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Autore: Elizabeth_Tempest    16/07/2012    1 recensioni
Tom Riddle jr. è nato in una notte fredda e lontana, figlio di una povera mendicante dal cuore infranto.
[Il racconto è ambientato la notte del 31 dicembre 1926, la notte della nascita di Voldemort che, secondo le scarse informazioni disponibili, è stato partorito in un orfanotrofio dalla madre moribonda e malconcia, che è morta poco dopo.]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merope Gaunt, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Nick: o0°Lucetta_Streghetta°0o/ Elizabeth_Tempest

Genere: Malinconico
Avvertimento: Missing moments, One-shot
Rating: Giallo
Personaggi: Merope Gaunt, Tom O. Riddle jr.

Prompt: Letto, cuore
Introduzione: Tom Riddle jr. è nato in una notte fredda e lontana, figlio di una povera mendicante dal cuore infranto.
Numero di parole: 1589
NdA: il racconto è ambientato la notte del 31 dicembre 1926, la notte della nascita di Voldemort che, secondo le scarse informazioni disponibili, è stato partorito in un orfanotrofio dalla madre moribonda e malconcia, che è morta poco dopo. Partecipa al "Write a story about my OTP" contest di Piccola Stella Senza Meta.

 

 

Con tutto l’amore del suo cuore

 

 

Freddo.

È l’unica cosa che riesci a sentire: un freddo feroce, violento, che ti brucia dentro.

Come fa il freddo a bruciare? Non lo sai e forse nemmeno t’interessa. L’unica cosa di cui sei certa è il dolore lancinante che accompagna il gelo.

Nevica lentamente, c’è una tale pace tutt’attorno da sembrare quasi immersi in un sogno. Oppure già preda della morte.

Neve bianca sui tetti, sui comignoli, sui davanzali e sulle soglie, sulle passatoie e sulla strada, che fitta cade e s’incolla ovunque.

Anche tu sei bianca, i tuoi stracci sono coperti di neve, che si attacca, si attacca ovunque: ai capelli di stoppa nera e ingarbugliata, allo scialle scuro e bucherellato, al vestito troppo leggero e sudicio, alle calze di cotonina leggera, alle scarpe ormai sfondate.

S’incolla ovunque, come se volesse soffocarti.

Ed è così bianca, come il lenzuolo lindo e soffice di un letto. E lo maledici, quel letto, perché tanto l’hai desiderato e bramato, che ti ha portata a sfidare il tuo fato.

Sei brutta, sei povera e sei sudicia, piccola Merope. Sei una ragazzetta senza allure, il viso dai tratti rozzi e gli occhi spenti, perché hai desiderato il Paradiso, quando nulla più che una sudicia stalla potevi desiderare?

E quando hai raggiunto quel letto niveo che hai macchiato di sangue, quando anche davanti alla legge quell’angelo ti ha fatta sua, perché non l’hai capito? Hai sfidato la sorte, hai commesso un peccato, perché non hai compreso allora che avresti pagato caro quel filtro? Che tu, disgraziata, dovevi accontentarti della tua vita?

Perché Tom non ti amava? O forse eri tu a non amarlo abbastanza?

Magari è solo spaventato, ha bisogno di tempo per riflettere, perché s’è preso nel letto una strega. E questa frase ti ha tenuto in piedi, ti ha fatto macinare tante miglia e tendere tante volte la mano per strada, il viso macilento e gli occhi supplicanti: dovevi mangiare almeno per il bambino, perché doveva essere sano e forte.

Il vostro piccolo innocente, che hai amato subito, che hai consolato lungo la strada, a cui hai parlato così a lungo mentre dormivi sotto qualche portico…

Ma mai più magia! Ti ha portato via Tom, perché sai che lui ti amava! La magia è una maledizione, non un dono!

Stolto è tuo padre che la considera un orgoglio, che ne fa un vanto: ti ha portato via l’amore, come può essere un dono?

Maledici il sangue di tua madre e di tuo padre, e quello dei Peverell e quello di Salazar, che hanno reso tuo figlio orfano prima di nascere… ma no, no! Tom tornerà, tornerà nella vostra casa, con le tende chiare alle finestre e il grande tavolo in cucina.

E sarà lì quando la levatrice ti metterà il bambino tra le braccia, vostro figlio, avuto con tanto amore e tanto desiderato.

Tom è solo confuso, ha solo bisogno di tempo, ma tornerà. Vi troverà, sarà con voi nella vostra bella casa, giocherà con la vostra creatura e dormirà in quel grande letto bianco. E tuo figlio, innocente creatura, giocherà allegro e felice, incurante di quanto brutto possa essere il mondo, senza mai conoscere la fame e la sete, la paura e il tormento, perché farai qualsiasi cosa per proteggerlo.

Tom ha bisogno di tempo, ma tu, ormai, non ne hai più: fa male, tanto male. Ti sdrai su quei gradini di pietra e boccheggi, stringendoti tra le mani quel grembo troppo pesante per te, così piccola e minuta, con le ossa grandi e sporgenti per la troppa magrezza e il viso sozzo, e gli occhi strabici pieni di lacrime, quei grandi occhi scuri e profondi che urlano il tuo dolore, mentre le tue manine ossute stringono la stoffa lisa, e i piedi quasi nudi fendono la lieve coltre di neve.

Vorresti gridare, ma non ne hai più la forza.

Apri la bocca e la richiudi, il fiato fermo in gola, le lacrime che scavano lucide strade sulle tue guance nere, poi la apri ancora e la richiudi e ti pare che il tempo sia infinito, dilatato in ogni singolo istante, la tua punizione.

Sei un disonore, Merope, una maganò.

Sei incapace, sei brutta, sei stupida e ottusa.

Sei una pecca nel nome dei Gaunt.

Sei il motivo per cui alla tua famiglia accadono tante disgrazie.

Sei inutile e sciocca.

Sei invisibile e sciatta.

Sei una strega, una bugiarda.

Sei una traditrice che rinnega il suo sangue.

E quelle voci nella tua testa, tutte quelle voci e quegli occhi pieni di disprezzo… Tom, non la disprezzare, lei non voleva mentirti, voleva solo il tuo amore. Voleva vedere il tuo sorriso ogni giorno e sentire il tuo calore ogni notte.

Mamma cara, non la disprezzare, questa tua povera creatura: finché tu eri con lei, il mondo era bello. Voleva solo che tu restassi, che non la lasciassi in balia della tempesta.

Amato bambino, non ancora nato, non disprezzare questa donna che soffre su dei gelidi scalini: lei non voleva questa disgrazia per te. Voleva farti nascere al caldo e al sicuro, su un bel letto bianco e non sulla neve gelida, voleva darti mille doni preziosi e l’amore di un padre che non la ama, voleva darti balocchi e dolcetti, ninnoli e carezze, ma non ne ha più la forza.

Non sei che un mucchio di stracci coperto di neve: possibile che debba finire così? Maledetta magia, che le hai portato via Tom, che fece Merope per meritare una sorte così avversa?

Ti senti stanca, sempre più stanca, come se il freddo fosse entrato nelle ossa e sempre più dentro. Senti il dolore, tanto dolore: una vita nasce dal dolore, vive nel dolore e muore nel dolore.

Ma non volevi questo per il tuo bambino, non vuoi questo per il tuo bambino: per lui devi lottare ancora, solo per lui. Lo senti dentro di te, scalcia furibondo, perché non vuole che la sua vita finisca prima di cominciare, perché non vuole che la tua vita finisca prima di iniziare.

Ti trascini verso la porta, pochi metri che sono miglia per te. Ti trascini nella neve gelida che brucia la pelle, le labbra viola e il viso rigato, le dita tagliate e sanguinanti, lasciando dietro di te una scia rossa.

Graffi la porta, la colpisci con i tuoi palmi fiacchi e ti lasci cullare da quelle braccia che accorrono da te, tra urla di orrore e pietà, ti lasci portare al caldo e stendere su un letto duro e sporco, tra coperte ruvide e rigide.

Qualcuno ti bagna il viso, ti chiede di rimanere con loro. Con loro dove? Non lo sai più, sai solo che c’è un bel calduccio… Tom è arrivato?

Tom, perché non arrivi? Perché non vieni da questa povera donna? Perché non ascolti le sue suppliche, la sua voce tremante che ti chiama?

C’è qualcuno di gentile accanto a te, Merope, ma tu non capisci più, pensi solo a Tom e a tuo padre, severo, crudele, quel padre che hai tradito. Questo dolore è il prezzo per averlo fatto, la richiesta disperata del loro perdono: perdonatela, perché ha il cuore a pezzi.

Spingi con forza e ritrovi il fiato, urli mentre tuo figlio viene al mondo in una stanzetta lurida, illuminata da un povero caminetto, mentre donne gentili si affaccendano attorno a te: una ti asciuga il sudore e ti stringe la mano, ti dice che sei stata bravissima, che tutto andrà bene, un’altra ti porge un bambino tutto rugoso, che strilla a pieni polmoni, che grida al mondo la sua esistenza sfortunata e la sua nascita disgraziata e miracolata assieme.

È bellissimo, non può che essere come lui, non può che avere il suo nome: Tom. Come quell’uomo che hai cercato a lungo nei tuoi sogni, che ti ha stretto nelle lunghe notti d’amore, e che ti ha abbandonata. Ma lui tornerà, ne sei certa.

E lo chiami come lui, come chi ti ha tanto amato: lo chiami Tom, perché gli sia di buon auspicio, perché sia bello e buono come suo padre. Guardi i capelli neri, così folti e sfiori la sua guancia paffuta e le labbrucce dischiuse: è così bello.

Quanto ami quella creatura fragile che reggi tra le braccia, che ti guarda con quegli occhi così adulti e seri, troppo adulti, troppo seri.

Sussurri al suo orecchio tutto il tuo amore e mille promesse, mentre una delle donne scuote il capo, scura in volto. Le lenzuola sono già intrise di sangue, mentre parli alla tua creatura: gli parli di suo padre, di balocchi e ninnoli, di una bellissima casa e di tanto amore. Gli prometti una vita di gioia e felicità, mentre piangi senza sapere il perché.

Perché mai dovresti piangere tu, che sei la donna più felice del mondo?

Sorridi al tuo bambino e ti senti stanca, mentre ti sdrai. Senti il suo cuoricino pulsante contro il tuo, così stanco e affaticato… Tom non è venuto, non verrà mai. Non t’illudere, a lui non importa.

Qualcuno bussa alla porta. Tom è arrivato? Sorridi, accarezzando la guancia del tuo piccolo Tom, perché ora tutto andrà bene per te e per lui, come gli hai promesso per tanto tempo.

E poi quel capo scuro e riccioluto crolla giù, mentre la tormenta aumenta e la povera creatura inizia a piangere. Una delle donne lo solleva, mentre un’altra accarezza i capelli della piccola Merope.

Ha ancora il sorriso sulle labbra e il cuore pieno di amore, mentre lascia un mondo troppo crudele per lei, lasciando dietro di sé un figlio tanto amato che la reclama alla morte.

 

   
 
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