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Autore: Hannibal_Lecter    16/07/2012    2 recensioni
Questa è la prima storia che pubblico. L' ho scritta diversi anni or sono, in un momento in cui ero profondamente e meravigliosamente devoto al grande Solitario di Providence, la cui influenza sarà ben evidente. Come nei racconti del geniale Lovecraft, la storia descrive l' approccio dell' uomo (in questo caso di un ragazzino) a forze ed entità partorite dagli abissi più oscuri del creato, superiori alle umane facoltà di comprendere. Per quanto il mio debito nei Suoi confronti sia immenso, è doveroso precisare che trama e personaggi sono frutta della mia assai meno fervida immaginazione. Il Ciclo si compone di tre capitoli, ciascuno dei quali diviso in due o più parti, che aggiungerò nel caso in cui riscontrerò il vostro apprezzamento. Dedico questa opera, per citare le parole di un illustre letterato, ad una persona che mi ha fatto conoscere questa meravigliosa community, lei stessa iscritta ad essa: a Silvia. Perciò, senza ulteriori indugi, vi auguro una piacevole lettura!
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre scrivo queste parole, sento la morte avvicinarsi. I grevi passi sui gradini scricchiolanti provocano la caduta di polvere dal soffitto del mio rifugio improvvisato e contraggo fino allo spasmo i miei polmoni, già gravati dall’ ansia, affinché un accesso di tosse non riveli la mia posizione anzitempo. La cantina è piuttosto ampia ed ingombra di vecchie cianfrusaglie dimenticate, riposte negli angoli bui e cariche della polvere accumulatisi negli anni. Trovandomi nel sottoscala, so bene che il mio destino è segnato e che niente potrà salvarmi dalla persona, o forse sarebbe meglio dire la cosa, che sta venendo a cercarmi. Non temo la morte. Gli atti di cui sono stato testimone mi hanno permesso di comprendere l’ esistenza di realtà ben più oscure rispetto all’ eterno oblio, che a tratti mi pare quasi un sollievo per una mente provata quale la mia. Ma prima del trapasso, o di qualunque cosa Lui voglia farmi, desidero affidare a queste pagine, ingiallite dal tempo e unte di grasso di motori, la memoria di quanto è accaduto, nella speranza di poter mettere i miei simili in guardia dai pericoli che incombono su di loro. Pratiche oscure, nefande ed esecrabili, che sovente reputiamo solo frutto di fantasie perverse, sono concrete e reali quante le gocce di di gelido sudore che imperlano la mia fronte. Sfruttando il fioco bagliore che i pallidi raggi della luna lasciano entrare dalla piccola e lurida finestra alla mia sinistra, vergherò queste poche righe, che affiderò poi alla custodia di qualche tomo ammuffito, nella speranza che in futuro vengano usate per far luce sul mistero. Ma cominciamo dal principio, sperando che mi sia concesso il tempo necessario  a concludere la mia opera. Mi chiamo Edward Collins e ho tredici  anni. Quando giunsi a Silent Hall li avevo da poco compiuti. I miei genitori erano morti in un incidente che aveva causato la morte di altre tredici persone in circostanze mai del tutto chiarite. Non avendo parenti stretti, le autorità decisero di affidarmi alle cure del mio anziano prozio, che di rado avevo sentito nominare prima di quello sventurato giorno, ma che sapevo abitare in un’ isolata zona nei pressi di Providence. Non dimenticherò mai il viaggio che mi condusse alla residenza che sarà la mia tomba. Era autunno inoltrato, e dalla carrozza potevo vedere sterminate distese di alberi cupi e rinsecchiti, che compatti riempivano gli spazi fin dove il mio sguardo poteva spingersi. I loro rami, levati verso l’ alto quasi fossero braccia di penitenti, volevano forse ammonirmi a tornare indietro, a non spingermi fino a quel covo di empietà. Ma all’ epoca non potevo certo sapere, per cui proseguii nel mio viaggio. La dimora si ergeva triste e solitaria al centro della radura su cui terminava la strada. Era la tipica casa vittoriana del luogo, con alti soffitti e finestre slanciate, come se avessero voluto sfidare le divinità del cielo, della cui esistenza, per ragioni che risulteranno presto tragicamente evidenti, ora dubito molto seriamente. Il mio prozio, Lucius, mi attendeva sulla soglia, sostenuto da un frondoso bastone con un pomolo inciso, recante immagini che mai fino a quel momento avevo avuto occasione di ammirare. Dopo le presentazioni, avvenute in modo molto rigido per l’ imbarazzi di entrambi, mi fece accomodare all’ interno. Gli ambienti erano spaziosi e ben arredati, anche se su tutto aleggiava un’ aria di sconforto e di mestizia, dovute forse alla poca luminosità di quelle stanze.  Quadri con personaggi bizzarri adornavano le pareti e pesanti tendaggi di velluto rendevano il clima ancor più soffocante. Intimorito da immagini raffiguranti creature immaginarie intente a predare o a osservare gli uomini, di cui non comprendevo il senso, fui scortato alla mia stanza, al primo piano. Durante la cena, che si svolse nella lugubre sala da pranzo, il mio ospite mi avvertì che nella casa non v’ era servitù, per cui avrei dovuto eseguire qualche piccolo lavoretto domestico. Ero avvezzo alla cosa, e mi sembrava doveroso dover ricambiare la sua ospitalità. Mi era inoltre permesso esplorare a mio piacimento tutta la casa, eccezion fatta per la soffitta, la cui porta era comunque sempre chiusa a chiave, che aveva una pavimentazione pericolante. Dopo aver aiutato a sgomberare la tavola, ognuno dei due si recò nei propri alloggi per la notte. Il mio riposo fu tuttavia turbato da un sogno assai particolare: mi trovavo di fronte alla finestra della mia camera, impegnato ad osservare una mostruosa ed irreale visione: sotto la luce della luna piena, che proiettava ombre spettrali nella radura, gli alberi si stavano trasformando in aberrazioni semoventi, che danzavano e si percuotevano fra loro in un baccanale indescrivibile. Nei giorni successivi mi capitò spesso di fare sogni simili, che sempre imputai all’ influenza dei raccapriccianti dipinti appesi alle pareti, che sempre osservavo con curiosità ma sui quali mai avevo il coraggio di porre domande. Le settimane passavano e, se escludiamo qualche sporadico episodio, non ebbi quasi mai occasione di parlare con mio zio. Le mattine le trascorrevo infatti nella scuola del vicino paese di Strange Hollow e durante i pasti avevo imparato a rispettare i silenzi del mio padrone di casa. Un giorno, mentre portavo qualche ciocco di legna da ardere in camera del mio prozio, scorsi la biblioteca della proprietà. Non sono mai stato particolarmente entusiasta nei confronti della lettura, ma la vista di tutti quei libri mi procurò un grande piacere: vista la discreta distanza del più vicino centro abitato, trascorrevo le ore senza la compagnia di miei coetanei, per cui cominciavo a vedere nei libri la speranza di mitigare o quanto meno di rendere più sopportabile la mia solitudine. La sorpresa fu grande quando, scorrendo con l’ indice i dorsi e le copertine di pelle raggrinzita, scorsi titoli inerenti esclusivamente all’ ambito occulto. Volumi che facevano pensare a rituali persi e dimenticati nella notte dei tempi, evocanti immagini di orrori superiori all’ umana sopportazione. Su di un leggio era aperto uno di quei testi proibiti. Mi avvicinai, terrorizzato ma morbosamente attratto nel contempo. Mi balzò agli occhi una tavola realizzata a china nella quale un uomo, con addosso strani abiti da cerimonia, innalzava verso un sole di colore nero e che pareva ghignare maleficamente un cuore straordinariamente ben rappresentato, appena estratto dal petto di una fanciulla distesa su di un altare in pietra e in preda ad i più atroci tormenti. Quella vista suscitò in me una tale inquietudine che decisi di lasciare quel deposito di perverse tradizioni per non farvi più ritorno. Sulla soglia mi bloccò Lucius, che mi guardava in modo strano, con un’ espressione di orgoglio mista a furia. Mi chiese bruscamente cosa avessi visto e, dal momento che avevo la sensazione che già lo sapesse, preferii dire la verità e gli descrissi ciò che avevo avuto la sventura di esaminare senza nascondere il disgusto ed il ribrezzo che ne erano scaturiti. Rimase a fissarmi per diversi istanti, che a me parvero interminabili. Pur non sapendo il motivo, avevo paura di ciò che poteva accadere. Alla fine stabilì che mai in futuro avrei potuto tornare in quel luogo e mi lasciò passare. Mentre mi allontanavo percepii il suo sguardo puntato contro di me, simile ad una lama d’ acciaio. Anche se sollevato, non potei fare a meno di chiedermi che genere di uomo nutrisse una tanto insana passione e cominciai a temere. Non per la mia vita, ma per qualcos’altro, qualcosa di indefinibile e di profondamente angosciante che nemmeno io sapevo spiegarmi.  I miei incubi notturni peggiorarono: avevo preso a sognare che nella cantina di casa , nelle ore più buie della notte,  le ombre prendessero vita, manifestandosi in creature immonde ed abiette che solo una mente disturbata poteva concepire. Primo del mio trasferimento non avevo mai sofferto in modo tanto sistematico e costante di disturbi al sonno, ma da quando ero giunto a Silent Hall non ricordavo di essermi coricato una sola notte senza che la mia mente fosse stata invasa da orrori, deliri ed irreali manifestazioni.
  
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