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Autore: ckofshadows_    16/07/2012    11 recensioni
In un'accogliente caffetteria in una piccola città, un ragazzo con bellissimi occhi azzurri siede allo stesso tavolo ogni giorno, come se stesse aspettando qualcosa, o qualcuno. Blaine si sente in dovere di sedere e parlare con lui... e scopre l'inimmaginabile.
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Questa storia è una traduzione!
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Roses in december
Autore: ckofshadows
Traduttrice: AngelCalipso
Rating: l'autrice inserisce come rating M, tuttavia fino al capitolo 20 (la storia non è ancora stata completata) non ho letto nulla di sconvolgente, per cui ho inserito il rating Arancione. Nel caso in cui troviate questa mia scelta inappropriata, ditemelo e subito prenderò provvedimenti.
Disclaimer: I personaggi di Glee appartengono esclusivamente a Ryan Murphy e alla Fox, le vicende narrate in questa storia non sono frutto della mia testolina bacata , ma dell'autrice ckofshadows.
Note: l'autrice ha sottolineato che questa storia non è una AU. Se pensate che debba aggiungere una nota particolare, come l'AU o il What if Fatemelo sapere. Purtroppo non saprei nemmeno io come definirla bene.

Note della traduttrice: Ciao a tutti! Ho cominciato a leggere questa storia pochi giorni fa e l'ho letteralmente divorata! Mi è piaciuta tantissimo e mi ha fatto emozionare molto, questi sono stati i motivi che mi hanno spinta a lanciarmi nella mia prima traduzione di una fan fiction. Vi avverto che la mia traduzione tende ad essere un po' libera, soprattutto laddove il passaggio dall'inglese all'italiano causa una perdita nella fluidità della lettura... Che volete farci, le innumerevoli versioni di latino e greco mi hanno deviata. Ora vi lascio alla lettura! Spero che apprezzerete la storia così come è successo a me!


Capitolo 1


Negli ultimi mesi sono stato in missione per cercare la caffetteria perfetta. In realtà non so nemmeno cosa sto cercando, ma sono convinto che lo saprò quando lo vedrò. Sono stato in tutti gli Starbucks nel raggio di 80 Km da Westerville, ma nonostante i loro sapori siano intriganti – particolarmente durante le festività-, sono un po’ troppo commerciali per i miei gusti. Così ultimamente ho cominciato ad esplorare i posti più piccoli.

Ma “The Daily Grint” tende a bruciare il suo caffè, e “Cuppa Joe’s” tende ad usare bicchieri in styrofoam, e “Brew-Ha-Ha” ha delle sedie scomode. Nessuno è perfetto, e ogni giorno, elimino una caffetteria dalla lista.

È una fredda mattina all’inizio di dicembre quando arrivo in un posto chiamato “Lima Bean”. Non sembra un granché  dall’esterno, ma, se la mia esperienza come un Anderson mi ha insegnato qualcosa, l’apparenza può ingannare. Fermo l’auto nel parcheggio laterale e mi affretto verso il negozio, abbottonando il cappotto per il vento tagliente.

Il locale è quasi vuoto. È caldo e profuma di chicchi di caffè macinati e latte caldo, mi fermo oltre la porta all’insorgere di questa rivelazione.

È questo.

È la caffetteria perfetta.

C’è un senso di sollievo reale e palpabile, come se finalmente potessi smettere di cercare. Come se avessi cercato ciò da sempre. Mi avvicino al banco, continuando a tentare di capire cosa esattamente di questo luogo faccia la differenza. La barista mi guarda in attesa.

“Un  caffè medio, per piacere”, le dico. Non ho denaro con me, così striscio la mia carta di credito ed inserisco il codice pin prima di spostarmi alla fine del bancone. Abbastanza presto una tazza di caffè appena fatto è nella mia mano, etichettata con una scritta Blaine. Penso che abbia visto il mio nome sulla mia carta di credito. Dopo aver aggiunto crema e dolcificante al caffè, mi giro e analizzo la stanza, cercando un buon posto.

Ci sono molti tavoli vuoti vicino alle finestre –ciò significa buona luce per leggere- ma i miei occhi sono attratti da un piccolo tavolo al centro, dove è seduto un ragazzo della mia età che mi sta osservando. Un ragazzo attraente della mia età. Mi sta anche decisamente osservando –non semplicemente guardando- e c’è qualcosa di lui che mi spinge verso di lui.

Mi avvicino, sorridendogli con più sicurezza di quella che sento. “Ciao.”

I suoi occhi sono spalancati. Sono di una sfumatura di azzurro che non posso definire bene, ma lo vorrei poter fare. “Ciao”, risponde, la sua voce è alta e chiara.

“Il mio nome è Blaine.”

Il suo sorriso svanisce per un po’. Non lo biasimo;  è un nome stupido. “Io sono Kurt.”

“Kurt. Posso unirmi a te?”

“Um… Certo.” Scivolo sulla sedia di fronte a lui, posizionando la borsa del mio computer sotto al tavolo.

Vengo istruito a casa, ciò per alcuni ragazzi significa sedere al tavolo della cucina ricevendo lezioni di algebra dalla loro madre, ma per me significa compiti e ricerche mensili che completo da solo. A settembre ho cominciato a portare il mio computer ogni giorno in una caffetteria diversa. È il mio modo di fuggire dal silenzio opprimente della mia casa, ed avere accesso ad un flusso costante di caffè  e a biscotti freschi non fa mai male.

Tuttavia questa è la prima volta che ho cercato compagnia. Forse è stata l’ebbrezza di aver trovato la caffetteria perfetta ad avermi dato il coraggio.

“Vieni qui spesso?” chiede Kurt, con una delle delicate sopracciglia sollevate. È così bello che fa quasi male guardarlo.

Faccio un sorrisetto in risposta, prendendo un sorso di caffè. “Prima volta,” dico dopo aver ingoiato, poi inclino la mia tazza leggermente. “Non sarà l’ultima, comunque. Questo caffè è davvero buono.”

Annuisce, prendendo una sorsata dalla sua tazza. Sediamo in silenzio, non guardandoci direttamente, ma non guardando troppo lontano l’uno dall’altro. “Allora, cosa ti porta a Lima,” dice alla fine.

“Cosa ti fa pensare che non sono di Lima?” rispondo evasivamente. Mi guarda solo, imperscrutabilmente, e, alla fine, devo ridere. “Okay, hai indovinato, non sono di Lima. Vivo a Westerville. Cosa mi ha fatto scoprire?”

“Sesto senso” dice sarcasticamente. “E non hai risposto alla mia domanda.”

“Mi piace studiare nelle caffetterie.”

“Vai alle superiori?”

“Si. Sono un senior.”

Lancia un’occhiata all’orologio appeso al muro. “Sono le dieci di un giovedì mattina. Perché non sei in classe?”

“Studio in casa.”

Questo sembra sconcertarlo. “Oh. Non me n’ero reso conto.”

“Non siamo tutti disadattati sociali, lo giuro.”

“Avevo immaginato che andassi alla Dalton o qualcosa del genere.”

“No, ma non ci sei andato troppo lontano. Sono andato alla Dalton per un paio di anni,” ammetto.

“Huh.” Raggiunge il suo caffè di nuovo e noto che le sue mani stanno tremando. È nervoso?

“Che cosa mi dici di te?” chiedo, reclinando la testa da un lato. “Non dovresti essere in classe?”

“No. Mi sono diplomato l’anno scorso.”

“Allora hai la mia età.” Vedendolo in attesa, aggiungo, “Mi sarei dovuto diplomare la scorsa primavera, come te, ma ho dovuto lasciare la scuola per diversi mesi. Ho finito per perdere troppo tempo e non ci sono riuscito. Così sto ripentendo il mio ultimo anno.”

“Ah.”

Aspetto le inevitabili domande ma, con mia sorpresa, non ne arriva nessuna. Restiamo in silenzio. Io mi guardo attorno nella caffetteria, cercando di nuovo di capire cosa la renda così perfetta, ma la mia mente continua a tornare al mio nuovo amico. Il mio amico con il viso adorabile, le imperscrutabili espressioni e i capelli cotonati.* Mi chiedo come sarebbero tra le mie dita mentre ci baciamo, spinto contro la sua Navigator, le mani che vagano e il coprifuoco che si avvicina-

“Scusate per l’interruzione.” Guardo in alto e vedo la barista in piedi accanto a noi, che si dondola sulle punte dei piedi. “Una nuova infornata di biscotti ha appena finito di cuocere e ve ne ho voluto portare qualcuno.” Depone un piatto pieno di biscotti e istantaneamente ho l’acquolina in bocca.

Kurt le sta quasi lanciando un’occhiata truce. “Grazie, Bethany.”

“Prego, Kurt,” gli risponde,  sorridendo ampiamente. Comincio a prendere il mio portafogli, ma lei fa cenno di posarlo. “Non essere sciocco, Blaine. È offerto dalla casa.”

La ringrazio cortesemente, aggiungendo, “Sei davvero molto brava con i nomi.”

I suoi occhi guizzano su Kurt, e il suo sorriso si smorza. “Si. Bene. Dovrei tornare a lavoro. Divertitevi.”

Scompare di nuovo e spingo il piatto verso Kurt, facendogli segno di prendere un biscotto. Lo fa, il suo viso ancora teso per lo scambio con Bethany. Ne prendo uno anche io e, nessuna sorpresa, sono i migliori biscotti che abbia mai mangiato.  Tolgo il coperchio dal mio bicchiere di caffè e immergo i biscotti nel caffè pian piano, masticando la loro parte finale. Quando alzo lo sguardo, Kurt mi sta osservando, i suoi occhi sono terribilmente tristi.

“Cosa c’è?”

“Niente”

Noto che sta fissando l’attaccatura dei miei capelli, e io alzo le mie dita su quel punto, prendendo consapevolezza all’improvviso. “È una cicatrice,” gli dico con franchezza, e lui annuisce in risposta. “Non fa male,” lo rassicuro.

“Va bene.”

Il silenzio si dilata per miglia tra noi, finché non parlo. “È successo pochi mesi dopo l’inizio del mio ultimo anno di scuola,” gli dico. “Avevo lasciato la Dalton e mi ero trasferito in una scuola pubblica, e suppongo che lì ci fossero degli omofobi con tendenze violente. Io sono… Voglio dire… Sono gay.” Non sembra turbato né sorpreso da questa informazione, così continuo. “A quanto pare un gruppo di loro mi hanno messo all’angolo e mi hanno picchiato abbastanza pesantemente.”

 “A quanto pare?”

“Non ricordo nulla di cosa è successo.” Percorro con un dito la cicatrice scura e rialzata, dall’attaccatura dei capelli fino a metà strada dal mio scalpo. “Il trauma cranico fu la parte peggiore; uno di loro aveva un piede di porco. Sono stato in coma per davvero molto tempo.”

Kurt deglutisce. “E quando ti sei risvegliato?”

“È stato abbastanza difficile. Ho qualcosa chiamato amnesia retrograda. Ho perso più di un anno di ricordi.”

Questo non sembra turbarlo, il che è bello. La maggior parte delle persone si spaventano quando lo racconto. “E nessuno di questi ricordi è tornato?”

“Non ancora, no.”

Fa un sospiro. “Ci sono state altre conseguenze per quella notte?”

“Io… Come fai a sapere che è successo di notte?”

“L’ho solo immaginato. Questo genere di attacchi tendono ad avvenire quando fuori è buio.”

“Oh. Allora, no, l’amnesia è l’unica cosa. Qualche volta ho l’emicrania, ma non più tanto spesso. E…” Mi interrompo, imbarazzato. Kurt mi guarda in attesa. “E ho… delle visioni, qualche volta.”

“Visioni,” ripete.

“Penso che siano una sorta di allucinazioni,” ammetto, sperando che non pensi che io sia pazzo. “Ad esempio l’altro giorno, io e i miei genitori siamo andati a fare shopping da Gap, e ho avuto questo bizzarro sogno ad occhi aperti, dove stavo inseguendo un commesso della Gap per tutto il negozio e gli stavo cantando una canzone a tema sessuale davvero inappropriata. Ballando in giro e saltando sui tavoli e i mobili.” Rido debolmente. “Strano, vero? Nessuno potrebbe mai fare una cosa del genere.”

“Non lo so, qualcuno potrebbe se fosse un giovane dirigente,” è impassibile. “In ogni caso, come fai a sapere che non è un ricordo?”

Non posso dire se si sta prendendo gioco di me. “Pensi che io sia andato davvero sul posto di lavoro di qualcuno e fatto baldoria?”

“È possibile.”

“Nah. Come ho detto, succede qualche volta. Le visioni, intendo. Mio padre dice che è il modo in cui il mio cervello cerca di riempire le memorie mancanti con cose assurde.” Alla menzione di mio padre, Kurt si irrigidisce visibilmente. Forse ha un cattivo rapporto con suo padre. Cerco di immaginare come possa essere suo padre –alto e magro come lui, forse, con grandi occhi- ma continua solo a venirmi l’immagine di un uomo calvo che indossa tuta e un berretto da baseball. Sto per dirglielo, ma non vorrei offenderlo accidentalmente. “Così sei al college?” Chiedo.

“Io? No.” Infila un biscotto in bocca, e io ho la palese impressione che lo fa perché non vuole parlare del college. Mentre mastica si strofina inconsciamente il lato del suo collo. I miei occhi seguono il movimento delle sue dita sotto la cottile catena della sua collana, e – oh.

“Oh, dio. Scusa.”

“Non scusarti, andrò al college ad un certo punto-“

“No,” lo interrompo. “Mi dispiace per averti parlato della mia aggressione.” Indico il suo collo, dove le sue dita continuano a percorrere una cicatrice. Ora che guardo meglio, ce ne sono altre, anche. Una accanto all’occhio destro, e una grande lungo la sua clavicola. “Nemmeno tu te la sei passata bene, vero?”

Continua a guardarmi, afflitto. I suoi occhi stanno lentamente diventando lucidi per le lacrime, così abbasso lo sguardo sul mio caffè educatamente cosicché possa ricomporsi. Quando rialzo lo sguardo, però, le lacrime sono fuoriuscite, e sta facendo oscillare la sua testa. “Non posso fare questo,” sussurra.

“Fare cosa? Vivere in Ohio? Lo so, è difficile, ma non resterai qui per sempre. Io sto pianificando di partire alla prima occasione. Devi solo avere coraggio-“

Sento un acuto stridio quando tira la sua sedia indietro, e poi resta in piedi mentre infila il suo cappotto. “Devo andare.”

“È stato qualcosa che ho detto?” Dio, spero di no. C’è qualcosa di Kurt che mi fa desiderare di rannicchiarmi di lui e perdermi in lui. Solamente restare raggomitolati per tutto il giorno, guardando The sound of music e cantando un duetto e – merda. Dall’espressione sul volto di Kurt, so che ho appena avuto un’altra delle mie visioni.

“Cosa hai visto?” chiede.

Lo fisso, senza parole. “Per favore, non andare.”

Asciuga le sue guance rigate dalle lacrime con il retro della sua manica, e lancia un’occhiata verso la barista, che ci sta guardando con un’espressione compassionevole. “Devo andare.”

“Perché? Resta solo un altro po’. Prometto che non dirò nulla di stupido questa volta.”

“Non è colpa tua, è… Intendo, tuo padre…”

“Mio padre?”

Distoglie lo sguardo per un momento, e quando mi guarda di nuovo, lo fa con un’espressione nostalgica così intensa, che mi blocca il respiro in gola. “Ho bisogno di andare via ora. Ma… Tornerò. Domani mattina. Alle 10 circa. Se tu-“

“Sarò qui ad aspettarti.”

Non so se c’è sollievo o trepidazione nei suoi occhi quando annuisce, poi si gira e va via. Siedo da solo per un minuto, cercando di dare un senso a ciò che è appena successo. Bethany continua a guardarmi. Allora mi alzo, mettendo la borsa del computer sulla mia spalla e prendendo il caffè e i biscotti. C’è un posto a sedere vicino alla finestra sul retro che è più appartato.

Una volta che mi sono sistemato al nuovo posto, Bethany torna a lavoro, chiacchierando con un nuovo cliente. Rivolgo lo sguardo fuori dalla finestra, ed è così che lo vedo. Kurt è seduto sul sedile del guidatore di una Navigator parcheggiata, a non più di nove metri. La sua fronte è poggiata contro il volante, il volto coperto dalla sue mani. Non posso esserne sicuro, ma dal tremore delle sue spalle, sembra che  stia singhiozzando.

Scombussolato, prendo un sorso del mio caffè tiepido. Dopo pochi minuti, si raddrizza, accende il motore, e va via dal parcheggio. Tiro fuori il mio portatile, pronto a lavorare sul mio saggio sul Sacro Romano Impero, quando qualcosa mi colpisce improvvisamente.

Come facevo a sapere che guida una Navigator?





Note di fine capitolo
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Vi assicuro che, capitolo dopo capitolo, la storia diventa sempre più interessante! Piccole appunti sulla traduzione: le lunghezze erano espresse in miglia e in piedi, io ho usato il convertitore del mio cellulare, quindi non so se la conversione è stata fatta bene. Seconda cosa, i capelli cotonati di Kurt che ho segnalato con un asterisco sono stata una bella gatta da pelare... Nell'originale il termine usato è swooping hair, si tratta di uno slang e, nonostante abbia cercato in vari dizionari di slang non sono riuscita a trovare un termine equivalente in italiano, quindi lo confesso (MEA CULPA) ho scelto l'aggettivo un po' a caso.
Per adesso è tutto, fatemi sapere cosa ne pensate! A presto con il secondo capitolo!
Angel

 

 

 

  
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