere…
ma no, no! Tom
tornerà, tornerà nella vostra casa, con le tende
chiare alle finestre e il
grande tavolo in cucina.
E
sarà lì quando la levatrice ti metterà
il bambino tra le braccia, vostro
figlio, avuto con tanto amore e tanto desiderato.
Tom
è solo confuso, ha solo bisogno di tempo, ma
tornerà. Vi troverà, sarà con voi
nella vostra bella casa, giocherà con la vostra creatura e
dormirà in quel
grande letto bianco. E tuo figlio, innocente creatura,
giocherà allegro e
felice, incurante di quanto brutto possa essere il mondo, senza mai
conoscere
la fame e la sete, la paura e il tormento, perché farai
qualsiasi cosa per
proteggerlo.
Tom
ha bisogno di tempo, ma tu, ormai, non ne hai più: fa male,
tanto male. Ti
sdrai su quei gradini di pietra e boccheggi, stringendoti tra le mani
quel
grembo troppo pesante per te, così piccola e minuta, con le
ossa grandi e
sporgenti per la troppa magrezza e il viso sozzo, e gli occhi strabici
pieni di
lacrime, quei grandi occhi scuri e profondi che urlano il tuo dolore,
mentre le
tue manine ossute stringono la stoffa lisa, e i piedi quasi nudi
fendono la
lieve coltre di neve.
Vorresti
gridare, ma non ne hai più la forza.
Apri
la bocca e la richiudi, il fiato fermo in gola, le lacrime che scavano
lucide
strade sulle tue guance nere, poi la apri ancora e la richiudi e ti
pare che il
tempo sia infinito, dilatato in ogni singolo istante, la tua punizione.
Sei
un disonore, Merope, una maganò.
Sei
incapace, sei brutta, sei stupida e ottusa.
Sei
una pecca nel nome dei Gaunt.
Sei
il motivo per cui alla tua famiglia accadono tante disgrazie.
Sei
inutile e sciocca.
Sei
invisibile e sciatta.
Sei
una strega, una bugiarda.
Sei
una traditrice che rinnega il suo sangue.
E
quelle voci nella tua testa, tutte quelle voci e quegli occhi pieni di
disprezzo… Tom, non la disprezzare, lei non voleva mentirti,
voleva solo il tuo
amore. Voleva vedere il tuo sorriso ogni giorno e sentire il tuo calore
ogni
notte.
Mamma
cara, non la disprezzare, questa tua povera creatura: finché
tu eri con lei, il
mondo era bello. Voleva solo che tu restassi, che non la lasciassi in
balia
della tempesta.
Amato
bambino, non ancora nato, non disprezzare questa donna che soffre su
dei gelidi
scalini: lei non voleva questa disgrazia per te. Voleva farti nascere
al caldo
e al sicuro, su un bel letto bianco e non sulla neve gelida, voleva
darti mille
doni preziosi e l’amore di un padre che non la ama, voleva
darti balocchi e dolcetti,
ninnoli e carezze, ma non ne ha più la forza.
Non
sei che un mucchio di stracci coperto di neve: possibile che debba
finire così?
Maledetta magia, che le hai portato via Tom, che fece Merope per
meritare una
sorte così avversa?
Ti
senti stanca, sempre più stanca, come se il freddo fosse
entrato nelle ossa e
sempre più dentro. Senti il dolore, tanto dolore: una vita
nasce dal dolore,
vive nel dolore e muore nel dolore.
Ma
non volevi questo per il tuo bambino, non vuoi questo per il tuo
bambino: per lui
devi lottare ancora, solo per lui. Lo senti dentro di te, scalcia
furibondo,
perché non vuole che la sua vita finisca prima di
cominciare, perché non vuole
che la tua vita finisca prima di iniziare.
Ti
trascini verso la porta, pochi metri che sono miglia per te. Ti
trascini nella
neve gelida che brucia la pelle, le labbra viola e il viso rigato, le
dita
tagliate e sanguinanti, lasciando dietro di te una scia rossa.
Graffi
la porta, la colpisci con i tuoi palmi fiacchi e ti lasci cullare da
quelle
braccia che accorrono da te, tra urla
di orrore
e pietà, ti lasci portare al caldo e stendere su un letto
duro e sporco, tra
coperte ruvide e rigide.
Qualcuno
ti bagna il viso, ti chiede di rimanere con loro. Con loro dove? Non lo
sai
più, sai solo che c’è un bel
calduccio… Tom è arrivato?
Tom,
perché non arrivi? Perché non vieni da questa
povera donna? Perché non ascolti
le sue suppliche, la sua voce tremante che ti chiama?
C’è
qualcuno di gentile accanto a te, Merope, ma tu non capisci
più, pensi solo a
Tom e a tuo padre, severo, crudele, quel padre che hai tradito. Questo
dolore è
il prezzo per averlo fatto, la richiesta disperata del loro perdono:
perdonatela, perché ha il cuore a pezzi.
Spingi
con forza e ritrovi il fiato, urli mentre tuo figlio viene al mondo in
una
stanzetta lurida, illuminata da un povero caminetto, mentre donne
gentili si
affaccendano attorno a te: una ti asciuga il sudore e ti stringe la
mano, ti
dice che sei stata bravissima, che tutto andrà bene,
un’altra ti porge un
bambino tutto rugoso, che strilla a pieni polmoni, che grida al mondo
la sua
esistenza sfortunata e la sua nascita disgraziata e miracolata assieme.
È
bellissimo, non può che essere come lui, non può
che avere il suo nome: Tom.
Come quell’uomo che hai cercato a lungo nei tuoi sogni, che
ti ha stretto nelle
lunghe notti d’amore, e che ti ha abbandonata. Ma lui
tornerà, ne sei certa.
E
lo chiami come lui, come chi ti ha tanto amato: lo chiami Tom,
perché gli sia
di buon auspicio, perché sia bello e buono come suo padre.
Guardi i capelli
neri, così folti e sfiori la sua guancia paffuta e le
labbrucce dischiuse: è
così bello.
Quanto
ami quella creatura fragile che reggi tra le braccia, che ti guarda con
quegli
occhi così adulti e seri, troppo adulti, troppo seri.
Sussurri
al suo orecchio tutto il tuo amore e mille promesse, mentre una delle
donne
scuote il capo, scura in volto. Le lenzuola sono già intrise
di sangue, mentre
parli alla tua creatura: gli parli di suo padre, di balocchi e ninnoli,
di una
bellissima casa e di tanto amore. Gli prometti una vita di gioia e
felicità,
mentre piangi senza sapere il perché.
Perché
mai dovresti piangere tu, che sei la donna più felice del
mondo?
Sorridi
al tuo bambino e ti senti stanca, mentre ti sdrai. Senti il suo
cuoricino
pulsante contro il tuo, così stanco e affaticato…
Tom non è venuto, non verrà
mai. Non t’illudere, a lui non importa.
Qualcuno
bussa alla porta. Tom è arrivato? Sorridi, accarezzando la
guancia del tuo
piccolo Tom, perché ora tutto andrà bene per te e
per lui, come gli hai
promesso per tanto tempo.
E
poi quel capo scuro e riccioluto crolla giù, mentre la
tormenta aumenta e la
povera creatura inizia a piangere. Una delle donne lo solleva, mentre
un’altra
accarezza i capelli della piccola Merope.
Ha
ancora il sorriso sulle labbra e il cuore pieno di amore, mentre lascia
un
mondo troppo crudele per lei, lasciando dietro di sé un
figlio tanto amato che
la reclama alla morte.