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Autore: MadLucy    17/07/2012    6 recensioni
Near riabbassò lentamente lo sguardo pesante sul pezzo di carta trattenuto fra le sue dita, occupato in una riflessione imperscutabile.
La grafia, il tono, le sbavature d'inchiostro: tutto richiamava prepotentemente l'autore di quel biglietto, delineandone il ritratto.
Quando si trattava di giocare, lui non faceva complimenti.
Sarebbe stato divertente, magari, oltre che patetico ed inutile. Forse, escludendo il ribadire cose che entrambi sapevano, ci sarebbe stato dell'altro. Proprio su questo dell'altro contava.
Per questo Near si presentò all'appuntamento.
***
Questo Mercoledì, alle otto. Scopri dove.
Solo io e te, nessun altro: IO e te.
Niente scherzi, niente scappatoie.
Se provi a barare, sappi che sono più bravo di te. Ma tu non ne hai bisogno per vincere, no?
M.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mello, Near | Coppie: Mello/Near
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Sabbia.


Nonostante premesse con insistenza la penna contro il foglio che lo fronteggiava, questa taceva ostinata in una sfacciata provocazione. Mello voleva urlare i centinaia di pensieri che ringhiavano nella sua testa, invece doveva mormorare solo il minimo indispensabile. Lo sapeva benissimo: lui avrebbe prestato attenzione a quello stupido biglietto solo se l'avesse meritata.
Tracciò svogliato un'iniziale, ma al posto di un tratto ne scaturì soltanto un graffio stentato.
Trattenne un'imprecazione. La penna rimbalzò contro il muro con una protesta sonora -inutile, un cadavere di plastica; Mello tastò freneticamente le tasche posteriori dei jeans ed estrasse un portafoglio di pelle rovinata, per poi rivoltarlo brutale. Lo costrinse a rigettare tutto il contenuto sul tavolo. Banconote sgualcite, francobolli di lettere mai spedite, monete rugginose. E quella, la sua ferita, sotto forma di uno stretto cartoncino dagli angoli consumati. Sconfitto prima di combattere, osservò l'immagine.
I colori si stavano deteriorando inevitabili, ma nella mente di Mello la scena era maledettamente definita e vivida. Un gruppo di ragazzini dal sorriso anonimo e le scarpe slacciate, le spalle a cozzare contro quelle dei compagni. C'era anche lui, a spiccare orgoglioso. Mento alto, due bande di vivaci capelli biondo cenere in costante movimento, gli occhietti vispi e spudorati di chi è certo del suo trono.
Matt... Carezzò la sua così familiare immagine con lo sguardo, vi dedicò qualche istante in più. Per quell'amico che era, fra tanti, il solo.
Ma il vero indiscusso protagonista della fotografia non c'era. Mello ghignò amaro: persino quando mancava riusciva a declassarlo, Near.
Un'assenza che taceva e strillava nello stesso istante, attirando l'attenzione altrui (-Ma dov'è N?-), che spiegava fin troppo bene quell'infanzia di costretta accettazione e denti digrignati.
Mello lasciò ricadere la foto, con una smorfia. Foglia morta in un autunno ormai passato.
Vide rotolare pigra, sul bordo del tavolo, la penna che cercava nel portafoglio. La afferrò, la fece scattare. Con un sospiro si accorse che le parole che prima aveva tanto sofferto stavano fluendo svelte alle sue labbra. Così iniziò a scrivere.

La luce distaccata e silente della notte filtrava attraverso la finestra e, allo stesso modo, attraverso il candore opaco di Near. Vi scivolava, indifferente, quasi il ragazzino mancasse di sostanza.
Magari sono vetro, rifletteva quella figuretta eterea dagli occhi grandi, anzi, sabbia.
Avvertiva il pavimento tiepido sotto i palmi aperti, la freschezza innocua delle piastrelle. La Luna vi si specchiava, un bottone abbandonato a terra.
Near riabbassò lentamente lo sguardo pesante sul pezzo di carta trattenuto fra le sue dita, occupato in una riflessione imperscutabile.
La grafia, il tono, le sbavature d'inchiostro: tutto richiamava prepotentemente l'autore di quel biglietto, delineandone il ritratto.
A Near sembrava quasi di sentirlo sbottare piano quelle parole, la sua voce sibilare quelle velate minacce.
Non aveva importanza quanto il caso Kira richiedesse tempo ed attenzione. Quando si trattava di giocare, lui non faceva complimenti.
Sarebbe stato divertente, magari, oltre che patetico ed inutile. Forse, escludendo il ribadire cose che entrambi sapevano, ci sarebbe stato dell'altro. Proprio su questo dell'altro contava.


Questo Mercoledì, alle otto. Scopri dove.
Solo io e te, nessun altro: IO e te.
Niente scherzi, niente microspie, niente scappatoie.
Se provi a barare, sappi che sono più bravo di te. Ma tu non ne hai bisogno per vincere, no?
M.


Near era arrivato prima di lui. Lo capì ancora prima di scorgerlo, accucciato nell'intreccio di tenebre dell'angolo più buio, viso rivolto verso il muro.
Gli stivali di Mello ticchettavano con sordo egocentrismo sulle assi di legno, che di tanto in tanto si lasciavano sfuggire un gemito acuto. Misurò ogni passo, quasi cauto.
Vederlo gli provocò la più inaspettata delle reazioni. Un nulla ovattato, una nota di stupore appena percettibile, un'indifferenza che sconvolse lui per primo.
Taceva, mostrandogli le spalle. Mello si scoprì curioso riguardo la traiettoria del suo sguardo, che però gli era celata.
Voleva esplodere e liberarsi del terribile peso che lo devastava, ma non aveva idea di dove cominciare. Si trattava di una storia così lunga che non riusciva ricordarne l'inizio.
D'un tratto, la consapevolezza di chi aveva di fronte lo colpì brutale. Near. Dopo anni, Near. Ancora una volta, Near.
-Bravo il nostro genietto. Hai scoperto dove venire.- commentò, irruppendo nel silenzio che Near assecondava con apatica naturalezza. Parlare per primo gli infondeva la sicurezza inesistente d'avere il controllo della situazione.
-Non c'era niente da scoprire.- ribattè la sua voce. Ebbe l'effetto di un acido sulla pelle, per Mello. -Non poteva essere che qui.-
Vi era ancora una traccia della sua cantilena infantile e conservava la sua limpidezza, quella che così tante volte lo aveva pugnalato al cuore.
-Mi stai dicendo che per te questo posto è stato qualcosa?- Non perse occasione di provocarlo.
-Non posso negarlo, Mello. E nemmeno tu.- Non vi era fastidio, nel suo tono, solo una pensosa malinconia.
Mello avanzò nella stanza, fino a raggiungere un piccolo tavolo da toeletta. -Ecco. Ora io rispetto i patti.-
Gettò su un centrino di pizzo giallo una grossa pistola, con un tonfo, e poi un'altra. Si liberò del coltello a serramanico, di un paio di manette e di una lametta che estrasse da un anfibio.
Poi sollevò le mani, con un ghigno sghembo. -Ho finito. Sono disarmato.-
Near non si era nemmeno voltato per assistere alla scena. -Non sapresti cosa fartene. Tu non sei qui per uccidermi. Non hai mai voluto rassegnarti così.-
Mello taque per qualche istante. -Esatto. Quindi, perchè ti avrei mandato quel biglietto?-
Vi fu un fruscìo di stoffa. Near si era voltato. -Perchè vuoi esorcizzare la tua paura nella maniera più cruda possibile, cioè affrontandola faccia a faccia.- I suoi occhi erano abissi, il suo sguardo impassibile e fermo. Vederli fu dolorosamente familiare, e fu travolto dall'ondata di ricordi che riaffiorò graduale.
La prima volta che lo aveva visto, in quella stanza. Aveva sollevato gli occhi dal suo puzzle e non aveva detto niente.
Quando rimaneva rannicchiato a terra, nei corridoi. La vita scorreva e lui la ignorava.
In quell'ufficio, il giorno decisivo, piccolo e zitto e indifferente.
I ricordi si annodavano e confondevano tra loro in un garbuglio incomprensibile di rabbia e sofferenza silenziosi.
-Tu dovresti farmi paura? Ridere, magari. Di quanti centimetri ti sei alzato, da quando avevi quindici anni?- La voce di Mello era aspra e graffiante, come artigli su una lavagna. Il suo tono non era affatto scherzoso.
-Due, e sette millimetri.- Near strinse una ciocca candida ricadutagli sulla guancia, attorcigliandola e rigirandola. -E se sdrammatizzare ti fa sentire più a tuo agio, fallo pure.-
Il ragazzo sentì la mano tremare dall'impulso irrefrenabile di stringersi in un pugno. Aveva quasi scordato la capacità dell'albino di farlo sentire un completo imbecille, sempre e comunque, senza però scomporre la sua espressione insondabile e mantenendo una pacata apatia.
Quello era il suo modo di attaccare. Usava la sua superiorità, scudo e spada quando ne aveva bisogno.
Mello si avvicinò, senza distogliere lo sguardo da quelle iridi spalancate sul vuoto. -Credevi di esserti liberato di me, dopo l'ultima volta che ti sono venuto a trovare?- Il sarcasmo traboccava dalle sue parole in maniera quasi nauseante. Gli occhi di Near lo inchiodarono decisi.
-Non ci si libera di te, Mello. Sei la persona più ostinata che abbia mai avuto modo di conoscere, e bisogna renderti merito della perseveranza nello sprecare il tuo tempo a detestarmi.-
L'altro parve soddisfatto dalla risposta. -Non sto affatto sprecando tempo, solo chiudendo una questione in sospeso. Poi è probabile che non ci vedremo mai più.-
Stava bluffando, non aveva intenzione di dargli più importanza di quando non glie ne riservasse già. Dipendeva tutto dall'esito di quell'incontro.
Near si limitò a sospirare impercettibile. -Dal momento in cui hai deciso di fare parte della mia vita, la tua presenza in essa mi è imposta e inevitabile. Ma, allo stesso modo, tu non riuscirai mai a dimenticarti di me. Ormai questa è la verità.-
Era vero, ma la tendenza del ragazzino a materializzare la realtà nell'aria -facendole acquistare un peso, uno spessore- stordiva sempre Mello. Perchè intimoriva, come verità.
Invece Near non aveva paura, mai. Nè punti deboli. Nè esitazioni. Nè cedimenti. Era possibile sopportare tanta onnipotenza?!
Con un gesto rude e improvviso, gli afferrò il mento. Vi premette il pollice con tutta la sua forza, costringendolo ad alzare il volto. La pelle, sotto il suo tocco, era liscia e piacevole.
-Ho dimenticato, piuttosto, il tempo in cui mi lasciavo manovrare da te e le tue paroline.- sbottò, tentando di incidere le sue iridi irremovibili.
Il volto di Near era uno specchio di vuoto frustrante, in cui Mello vedeva solo riflessa la sua violenza infantile e impacciata.
-Come credi.- sillabò lento. Sghignazzi rumorosi sgorgavano nel silenzio della sua voce calma e condiscendente.
Non riuscì più a trattenere gli strepiti del suo animo ribollente. -Smettila.-
Prima di potere riflettere su ciò che stava per fare, le sue mani erano sulla gola di Near. Lo gettò sul materasso rigido del letto, una bambola fin troppo leggera. Per un attimo, credette che avrebbe avvertito un rumore di porcellana infranta. L'albino non reagì.
-Dì qualcosa, genio, avanti. Qualsiasi cosa. Smettila di fregartene! Smettila, chiaro?!-
Era assalito da una febbre sconosciuta, che lo divorava sempre più rapida. Voleva che Near si ammalasse. Voleva incrinare la sua maschera. Voleva abbattere quelle odiose difese.
Gli morse ferocemente la pelle della gola, desideroso di strapparla. Risalì verso le labbra, finchè non le avvertì. Piccole e sottili e delicate. Affondò i denti in quello superiore e tirò forte.
-Cosa c'è?! Non dici niente? Illuminami con la tua brillante intelligenza! Non è quello che fai sempre?-
La pelle era fragilissima, si squarciava come carta velina. La apriva e la assaggiava fra i denti, voracemente. Near non oppose resistenza, lo sguardo perso nel soffitto.
Mello calò il suo corpo su quello supino dell'altro, e si trovò a sorridere. Lo schiacciava contro il copriletto, chiarendogli il suo ruolo al momento. Sì, ora anche Near era disarmato.
Lo voleva umiliato. Lo voleva prostrato. Lo voleva sottomesso. Lo voleva debole.
Lo baciò con ferocia, la bocca umida del suo sangue. -Cedi, Near. Cedi.- Lo voleva suo.
Non rispose niente, il ragazzino, socchiuse le palpebre. Non sfuggì un gemito a quelle labbra straziate.
Mello sapeva di cioccolato, cenere e sangue. Le sue mani erano forti, quelle di chi aveva imparato ad uccidere: era sempre stato pericolosamente bravo a sparare. Near invece non aveva nemmeno mai provato, per togliere la vita ad un altro essere vivente ci vuole rabbia. Furore.
Il rancore irragionevole e letale di Mello era la sua debolezza e la sua forza, la sua maledizione e la sua salvezza. Che gli faceva premere grilletti così come mordere cioccolata. Leggero, quasi, reso cieco dalla fragilità impossibile della vita e, allo stesso tempo, dalla possibilità di strapparla con tale facilità. Non guardava negli occhi chi uccideva, poichè nessuno di loro era mai stata la vittima che avrebbe voluto dissanguare. Sono io, pensò Near. Io, il vetro che non si spezza. La sabbia.
Le unghie di Mello penetravano nella sua carne diafana, lasciando graffi irregolari, poi scivolarono verso la camicia. Morsi cremisi spiccavano vivaci sul torace pallido dell'albino.
Il corpo che schiacciava imperiosamente il suo era energia, adrenalina. Fremente e palpitante e vivo, caldo e pulsante e vivo.
Ciò che non era Near, vacuo come il vetro e inconsistente come la sabbia. Ma anche lui -vetro, sabbia- si sentiva un po' vivo, in quegli istanti. 
Taceva, ignorando il doloroso piacere che pungeva costantemente la sua pelle, taceva e si chiedeva quanta frustrazione avrebbe dovuto consumare sul suo corpo per potersi fingere come desiderava essere.


Quando ancora l'alba non era sorta e il cielo sapeva di notte, Mello socchiuse la porta. Il fascio di luce illuminò un volto spettrale fra le lenzuola, bianco e rosso. Sangue denso e scuro rigava il pallore delle guance.
-Ora ti senti più forte, Mello?- Due occhi neri lo fissavano implacabili, fra le tenebre violate della camera.
Socchiuse le labbra, pronto a replicare, ma ogni parola fuggì fugace. Crollavano tutte non appena si accingeva a pronunciarle. Ansimò.
-Quella fra noi è una partita già finita, il fuoco non brucia l'acqua. Però l'identità del vincitore è irrilevante.- La sua voce era malinconia vischiosa e lenta. -Il futuro ha sempre un passato, ma il passato non può avere un futuro. Noi due siamo fantasmi, spettri di ricordi e cicatrici, prigionieri di pagine già sfogliate. Cerchi di aggrapparti disperatamente al presente... che non ti appartiene più. Nessuno piangerà la nostra morte nè serberà le nostre memorie, non abbiamo più nome. Presto capirai che stai scrivendo sulla sabbia.-
Near forte e sanguinante. Lui debole. Una storia che si ripeteva tanto spesso da risultare mortalmente noiosa.
L'albino fu assalito dal terribile e insopprimibile desiderio di ridere. Ma nessuno glie l'aveva insegnato, quindi non lo fece.
La porta si chiuse. 



































Note dell'Autrice: E questa è una storia un po' strana. Dico così perchè l'ho scritta a frammenti, aggiungendone sempre di più, nella speranza di creare il quadro che avevo in mente. L'effetto non è esattamente quello desiderato, avevo immaginato un'altra atmosfera. Un altro finale. Però non mi è dispiaciuto il risultato, seppur diverso dalle mie aspettative.
Qualsiasi lontana forma di romanticismo avrebbe rovinato l'intera storia... un peccato. Proprio non ci stava.
Forse potrà apparire ai lettori un pelo brutale, e in effetti non è da me scrivere cose così.
Grazie per avere letto, mi piacerebbe molto sapere che ne pensate. ^-^
Lucy
  
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