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Autore: Taku731    16/07/2012    0 recensioni
Una persona si risveglia, senza ricordi, senza se stessa. Un semplice gioco per misurare la sua voglia di vivere. Vincere significa uscire, arrendersi significa avere il potere.
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai. Dovevo aver dormito molto, infatti mi dovetti stiracchiare le gambe e le braccia prima di alzarmi. Mi alzai dal letto e poi lo notai, come avevo fatto a non notarlo prima: era tutto buio. Era strano; la luce sarebbe dovuta filtrare dalle finestre, o forse erano chiuse? No, la luce sarebbe passata dalle fessure delle persiane, eppure non un piccolo fascio di luce illuminava la stanza. Poi sul soffitto apparve una luce, mi avvicinai e notai che questa luce proveniva da un cellulare posto sul pavimento. Qualcuno mi stava chiamando; un numero non disponibile; il solito scherzo, decisi di rispondere comunque. "Pronto." L'altra persona mi salutò, non riconoscevo la sua voce e quindi mi sembrò spontanea una domanda: "chi sei?" L'altra persona mi rispose dopo aver riso di gusto: "Chi sono io? Sicuro di volerlo sapere? Non preferiresti sapere chi sei tu?" Già, chi ero io? Non lo ricordavo, dovevo aver perso la memoria; mentre riflettevo sulla questione dall'altro capo del telefono ripresero le parole: "Ora ti starai domandando dove sei. Sei in un palazzo, la prima stanza, quella dove sei tutt'ora l'ho tenuta buia apposta; vedi io in questo palazzo posso fornirti tutto quello che vuoi, posso fare tutto ciò che voglio e ti fornirò ciò che desideri." Fece appena in tempo a finire le ultime parole e io parlai subito: "Voglio uscire!" "Sicuro di volerlo? Non sai più chi sei, la tua vita può fare schifo potresti essere la persona più inutile al mondo, potresti non avere nessun parente ad aspettarti, lo vuoi fare davvero?" I dubbi che mi aveva fatto nascere fecero cambiare le mie esigenze. "Voglio fare colazione!" Dal buio più totale, strisciando contro il pavimento, si avvicinò qualcosa, urlai: "voglio la luce!" Le luci si accessero, la stanza era veramente spoglia, un letto al centro e pareti di cemento. Tra il soffitto e le pareti si aprì un condotto d'aria con varie aperture. Vidi subito una porta, non una finestra contornava la stanza. Pensai subito ad un metodo per capire se meritavo di vivere, mi guardai i vestiti, ma indossavo un semplice pigiama e forse mi era stato fornito da quell'uomo, non potevo affidarmi solo su quello. Mi accorsi di non aver chiuso la chiamata a causa delle risate che mi giunsero all'orecchio, mi arrabbiai. Schiacciai il tasto rosso sul telefono, quello per terminare la telefonata. La stessa voce mi rimbombò nelle orecchie a volume molto più alto. "Il telefono era solo per le presentazioni, tutte le stanza sono fornite di altoparlanti e videocamere, e non dimentichiamo i microfoni per ascoltare la tua voce."
Era un incubo, doveva sicuramente esserlo. Finì di fare colazione e mi tirai un pugno, percepì il dolore; voleva dire una sola cosa: non stavo dormendo. In preda alla disperazione gridai: "dammi dei vestiti!" uno sportello si aprì nella porta e furono lanciati dei vestiti sportivi; dei pantaloni grigi, una maglietta a mezze maniche, scarpe, mutande e calze. Mi infilai i vestiti e iniziai a chiedermi cosa ci facessi in quell'edificio. Forse, visto che mi ha rapito o comunque portato contro voglia, forse valevo qualcosa o forse proprio perchè con me non correva rischi nel rapirmi lo ha fatto. Le opzioni erano due: se avevo una vita importante mi ha intrappolato qui a scopo di lucro, vorrà un riscatto o forse è un mio rivale al lavoro o di una ditta rivale alla mia e mi vuole fuori dai piedi per un po'; se invece ero inutile per la società vuole solo divertirsi e io sono la sua "pedina" da manovrare a piacimento. Dovevo capire che valore aveva la mia vita per decidere se uscire o no, se non valevo granchè qui potevo avere tutto ciò che volevo; ma se qualcuno mi stava aspettando a casa dovevo assolutamente tornare alla mia vita. Presi una decisione: "voglio incontrarti - urlai - e poi mi dovrai spiegare tutta la situazione!" La risposta arrivò dopo qualche minuto: "questo non è possibile, per quello che ne so potresti anche volermi uccidere." "Non sono quel tipo di persona!" "Come posso saperlo se nemmeno tu lo sai." Lo dovevo incontrare, era l'unica persona, al momento, che poteva dirmi chi fossi. Feci finta di non pensare più alla mia richiesta e cercai di capirne di più sull'edificio, mi avvicinai alla porta e provai ad aprirla, ma non c'era alcuna serratura o maniglia. La voce mi informò sul tipo di porta: "sono porte speciali; solo io posso aprirle o chiuderle, ricordati sono io il tuo dio in questa situazione." Ne ero sicuro ora, era un matto con manie di protagonismo e voleva solo divertirsi con me. Potevo solo fare una cosa: giocare a questo gioco! Ma come potevo fare per vincere e soprattutto, potevo vincere? "Apri la porta." La porta si aprì e descisi di uscire dalla stanza. Appena uscito mi ritrovai in una specie di labirinto. A parte la porta di metallo che avevo dietro di me, le porte erano fatte di vetro, ce n'erano quattro una per ogni lato della stanza. Nella stanza dove ero io, ovviamente, erano solo tre le porte di vetro. Le pareti toccavano il soffitto e le stanze sembravano tutte uguali, stessi colori e stesse porte in ogni stanza. "Non ti preoccupare non tutto l'edificio è fatto così. Puoi considerare questo piano come primo livello. Può sembrare facile, ma potresti non uscirne più." Dopo aver sentito queste parole la porta dietro di me si chiuse con forza e la voce disse: "si dia il via al gioco! Per renderlo più emozionante, per sentire l'ansia e la paura vagare nel tuo corpo ho deciso di mettere un tempo limite, se non raggiungerai una delle quattro scale di questo livello tutte le porte si chiuderanno, anche quelle di vetro. La porta dietro di te rimarrà chiusa per tutta la durata del gioco, ma se non ti muoverai dalla stanza dove ti trovi, alla fine del timer quella porta si riaprirà mentre tutte le altre, anche quelle di vetro rimarranno chiuse per sempre. Devi decidere tu se giocare o no, hai cinque minuti per scegliere."
Non sapevo cosa fare; valeva davvero la pena di richiare tanto per una vita che magari non valeva nulla?
In effetti vivere nel palazzo non era una brutta idea, grazie a quella persona potevo avere tutto. Se volevo rischiare almeno dovevo avere una strategia. Ci pensai, ma ormai mancavano solo due minuti. Dovevo rischiare, una voce interiore sembrava dirmelo da quando mi ero svegliato. Un solo minuti rimaneva nel timer che si poteva vedere. Cinquanta secondi; un'idea stava nascendo dal mio cervello. Quaranta secondi; mi serviva qualcosa per aumentare le mie speranze di salvezza. Trenta secondi; i miei pensieri si stava riunendo a formare un puzzle. Venti secondi; mancava qualcosa per la mia idea, un oggetto, c'ero quasi. Dieci secondi; poteva davvero funzionare? Cinque secondi; l'altoparlante pronunciò una domanda:"allora, hai deciso?" Quattro secondi; doveva funzionare, doveva! Due secondi; "Accetto! Però ..... voglio un ....." Dall'altoparlante uscì una voce stufa: "un cosa?" "Voglio un pennarello." "Un pennarello? - la voce si mise a ridere - Un pennarello? Davvero?" Mi stavo stufando: "hai detto di potermi fornire tutto ciò che voglio? Bene, portami un pennarello." Questa mia richiesta aveva una duplice finalità: potevo segnare appunti nella stanza e sulle porte, inoltre grazie alle porte di vetro potevo, se una persona reale mi portava l'oggetto in questione, farmi un'idea del percorso da fare. Dal soffitto della stanza si sentì un rumore, alzai lo sguardo. Un buco di forma quadrata se era formato, probabilmente grazie allo slittamento di un pezzo del soffitto. Da quel buco cadde un oggetto, non riuscì a capire bene cosa fosse finchè il pavimento non fermò la sua caduta. Mi aveva fottuto, era il pennarello. "Ecco il tuo strumento, da questo momento il gioco partirà. Tu non potrai più entrare in contatto con me, io invece potrò vederti e sentirti, non voglio perdermi il divertimento." Ma sentivo che mancava qualcosa, poi capì. "Aspetta, hai detto che avevo un tempo limite, quant'è?" La voce mi rispose: "ah, sì questo particolare, quasi me ne dimenticavo." Un pezzo della parete si mosse e si posizionò perpendicolarmente alla parete stessa. Dei dadi rimasero sullo sportello insieme ad un foglietto. Le istruzioni erano chiare; dovevo tirare i due dadi il numero che uscivo dovevo moltiplicarlo per due, quello sarebbe stato il mio tempo limite. Presi i dadi, li chiusi tra le mani, agitai, agitai e agitai ancora. Stavo esitando, la paura muoveva le mia mani. Poi capì che indugiare non serviva a nulla. Riuscì a muovere un dito, poi un altro. Pian piano aprì le mani e i dadi scivolarono via pieni di ogni mia speranza. Iniziarono a rimbalzare si fermarono in due momenti diversi uno si fermò subito: sei. L'altro per qualche strano motivo di mise a ruotare, pian piano iniziò a traballare e alla fine si fermò: uno. La voce rise: "sette, moltiplicato per due.... quattordici, un buon risultato.... un buon risultato davvero - udì ancora risate - ah, il gioco è già iniziato!"
Guardai il timer: sedici minuti e quaranta. Il gioco era già iniziato e stavo perdendo. Iniziai a muovere lentamente alcuni passi, mi mossi verso la prima porta e posai la mano traballante per la tensione sulla maniglia. La aprì e il mio piede oltrepassò la soglia della prima stanza: avevo iniziato a giocare.
   
 
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