Una persona si risveglia, senza ricordi, senza se stessa. Un semplice gioco per misurare la sua voglia di vivere. Vincere significa uscire, arrendersi significa avere il potere.
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Mi svegliai. Dovevo aver dormito molto, infatti mi dovetti stiracchiare
le gambe e le braccia prima di alzarmi. Mi alzai dal letto e poi lo
notai, come avevo fatto a non notarlo prima: era tutto buio. Era strano;
la luce sarebbe dovuta filtrare dalle finestre, o forse erano chiuse?
No, la luce sarebbe passata dalle fessure delle persiane, eppure non un
piccolo fascio di luce illuminava la stanza. Poi sul
soffitto apparve una luce, mi avvicinai e notai che questa luce
proveniva da un cellulare posto sul pavimento. Qualcuno mi stava
chiamando; un numero non disponibile; il solito scherzo, decisi di
rispondere comunque. "Pronto." L'altra persona mi salutò, non
riconoscevo la sua voce e quindi mi sembrò spontanea una domanda:
"chi sei?" L'altra persona mi rispose dopo aver riso di gusto: "Chi
sono io? Sicuro di volerlo sapere? Non preferiresti sapere chi sei tu?"
Già, chi ero io? Non lo ricordavo, dovevo aver perso la memoria;
mentre riflettevo sulla questione dall'altro capo del telefono
ripresero le parole: "Ora ti starai domandando dove sei. Sei in un
palazzo, la prima stanza, quella dove sei tutt'ora l'ho tenuta buia
apposta; vedi io in questo palazzo posso fornirti tutto quello che
vuoi, posso fare tutto ciò che voglio e ti fornirò
ciò che desideri." Fece appena in tempo a finire le ultime
parole e io parlai subito: "Voglio uscire!" "Sicuro di volerlo? Non sai
più chi sei, la tua vita può fare schifo potresti essere
la persona più inutile al mondo, potresti non avere nessun
parente ad aspettarti, lo vuoi fare davvero?" I dubbi che mi aveva
fatto nascere fecero cambiare le mie esigenze. "Voglio fare colazione!"
Dal buio più totale, strisciando contro il pavimento, si
avvicinò qualcosa, urlai: "voglio la luce!" Le luci si
accessero, la stanza era veramente spoglia, un letto al centro e pareti
di cemento. Tra il soffitto e le pareti si aprì un condotto
d'aria con varie aperture. Vidi subito una porta, non una finestra
contornava la stanza. Pensai subito ad un metodo per capire se meritavo
di vivere, mi guardai i vestiti, ma indossavo un semplice pigiama e
forse mi era stato fornito da quell'uomo, non potevo affidarmi solo su
quello. Mi accorsi di non aver chiuso la chiamata a causa delle risate
che mi giunsero all'orecchio, mi arrabbiai. Schiacciai il tasto rosso
sul telefono, quello per terminare la telefonata. La stessa voce mi
rimbombò nelle orecchie a volume molto più alto. "Il
telefono era solo per le presentazioni, tutte le stanza sono fornite di
altoparlanti e videocamere, e non dimentichiamo i microfoni per
ascoltare la tua voce."
Era un incubo, doveva sicuramente esserlo. Finì di fare
colazione e mi tirai un pugno, percepì il dolore; voleva dire
una sola cosa: non stavo dormendo. In preda alla disperazione gridai:
"dammi dei vestiti!" uno sportello si aprì nella porta e furono
lanciati dei vestiti sportivi; dei pantaloni grigi, una maglietta a
mezze maniche, scarpe, mutande e calze. Mi infilai i vestiti e iniziai
a chiedermi cosa ci facessi in quell'edificio. Forse, visto che mi ha
rapito o comunque portato contro voglia, forse valevo qualcosa o forse
proprio perchè con me non correva rischi nel rapirmi lo ha
fatto. Le opzioni erano due: se avevo una vita importante mi ha
intrappolato qui a scopo di lucro, vorrà un riscatto o forse
è un mio rivale al lavoro o di una ditta rivale alla mia e mi
vuole fuori dai piedi per un po'; se invece ero inutile per la
società vuole solo divertirsi e io sono la sua "pedina" da
manovrare a piacimento. Dovevo capire che valore aveva la mia vita per
decidere se uscire o no, se non valevo granchè qui potevo avere
tutto ciò che volevo; ma se qualcuno mi stava aspettando a casa
dovevo assolutamente tornare alla mia vita. Presi una decisione:
"voglio incontrarti - urlai - e poi mi dovrai spiegare tutta la
situazione!" La risposta arrivò dopo qualche minuto: "questo non
è possibile, per quello che ne so potresti anche volermi
uccidere." "Non sono quel tipo di persona!" "Come posso saperlo se
nemmeno tu lo sai." Lo dovevo incontrare, era l'unica persona, al
momento, che poteva dirmi chi fossi. Feci finta di non pensare
più alla mia richiesta e cercai di capirne di più
sull'edificio, mi avvicinai alla porta e provai ad aprirla, ma non
c'era alcuna serratura o maniglia. La voce mi informò sul tipo
di porta: "sono porte speciali; solo io posso aprirle o chiuderle,
ricordati sono io il tuo dio in questa situazione." Ne ero sicuro ora,
era un matto con manie di protagonismo e voleva solo divertirsi con me.
Potevo solo fare una cosa: giocare a questo gioco! Ma come potevo fare
per vincere e soprattutto, potevo vincere? "Apri la porta." La porta si
aprì e descisi di uscire dalla stanza. Appena uscito mi ritrovai
in una specie di labirinto. A parte la porta di metallo che avevo
dietro di me, le porte erano fatte di vetro, ce n'erano quattro una per
ogni lato della stanza. Nella stanza dove ero io, ovviamente, erano
solo tre le porte di vetro. Le pareti toccavano il soffitto e le stanze
sembravano tutte uguali, stessi colori e stesse porte in ogni stanza.
"Non ti preoccupare non tutto l'edificio è fatto così.
Puoi considerare questo piano come primo livello. Può sembrare
facile, ma potresti non uscirne più." Dopo aver sentito queste
parole la porta dietro di me si chiuse con forza e la voce disse: "si
dia il via al gioco! Per renderlo più emozionante, per sentire
l'ansia e la paura vagare nel tuo corpo ho deciso di mettere un tempo
limite, se non raggiungerai una delle quattro scale di questo livello
tutte le porte si chiuderanno, anche quelle di vetro. La porta dietro
di te rimarrà chiusa per tutta la durata del gioco, ma se non ti
muoverai dalla stanza dove ti trovi, alla fine del timer quella porta
si riaprirà mentre tutte le altre, anche quelle di vetro
rimarranno chiuse per sempre. Devi decidere tu se giocare o no, hai
cinque minuti per scegliere."
Non sapevo cosa fare; valeva davvero la pena di richiare tanto per una
vita che magari non valeva nulla?
In effetti vivere nel palazzo non era una brutta idea, grazie a quella
persona potevo avere tutto. Se volevo rischiare almeno dovevo avere una
strategia. Ci pensai, ma ormai mancavano solo due minuti. Dovevo
rischiare, una voce interiore sembrava dirmelo da quando mi ero
svegliato. Un solo minuti rimaneva nel timer che si poteva vedere.
Cinquanta secondi; un'idea stava nascendo dal mio cervello. Quaranta
secondi; mi serviva qualcosa per aumentare le mie speranze di salvezza.
Trenta secondi; i miei pensieri si stava riunendo a formare un puzzle.
Venti secondi; mancava qualcosa per la mia idea, un oggetto, c'ero
quasi. Dieci secondi; poteva davvero funzionare? Cinque secondi;
l'altoparlante pronunciò una domanda:"allora, hai deciso?"
Quattro secondi; doveva funzionare, doveva! Due secondi; "Accetto!
Però ..... voglio un ....." Dall'altoparlante uscì una
voce stufa: "un cosa?" "Voglio un pennarello." "Un pennarello? - la
voce si mise a ridere - Un pennarello? Davvero?" Mi stavo stufando:
"hai detto di potermi fornire tutto ciò che voglio? Bene,
portami un pennarello." Questa mia richiesta aveva una duplice
finalità: potevo segnare appunti nella stanza e sulle porte,
inoltre grazie alle porte di vetro potevo, se una persona reale mi
portava l'oggetto in questione, farmi un'idea del percorso da fare. Dal
soffitto della stanza si sentì un rumore, alzai lo sguardo. Un
buco di forma quadrata se era formato, probabilmente grazie allo
slittamento di un pezzo del soffitto. Da quel buco cadde un oggetto,
non riuscì a capire bene cosa fosse finchè il pavimento
non fermò la sua caduta. Mi aveva fottuto, era il pennarello.
"Ecco il tuo strumento, da questo momento il gioco partirà. Tu
non potrai più entrare in contatto con me, io invece
potrò vederti e sentirti, non voglio perdermi il divertimento."
Ma sentivo che mancava qualcosa, poi capì. "Aspetta, hai detto
che avevo un tempo limite, quant'è?" La voce mi rispose: "ah,
sì questo particolare, quasi me ne dimenticavo." Un pezzo della
parete si mosse e si posizionò perpendicolarmente alla parete
stessa. Dei dadi rimasero sullo sportello insieme ad un foglietto. Le
istruzioni erano chiare; dovevo tirare i due dadi il numero che uscivo
dovevo moltiplicarlo per due, quello sarebbe stato il mio tempo limite.
Presi i dadi, li chiusi tra le mani, agitai, agitai e agitai ancora.
Stavo esitando, la paura muoveva le mia mani. Poi capì che indugiare
non serviva a nulla. Riuscì a muovere un dito, poi un altro. Pian piano
aprì le mani e i dadi scivolarono via pieni di ogni mia speranza.
Iniziarono a rimbalzare si fermarono in due momenti diversi uno si
fermò subito: sei. L'altro per qualche strano motivo di mise a ruotare,
pian piano iniziò a traballare e alla fine si fermò: uno. La voce rise:
"sette, moltiplicato per due.... quattordici, un buon risultato.... un
buon risultato davvero - udì ancora risate - ah, il gioco è già
iniziato!"
Guardai il timer: sedici minuti e quaranta. Il gioco era già iniziato e
stavo perdendo. Iniziai a muovere lentamente alcuni passi, mi mossi
verso la prima porta e posai la mano traballante per la tensione sulla
maniglia. La aprì e il mio piede oltrepassò la soglia della prima
stanza: avevo iniziato a giocare.